Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Storia del movimento operaio

Il crollo della Seconda Internazionale

14-18

Il crollo della Seconda Internazionale

Dal rag­grup­pa­men­to di Zim­mer­wald alla Ter­za Internazionale

Vale­rio Torre

 

«La social­de­mo­cra­zia […] ha rac­col­to nel cor­so di un cinquantennio
i più ric­chi frut­ti dal­la cono­scen­za teo­ri­ca del marxismo
e si è ingi­gan­ti­ta con le sue lin­fe vitali.
Posta davan­ti alla sua più gran­de pro­va storica,
[…] le man­cò com­ple­ta­men­te […] l’energica volontà
non solo di inten­de­re la sto­ria, ma anche di farla.
Con tut­ta la sua esem­pla­re cono­scen­za teorica
e con tut­ta la sua for­za organizzativa,
pre­sa dal gor­go del tor­ren­te del­la storia,
in un atti­mo essa diven­ne come un rot­ta­me sen­za timone
in pre­da al ven­to dell’imperialismo,
con­tro cui avreb­be dovu­to segui­ta­re a lavorare
per rag­giun­ge­re l’isola sal­va­tri­ce del socialismo.
La disfat­ta di tut­ta l’Internazionale era già scontata».
(R. Luxem­burg)

A dif­fe­ren­za del­la Pri­ma Inter­na­zio­na­le, che si atteg­giò come un fron­te uni­co fra orga­niz­za­zio­ni ope­ra­ie e diri­gen­ti rivo­lu­zio­na­ri e non giun­se mai a esse­re un par­ti­to mon­dia­le, la Secon­da Inter­na­zio­na­le fu una fede­ra­zio­ne di par­ti­ti social­de­mo­cra­ti­ci[1], alcu­ni dei qua­li ave­va­no real­men­te peso e influen­za di mas­sa. In par­ti­co­la­re, fu attor­no alla social­de­mo­cra­zia tede­sca, gra­zie soprat­tut­to all’opera teo­ri­ca di Engels, che, dopo la mor­te del­la Pri­ma, una nuo­va Inter­na­zio­na­le poté dir­si rinata.
E fu pro­prio il carat­te­re fede­ra­ti­vo appe­na segna­la­to[2] a costi­tui­re il trat­to domi­nan­te del­la Secon­da Inter­na­zio­na­le. Al di là del­la ten­den­za all’unità e all’universalità del movi­men­to, all’internazionalizzazione dei rap­por­ti, al di là dun­que del­la con­di­vi­sio­ne a livel­lo gene­ra­le dei prin­ci­pi del socia­li­smo, era pre­sen­te nel­la nuo­va orga­niz­za­zio­ne la ten­den­za alla diver­si­fi­ca­zio­ne nazio­na­le per l’adattamento a pra­ti­ca poli­ti­ca del socia­li­smo da par­te di alcu­ni par­ti­ti: e così, con­vi­ve­va­no nel­la Secon­da Inter­na­zio­na­le il jau­res­si­smo fran­ce­se, il tra­deu­nio­ni­smo ingle­se, il socia­li­smo scan­di­na­vo, l’ortodossia kau­tskia­na del­la social­de­mo­cra­zia tede­sca, il movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio rus­so, l’austromarxismo[3].
Alcu­ne di que­ste era­no con­ce­zio­ni addi­rit­tu­ra non mar­xi­ste. Ma anche in ambi­to mar­xi­sta era pos­si­bi­le riscon­tra­re note­vo­li dif­fe­ren­ze che emer­ge­ran­no soprat­tut­to nel­la fase di vita del­la Secon­da Inter­na­zio­na­le che si svol­se nel pri­mo decen­nio del Novecento.
Tra l’altro, è dif­fi­ci­le per­si­no usa­re il ter­mi­ne “orga­niz­za­zio­ne” per la Secon­da Inter­na­zio­na­le, visto che, per l’esasperazione del­la con­no­ta­zio­ne fede­ra­ti­va, essa rifiu­tò di dotar­si di una strut­tu­ra pre­ci­sa e, fino al 1900 – quan­do il Con­gres­so di Pari­gi final­men­te deli­be­rò di crea­re una strut­tu­ra di coor­di­na­men­to, il Bureau Socia­li­ste Inter­na­tio­nal (Bsi[4]) – addi­rit­tu­ra di affer­mar­si come isti­tu­zio­ne ed orga­niz­za­zio­ne per­ma­nen­te[5]. Il suo carat­te­re essen­zia­le fu quel­lo di un’istituzione di tipo par­la­men­ta­re, tan­to che i con­gres­si veni­va­no defi­ni­ti “futu­ro par­la­men­to del pro­le­ta­ria­to”, che evi­ta­va accu­ra­ta­men­te però di inter­ve­ni­re negli affa­ri inter­ni del­le sezio­ni nazio­na­li, che ave­va­no una pres­so­ché tota­le auto­no­mia nel­le deci­sio­ni tat­ti­che: le stes­se riso­lu­zio­ni adot­ta­te era­no con­si­de­ra­te rego­le di azio­ne socia­li­sta, ma solo di carat­te­re mora­le, pri­ve di san­zio­ne politica.
E infat­ti, anche la crea­zio­ne di un coor­di­na­men­to e di una segre­te­ria per­ma­nen­te – che pure fu per­ce­pi­ta come il segna­le del­la vera rina­sci­ta dell’Internazionale – non mutò il prin­ci­pio del­la sal­va­guar­dia dell’autonomia nazio­na­le del­le sezio­ni, con­si­de­ra­to per­fi­no come il bene mag­gio­re da difen­de­re. In que­sto sen­so, è pos­si­bi­le dire che la Secon­da Inter­na­zio­na­le nac­que sot­to il segno di un fra­gi­le com­pro­mes­so, con con­trad­di­zio­ni che si pro­tras­se­ro irri­sol­te, come vedre­mo, fino all’ignominioso crol­lo dell’agosto 1914, col voto dei cre­di­ti di guerra.

La gran­de cre­sci­ta e il ger­me dell’opportunismo
Eppu­re, nei die­ci anni suc­ces­si­vi alla sua fon­da­zio­ne, la Secon­da Inter­na­zio­na­le andò aumen­tan­do la sua influen­za e il suo pre­sti­gio. I con­gres­si dibat­te­va­no ani­ma­ta­men­te e vota­va­no riso­lu­zio­ni sui prin­ci­pa­li pro­ble­mi che il movi­men­to ope­ra­io incon­tra­va sul suo cam­mi­no; e dopo i con­gres­si dell’Internazionale, i par­ti­ti nazio­na­li discu­te­va­no quel­le stes­se deci­sio­ni. Que­sto com­ples­so pro­ces­so deter­mi­nò l’accrescimento per­ma­nen­te del livel­lo teo­ri­co e poli­ti­co del movi­men­to ope­ra­io nel suo insie­me, con la gran­de avan­za­ta soprat­tut­to di quel­lo euro­peo[6]. Ciò era la con­se­guen­za del pro­get­to poli­ti­co del­la Secon­da Inter­na­zio­na­le, quel­lo che, in con­trap­po­si­zio­ne al suo carat­te­re fede­ra­ti­vo, ne rap­pre­sen­ta­va il cemen­to: vale a dire, l’inserzione pro­fon­da del­la poli­ti­ca nel movi­men­to ope­ra­io. Si trat­ta­va, tut­ta­via, di una poli­ti­ca domi­na­ta dal­la par­te­ci­pa­zio­ne elet­to­ra­le: cer­to, allo sco­po – come reci­ta una del­le tan­te riso­lu­zio­ni adot­ta­te – di «con­qui­sta­re i dirit­ti poli­ti­ci e di ser­vir­se­ne in tut­ti i cor­pi legi­sla­ti­vi e ammi­ni­stra­ti­vi per rea­liz­za­re le riven­di­ca­zio­ni del pro­le­ta­ria­to e impa­dro­nir­si dei pote­ri poli­ti­ci […] per tra­sfor­mar­li in mez­zi di eman­ci­pa­zio­ne del pro­le­ta­ria­to»[7]; cer­to, stan­do bene atten­ti a far sì che «in nes­sun caso l’azione poli­ti­ca [pos­sa] ser­vi­re a com­pro­mes­si o allean­ze che atten­te­reb­be­ro ai prin­ci­pi e all’indipendenza dei par­ti­ti socia­li­sti»[8]; non­di­me­no, si trat­ta­va di una pra­ti­ca di par­ti­ti ripie­ga­ti sul pro­prio carat­te­re nazio­na­le e sem­pre più con­ta­mi­na­ti dal­la demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­ti­va borghese.
A ben vede­re, è esat­ta­men­te in que­sta pra­ti­ca che pos­sia­mo riscon­tra­re gli ele­men­ti del­la gene­si del rifor­mi­smo: il model­lo del­la poli­ti­ca bor­ghe­se e il suo con­cet­to di rap­pre­sen­ta­ti­vi­tà era­no via via sem­pre più pro­fon­da­men­te pene­tra­ti nel cor­po del movi­men­to ope­ra­io. Con la para­dos­sa­le con­se­guen­za che, man­can­do di un model­lo alter­na­ti­vo (cioè quel­lo real­men­te rivo­lu­zio­na­rio), e nell’incapacità con­ge­ni­ta di dotar­se­ne, la tra­sfor­ma­zio­ne del pro­le­ta­ria­to in for­za nazio­na­le e la sua stes­sa strut­tu­ra­zio­ne come tale pro­vo­ca­ro­no, da un lato, un suo straor­di­na­rio raf­for­za­men­to e, dall’altro, la sua sot­to­mis­sio­ne ai mec­ca­ni­smi demo­cra­ti­co-bor­ghe­si. Dun­que, quan­to più il movi­men­to ope­ra­io dive­ni­va pro­ta­go­ni­sta del­le dina­mi­che di mas­sa e anta­go­ni­sta rispet­to al pote­re capi­ta­li­sti­co, tan­to più le sue orga­niz­za­zio­ni nazio­na­li, nel qua­dro di una Secon­da Inter­na­zio­na­le così con­ce­pi­ta, si tra­sfor­ma­va­no in appa­ra­to con­ser­va­to­re dei risul­ta­ti ottenuti.
Que­sta ten­den­za fece sì che l’orizzonte del­le rifor­me imme­dia­te pren­des­se il soprav­ven­to sull’obiettivo del­la con­qui­sta del pote­re, rele­gan­do in secon­do pia­no il pro­gram­ma socia­li­sta per perseguirla.
Il qua­dro gene­ra­le che si era anda­to deter­mi­nan­do dall’inizio del Nove­cen­to favo­ri­va quest’esito. La let­tu­ra dei pro­ces­si sto­ri­ci e socia­li dei pri­mi anni di vita del­la Secon­da Inter­na­zio­na­le era vena­ta da un accen­tua­to posi­ti­vi­smo e da un pre­do­mi­nan­te deter­mi­ni­smo che potrem­mo defi­ni­re qua­si “dar­wi­ni­smo mar­xi­sta”: di fron­te alla cri­si eco­no­mi­ca dell’ultimo quar­to di seco­lo, si con­si­de­ra­va che le con­trad­di­zio­ni inter­ne al siste­ma capi­ta­li­sti­co, il carat­te­re irra­zio­na­le del­la pro­du­zio­ne deter­mi­na­ta da un siste­ma ana­cro­ni­sti­co, avreb­be­ro por­ta­to a un suo ine­lut­ta­bi­le e pros­si­mo crol­lo. La social­de­mo­cra­zia dove­va sol­tan­to pre­pa­rar­si median­te l’organizzazione a sosti­tui­re quel siste­ma. Alla dia­let­ti­ca dei pro­ces­si sto­ri­ci si sosti­tui­va una visio­ne evo­lu­zio­ni­sti­ca: la rivo­lu­zio­ne era razio­na­liz­za­ta come un even­to qua­si natu­ra­le. Ben­ché sia sem­pre rima­sto fede­le alla dia­let­ti­ca rivo­lu­zio­na­ria di Marx, in una pro­spet­ti­va allo stes­so tem­po rivo­lu­zio­na­ria ed evo­lu­zio­ni­sti­ca, ma rifug­gen­do ogni for­ma di fata­li­smo nel­la let­tu­ra dei pro­ces­si sto­ri­ci[9], lo stes­so Engels non fu immu­ne da quest’influsso quan­do scris­se: «Pos­sia­mo incro­cia­re le brac­cia e lascia­re che i nostri nemi­ci lavo­ri­no per noi»[10]. L’attendismo rive­sti­to di fra­seo­lo­gia rivo­lu­zio­na­ria diven­ne il trat­to carat­te­ri­sti­co di que­gli anni.
Appun­to per­ché biso­gna­va solo pre­pa­rar­si nell’attesa, la social­de­mo­cra­zia, anche allo sco­po di otte­ne­re con la pro­pria for­za miglio­ra­men­ti di vita per i lavo­ra­to­ri, si tra­sfor­mò sem­pre più in appa­ra­to, la cui natu­ra con­ser­va­tri­ce la indu­ce­va a man­te­ne­re i pri­vi­le­gi con­se­gui­ti, piut­to­sto che avven­tu­rar­si in incer­ti pro­get­ti rivo­lu­zio­na­ri. Ed è esat­ta­men­te in que­sto qua­dro che pos­sia­mo rav­vi­sa­re l’origine dell’opportunismo, che Lenin avreb­be poi carat­te­riz­za­to come il sacri­fi­cio degli inte­res­si vita­li e di lun­go perio­do del par­ti­to a quel­li tem­po­ra­nei, effi­me­ri e secon­da­ri. Nel nuo­vo con­te­sto inter­na­zio­na­le d’inizio seco­lo, la rivo­lu­zio­ne atte­sa come fase suc­ces­si­va dell’evoluzione socia­le non si era pro­dot­ta. Anzi, il capi­ta­li­smo ave­va supe­ra­to il perio­do di cri­si, incon­tran­do una nuo­va cre­sci­ta e un più accen­tua­to svi­lup­po ed entran­do nel­la fase dell’imperialismo: in un’epoca di nuo­vi pro­fit­ti, quel­li deri­van­ti dal­le poli­ti­che colo­nia­li, il capi­ta­li­smo pote­va per­met­ter­si il lus­so di elar­gi­re ai movi­men­ti ope­rai dei Pae­si colo­niz­za­to­ri con­ces­sio­ni socia­li e aumen­ti sala­ria­li, deter­mi­nan­do così il nasce­re e l’affermarsi di un nuo­vo stra­to del pro­le­ta­ria­to, l’aristocrazia ope­ra­ia, che costi­tui­rà il tas­sel­lo per la defi­ni­ti­va inte­gra­zio­ne del­la clas­se ope­ra­ia al siste­ma bor­ghe­se e ai suoi valo­ri; e che con­tem­po­ra­nea­men­te diven­te­rà la base socia­le del­le nascen­ti buro­cra­zie poli­ti­che e sindacali.
Tan­to per fare un esem­pio, Eduard Bern­stein, mas­si­mo espo­nen­te del­la destra oppor­tu­ni­sta del­la Secon­da Inter­na­zio­na­le, soste­ne­va che neces­sa­ria­men­te doves­se­ro esi­ste­re due clas­si di pove­ri, quel­li domi­na­to­ri e quel­li domi­na­ti; e che que­sti ulti­mi doves­se­ro esse­re con­si­de­ra­ti come bam­bi­ni inca­pa­ci di eman­ci­par­si. Con­se­guen­te­men­te, la poli­ti­ca colo­nia­le sareb­be sta­ta ine­vi­ta­bi­le, anche sot­to il socia­li­smo[11].
Come vedre­mo, dun­que, con l’affermarsi del revi­sio­ni­smo oppor­tu­ni­sta e del­la sua base mate­ria­le, ven­ne a com­pi­men­to il para­dos­so per cui l’espansione del­le orga­niz­za­zio­ni poli­ti­che e sin­da­ca­li del­la clas­se ope­ra­ia rap­pre­sen­tò, da un lato, l’affermazione dell’indipendenza di clas­se; e, dall’altro, una limi­ta­zio­ne del­le ener­gie rivo­lu­zio­na­rie del pro­le­ta­ria­to. Si può dire insom­ma che la fase del­la for­ma­zio­ne orga­niz­za­ti­va del movi­men­to ope­ra­io coin­ci­se con la sua devia­zio­ne ideo­lo­gi­ca[12]: la con­qui­sta di obiet­ti­vi imme­dia­ti diven­ne la prio­ri­tà rispet­to alla pre­pa­ra­zio­ne del­la futu­ra rivo­lu­zio­ne, alla pre­sa del pote­re; l’inserzione nel­la poli­ti­ca nazio­na­le ven­ne rite­nu­ta più impor­tan­te rispet­to all’affermazione dell’ideale internazionalista.
I mar­xi­sti con­se­guen­ti com­bat­te­ro­no, lun­go tut­to il perio­do sto­ri­co che ci accin­gia­mo ad esa­mi­na­re, un’aspra bat­ta­glia all’interno del­la Secon­da Inter­na­zio­na­le, con­tro il revi­sio­ni­smo dell’ala oppor­tu­ni­sta, i cui espo­nen­ti par­ti­va­no dal pre­sup­po­sto per cui le con­di­zio­ni ogget­ti­ve non era­no matu­re per la rivo­lu­zio­ne, sic­ché la lot­ta per le rifor­me era l’essenza stes­sa del movi­men­to socialista.

Il rifor­mi­smo oppor­tu­ni­sta e la bat­ta­glia del­la sinistra
Que­ste pre­mes­se, uni­te alla con­si­de­ra­zio­ne che l’attesa cata­stro­fe del siste­ma capi­ta­li­sti­co non si era più veri­fi­ca­ta e che la socie­tà capi­ta­li­sta ave­va dimo­stra­to un’inattesa capa­ci­tà di adat­ta­men­to alle cri­si, spin­se­ro nel 1899 il social­de­mo­cra­ti­co tede­sco Bern­stein a teo­riz­za­re il supe­ra­men­to del mar­xi­smo e la costru­zio­ne di un nuo­vo tipo di socia­li­smo, basa­to sul­lo sta­bi­lir­si di rela­zio­ni paci­fi­che fra le clas­si e le nazio­ni, nel­la con­vin­zio­ne che il capi­ta­li­smo sareb­be pro­gres­si­va­men­te e paci­fi­ca­men­te evo­lu­to ver­so il socia­li­smo. Il par­ti­to anda­va con­ce­pi­to quin­di come por­ta­to­re di rifor­me socia­li­ste e demo­cra­ti­che, da attuar­si median­te allean­ze con i set­to­ri pro­gres­si­sti. Il socia­li­smo sareb­be sta­to rag­giun­to attra­ver­so un quo­ti­dia­no pro­ces­so, lun­go e pazien­te, di rifor­me, in gra­do di tra­sfor­ma­re dall’interno la socie­tà capitalistica.
Que­ste posi­zio­ni rap­pre­sen­ta­va­no la teo­riz­za­zio­ne coscien­te di quel­la pra­ti­ca – su cui ci sia­mo fino­ra sof­fer­ma­ti – di inser­zio­ne pro­fon­da del movi­men­to ope­ra­io nel­la socie­tà bor­ghe­se attra­ver­so la via par­la­men­ta­re[13].
La sini­stra del­la social­de­mo­cra­zia tede­sca (la più for­te tra le sezio­ni del­la Secon­da Inter­na­zio­na­le), rap­pre­sen­ta­ta da Rosa Luxem­burg, Karl Lie­b­k­ne­cht e Cla­ra Zet­kin, e il cen­tro, con Karl Kau­tsky e Augu­st Bebel, con­dan­na­ro­no con­giun­ta­men­te le tesi di Bern­stein, che, come vedre­mo, usci­rà scon­fit­to in linea di prin­ci­pio da una dispu­ta[14] che non era solo teo­ri­ca, ma ave­va inve­ce evi­den­ti rica­du­te pratiche.
Tut­ta­via, men­tre la sini­stra – soprat­tut­to con Rosa Luxem­burg, che con­tro Bern­stein scris­se il famo­sis­si­mo sag­gio Rifor­ma socia­le o rivo­lu­zio­ne?[15] – riba­di­va l’essenza rivo­lu­zio­na­ria del mar­xi­smo con­tro ogni ten­ta­zio­ne rifor­mi­sta, il cen­tro orto­dos­so di Kau­tsky muo­ve­va a Bern­stein una cri­ti­ca solo appa­ren­te per­ché ten­den­te in ulti­ma ana­li­si a una con­ser­va­zio­ne solo “car­ta­cea” del mar­xi­smo, che veni­va imbal­sa­ma­to e ridot­to a fetic­cio, pagan­do­gli il dovu­to tri­bu­to ver­ba­le. In par­ti­co­la­re, la dife­sa teo­ri­ca di Kau­tsky con­tro gli attac­chi di Bern­stein ren­de­va il mar­xi­smo un’astrazione dog­ma­ti­ca: i prin­ci­pi del mar­xi­smo in Kau­tsky ser­vi­va­no a dare coper­tu­ra ideo­lo­gi­ca alla pra­ti­ca rifor­mi­sti­ca che, nei fat­ti, veni­va rite­nu­ta indispensabile.
Il carat­te­re – nient’affatto pura­men­te teo­ri­co – del­la pole­mi­ca con­tro i revi­sio­ni­sti ven­ne reso evi­den­te dal con­gres­so che la Secon­da Inter­na­zio­na­le cele­brò a Pari­gi nel 1900, in cui fu affron­ta­to il caso Mil­le­rand[16].
Il con­gres­so, fede­le alla rego­la di non inge­ren­za negli affa­ri inter­ni del­le sezio­ni nazio­na­li, non si pro­nun­ciò nel meri­to, pur veden­do­si obbli­ga­to a discu­te­re del caso nel qua­dro dell’analisi teo­ri­ca del pro­ble­ma del­la con­qui­sta del pote­re e del­la rela­ti­va tat­ti­ca, com­pre­sa quel­la del­le allean­ze con i par­ti­ti borghesi.
La riso­lu­zio­ne fina­le, redat­ta per­so­nal­men­te da Kau­tsky, fu di un’incredibile ambi­gui­tà, sul­la scia appun­to del­la dife­sa solo di fac­cia­ta dei prin­ci­pi del mar­xi­smo da par­te del cen­tro kau­tskia­no, e rap­pre­sen­tò comun­que il lascia­pas­sa­re teo­ri­co per un’interpretazione “libe­ra” del­le que­stio­ni rela­ti­ve alla tat­ti­ca dal par­te del­le sezio­ni nazio­na­li: «In uno Sta­to demo­cra­ti­co moder­no, la con­qui­sta del pote­re poli­ti­co da par­te del pro­le­ta­ria­to non può esse­re il risul­ta­to di un col­po di mano, ma di un lun­go e fati­co­so lavo­ro d’organizzazione pro­le­ta­ria sul ter­re­no eco­no­mi­co e poli­ti­co, del­la rige­ne­ra­zio­ne fisi­ca e mora­le del­la clas­se ope­ra­ia e del­la con­qui­sta gra­dua­le del­le muni­ci­pa­li­tà e del­le assem­blee legi­sla­ti­ve […] La lot­ta di clas­se proi­bi­sce ogni gene­re di allean­za con una qua­lun­que fra­zio­ne del­la clas­se capi­ta­li­sta, ma ammet­te che cir­co­stan­ze ecce­zio­na­li pos­sa­no ren­de­re neces­sa­rie del­le coa­li­zio­ni (benin­te­so, sen­za con­fu­sio­ne di pro­gram­ma e di tat­ti­ca)»[17].
Nel 1903, al con­gres­so del­la social­de­mo­cra­zia tede­sca di Dre­sda, le posi­zio­ni di Bern­stein ven­ne­ro for­mal­men­te ripu­dia­te. La sini­stra e il cen­tro kau­tskia­no adot­ta­ro­no una riso­lu­zio­ne, da que­sto pun­to di vista, ine­qui­vo­ca: «Il con­gres­so con­dan­na nel­la manie­ra più asso­lu­ta il ten­ta­ti­vo revi­sio­ni­sta di alte­ra­re la nostra tat­ti­ca più vol­te spe­ri­men­ta­ta e vit­to­rio­sa, che si fon­da sul­la lot­ta di clas­se. I revi­sio­ni­sti voglio­no sosti­tui­re alla con­qui­sta del pote­re poli­ti­co tra­mi­te la com­ple­ta scon­fit­ta dei nostri nemi­ci una linea d’azione che pre­ve­de di anda­re incon­tro a metà stra­da all’ordine di cose esi­sten­te […] Da tale tat­ti­ca revi­sio­ni­sta con­se­gui­reb­be la tra­sfor­ma­zio­ne del nostro par­ti­to […] [che da] par­ti­to vera­men­te rivo­lu­zio­na­rio nel miglior sen­so del­la paro­la […] diven­te­reb­be un par­ti­to che si accon­ten­ta sem­pli­ce­men­te di rifor­ma­re la socie­tà bor­ghe­se. Il con­gres­so con­dan­na inol­tre ogni ten­ta­ti­vo di vela­re con bel­le fra­si gli attua­li e sem­pre cre­scen­ti con­flit­ti di clas­se nell’intento di tra­sfor­ma­re il nostro par­ti­to in un satel­li­te di par­ti­ti bor­ghe­si»[18].
Suc­ces­si­va­men­te, la scon­fit­ta di Bern­stein ven­ne san­ci­ta anche a livel­lo inter­na­zio­na­le dal con­gres­so di Amster­dam del­la Secon­da Inter­na­zio­na­le nel 1904, che adot­tò la riso­lu­zio­ne del con­gres­so tede­sco di Dresda.
In que­sto sen­so, il revi­sio­ni­smo sem­bra­va ormai defi­ni­ti­va­men­te bat­tu­to in un qua­dro di for­te radi­ca­liz­za­zio­ne del movi­men­to ope­ra­io deter­mi­na­to dal­la rivo­lu­zio­ne rus­sa del 1905, il cui scop­pio gene­rò un cli­ma di esal­ta­zio­ne: lo scio­pe­ro gene­ra­le poli­ti­co e i soviet con­ta­gia­ro­no il pro­le­ta­ria­to euro­peo con la dimo­stra­zio­ne del­la neces­si­tà di una stra­te­gia rivo­lu­zio­na­ria e di una tat­ti­ca che pones­se­ro al cen­tro del­la sua azio­ne la lot­ta di clas­se. Scri­ve Tro­tsky: «La rivo­lu­zio­ne rus­sa fu il pri­mo gran­de avve­ni­men­to che por­tò una boc­ca­ta d’aria fre­sca nel­la bonac­cia dell’Europa di tren­ta­cin­que anni dopo la Comu­ne di Pari­gi. Il rapi­do svi­lup­po del­la clas­se ope­ra­ia rus­sa e la for­za ina­spet­ta­ta del­la sua con­cen­tra­ta atti­vi­tà rivo­lu­zio­na­ria pro­dus­se­ro una gran­de impres­sio­ne in tut­to il mon­do civi­liz­za­to e dap­per­tut­to die­de­ro impul­so, acuen­do le dif­fe­ren­ze poli­ti­che. In Inghil­ter­ra, la rivo­lu­zio­ne rus­sa acce­le­rò la for­ma­zio­ne di un par­ti­to ope­ra­io indi­pen­den­te. In Austria, gra­zie a cir­co­stan­ze spe­cia­li, por­tò al suf­fra­gio uni­ver­sa­le […] In Fran­cia, l’eco del­la rivo­lu­zio­ne rus­sa assun­se la for­ma del sin­da­ca­li­smo, che dava cor­po, seb­be­ne in for­ma teo­ri­ca e pra­ti­ca ina­de­gua­ta, al risve­glio del­le ten­den­ze rivo­lu­zio­na­rie del pro­le­ta­ria­to fran­ce­se. E in Ger­ma­nia, l’influenza del­la rivo­lu­zio­ne rus­sa si fece sen­ti­re nel raf­for­za­men­to dell’ala sini­stra del par­ti­to, nell’avvicinamento a essa del cen­tro diri­gen­te e nell’isolamento del revi­sio­ni­smo […] E il par­ti­to adot­tò […] il meto­do rivo­lu­zio­na­rio del­lo scio­pe­ro gene­ra­le»[19].

Il riflus­so e i pro­dro­mi del­la capitolazione
Il 1905 vide dun­que il pun­to più alto del­la tra­iet­to­ria del­la Secon­da Inter­na­zio­na­le[20], che ormai era diven­ta­ta un movi­men­to dav­ve­ro mon­dia­le. Eppu­re, pro­prio nel momen­to in cui le posi­zio­ni dell’ala sini­stra sem­bra­va­no affer­mar­si sospin­te dal ven­to rivo­lu­zio­na­rio che spi­ra­va in Rus­sia, men­tre non solo il revi­sio­ni­smo oppor­tu­ni­sta, ma anche il cen­tri­smo rifor­mi­sta sem­bra­va­no mes­si in un ango­lo, la scon­fit­ta del­la rivo­lu­zio­ne rus­sa fece rial­za­re la testa ai mode­ra­ti. Sem­pre Tro­tsky scri­ve: «Dap­per­tut­to un riflus­so poli­ti­co seguì all’alta marea rivo­lu­zio­na­ria. In Rus­sia trion­fò la con­tro­ri­vo­lu­zio­ne e ini­ziò un perio­do di deca­den­za per il pro­le­ta­ria­to rus­so, tan­to nel­la poli­ti­ca quan­to nel­la for­za del­le sue orga­niz­za­zio­ni. In Austria tut­to comin­ciò con l’indebolimento del­la clas­se lavo­ra­tri­ce; la legi­sla­zio­ne in tema di sicu­rez­za socia­le impu­tri­di­va nei gabi­net­ti del gover­no, i con­flit­ti nazio­na­li ripre­se­ro con rin­no­va­to vigo­re […] debi­li­tan­do e divi­den­do la social­de­mo­cra­zia. In Inghil­ter­ra il par­ti­to labu­ri­sta, dopo esser­si sepa­ra­to dal par­ti­to libe­ra­le, si strin­se nuo­va­men­te ad esso. In Fran­cia i sin­da­ca­li­sti pas­sa­ro­no a posi­zio­ni rifor­mi­ste […] E nel­la social­de­mo­cra­zia tede­sca i revi­sio­ni­sti rial­za­ro­no la testa, inco­rag­gia­ti dal fat­to che la sto­ria ave­va dato loro una simi­le rivin­ci­ta […] I mar­xi­sti furo­no costret­ti a cam­bia­re le loro tat­ti­che, pas­san­do dall’offensiva alla difen­si­va. Gli sfor­zi dell’ala sini­stra per por­ta­re il par­ti­to ver­so una poli­ti­ca più atti­va non die­de­ro esi­to. Il cen­tro diri­gen­te si orien­ta­va sem­pre più ver­so destra, iso­lan­do i radi­ca­li. I con­ser­va­to­ri, ripren­den­do­si dai col­pi rice­vu­ti nel 1905, trion­fa­ro­no su tut­ta la linea»[21].
For­te del­la scon­fit­ta del­la rivo­lu­zio­ne in Rus­sia, impu­gnan­do la ban­die­ra del­la pra­ti­ca del par­la­men­ta­ri­smo rifor­mi­sta, l’ala revi­sio­ni­sta, que­sta vol­ta spal­leg­gia­ta anche dal cen­tro, pre­se il soprav­ven­to. A par­ti­re dal 1906, la Secon­da Inter­na­zio­na­le ini­ziò – pur sen­za teo­riz­zar­lo chia­ra­men­te – ad agi­re diver­sa­men­te: par­ten­do dal­la pre­mes­sa per cui negli ulti­mi cen­to anni il capi­ta­li­smo ave­va con­ti­nua­to nel­la sua espan­sio­ne svi­lup­pan­do oltre­mo­do le for­ze pro­dut­ti­ve, i rifor­mi­sti rite­ne­va­no pos­si­bi­le ele­va­re il livel­lo di vita dei lavo­ra­to­ri otte­nen­do mag­gio­ri liber­tà poli­ti­che. Que­sti obiet­ti­vi si sareb­be­ro potu­ti rag­giun­ge­re via via raf­for­zan­do il pote­re del­le orga­niz­za­zio­ni ope­ra­ie, dei sin­da­ca­ti, del­le coo­pe­ra­ti­ve, dei par­ti­ti poli­ti­ci, e otte­nen­do sem­pre più depu­ta­ti. Que­sta visio­ne era ciò che veni­va defi­ni­to “pro­gram­ma mini­mo”: che in real­tà diven­ne il vero pro­gram­ma del­la social­de­mo­cra­zia, men­tre il “pro­gram­ma mas­si­mo”[22] restò rele­ga­to negli infuo­ca­ti discor­si del Pri­mo Mag­gio. Si trat­ta­va, insom­ma, del defi­ni­ti­vo appro­do all’ipotesi par­la­men­ta­ri­sta, con le deva­stan­ti con­se­guen­ze che vedre­mo. E, come ebbe a dire Bern­stein, le sue posi­zio­ni, ben­ché scon­fit­te nei con­gres­si, ave­va­no in real­tà vin­to nel­la pratica.
Abbia­mo già accen­na­to al fat­to che, con­tro il revi­sio­ni­smo e la pra­ti­ca rifor­mi­sta, la sini­stra svi­lup­pò una for­te bat­ta­glia. Tut­ta­via, quest’ala, nume­ri­ca­men­te debo­le e geo­gra­fi­ca­men­te disper­sa, con espres­sio­ni anche for­te­men­te dif­fe­ren­zia­te al suo inter­no, non riu­scì a costi­tuir­si orga­ni­ca­men­te, anche per la man­can­za di una base mate­ria­le, cioè di un par­ti­to che rap­pre­sen­tas­se un’autentica for­za poli­ti­ca nel suo qua­dro nazio­na­le. Basti pen­sa­re che si rag­grup­pa­ro­no intor­no a que­ste idee la sini­stra del­la social­de­mo­cra­zia tede­sca (con Rosa Luxem­burg, Franz Meh­ring, e Par­vus), i tri­bu­ni­sti olan­de­si di Pan­ne­koek, l’ala radi­ca­le del par­ti­to bul­ga­ro gui­da­ta da Dimi­trov (i cosid­det­ti “stret­ti”), i bol­sce­vi­chi rus­si. È impor­tan­te però nota­re che, al di là del­la debo­lez­za che carat­te­riz­za­va la sini­stra, nell’esperienza del­la Secon­da Inter­na­zio­na­le ven­ne così for­gian­do­si quel nucleo di rivo­lu­zio­na­ri intor­no a cui sareb­be poi nata la cor­ren­te sen­za la qua­le l’internazionalismo mar­xi­sta non avreb­be avu­to voce.
Il con­gres­so di Stoc­car­da, cele­bra­to­si nel 1907, fu l’unico momen­to in cui la sini­stra del­la Secon­da Inter­na­zio­na­le riu­scì a tro­va­re un momen­to di uni­tà, che rima­se però limi­ta­ta alla discus­sio­ne con­tin­gen­te sui temi del con­gres­so, men­tre già allo­ra Lenin era dell’idea di crea­re un coor­di­na­men­to inter­na­zio­na­le sta­bi­le del­la sini­stra per con­tra­sta­re il rifor­mi­smo. Dun­que, a Stoc­car­da il dibat­ti­to con­gres­sua­le si sof­fer­mò su due temi: da un lato, la pace e la rispo­sta del movi­men­to ope­ra­io alla guer­ra che anda­va pro­fi­lan­do­si in Euro­pa; dall’altro, la poli­ti­ca colo­nia­le. Si trat­ta di due temi impor­tan­ti per com­pren­de­re ciò che sareb­be poi acca­du­to nel­la Secon­da Inter­na­zio­na­le il 4 ago­sto del 1914.
Sull’analisi del­la guer­ra come feno­me­no capi­ta­li­sti­co tut­te le ani­me era­no d’accordo. Le diver­gen­ze si mani­fe­sta­va­no sul­la tat­ti­ca. Se da una par­te le dif­fe­ren­ze tra i socia­li­sti fran­ce­si, tede­schi e austria­ci soprat­tut­to, si atte­nua­va­no in ragio­ne del­la comu­ne pro­spet­ti­va paci­fi­sta rifor­mi­sta, dall’altra la mino­ran­za di sini­stra svi­lup­pò uni­ta­ria­men­te una bat­ta­glia rivo­lu­zio­na­ria pro­prio con­tro quel paci­fi­smo rifor­mi­sta pre­sen­tan­do un emen­da­men­to – che peral­tro ven­ne assun­to nel­la riso­lu­zio­ne fina­le – con il qua­le espri­me­va la pro­spet­ti­va rivo­lu­zio­na­ria che con­no­ta­va il suo orien­ta­men­to poli­ti­co. Occor­re segna­la­re che que­sta riso­lu­zio­ne (ricon­fer­ma­ta inte­gral­men­te al suc­ces­si­vo con­gres­so di Cope­na­ghen del 1910[23]) sarà una di quel­le che, al momen­to fati­di­co del­lo scop­pio del­la guer­ra, ver­ran­no in un sol col­po dimen­ti­ca­te dal­la mag­gio­ran­za diri­gen­te del­la Secon­da Inter­na­zio­na­le. L’altro tema dibat­tu­to al con­gres­so di Stoc­car­da fu quel­lo del­la poli­ti­ca coloniale.

La discus­sio­ne sul­la que­stio­ne coloniale
Sul colo­nia­li­smo la Secon­da Inter­na­zio­na­le ebbe le idee mol­to con­fu­se. La gene­ri­ca oppo­si­zio­ne alle pene­tra­zio­ni colo­nia­li degli Sta­ti si basa­va su una visio­ne per lo più eti­ca o filan­tro­pi­ca, di denun­cia pater­na­li­sti­ca del­le sof­fe­ren­ze inflit­te dal­la bru­ta­li­tà dei con­qui­sta­to­ri. A una posi­zio­ne tra­di­zio­na­le di chi vede­va l’origine del feno­me­no colo­nia­le nel capi­ta­li­smo impe­ria­li­sta in quan­to tale, si affian­ca­va la posi­zio­ne di chi (Van­der­vel­de, Jau­rès e Bern­stein) teo­riz­za­va la neces­si­tà di un “colo­nia­li­smo buo­no”, con­no­ta­to da pater­na­li­smo, neces­sa­rio per l’industrializzazione e ine­vi­ta­bi­le anche in regi­me socia­li­sta. Al con­gres­so di Stoc­car­da il con­tra­sto fra que­sta posi­zio­ni, fino ad allo­ra laten­te, esplo­se in tut­ta la sua viru­len­za. La riso­lu­zio­ne pro­po­sta da Van Kol ave­va un evi­den­te carat­te­re social­co­lo­nia­li­sta: in essa si affer­ma­va che «il Con­gres­so … non con­dan­na in via di prin­ci­pio e in asso­lu­to qual­sia­si poli­ti­ca colo­nia­le, che, in regi­me socia­li­sta, potrà esse­re un’opera di civi­liz­za­zio­ne»[24].
L’agghiacciante pro­po­sta ven­ne respin­ta con una risi­ca­tis­si­ma mag­gio­ran­za (127 voti con­tro 108) gra­zie a un emen­da­men­to pro­po­sto dal­la sini­stra, che inve­ce con­dan­na­va la poli­ti­ca colo­nia­le. Va nota­to che que­sta mag­gio­ran­za non rap­pre­sen­ta­va il rea­le orien­ta­men­to del con­gres­so: solo l’autorità di Kau­tsky, che get­tò tut­to il pro­prio peso poli­ti­co in que­sta bat­ta­glia, con­sen­tì tale risul­ta­to. E occor­re con­si­de­ra­re, pro­prio per com­pren­de­re cosa si agi­tas­se nell’intimo del­la Secon­da Inter­na­zio­na­le, che la con­dan­na del­la poli­ti­ca colo­nia­le veni­va per­lo­più dai dele­ga­ti di Pae­si non diret­ta­men­te coin­vol­ti nel­la spar­ti­zio­ne colo­nia­le, men­tre quel­li degli Sta­ti pre­da­to­ri era­no in gran nume­ro favo­re­vo­li alla posi­zio­ne social­co­lo­nia­le. E così, la mag­gio­ran­za dei dele­ga­ti fran­ce­si e ingle­si, non­ché la tota­li­tà dei tede­schi, bel­gi e olan­de­si, vota­ro­no per la pro­po­sta di Van Kol. Solo i dele­ga­ti rus­si, fra quel­li appar­te­nen­ti alle gran­di nazio­ni colo­niz­za­tri­ci, sosten­ne­ro l’emendamento del­la sini­stra all’unanimità.
In real­tà, il con­gres­so di Stoc­car­da, che appa­ren­te­men­te rap­pre­sen­tò una vit­to­ria del­la sini­stra rivo­lu­zio­na­ria con­tri­buen­do al suo con­so­li­da­men­to, costi­tuì inve­ce il defi­ni­ti­vo appro­do dell’Internazionale alle tesi par­la­men­ta­ri­ste e rifor­mi­ste. Tro­tsky stes­so rac­con­ta: «A Stoc­car­da, al con­gres­so dell’Internazionale, si pote­va sen­ti­re anco­ra un sof­fio del­la rivo­lu­zio­ne rus­sa del 1905. Pre­do­mi­na­va la sini­stra. Ma si nota­va già la sfi­du­cia nei meto­di rivo­lu­zio­na­ri. Ci si inte­res­sa­va anco­ra dei rivo­lu­zio­na­ri rus­si, ma già con un po’ di iro­nia […] Il dele­ga­to ingle­se Quelch […] ave­va det­to al con­gres­so di Stoc­car­da con irri­ve­ren­za che la con­fe­ren­za diplo­ma­ti­ca era un’adunata di bri­gan­ti […] il gover­no del Würt­tem­berg espul­se Quelch. Bebel masti­cò ama­ro, ma il par­ti­to non sep­pe far nul­la con­tro l’espulsione. Nean­che una dimo­stra­zio­ne di pro­te­sta. Quel con­gres­so inter­na­zio­na­le pare­va un’aula sco­la­sti­ca: si met­te fuo­ri un ragaz­zo inso­len­te e gli altri stan­no zit­ti. Die­tro le gran­di cifre del­la social­de­mo­cra­zia tede­sca si intra­ve­de­va un’ombra di impo­ten­za»[25].
Dun­que, il con­gres­so di Stoc­car­da sta­va indub­bia­men­te pre­an­nun­cian­do il tra­gi­co futu­ro del­la Secon­da Inter­na­zio­na­le, che si com­pì con lo scop­pio del­la pri­ma guer­ra mondiale.
Intan­to, nell’ottobre del 1912, allor­quan­do il Mon­te­ne­gro dichia­rò guer­ra alla Tur­chia il peri­co­lo di un con­flit­to bel­li­co su sca­la mon­dia­le si fece via via più immi­nen­te. Il Bsi del­la Secon­da Inter­na­zio­na­le con­vo­cò d’urgenza (era la pri­ma e fu l’ultima vol­ta che ciò accad­de) un con­gres­so straor­di­na­rio a Basi­lea per il 24 e 25 novem­bre 1912. All’unanimità, i dele­ga­ti al con­gres­so appro­va­ro­no un mani­fe­sto, noto come Mani­fe­sto di Basi­lea, con il qua­le si riba­di­va la linea del­la “guer­ra alla guer­ra” e si denun­cia­va il carat­te­re inte­rim­pe­ria­li­sti­co del con­flit­to. La riso­lu­zio­ne riaf­fer­ma­va la posi­zio­ne di prin­ci­pio – già adot­ta­ta nei pre­ce­den­ti con­gres­si – del­la lot­ta ope­ra­ia con­tro la guer­ra. In par­ti­co­la­re, ripren­den­do gli esem­pi del­la Comu­ne di Pari­gi dopo la guer­ra fran­co-prus­sia­na e del­la rivo­lu­zio­ne rus­sa del 1905 duran­te la guer­ra rus­so-giap­po­ne­se, pro­cla­ma­va ai gover­ni, e lo face­va con un tono ulti­ma­ti­vo, che il pro­le­ta­ria­to avreb­be adot­ta­to tut­ti i mez­zi a sua dispo­si­zio­ne per evi­ta­re il con­flit­to, ma che nel caso la guer­ra fos­se comun­que scop­pia­ta il movi­men­to ope­ra­io avreb­be uti­liz­za­to la cri­si eco­no­mi­ca con­se­guen­te per sol­le­va­re le mas­se e acce­le­ra­re la cadu­ta del­la domi­na­zio­ne capitalistica.

Lo scop­pio del­la guer­ra e la fran­tu­ma­zio­ne dell’Internazionale
I tem­pi era­no matu­ri per il pre­ci­pi­ta­re degli even­ti: gli impe­ria­li­smi euro­pei ave­va­no accu­mu­la­to parec­chie fasci­ne e l’atmosfera era gra­vi­da di ten­sio­ni. La scin­til­la defla­grò il 28 giu­gno 1914, con l’attentato di Sara­je­vo in cui tro­vò la mor­te l’arciduca Fran­ce­sco Fer­di­nan­do, ere­de al tro­no dell’impero austria­co. Nel luglio suc­ces­si­vo l’impero austroun­ga­ri­co die­de alla Ser­bia un ulti­ma­tum con­ce­pi­to in modo tale da dover esse­re respin­to, tan­to era umi­lian­te. L’ultimatum ven­ne rifiutato.
Il 29 luglio, quan­do le trup­pe austria­che entra­ro­no a Bel­gra­do, i par­ti­ti del­la Secon­da Inter­na­zio­na­le, rifa­cen­do­si al Mani­fe­sto di Basi­lea, orga­niz­za­ro­no in Ger­ma­nia, in Austria, in Ita­lia, in Fran­cia, in Bel­gio, enor­mi mani­fe­sta­zio­ni con­tro la guer­ra: il pro­le­ta­ria­to, imbe­vu­to di inge­nua ideo­lo­gia paci­fi­sta, era fidu­cio­so che le mobi­li­ta­zio­ni potes­se­ro fer­ma­re la mac­chi­na bel­li­ca, era otti­mi­sta sull’impossibilità che la guer­ra scop­pias­se per dav­ve­ro. Ma die­tro quest’ottimismo si cela­va la fata­li­sti­ca ras­se­gna­zio­ne agli eventi.
Il Bsi, con­vo­ca­to d’urgenza lo stes­so gior­no, licen­ziò la seguen­te riso­lu­zio­ne: «Fa obbli­go ai pro­le­ta­ri di tut­te le nazio­ni inte­res­sa­te non solo di pro­se­gui­re, ma di inten­si­fi­ca­re le dimo­stra­zio­ni con­tro la guer­ra, per la pace e il rego­la­men­to arbi­tra­le del con­flit­to austro-ser­bo. I pro­le­ta­ri tede­schi e fran­ce­si faran­no una pres­sio­ne più ener­gi­ca che mai sul loro gover­no, affin­ché la Ger­ma­nia eser­ci­ti sull’Austria un’azione mode­ra­tri­ce e la Fran­cia otten­ga dal­la Rus­sia che non s’impegni nel con­flit­to […] Il con­gres­so, con­vo­ca­to d’urgenza a Pari­gi, sarà la vigo­ro­sa espres­sio­ne di que­sta volon­tà paci­fi­ca del pro­le­ta­ria­to mon­dia­le»[26].
Quan­te fra­si vuo­te! Il par­ti­to tede­sco pub­bli­cò un mani­fe­sto con cui esi­ge­va dal suo gover­no che non entras­se in guer­ra. Ma il suc­ces­si­vo pri­mo ago­sto la Ger­ma­nia, per nul­la spa­ven­ta­ta dal­la “inti­ma­zio­ne” del­la social­de­mo­cra­zia, dichia­rò guer­ra alla Rus­sia. In Fran­cia ven­ne­ro orga­niz­za­te gran­di mani­fe­sta­zio­ni ope­ra­ie. Ma il gover­no fran­ce­se, incu­ran­te del­le dimo­stra­zio­ni, die­de un sostan­zia­le via libe­ra allo zar per la mobi­li­ta­zio­ne del­le sue trup­pe. E infi­ne, quel con­gres­so – pro­va evi­den­te dell’impotenza del­la Secon­da Inter­na­zio­na­le – supe­ra­to dagli even­ti, non ven­ne più celebrato.
In quel­le ore la social­de­mo­cra­zia tede­sca gio­cò un ruo­lo pari al peso poli­ti­co che ave­va nel­la Secon­da Inter­na­zio­na­le: avreb­be dovu­to esse­re il par­ti­to trai­nan­te nel­la dire­zio­ne del­la rivo­lu­zio­ne, lo fu inve­ce nel­la dire­zio­ne oppo­sta, quel­la del­la chia­ma­ta alle armi in dife­sa degli inte­res­si del­la pro­pria bor­ghe­sia. Il pri­mo ago­sto il par­ti­to tede­sco assi­cu­rò per boc­ca di uno dei suoi diri­gen­ti – Her­mann Mül­ler, invia­to in Fran­cia per con­cor­da­re con la dire­zio­ne e il grup­po par­la­men­ta­re del par­ti­to fran­ce­se un’azione comu­ne dei due par­ti­ti socia­li­sti – che mai sareb­be­ro sta­ti vota­ti in par­la­men­to i cre­di­ti di guer­ra[27]. E inve­ce, solo tre gior­ni dopo, il grup­po par­la­men­ta­re ne votò all’unanimità la con­ces­sio­ne (anche Karl Lie­b­k­ne­cht, nel­la sedu­ta par­la­men­ta­re del 4 ago­sto, si ade­guò per disci­pli­na di par­ti­to e per­ché con­vin­to di poter­si bat­te­re all’interno del par­ti­to per scon­fig­ge­re le posi­zio­ni mag­gio­ri­ta­rie; sal­vo poi, nel­la suc­ces­si­va ses­sio­ne del 2 dicem­bre, vota­re con­tro la con­ces­sio­ne di ulte­rio­ri cre­di­ti al governo).
La guer­ra impe­ria­li­sta costi­tui­sce da sem­pre lo spar­tiac­que all’interno del movi­men­to ope­ra­io. Nel 1914, la Secon­da Inter­na­zio­na­le avreb­be dovu­to scon­trar­si con gli impe­ria­li­smi nazio­na­li, pra­ti­ca­re quel­lo che secon­do Lenin era il “disfat­ti­smo rivo­lu­zio­na­rio” tra­sfor­man­do, secon­do la feli­ce espres­sio­ne di Lie­b­k­ne­cht, la guer­ra impe­ria­li­sta in guer­ra rivo­lu­zio­na­ria. Quel­la guer­ra costi­tuì una gran­de pro­va. Ma la Secon­da Inter­na­zio­na­le non supe­rò quel­la pro­va. Uno dopo l’altro, tut­ti i diri­gen­ti socia­li­sti, di qual­sia­si Pae­se, vota­ro­no i cre­di­ti di guer­ra per i pro­pri gover­ni. Uno spi­ri­to nazio­na­li­sta patriot­tar­do per­va­se la clas­se ope­ra­ia. E i lavo­ra­to­ri non si ren­de­va­no con­to di esse­re avvia­ti al macel­lo con­tro la pro­pria stes­sa clas­se per difen­de­re gli inte­res­si di colo­ro che li sfrut­ta­va­no in pace per man­dar­li poi a mori­re in guer­ra sem­pre per lo stes­so moti­vo: il pro­fit­to. La bor­ghe­sia impe­ria­li­sta sape­va di aver fat­to un buon inve­sti­men­to coop­tan­do la social­de­mo­cra­zia nei pro­pri appa­ra­ti gover­na­ti­vi; sape­va che, al momen­to oppor­tu­no, quel­la social­de­mo­cra­zia si sareb­be dimo­stra­ta un buon patrio­ta. Ciò spie­ga anche per­ché, di fron­te alle “inti­ma­zio­ni” a non entra­re in guer­ra e alle pur gran­di mani­fe­sta­zio­ni dei gior­ni pre­ce­den­ti, i gover­ni nazio­na­li pro­se­gui­ro­no indi­stur­ba­ti a mobi­li­ta­re le truppe.
Il tra­di­men­to dei diri­gen­ti social­de­mo­cra­ti­ci non affon­da­va le pro­prie radi­ci, ovvia­men­te, solo nel­le posi­zio­ni del­la destra oppor­tu­ni­sta, ma soprat­tut­to nel­la com­ple­ta capi­to­la­zio­ne del cen­tro kau­tskia­no che, pur aven­do assun­to nei pre­ce­den­ti con­gres­si riso­lu­zio­ni dal tono rivo­lu­zio­na­rio con­tro la guer­ra, diven­ne social-patriot­ti­co. Anzi, fu pro­prio il ruo­lo del cen­tri­smo a san­ci­re l’insperata vit­to­ria del­la destra oppor­tu­ni­sta (che, come abbia­mo visto, era sta­ta inve­ce scon­fit­ta al con­gres­so del 1904) e a con­dan­na­re così a mor­te la Secon­da Inter­na­zio­na­le che a quel pun­to diven­ne, come la defi­nì Rosa Luxem­burg, “un cada­ve­re feti­do”. Giu­sta­men­te, Lenin poté scri­ve­re: «Se gli oppor­tu­ni­sti … festeg­gia­no legit­ti­ma­men­te la loro vit­to­ria sul socia­li­smo euro­peo, il ser­vi­zio peg­gio­re al pro­le­ta­ria­to lo ren­do­no que­gli indi­vi­dui che oscil­la­no tra l’opportunismo e la social­de­mo­cra­zia rivo­lu­zio­na­ria (come il “cen­tro” del Par­ti­to social­de­mo­cra­ti­co tede­sco), che ten­ta­no di pas­sa­re sot­to silen­zio o di copri­re con fra­si diplo­ma­ti­che il fal­li­men­to del­la Secon­da Inter­na­zio­na­le»[28]. Fu Lenin, infat­ti, a rimar­ca­re in par­ti­co­la­re il ruo­lo avu­to dai cen­tri­sti in que­gli anni. Per Lenin, il “cen­tro” non era con­vin­to del­la neces­si­tà di una rivo­lu­zio­ne con­tro il suo stes­so gover­no, non vole­va la rivo­lu­zio­ne, non svi­lup­pa­va vigo­ro­sa­men­te la lot­ta rivo­lu­zio­na­ria; il “cen­tro” era com­po­sto dagli ado­ra­to­ri del­la rou­ti­ne, cor­rot­ti dal can­cro del lega­li­ta­ri­smo e dall’atmosfera par­la­men­ta­re, buro­cra­ti adat­ta­ti a con­for­te­vo­li posi­zio­ni e lavo­ri leg­ge­ri. Nel disfa­ci­men­to del­la Secon­da Inter­na­zio­na­le, Kau­tsky – che per la sua auto­re­vo­lez­za veni­va defi­ni­to “il papa” del­la Secon­da Inter­na­zio­na­le sia dai detrat­to­ri che dagli stes­si socia­li­sti (tan­to che una vol­ta i socia­li­sti ita­lia­ni invia­ro­no alla sua anzia­na madre un bigliet­to di augu­ri per il suo com­plean­no con la dedi­ca: “Alla mam­ma del papa”[29]) – ebbe una par­te asso­lu­ta­men­te cen­tra­le[30]. La sua stre­nua dife­sa dell’ortodossia mar­xi­sta era sol­tan­to appa­ren­te[31] e for­ni­va ai revi­sio­ni­sti e ai rifor­mi­sti le armi teo­ri­che per tra­sfor­ma­re la neces­sa­ria uti­liz­za­zio­ne del par­la­men­ta­ri­smo e del­la lega­li­tà bor­ghe­se da stru­men­ti in fine.
Lo sto­ri­co e mili­tan­te rivo­lu­zio­na­rio Paul Frö­lich, cofon­da­to­re del Par­ti­to comu­ni­sta tede­sco nel 1918, scri­ve: «Il deter­mi­ni­smo domi­nan­te nel­la Secon­da Inter­na­zio­na­le guar­da­va alla rivo­lu­zio­ne come un even­to che sareb­be risul­ta­to fatal­men­te dal­lo svi­lup­po intrin­se­co del­la socie­tà. Il mar­xi­smo era evi­ra­to e sosti­tui­to dall’attesa dell’azione cie­ca del­le for­ze socia­li, tra­scu­ran­do del tut­to o sot­to­va­lu­tan­do enor­me­men­te che con­cre­ta­men­te que­ste for­ze socia­li sono per­so­ne, clas­si, par­ti­ti con­sa­pe­vo­li del loro agi­re. Ven­ne can­cel­la­to dal dibat­ti­to poli­ti­co il con­cet­to di rivo­lu­zio­ne come azio­ne con­sa­pe­vo­le e orga­niz­za­ta del pro­le­ta­ria­to, abban­do­nan­do­si all’erronea tesi […], secon­do la qua­le l’insurrezione arma­ta appar­te­ne­va al pas­sa­to e la social­de­mo­cra­zia, con meto­di lega­li, avreb­be otte­nu­to risul­ta­ti assai miglio­ri»[32]. Ecco per­ché, dopo lo scop­pio del­la guer­ra, Kau­tsky ave­va respin­to ogni idea di azio­ne di mas­sa con­tro il gover­no, giu­di­can­do­la sen­za spe­ran­za: non a caso rite­ne­va che l’Internazionale non fos­se uno stru­men­to effi­ca­ce in tem­po di guer­ra, essen­do essen­zial­men­te uno stru­men­to di pace. Da buon cen­tri­sta, ipo­tiz­za­va un’azione del­la social­de­mo­cra­zia non anti­pa­triot­ti­ca, ma nean­che scio­vi­ni­sta, così da pre­ser­va­re il futu­ro del par­ti­to tede­sco e dell’Internazionale per il perio­do post-bel­li­co: per Kau­tsky la guer­ra impe­ria­li­sta era sol­tan­to una paren­te­si in un pro­ces­so di “demo­cra­tiz­za­zio­ne” del capi­ta­li­smo e dopo la guer­ra ci sareb­be­ro sta­te le con­di­zio­ni per una poli­ti­ca più inci­si­va dei social­de­mo­cra­ti­ci[33].

Le ragio­ni del crollo
È visi­bi­le in que­sta costru­zio­ne un atteg­gia­men­to di pau­ra: la pau­ra di veder rovi­na­re la poten­te mac­chi­na orga­niz­za­ti­va social­de­mo­cra­ti­ca, pro­dot­to di decen­ni di lavo­ro nel­le isti­tu­zio­ni bor­ghe­si[34]; la pau­ra del­la repres­sio­ne sta­ta­le e mili­ta­re; la pau­ra di imma­gi­na­re un lun­go perio­do di lot­ta in con­di­zio­ni di ille­ga­li­tà. E infat­ti, pochi gior­ni pri­ma del­la dichia­ra­zio­ne di guer­ra, il mini­ste­ro degli inter­ni tede­sco ave­va ras­si­cu­ra­to i rap­pre­sen­tan­ti sin­da­ca­li che non avreb­be­ro avu­to nul­la da teme­re, a con­di­zio­ne che i lavo­ra­to­ri si fos­se­ro com­por­ta­ti leal­men­te e tenen­do pre­sen­ti gli “inte­res­si nazio­na­li”[35]: dun­que, la bor­ghe­sia garan­ti­va la soprav­vi­ven­za del­le orga­niz­za­zio­ni del­la clas­se ope­ra­ia in cam­bio del­la pace socia­le e del­la col­la­bo­ra­zio­ne[36]. Qui tro­via­mo le ragio­ni pro­fon­de del crol­lo del­la Secon­da Inter­na­zio­na­le. E che dire, poi, del­le riso­lu­zio­ni – quel­la del con­gres­so di Stoc­car­da del 1907, inte­ra­men­te ripre­sa dal suc­ces­si­vo con­gres­so di Cope­na­ghen del 1910; oppu­re la riso­lu­zio­ne del con­gres­so straor­di­na­rio di Basi­lea del 1912 – che avreb­be­ro dovu­to gui­da­re l’Internazionale nell’azione rivo­lu­zio­na­ria e che inve­ce cela­va­no, die­tro la fac­cia­ta dell’osservanza dei prin­ci­pi del mar­xi­smo, il più supi­no adat­ta­men­to alla socie­tà bor­ghe­se e ai suoi mec­ca­ni­smi di coop­ta­zio­ne? Sono testi ine­qui­vo­ci nel­la loro for­mu­la­zio­ne. Addi­rit­tu­ra, rego­la­va­no con pre­ci­sio­ne asso­lu­ta l’azione del pro­le­ta­ria­to pri­ma e duran­te la guer­ra, det­tan­do una linea di con­dot­ta pre­ven­ti­va e un’altra suc­ces­si­va, dal carat­te­re mar­ca­ta­men­te rivo­lu­zio­na­rio. Eppu­re, la pri­ma ven­ne attua­ta con ritar­do e sen­za gran­de con­vin­zio­ne da par­te dei diri­gen­ti social­de­mo­cra­ti­ci, che era­no inge­nua­men­te (e col­pe­vol­men­te) cer­ti che mai la guer­ra sareb­be scop­pia­ta; men­tre la secon­da scien­te­men­te non ven­ne mes­sa in atto. Quel­le riso­lu­zio­ni ven­ne­ro in un solo istan­te non solo dimen­ti­ca­te, ma addi­rit­tu­ra com­ple­ta­men­te rinnegate.
Di fron­te a tut­ti que­sti esem­pi occor­re riflet­te­re alla ricer­ca di una spie­ga­zio­ne su come sia sta­ta pos­si­bi­le una simi­le capi­to­la­zio­ne dei par­ti­ti socia­li­sti, del­le loro orga­niz­za­zio­ni sin­da­ca­li e, in ulti­ma ana­li­si, del­la Secon­da Inter­na­zio­na­le, che decre­tò così la pro­pria stes­sa mor­te. Accon­ten­tar­si del­la tesi del “tra­di­men­to” dei suoi diri­gen­ti è dav­ve­ro fer­mar­si alla super­fi­cie dei fat­ti[37]. Non si trat­ta qui di un diso­rien­ta­men­to del­le mas­se dovu­to alla capi­to­la­zio­ne dei suoi diri­gen­ti. Il crol­lo così vio­len­to e repen­ti­no del poten­te appa­ra­to social­de­mo­cra­ti­co e il deli­rio nazio­na­li­sta e scio­vi­ni­sta in cui ven­ne pre­ci­pi­ta­to il pro­le­ta­ria­to van­no spie­ga­ti con le ragio­ni che in qual­che modo emer­go­no da quan­to fino­ra abbia­mo visto. Vale a dire, la com­ple­ta intro­ie­zio­ne, da par­te di un pro­le­ta­ria­to gui­da­to da una dire­zio­ne tutt’altro che rivo­lu­zio­na­ria, di tut­ti gli sche­mi e i mec­ca­ni­smi di una socie­tà bor­ghe­se nel­la qua­le il movi­men­to ope­ra­io si era inse­ri­to pro­fon­da­men­te con lo sco­po – teo­riz­za­to dal­le sue avan­guar­die – di con­qui­star­la dall’interno inve­ce di distrug­ger­la; l’adattamento alla poli­ti­ca rifor­mi­sta, che da pro­gram­ma mini­mo era dive­nu­ta il vero pro­gram­ma dell’Internazionale; la ten­den­za a far­si coop­ta­re dal siste­ma capi­ta­li­sti­co e la nasci­ta, quin­di, dell’aristocrazia ope­ra­ia[38]. Il tut­to in un qua­dro di dife­sa solo for­ma­le e appa­ren­te dei prin­ci­pi del mar­xi­smo, evo­ca­ti in ogni riso­lu­zio­ne ma mai con­se­guen­te­men­te mes­si in pra­ti­ca; con una scis­sio­ne pro­fon­da fra teo­ria e pras­si, tra mez­zi e fini, che con­fi­gu­ra una vera e pro­pria “schi­zo­fre­nia poli­ti­ca”. La gra­vi­tà del crol­lo del­la Secon­da Inter­na­zio­na­le fu diret­ta­men­te pro­por­zio­na­le alla gran­dez­za dell’apparato su cui si soste­ne­va, ed ebbe come con­se­guen­za un pau­ro­so arre­tra­men­to poli­ti­co del­le clas­si lavoratrici.

La rea­zio­ne del­la sini­stra: la con­fe­ren­za di Zimmerwald
Subi­to dopo il 4 ago­sto, gran­de fu lo sbi­got­ti­men­to e lo smar­ri­men­to per l’ignominiosa capi­to­la­zio­ne del­la social­de­mo­cra­zia inter­na­zio­na­le: lo stes­so Lenin, appre­sa la noti­zia del voto ai cre­di­ti di guer­ra al par­la­men­to tede­sco, incre­du­lo, pen­sò subi­to a un fal­so oppor­tu­na­men­te con­fe­zio­na­to dal­lo sta­to mag­gio­re tede­sco per con­fon­de­re e ingan­na­re. «Tan­ta era anco­ra, a onta del suo spi­ri­to cri­ti­co, la fidu­cia di Lenin nel­la social­de­mo­cra­zia tede­sca»[39]. Tut­ta­via, di fron­te alla cata­stro­fe del­la guer­ra, al macel­lo che da subi­to andò pro­fi­lan­do­si, ini­ziò a coa­gu­lar­si un nucleo di rivo­lu­zio­na­ri (soprat­tut­to la sini­stra del­la social­de­mo­cra­zia tede­sca e i bol­sce­vi­chi rus­si) fino ad allo­ra iso­la­ti, mino­ri­ta­ri e attra­ver­sa­ti da divi­sio­ni teo­ri­che, i qua­li imboc­ca­ro­no la stra­da di una stra­te­gia di fon­do rivo­lu­zio­na­ria che met­te­va in col­le­ga­men­to la guer­ra e la rivo­lu­zio­ne, sca­glian­do­si innan­zi­tut­to con­tro la con­ce­zio­ne kau­tskia­na, visio­na­ria e asso­lu­ta­men­te infon­da­ta, in una lot­ta a tut­to cam­po con­tro chi ave­va rin­ne­ga­to i prin­ci­pi del mar­xi­smo palu­dan­do­si tut­ta­via die­tro le riso­lu­zio­ni che quei prin­ci­pi richia­ma­va­no. Attra­ver­so una rigo­ro­sa deli­mi­ta­zio­ne teo­ri­ca che pre­sup­po­ne­va la sepa­ra­zio­ne asso­lu­ta dagli oppor­tu­ni­sti e dai loro par­ti­ti, que­sta nascen­te cor­ren­te mar­xi­sta rivo­lu­zio­na­ria lan­ciò un’aspra bat­ta­glia con­tro l’imperialismo e la sua bar­ba­rie guer­ra­fon­da­ia e, al con­tem­po, una lot­ta intran­si­gen­te con­tro il cen­tri­smo oppor­tu­ni­sta e filoim­pe­ria­li­sta per ricrea­re una coscien­za pro­le­ta­ria in un movi­men­to ope­ra­io infet­ta­to dal­lo scio­vi­ni­smo nazio­na­li­sta e adat­ta­to ai mec­ca­ni­smi del­la socie­tà bor­ghe­se. Le paro­le d’ordine per que­sto sco­po era­no, da un lato, l’indicazione prio­ri­ta­ria che il prin­ci­pa­le nemi­co dei lavo­ra­to­ri di ogni nazio­ne era l’imperialismo di casa pro­pria, dall’altro, la neces­si­tà di tra­sfor­ma­re la guer­ra impe­ria­li­sta in guer­ra civi­le e rivo­lu­zio­na­ria[40].
Da subi­to appar­ve neces­sa­rio a que­sti rivo­lu­zio­na­ri decre­ta­re la mor­te del­la Secon­da Inter­na­zio­na­le e fon­da­re un altro sog­get­to di rife­ri­men­to per la costru­zio­ne di un nuo­vo inter­na­zio­na­li­smo, rac­co­glien­do l’eredità lascia­ta dal­le pri­me due ma ponen­do­si all’altezza dei com­pi­ti che la situa­zio­ne mon­dia­le ren­de­va neces­sa­ri: «La Secon­da Inter­na­zio­na­le è mor­ta, vin­ta dall’opportunismo. Abbas­so l’opportunismo e viva la Ter­za Inter­na­zio­na­le, epu­ra­ta non solo dei “tran­sfu­ghi” […], ma anche dell’opportunismo. Nell’ultimo ter­zo del seco­lo XIX e all’inizio del XX la Secon­da Inter­na­zio­na­le ha com­piu­to la sua par­te di uti­le lavo­ro pre­pa­ra­to­rio, di orga­niz­za­zio­ne del­le mas­se pro­le­ta­rie nel lun­go perio­do “paci­fi­co” del­la più cru­de­le schia­vi­tù capi­ta­li­sti­ca e del più rapi­do pro­gres­so capi­ta­li­sti­co. Alla Ter­za Inter­na­zio­na­le spet­ta il com­pi­to di orga­niz­za­re le for­me del pro­le­ta­ria­to per l’assalto rivo­lu­zio­na­rio con­tro i gover­ni capi­ta­li­sti­ci, per la guer­ra civi­le con­tro la bor­ghe­sia di tut­ti i Pae­si, per il pote­re poli­ti­co, per la vit­to­ria del socia­li­smo!»[41].
Tut­ta­via, le pri­me signi­fi­ca­ti­ve ini­zia­ti­ve per radu­na­re e far con­fron­ta­re i socia­li­sti con­tra­ri alla guer­ra non furo­no pre­se dai mar­xi­sti rivo­lu­zio­na­ri, quan­to piut­to­sto dai cen­tri­sti paci­fi­sti. Il 27 set­tem­bre 1914 si ten­ne a Luga­no una riu­nio­ne fra dele­ga­ti dei par­ti­ti socia­li­sti del­la Sviz­ze­ra e dell’Italia, il cui sco­po era veri­fi­ca­re le moda­li­tà per con­vo­ca­re una con­fe­ren­za socia­li­sta inter­na­zio­na­le. Robert Grimm, del­la dire­zio­ne del par­ti­to sviz­ze­ro, e Oddi­no Mor­ga­ri, del­la dire­zio­ne del par­ti­to ita­lia­no e depu­ta­to, fece­ro il lavo­ro pre­pa­ra­to­rio[42].
L’organizzazione del­la con­fe­ren­za – che si ten­ne dal 5 all’8 set­tem­bre del 1915 a Zim­mer­wald, un vil­lag­gio sul­le mon­ta­gne sviz­ze­re – ven­ne affi­da­ta a Grimm. Vi par­te­ci­pa­ro­no (in rap­pre­sen­tan­za dei pro­pri par­ti­ti, ma vi fu anche chi inter­ven­ne a tito­lo per­so­na­le, visto che cer­ti par­ti­ti non rico­no­sce­va­no la legit­ti­mi­tà del­la con­fe­ren­za) dele­ga­ti di Ger­ma­nia, Fran­cia, Ita­lia, Inghil­ter­ra, Rus­sia, Polo­nia, Roma­nia, Bul­ga­ria, Sve­zia, Nor­ve­gia, Olan­da e Sviz­ze­ra. Meri­ta di esse­re segna­la­ta la gran­de iro­nia di Tro­tsky: «Ci pigiam­mo in quat­tro car­roz­ze e salim­mo ver­so la mon­ta­gna. La gen­te guar­da­va con curio­si­tà quel­la stra­na caro­va­na. I dele­ga­ti scher­za­va­no sul fat­to che mez­zo seco­lo dopo la costi­tu­zio­ne del­la Pri­ma Inter­na­zio­na­le tut­ti gli inter­na­zio­na­li­sti tro­va­va­no posto in quat­tro car­roz­ze. Ma nel­lo scher­zo non c’era nes­su­no scet­ti­ci­smo. Acca­de mol­te vol­te che il filo del­la sto­ria si strap­pi. Allo­ra biso­gna rian­no­dar­lo. E fu quel­lo che si fece a Zim­mer­wald»[43]. Tro­tsky stes­so era uno dei dele­ga­ti e, dopo Zim­mer­wald, rien­trò a Pari­gi pie­no zep­po di docu­men­ti e appun­ti che riu­scì a far pas­sa­re ai con­trol­li alla fron­tie­ra con uno stra­ta­gem­ma dei suoi: inse­ren­do­li in una car­tel­la con su scrit­to “Viva lo zar!”. I poli­ziot­ti non dubi­ta­ro­no che ave­va­no di fron­te un “buon” rus­so, un allea­to, e lo fece­ro pas­sa­re sen­za tan­te sto­rie[44].
Dal rac­con­to di Tro­tsky a Rosmer[45] emer­ge che, sin dall’apertura del­la con­fe­ren­za, Lenin ave­va depo­si­ta­to due testi: un pro­get­to di riso­lu­zio­ne e un pro­get­to di mani­fe­sto. In que­sti testi era­no svi­lup­pa­te le idee tipi­ca­men­te leni­ni­ste: mostra­re che la guer­ra è una guer­ra impe­ria­li­sta e trar­ne le dovu­te con­se­guen­ze; lot­ta sen­za quar­tie­re con­tro i social­pa­trio­ti, ma anche con­tro il cen­tro kau­tskia­no; i par­la­men­ta­ri socia­li­sti avreb­be­ro dovu­to vota­re ovun­que con­tro i cre­di­ti di guer­ra e costrin­ge­re i mini­stri socia­li­sti a dimet­ter­si; neces­si­tà di chia­ma­re le mas­se alla lot­ta rivo­lu­zio­na­ria con­tro i gover­ni capi­ta­li­sti­ci e pre­pa­ra­zio­ne da subi­to del­le basi per la nuo­va Inter­na­zio­na­le. Ovvia­men­te, que­ste idee susci­ta­ro­no un’opposizione qua­si una­ni­me, soprat­tut­to da par­te degli orga­niz­za­to­ri del­la con­fe­ren­za, e in par­ti­co­la­re degli ita­lia­ni, che non ave­va­no alcu­na inten­zio­ne – con quel­la con­fe­ren­za – di crea­re una nuo­va Inter­na­zio­na­le, né di rom­pe­re con Kau­tsky. Con dician­no­ve voti con­tro dodi­ci, la con­fe­ren­za respin­se i testi dei bol­sce­vi­chi come base di discus­sio­ne e deci­se di ela­bo­ra­re un testo com­pren­den­te i pun­ti su cui v’era l’accordo di tut­ti i dele­ga­ti. La reda­zio­ne di que­sto testo, noto come Mani­fe­sto di Zim­mer­wald, ven­ne affi­da­ta a Tro­tsky, che era vici­nis­si­mo alle posi­zio­ni dei bol­sce­vi­chi ma era anche dut­ti­le tan­to da poter scri­ve­re un docu­men­to che sen­za trop­pe resi­sten­ze – anche se con mol­te esi­ta­zio­ni dei soli­ti ita­lia­ni – ven­ne appro­va­to all’unanimità.

I risul­ta­ti di Zimmerwald
In un arti­co­lo scrit­to appe­na un mese dopo, Lenin – che, pur tro­van­do eccel­len­te il mani­fe­sto, non ne era del tut­to sod­di­sfat­to per­ché non com­pren­de­va tut­to ciò che i bol­sce­vi­chi avreb­be­ro volu­to inse­rir­vi – lo defi­nì “un pas­so avan­ti”. Sosten­ne che sareb­be sta­to set­ta­rio non sot­to­scri­ver­lo per­ché – aggiun­se — «sareb­be [sta­ta] una cat­ti­va tat­ti­ca mili­ta­re rifiu­ta­re di mar­cia­re col cre­scen­te movi­men­to inter­na­zio­na­le di pro­te­sta con­tro il social­scio­vi­ni­smo per­ché que­sto movi­men­to è len­to, per­ché com­pie “sol­tan­to” un pas­so in avan­ti»[46]. Que­sta era la gran­dez­za di Lenin: fiu­ta­to che c’era un movi­men­to con un futu­ro dinan­zi a sé, non si fece scru­po­lo di affian­car­lo (s’intende, con la sua auto­no­mia) e nono­stan­te il suo pas­so fos­se più spe­di­to, ben sapen­do che, se non l’avesse fat­to, ne sareb­be sta­to pri­ma o poi sopra­van­za­to. Il mani­fe­sto, appun­to, era volu­ta­men­te vago nel­le con­clu­sio­ni rispet­to all’atteggiamento da tene­re nei con­fron­ti del­la guer­ra e alla neces­si­tà di una nuo­va Inter­na­zio­na­le. Ma il seme era sta­to get­ta­to: pri­ma anco­ra che dal mani­fe­sto, fu dal­la con­for­ma­zio­ne di un’opposizione inter­na a quel rag­grup­pa­men­to, nota come “sini­stra di Zim­mer­wald”[47], che ven­ne­ro poste le basi per la fon­da­zio­ne del­la futu­ra Ter­za Internazionale.
Qua­le eco ebbe la con­fe­ren­za di Zim­mer­wald? Sicu­ra­men­te, gli esi­ti del­la con­fe­ren­za dovet­te­ro pas­sa­re attra­ver­so le maglie di una tri­pli­ce cen­su­ra: quel­la gover­na­ti­va, quel­la socia­li­sta e quel­la sin­da­ca­li­sta. Già: per­ché i par­ti­ti e i sin­da­ca­ti social­pa­triot­ti­ci era­no, come sem­pre, un pas­so avan­ti ai gover­ni bor­ghe­si di cui face­va­no par­te, o del­le cui bri­cio­le si nutri­va­no. E infat­ti, Rosmer osser­va che in Fran­cia la cen­su­ra gover­na­ti­va fu quel­la meno rigo­ro­sa. In ogni caso, il movi­men­to zim­mer­wal­dia­no si tro­vò con­tro, oltre alle poli­zie dei vari Pae­si, i socia­li­sti dell’Union sacrée, che mobi­li­ta­ro­no la loro stam­pa e pro­pa­gan­da nel ten­ta­ti­vo di pas­sa­re sot­to silen­zio lo straor­di­na­rio risul­ta­to del­la con­fe­ren­za. Addi­rit­tu­ra, il pre­si­den­te del­la Secon­da Inter­na­zio­na­le, Van­der­vel­de, girò la Sviz­ze­ra in lun­go e in lar­go per influen­za­re nega­ti­va­men­te – ma sen­za esi­to – i nuclei socia­li­sti[48].
Tut­ta­via, mal­gra­do la cen­su­ra e gli attac­chi, le idee di Zim­mer­wald si apri­ro­no la stra­da attra­ver­so le fron­tie­re degli Sta­ti bel­li­ge­ran­ti e rac­col­se­ro nume­ro­si soste­ni­to­ri nel perio­do che va dal­la con­fe­ren­za di Zim­mer­wald a quel­la che si svol­se sem­pre in Sviz­ze­ra, a Kien­thal, dal 24 al 30 apri­le 1916. Le dele­ga­zio­ni qui furo­no più nume­ro­se, con la par­te­ci­pa­zio­ne, tra gli altri, del neo­na­to grup­po di Rosa Luxem­burg e Karl Lie­b­k­ne­cht. Il dibat­ti­to affron­tò soprat­tut­to due gran­di que­stio­ni: quel­la dell’autodeterminazione dei popo­li e del dirit­to di seces­sio­ne (che non trat­te­re­mo qui, ma che vide oppo­sti Rosa Luxem­burg e Lenin); e quel­la rela­ti­va all’Internazionale. Su que­sto tema, in real­tà, si con­fron­ta­va­no due diver­se posi­zio­ni. Vi era chi, in par­ti­co­la­re i dele­ga­ti ita­lia­ni, pen­sa­va e spe­ra­va – soprat­tut­to dopo che il Bsi ave­va intra­pre­so una limi­ta­ta atti­vi­tà, per­lo­più infor­ma­ti­va – che la Secon­da Inter­na­zio­na­le potes­se rico­sti­tuir­si con la sem­pli­ce epu­ra­zio­ne degli scio­vi­ni­sti e dei socia­lim­pe­ria­li­sti. Essi era­no con­tra­ri a una scis­sio­ne e rite­ne­va­no la fon­da­zio­ne di una nuo­va Inter­na­zio­na­le un’avventura rischio­sa. Lenin e Tro­tsky, inve­ce, si con­trap­po­ne­va­no a que­sta posi­zio­ne par­ten­do dal­la con­sta­ta­zio­ne per cui il crol­lo del­la Secon­da Inter­na­zio­na­le rap­pre­sen­ta­va la fine di un’epoca, una fase ormai chiu­sa del­la vita del movi­men­to ope­ra­io. Non ci si pote­va, dun­que, fare alcu­na illu­sio­ne sul­la pos­si­bi­li­tà di far rivi­ve­re un cada­ve­re. Si dove­va, inve­ce, lavo­ra­re da subi­to all’edificazione del­la Ter­za Inter­na­zio­na­le[49].
C’erano tut­ta­via dei dele­ga­ti che espri­me­va­no una posi­zio­ne inter­me­dia, atten­di­sta: rite­ne­va­no cioè che biso­gnas­se atten­de­re l’evoluzione del­le cose. E, in real­tà, fu pro­prio l’esistenza di que­sta posi­zio­ne che con­sen­tì di ela­bo­ra­re una riso­lu­zio­ne tale da poter esse­re assun­ta da tut­ti i dele­ga­ti: non si taglia­va­no i pon­ti, si lascia­va liber­tà d’azione a quel­li che anco­ra ripo­ne­va­no fidu­cia nel Bsi. Nel caso in cui quest’organismo aves­se con­vo­ca­to una riu­nio­ne, gli zim­mer­wal­dia­ni avreb­be­ro deci­so qua­le atteg­gia­men­to tenere.
Lenin e la sini­stra zim­mer­wal­dia­na furo­no mol­to con­ci­lian­ti su que­sta riso­lu­zio­ne, e la cosa si spie­ga assai facil­men­te: Lenin sape­va bene che, da que­sto pun­to di vista, il tem­po lavo­ra­va per la sua posi­zio­ne dato che i diri­gen­ti del Bsi si sareb­be­ro inca­ri­ca­ti ben pre­sto di distrug­ge­re ogni resi­dua illu­sio­ne degli esi­tan­ti. Ma, nono­stan­te que­sto testo di com­pro­mes­so, nei fat­ti a Kien­thal ven­ne affer­ma­ta, ancor più che a Zim­mer­wald, la neces­si­tà di bat­ter­si per la costru­zio­ne di una nuo­va Inter­na­zio­na­le. La sini­stra zim­mer­wal­dia­na si raf­for­zò e si orga­niz­zò, dotan­do­si di una segre­te­ria com­po­sta da Lenin, Zinov’ev e Radek, influen­zan­do anche l’Internazionale dei gio­va­ni. I tem­pi era­no ormai matu­ri e vol­ge­va­no ver­so la rivo­lu­zio­ne in Rus­sia e la nasci­ta dell’Internazionale rivo­lu­zio­na­ria: e se que­sto pro­ces­so sto­ri­co poté com­pier­si, un gran­de meri­to va attri­bui­to alle con­fe­ren­ze di Zim­mer­wald e di Kien­thal, con la nasci­ta, all’interno di quel­la che è sta­ta defi­ni­ta la “Inter­na­zio­na­le di Zim­mer­wald”, del rag­grup­pa­men­to di sini­stra[50].

Ver­so una nuo­va Internazionale
Nono­stan­te gli sfor­zi con­giun­ti dei gover­ni bor­ghe­si e dei par­ti­ti socia­li­sti loro lac­chè per tacer­li, i nomi di Zim­mer­wald e Kien­thal si fece­ro brec­cia nel movi­men­to ope­ra­io e l’influenza del­le due con­fe­ren­ze si este­se ovun­que, pene­tran­do nel pro­le­ta­ria­to più o meno pro­fon­da­men­te a secon­da dei Pae­si. «Fino a Zim­mer­wald, la vita poli­ti­ca e socia­le era così spen­ta che era […] pos­si­bi­le pre­ci­sa­re sol­tan­to le rispet­ti­ve posi­zio­ni dei socia­li­sti e sin­da­ca­li­sti che ave­va­no ade­ri­to alla guer­ra e dell’opposizione che mani­fe­stò con­tro di loro; vi era poco da rac­con­ta­re, con­fe­ren­ze e riu­nio­ni era­no rare e la cen­su­ra proi­bi­va di par­lar­ne. Dopo Zim­mer­wald il movi­men­to così a lun­go trat­te­nu­to ripren­de vita e for­za cre­scen­te. Biso­gna riu­ni­re con­gres­si, tene­re con­fe­ren­ze, ripren­de­re più o meno le pra­ti­che tra­di­zio­na­li dei par­ti­ti e del­le orga­niz­za­zio­ni ope­ra­ie; gli scio­pe­ri fino ad allo­ra mode­sti col­pi­va­no la pro­du­zio­ne bel­li­ca con un’ampiezza cre­scen­te»[51].
Il 1917 vide, sul­lo sfon­do del­la car­ne­fi­ci­na del­la guer­ra, del­la fame, del­la mise­ria, il pro­le­ta­ria­to tor­na­re a far sen­ti­re la pro­pria voce con i pri­mi scio­pe­ri in Inghil­ter­ra, il gran­de scio­pe­ro del­le fab­bri­che di arma­men­ti a Ber­li­no, la “rivol­ta del pane” di Tori­no[52], lo scio­pe­ro gene­ra­le in Spa­gna, l’ammutinamento di 40.000 sol­da­ti fran­ce­si, lo “scio­pe­ro mili­ta­re” di quel­li ita­lia­ni. Era­no le con­se­guen­ze del­le sof­fe­ren­ze indot­te dal­la guer­ra: matu­ra­va­no fer­men­ti rivo­lu­zio­na­ri. Nell’ottobre, infi­ne, la rivo­lu­zio­ne in Rus­sia e la pre­sa del pote­re da par­te del pro­le­ta­ria­to furo­no gli even­ti che die­de­ro un risal­to ancor mag­gio­re al pro­ble­ma cen­tra­le del­la costru­zio­ne dell’Internazionale. I bol­sce­vi­chi, infat­ti, con­si­de­ra­va­no indis­so­lu­bil­men­te lega­to l’esito del­la rivo­lu­zio­ne rus­sa alle sor­ti del­la rivo­lu­zio­ne inter­na­zio­na­le. Per que­sto Zinov’ev scri­ve­va: «Fin dal­la sua nasci­ta la Ter­za Inter­na­zio­na­le lega il suo desti­no a quel­lo del­la rivo­lu­zio­ne rus­sa»[53].
Un’Internazionale rivo­lu­zio­na­ria diven­ta­va, per un Pae­se arre­tra­to come la Rus­sia – con una clas­se ope­ra­ia nume­ri­ca­men­te limi­ta­ta, stran­go­la­to dall’accerchiamento con­tro­ri­vo­lu­zio­na­rio impe­ria­li­sta – una que­stio­ne stra­te­gi­ca deci­si­va. I bol­sce­vi­chi era­no con­sa­pe­vo­li che solo la pro­pa­ga­zio­ne del­la rivo­lu­zio­ne al con­ti­nen­te euro­peo, e prin­ci­pal­men­te alla Ger­ma­nia, avreb­be potu­to aiu­ta­re la gio­va­ne rivo­lu­zio­ne russa.
I detrat­to­ri e i super­fi­cia­li con­si­de­ra­no la Ter­za Inter­na­zio­na­le come una “crea­tu­ra” di Lenin, qua­si uno stru­men­to con cui il par­ti­to comu­ni­sta rus­so con­trol­la­va gli altri par­ti­ti che vi ade­ri­va­no. Altri, inve­ce, pre­sen­ta­no la nasci­ta del­la Ter­za Inter­na­zio­na­le come effet­to del­la rivo­lu­zio­ne, lega­ta a que­sta in un rap­por­to mec­ca­ni­co. Entram­be que­ste let­tu­re sono ovvia­men­te sba­glia­te e ridut­ti­ve: il rap­por­to fra la rivo­lu­zio­ne e l’Internazionale fu mol­to più com­ples­so e dia­let­ti­co. Abbia­mo visto che dopo il ver­go­gno­so crol­lo del­la Secon­da Inter­na­zio­na­le un com­po­si­to movi­men­to che ne denun­cia­va il tra­di­men­to dei prin­ci­pi del mar­xi­smo ini­ziò a for­mar­si, met­ten­do all’ordine del gior­no la nasci­ta di una nuo­va Inter­na­zio­na­le. Que­sto movi­men­to, all’inizio debo­le e divi­so, comin­ciò a pren­de­re cor­po con la con­fe­ren­za di Zim­mer­wald fino a diven­ta­re, dopo una bat­ta­glia di demar­ca­zio­ne dagli ele­men­ti esi­tan­ti, l’asse por­tan­te del­la neces­si­tà sto­ri­ca di fon­da­re la Ter­za Internazionale.
Del resto, già un anno pri­ma di Zim­mer­wald, come abbia­mo visto[54], Lenin le asse­gnò da subi­to, quan­do essa era solo un pro­get­to nel­la testa di poche deci­ne di rivo­lu­zio­na­ri, il com­pi­to di orga­niz­za­re le for­ze del pro­le­ta­ria­to per l’assalto al cie­lo. In que­sto con­te­sto, è indub­bio che l’Ottobre sovie­ti­co sia sta­to un ele­men­to cata­liz­za­to­re per il pre­ci­pi­ta­re del­la nasci­ta del­la nuo­va Inter­na­zio­na­le. Ma non è sba­glia­to, d’altronde, in una let­tu­ra real­men­te mate­ria­li­sti­ca del­la sto­ria, rite­ne­re che, pro­prio in vir­tù del­la dia­let­ti­ci­tà del rap­por­to, il pro­ce­de­re inar­re­sta­bi­le ver­so la nasci­ta del­la Ter­za Inter­na­zio­na­le pos­sa aver acce­le­ra­to la rivo­lu­zio­ne stes­sa, poi­ché l’Internazionale non era affat­to un’aspirazione “eti­ca” di chi la pro­muo­ve­va, ma costi­tui­va al con­tra­rio un rea­le movi­men­to socia­le di rot­tu­ra rivo­lu­zio­na­ria[55]. Accu­sa­re, quin­di, i bol­sce­vi­chi di aver crea­to un loro fan­toc­cio inter­na­zio­na­le[56] non fa i con­ti con la loro stes­sa pru­den­za nel pro­cla­mar­ne for­mal­men­te la fon­da­zio­ne, che infat­ti avven­ne solo nel 1919[57].

Nasce la Ter­za Inter­na­zio­na­le, l’Internazionale rivoluzionaria
Ma, nei fat­ti, la Ter­za Inter­na­zio­na­le esi­ste­va già. Il 24 gen­na­io 1919, un mese e mez­zo pri­ma del suo con­gres­so fon­da­ti­vo, Lenin scri­ve­va: «Nel momen­to in cui la tede­sca “Lega di Spar­ta­co”, con diri­gen­ti così illu­stri e noti in tut­to il mon­do, con difen­so­ri del­la clas­se ope­ra­ia così fede­li come Lie­b­k­ne­cht, Rosa Luxem­burg, Cla­ra Zet­kin, Franz Meh­ring, ha rot­to defi­ni­ti­va­men­te i suoi rap­por­ti con i socia­li­sti del gene­re di Schei­de­mann e di Süde­kum, con que­sti social­scio­vi­ni­sti […] che si sono diso­no­ra­ti per sem­pre a cau­sa del­la loro allean­za con la bri­gan­te­sca bor­ghe­sia impe­ria­li­sti­ca di Ger­ma­nia e con Gugliel­mo II, nel momen­to in cui la “Lega di Spar­ta­co” ha assun­to il nome di “Par­ti­to comu­ni­sta di Ger­ma­nia”, la fon­da­zio­ne del­la Ter­za Inter­na­zio­na­le, dell’Inter­na­zio­na­le comu­ni­sta, real­men­te pro­le­ta­ria, real­men­te inter­na­zio­na­li­sti­ca, real­men­te rivo­lu­zio­na­ria, è dive­nu­ta un fat­to. Que­sta fon­da­zio­ne non è sta­ta anco­ra san­ci­ta for­mal­men­te, ma di fat­to la Ter­za Inter­na­zio­na­le già esi­ste»[58]. E il 15 apri­le 1919, un mese dopo il con­gres­so fon­da­ti­vo, aggiun­ge­va: «La Ter­za Inter­na­zio­na­le è sta­ta crea­ta di fat­to nel 1918, quan­do il pro­ces­so di mol­ti anni di lot­ta con­tro l’opportunismo e con­tro il social­scio­vi­ni­smo, par­ti­co­lar­men­te duran­te la guer­ra, ha con­dot­to alla for­ma­zio­ne di par­ti­ti comu­ni­sti in parec­chie nazio­ni»[59].
E fu pro­prio il con­gres­so fon­da­ti­vo del mar­zo 1919[60] a sta­bi­li­re con un’apposita riso­lu­zio­ne che, «sen­ti­to il rap­por­to del­la com­pa­gna Bala­ba­no­va, segre­ta­ria del Comi­ta­to socia­li­sta inter­na­zio­na­le, e dei com­pa­gni Rako­v­skij, Plat­ten, Lenin, Tro­tsky e Zinov’ev, mem­bri del grup­po di Zim­mer­wald, il I con­gres­so dell’Internazionale comu­ni­sta deci­de di con­si­de­ra­re sciol­to il grup­po di Zim­mer­wald»[61]. Ciò a ripro­va dell’importanza di quel rag­grup­pa­men­to, dell’importanza di quan­to accad­de a Zim­mer­wald, in cui Lenin incon­te­sta­bil­men­te domi­nò: non – come abbia­mo visto – per­ché sia riu­sci­to ad impor­re le sue posi­zio­ni. Anzi, si tro­vò sem­pre in mino­ran­za. Ma Lenin sape­va che quel­la appros­si­ma­ti­va riu­nio­ne, orga­niz­za­ta tra mil­le dif­fi­col­tà e con i gover­ni bor­ghe­si e i par­ti­ti del­la Secon­da Inter­na­zio­na­le schie­ra­ti con­tro, costi­tui­va un rag­grup­pa­men­to rivo­lu­zio­na­rio, rap­pre­sen­ta­va la base su cui fon­da­re la Ter­za Inter­na­zio­na­le. E allo­ra lì con­dus­se una bat­ta­glia fat­ta anche di com­pro­mes­si (cosa che sfa­ta il mito di un Lenin set­ta­rio), ma sem­pre coe­ren­te con i prin­ci­pi del mar­xi­smo rivo­lu­zio­na­rio, sem­pre tesa ver­so l’obiettivo del­la costru­zio­ne dell’Internazionale rivo­lu­zio­na­ria. In quel­lo sco­no­sciu­to vil­lag­gio del­la Sviz­ze­ra, insom­ma, si fece una par­te rile­van­te del­la sto­ria del movi­men­to ope­ra­io. E lo ave­va ben com­pre­so anche Karl Lie­b­k­ne­cht, che, dete­nu­to in Ger­ma­nia, inviò que­sto salu­to ai dele­ga­ti del­la con­fe­ren­za di Zim­mer­wald: «Sor­ge­rà la nuo­va Inter­na­zio­na­le, sor­ge­rà sul­le rovi­ne del­la vec­chia, su fon­da­men­ta nuo­ve, più soli­de. A voi ami­ci, socia­li­sti di tut­ti i Pae­si, sta di get­ta­re oggi la pri­ma pie­tra del­la futu­ra costru­zio­ne. Giu­di­ca­te impla­ca­bil­men­te i fal­si socia­li­sti! Fusti­ga­te quel­li che ten­ten­na­no e indu­gia­no in tut­ti i Pae­si, […] sen­za riguar­di! Sul­la ristret­tez­za e la gret­tez­za del gior­no, sul­la mise­ria di que­sti atro­ci gior­ni, vi appa­ri­rà la gran­dez­za del­la meta! Viva la futu­ra pace dei popo­li! […] Viva il socia­li­smo inter­na­zio­na­le, libe­ra­to­re dei popo­li, rivo­lu­zio­na­rio! Pro­le­ta­ri di tut­to il mon­do, tor­na­te a unir­vi!»[62].


Note

[1] Nell’accezione sto­ri­ca­men­te uti­liz­za­ta nell’epoca cui si rife­ri­sce que­sto scrit­to per indi­ca­re le orga­niz­za­zio­ni socia­li­ste di orien­ta­men­to marxista.
[2] Così, espli­ci­ta­men­te, G. Haupt, La Secon­da Inter­na­zio­na­le, La Nuo­va Ita­lia, p. 17; L. Cor­te­si, Sto­ria del comu­ni­smo, mani­fe­sto­li­bri, p.96.
[3] Per una appro­fon­di­ta pano­ra­mi­ca del­le dif­fe­ren­ze fra i par­ti­ti socia­li­sti che face­va­no capo alla Secon­da Inter­na­zio­na­le, G.D.H. Cole, Sto­ria del pen­sie­ro socia­li­sta, Edi­to­ri Later­za, vol. 3, t. 1, pp. 9 e ss.
[4] D’ora in avan­ti, così nel testo.
[5] G. Haupt, op. cit., p. 18.
[6] «La Secon­da Inter­na­zio­na­le … ha com­piu­to un gran­de lavo­ro cul­tu­ra­le. Non c’è sta­to nul­la di simi­le nel­la sto­ria. Ha edu­ca­to e uni­to le clas­si oppres­se […] ha lascia­to loro in ere­di­tà un ric­co arse­na­le di idee … le armi del­la cri­ti­ca»: così L. Tro­tsky, “La guer­ra e l’Internazionale”, in Mar­xists Inter­net Archi­ve, all’indirizzo https://tinyurl.com/y6syrork.
[7] Dal­la riso­lu­zio­ne adot­ta­ta nel Con­gres­so di Zuri­go del 1893: G. Haupt, op. cit., pp. 117–118.
[8] Ibi­dem.
[9] D’altronde, era pro­prio Marx a cri­ti­ca­re «i difet­ti [di un] mate­ria­li­smo astrat­ta­men­te model­la­to sul­le scien­ze natu­ra­li, che esclu­de il pro­ces­so sto­ri­co» (K. Marx, Il Capi­ta­le, Edi­to­ri Riu­ni­ti, Libro I, sez. IV, cap. 13, p. 415, nt. 89).
[10] Cit. da R. Anfos­si, Le Inter­na­zio­na­li (1864–1943). Sto­ria di un’idea, Pro­spet­ti­va Edi­zio­ni, p. 46.
[11] La discus­sio­ne sul colo­nia­li­smo costi­tuì, come vedre­mo più avan­ti, un impor­tan­te tema del Con­gres­so di Stoc­car­da del 1907 del­la Secon­da Internazionale.
[12] Una con­trad­di­zio­ne, que­sta, solo appa­ren­te, ma che sarà poi alla base del fal­li­men­to del­la Secon­da Internazionale.
[13] Il ruo­lo di Bern­stein, dun­que, fu quel­lo di “tra­dur­re in prin­ci­pi” quel­la che in effet­ti era una pra­ti­ca oppor­tu­ni­sti­ca già con­so­li­da­ta. Come ebbe a scri­ve­re effi­ca­ce­men­te lo sto­ri­co G.A. Rit­ter, «il “revi­sio­ni­smo” è solo un debo­le rifles­so di que­sta mol­te­pli­ce pras­si rifor­mi­sti­ca. Non gli Schip­pel, Bern­stein, Hei­ne, Cal­wer, e Hil­de­brand, ma i Voll­mar, Gril­len­ber­ger, Auer, Kloss, v. Elm, Legien, Lei­part, Hué, Dr. Süde­kum, Ebert, Schei­de­mann, Keil e Labe, non gli acca­de­mi­ci revi­sio­ni­sti dei “Sozia­li­sti­schen Mona­tshef­te”, ma i segre­ta­ri del lavo­ro e i diri­gen­ti sin­da­ca­li, i con­si­glie­ri comu­na­li e i depu­ta­ti del Land­tag, i por­ta­to­ri, in ulti­ma ana­li­si inat­tac­ca­bi­li per­ché inso­sti­tui­bi­li, del lavo­ro poli­ti­co di ogni gior­no, deter­mi­na­va­no il carat­te­re del par­ti­to, che già pri­ma del ’900 si era muta­to essen­zial­men­te in un lavo­ro pra­ti­co di par­ti­to con alcu­ne fra­si rivo­lu­zio­na­rie non pre­se sul serio».
[14] Dispu­ta che pre­se il nome di Bern­stein­de­bat­te.
[15] R. Luxem­burg, Rifor­ma socia­le o rivo­lu­zio­ne?, in Scrit­ti poli­ti­ci, Edi­to­ri Inter­na­zio­na­li Riu­ni­ti, vol. I, pp. 163 e ss.
[16] Socia­li­sta fran­ce­se che ave­va accet­ta­to di entra­re come mini­stro dell’industria nel gover­no bor­ghe­se, giu­sti­fi­can­do il pro­prio atto con l’argomento che occor­re­va difen­de­re la demo­cra­zia dal­le minac­ce monar­chi­ca e bonapartista.
[17] Cit. da R. Anfos­si, op. cit., p. 51. Giu­sta­men­te, G.D.H. Cole, op. cit., p. 53, met­te in luce l’importanza del ruo­lo che Kau­tsky ebbe nel pre­di­spor­re una sif­fat­ta riso­lu­zio­ne, pro­po­nen­do «un tipo di discor­so che sod­di­sfa­ces­se il cen­tro e disar­mas­se l’estrema sini­stra, sen­za far usci­re la destra dall’Internazionale e sen­za ren­de­re inso­ste­ni­bi­le la posi­zio­ne di Jau­rès» (che ave­va appog­gia­to Millerand).
[18] Cit. da G.D.H. Cole, op. cit., p. 63. Si veda pure A. Sagra, Histó­ria das Inter­na­cio­nais socia­li­stas, Edi­to­ra Insti­tu­to José Luís e Rosa Sun­der­mann, p. 27.
[19] L. Tro­tsky, op. cit., § VIII.
[20] Così, espres­sa­men­te, G.D.H. Cole, op. cit., p. 75, che però rile­va la con­trad­di­zio­ne – che sarà poi alla base dell’affermarsi defi­ni­ti­vo del revi­sio­ni­smo nel­la Secon­da Inter­na­zio­na­le – tra la con­dan­na for­ma­le del revi­sio­ni­smo stes­so e l’insistenza sull’unità socia­li­sta in cia­scun Pae­se, il che signi­fi­ca­va l’impossibilità di espel­le­re chi lo pro­fes­sas­se. «Risul­ta­to del con­gres­so di Amster­dam – con­clu­de Cole – fu una mag­gio­re uni­tà, non una mag­gior disci­pli­na».
[21] L. Tro­tsky, op. cit., § IX.
[22] Cioè la pre­sa del pote­re per via del­la lot­ta rivo­lu­zio­na­ria e il rove­scia­men­to del siste­ma capi­ta­li­sta con l’instaurazione di un gover­no dei lavoratori.
[23] Sul con­gres­so di Cope­na­ghen del 1910, così come sui pre­ce­den­ti con­gres­si di Amster­dam (1904) e Stoc­car­da (1907) e sul suc­ces­si­vo tenu­to­si a Basi­lea (1912), ci pare uti­le rin­via­re al det­ta­glia­tis­si­mo reso­con­to di G.D.H. Cole, op. cit., p. 60 e ss.
[24] Cit. da R. Anfos­si, op. cit., p. 57.
[25] L. Tro­tsky, La mia vita, Mon­da­do­ri, 1961, pp. 177–178.
[26] Cit. da A. Rosmer, Il movi­men­to ope­ra­io alle por­te del­la pri­ma guer­ra mon­dia­le. Dall’Unione sacra a Zim­mer­wald, Jaca Book, pp. 87–88.
[27] Per un det­ta­glia­tis­si­mo reso­con­to di que­sto viag­gio e degli incon­tri che ne segui­ro­no, A. Rosmer, op. cit., pp. 311–326.
[28] V.I. Lenin, “La guer­ra e la social­de­mo­cra­zia rus­sa”, Ope­re, Edi­zio­ni Lot­ta comu­ni­sta, vol. 21, p. 23.
[29] L. Tro­tsky, op. ult. cit., p. 184–185.
[30] È uti­le riper­cor­re­re la para­bo­la di Kau­tsky nel­la luci­da ana­li­si di Lenin, “Scio­vi­ni­smo mor­to e socia­li­smo vivo (Come rico­sti­tui­re l’Internazionale?)”, Ope­re, vol. 21, pp. 83 e ss.
[31] L. Cor­te­si, op. cit., p. 119, sostie­ne che nel­le posi­zio­ni kau­tskia­ne «c’era … mol­to gra­dua­li­smo di sot­to­fon­do, sen­so del­la ine­so­ra­bi­li­tà del­la guer­ra e “atten­di­smo rivo­lu­zio­na­rio” […] L’appariscente ege­mo­nia del mar­xi­smo orto­dos­so era sem­pli­ce­men­te la masche­ra d’una deri­va a destra e di una ten­den­za all’integrazione nazio­na­le via via più net­te».
[32] P. Frö­lich, Guer­ra e poli­ti­ca in Ger­ma­nia. 1914–1918, Edi­zio­ni Pan­ta­rei, p. 24.
[33] Per la carat­te­riz­za­zio­ne di Kau­tsky e del kau­tski­smo come tra­di­men­to del mar­xi­smo non si può pre­scin­de­re, ovvia­men­te, dal noto pam­phlet di Lenin, “La rivo­lu­zio­ne pro­le­ta­ria e il rin­ne­ga­to Kau­tsky” (Ope­re, vol. 28, pp. 231 e ss.). Si veda anche G. Lukács, “Il trion­fo di Bern­stein”, in Scrit­ti poli­ti­ci gio­va­ni­li 1919–1928, Casa edi­tri­ce Later­za, pp. 177 e ss.
[34] Nel 1914 la social­de­mo­cra­zia tede­sca con­ta­va più di un milio­ne di iscrit­ti, pos­se­de­va 89 quo­ti­dia­ni e rivi­ste con un milio­ne e mez­zo di abbo­na­ti; in par­la­men­to era rap­pre­sen­ta­ta da 110 depu­ta­ti, oltre ai 220 con­si­glie­ri pro­vin­cia­li e ai 12.000 con­si­glie­ri comu­na­li; alle ele­zio­ni del 1912 ave­va con­se­gui­to 4.250.000 voti pari al 35%. Dal can­to suo, l’Internazionale socia­li­sta ave­va qua­si quat­tro milio­ni di iscrit­ti in tut­to il mon­do, oltre set­te milio­ni di iscrit­ti a coo­pe­ra­ti­ve e oltre die­ci milio­ni di iscrit­ti a sin­da­ca­ti, con un baci­no di cir­ca dodi­ci milio­ni di elet­to­ri (dati rife­ri­ti da P. Frö­lich, op. cit., p. 43).
[35] R. Anfos­si, op. cit., p. 66. Così pure, P. Frö­lich, op. cit., pp. 64–66 e 81 (nt. 3). Rife­ri­sce A. Rosmer, op. cit., pp. 114 e 150 e ss., che ana­lo­ga­men­te le auto­ri­tà fran­ce­si otten­ne­ro l’appoggio del Par­ti­to socia­li­sta e del sin­da­ca­to Cgt assi­cu­ran­do che non sareb­be sta­to appli­ca­to il fami­ge­ra­to “Car­net B”, un elen­co di cir­ca 4.000 sin­da­ca­li­sti, rivo­lu­zio­na­ri, socia­li­sti e anar­chi­ci, che sareb­be­ro sta­ti arre­sta­ti pre­ven­ti­va­men­te al mini­mo disor­di­ne o in caso di mobi­li­ta­zio­ni. Secon­do il più impor­tan­te stu­dio­so del­la Secon­da Inter­na­zio­na­le, Geor­ges Haupt, pur di fron­te a impo­nen­ti mani­fe­sta­zio­ni ope­ra­ie a Pari­gi, Ber­li­no e Pie­tro­bur­go, «le dire­zio­ni dei par­ti­ti socia­li­sti in Fran­cia e in Ger­ma­nia man­te­ne­va­no la con­se­gna di esse­re pru­den­ti […] In effet­ti la pau­ra di pren­de­re ini­zia­ti­ve pre­ci­pi­ta­te, di pro­vo­ca­re azio­ni pre­ma­tu­re por­tò le dire­zio­ni dei par­ti­ti socia­li­sti in un vico­lo cie­co […] I diri­gen­ti socia­li­sti si rifu­gia­va­no nell’attendismo […] Nume­ro­se cir­co­stan­ze dimo­stra­no come i gover­ni aves­se­ro com­pre­so assai bene, ver­so la fine del luglio 1914, le caren­ze, le con­trad­di­zio­ni dell’Internazionale e dei par­ti­ti socia­li­sti dei loro rispet­ti­vi pae­si, i pun­ti debo­li del­la stra­te­gia paci­fi­sta […] i gover­ni non cre­de­va­no più da tem­po alle minac­ce dei socia­li­sti: una rivo­lu­zio­ne come con­se­guen­za di una even­tua­le guer­ra euro­pea» (G. Haupt, L’Internazionale socia­li­sta dal­la Comu­ne a Lenin, Giu­lio Einau­di edi­to­re, pp. 280 e ss.). Haupt spie­ga, inol­tre, che sul fini­re di luglio il gover­no tede­sco ave­va invi­ta­to due diri­gen­ti del­la Spd a un col­lo­quio, all’esito del qua­le il can­cel­lie­re si era potu­to ren­de­re con­to dell’autentico sta­to d’animo dei social­de­mo­cra­ti­ci, valu­tan­do la scar­sa con­si­sten­za del­la loro riso­lu­tez­za. Dopo quest’incontro, «il gover­no ormai sape­va per cer­to che la Spd era diven­ta­ta un’opposizione atti­va ma lea­le, che non dove­va teme­re la sua resi­sten­za in caso di pro­cla­ma­zio­ne del­la mobi­li­ta­zio­ne gene­ra­le» (op. cit., p. 286). Lo con­fer­ma P. Frö­lich (op. cit., p. 64) citan­do un dispac­cio invia­to il 31 luglio dal mini­ste­ro del­la Guer­ra al coman­do gene­ra­le, che reci­ta­va: «Secon­do infor­ma­zio­ni pre­ci­se e con­fer­ma­te, il par­ti­to social­de­mo­cra­ti­co ha inten­zio­ne di com­por­tar­si nel­la situa­zio­ne attua­le come si con­vie­ne a ogni tede­sco. Riten­go mio dove­re comu­ni­car­ve­lo, per­ché i coman­dan­ti mili­ta­ri ten­ga­no in con­si­de­ra­zio­ne que­sto ele­men­to nel momen­to in cui dovran­no adot­ta­re dei prov­ve­di­men­ti».
[36] Esem­pla­re in que­sto sen­so – come rac­con­ta A. Rosmer, op. cit., pp. 109–110 – fu l’atteggiamento tenu­to in Fran­cia dal Par­ti­to socia­li­sta e dal mag­gior sin­da­ca­to, la Cgt, che sciol­se­ro le mani­fe­sta­zio­ni spon­ta­nee di lavo­ra­to­ri che pro­te­sta­va­no con­tro l’assassinio di Jau­rès minac­cian­do di far­si giu­sti­zia da soli. Da sot­to­li­nea­re, al riguar­do, quan­to cita V. Ser­ge, Memo­rie di un rivo­lu­zio­na­rio, Edi­zio­ni e/o, p. 59: l’avvocato Zévaès, socia­li­sta, assun­se la dife­sa lega­le dell’assassino di Jau­rès. Indub­bia­men­te, un segno dei tem­pi! Né va sot­ta­ciu­ta, per resta­re in ter­ra fran­ce­se, la para­bo­la – par­ti­co­la­reg­gia­ta­men­te descrit­ta da Rosmer (op. cit., pp. 94 e ss.) – dell’organo del­la Cgt, Batail­le syn­di­ca­li­ste, che gra­dual­men­te, a par­ti­re dal 2 ago­sto 1914, ini­ziò una deri­va che lo por­te­rà a schie­rar­si dal­la par­te del­la bor­ghe­sia. Anzi, a diven­tar­ne uno degli orga­ni di stampa.
[37] G. Haupt, op. cit., pp. 264 e ss., sostie­ne con dovi­zia di argo­men­ti che la cate­go­ria del “tra­di­men­to” risul­ta inef­fi­ca­ce per spie­ga­re le ragio­ni del suo crol­lo, aggiun­gen­do che l’incapacità dell’Internazionale di far fron­te alla guer­ra «deri­va­va da tut­te le sue con­trad­di­zio­ni, dal­le fon­da­men­ta e dal­le debo­lez­ze teo­ri­che di una stra­te­gia pre­ven­ti­va che gui­da­va le moda­li­tà con­cre­te dell’atteggiamento e del­la poli­ti­ca socia­li­sta». Quest’analisi ripren­de quel­la di G. Lukács, Lenin, Boi­tem­po edi­to­rial, p. 61, secon­do cui «i posi­zio­na­men­ti del­le diver­se cor­ren­ti socia­li­ste nell’agosto del 1914 furo­no la con­se­guen­za diret­ta e ogget­ti­va del­le loro pre­ce­den­ti posi­zio­ni teo­ri­che e tat­ti­che». Lukács, in par­ti­co­la­re, sostie­ne che «il posi­zio­na­men­to del­la social­de­mo­cra­zia in rela­zio­ne alla guer­ra non fu la con­se­guen­za di un erro­re (momen­ta­neo), di un atto di codar­dia, ecc., ma una con­se­guen­za neces­sa­ria del­la sua pre­ce­den­te evo­lu­zio­ne» (op. cit., p. 71).
[38] «Il fal­li­men­to del­la social­de­mo­cra­zia tede­sca, la igno­mi­nia get­ta­ta sul pro­le­ta­ria­to tede­sco [e] sul socia­li­smo per quan­to repen­ti­na fos­se la sua mani­fe­sta­zio­ne, era il pun­to di arri­vo di un lun­go pro­ces­so. E per mol­ti ver­si la fine di un equi­vo­co. La social­de­mo­cra­zia non [era] mai sta­ta un par­ti­to mar­xi­sta, se con­si­de­ra­ta nel suo insie­me, quan­tun­que i mar­xi­sti rivo­lu­zio­na­ri vi [aves­se­ro] tro­va­to posto»: C. Oli­vie­ri, Gli spar­ta­chi­sti nel­la rivo­lu­zio­ne tede­sca (1914–1919), Pro­spet­ti­va edi­zio­ni, p. 18.
[39] L. Tro­tsky, op. ult. cit., p. 200.
[40] V.I. Lenin, “La guer­ra e la social­de­mo­cra­zia rus­sa” cit., pp. 24–25.
[41] V.I. Lenin, “La situa­zio­ne e i com­pi­ti dell’Internazionale socia­li­sta”, Ope­re, vol. 21, p. 32. G. Lukács (op. cit., p. 75) teo­riz­za così la scel­ta del­la sini­stra rivo­lu­zio­na­ria: «L’Internazionale è l’espressione orga­ni­ca del­la comu­ni­tà di inte­res­si del pro­le­ta­ria­to mon­dia­le. Nel momen­to in cui si rico­no­sce come teo­ri­ca­men­te pos­si­bi­le che lavo­ra­to­ri lot­ti­no, al ser­vi­zio del­la bor­ghe­sia, con­tro altri lavo­ra­to­ri, l’Internazionale ces­sa di esi­ste­re nel­la pra­ti­ca. E nel momen­to in cui diven­ta evi­den­te che que­sta lot­ta san­gui­no­sa tra lavo­ra­to­ri a tut­to van­tag­gio del­le poten­ze impe­ria­li­ste riva­li è una con­se­guen­za neces­sa­ria del pre­ce­den­te com­por­ta­men­to di ele­men­ti deci­si­vi dell’Internazionale, non si può più par­la­re di un recu­pe­ro di que­sta, di ripor­tar­la sul­la ret­ta via, di un suo risa­na­men­to. Rico­no­sce­re l’opportunismo come cor­ren­te signi­fi­ca denun­ciar­lo come il nemi­co di clas­se del pro­le­ta­ria­to nel suo stes­so cam­po. L’estirpazione degli oppor­tu­ni­sti dal seno del movi­men­to ope­ra­io è, per­tan­to, la con­di­zio­ne pri­ma­ria, indi­spen­sa­bi­le per la lot­ta vit­to­rio­sa con­tro la bor­ghe­sia».
[42] Reca­to­si a Pari­gi per chie­de­re a Van­der­vel­de, pre­si­den­te del­la Secon­da Inter­na­zio­na­le, la con­vo­ca­zio­ne di una con­fe­ren­za socia­li­sta inter­na­zio­na­le sul tema del­la guer­ra, Mor­ga­ri si scon­trò col net­to rifiu­to da par­te del Bsi. L’incontro si con­clu­se con la pro­mes­sa di auto­con­vo­ca­zio­ne da par­te di Mor­ga­ri e la minac­cia di Van­der­vel­de di impe­dir­ne la rea­liz­za­zio­ne. «Il dibat­ti­to è fini­to. Non c’è più nul­la da dire. Le posi­zio­ni sono pre­se, irri­du­ci­bi­li. Ma la con­fe­ren­za socia­li­sta inter­na­zio­na­le avrà luo­go egual­men­te. Si riu­ni­rà mal­gra­do Van­der­vel­de e con­tro di lui»: così A. Rosmer (op. cit., p. 371) con­clu­de il suo det­ta­glia­to reso­con­to dell’incontro di Parigi.
[43] L. Tro­tsky, op. ult. cit., p. 214.
[44] A. Rosmer, op. cit., p. 385.
[45] Ibi­dem.
[46] V.I. Lenin, “Un pri­mo pas­so”, Ope­re, vol. 21, p. 356.
[47] V.I. Lenin, “I mar­xi­sti rivo­lu­zio­na­ri alla con­fe­ren­za inter­na­zio­na­le socia­li­sta del 5–8 set­tem­bre 1915”, Ope­re, vol. 21, pp. 358 e ss.
[48] Così A. Rosmer, Il movi­men­to ope­ra­io duran­te la pri­ma guer­ra mon­dia­le. Da Zim­mer­wald alla rivo­lu­zio­ne rus­sa, Jaca Book, pp. 95–96.
[49] Nel feb­bra­io-apri­le 1916 Lenin scri­ve­va: «Nel mon­do inte­ro vi sono ora, di fat­to, due par­ti­ti. Le Inter­na­zio­na­li sono ora di fat­to già due. E se la mag­gio­ran­za di Zim­mer­wald ha pau­ra di rico­no­scer­lo, sogna l’unità coi social­scio­vi­ni­sti, dichia­ra di esse­re pron­ta ad accet­ta­re una simi­le uni­tà, que­sti “pii desi­de­ri” riman­go­no, in real­tà, sol­tan­to desi­de­ri, espres­sio­ne dell’incoerenza e del­la pavi­di­tà del pen­sie­ro. La coscien­za è in ritar­do rispet­to all’essere» (V.I. Lenin, “Scis­sio­ne o impu­tri­di­men­to?”, Ope­re, vol. 22, p. 180). Ma già nel mar­zo 1916 (La con­fe­ren­za di Kien­thal, Ope­re, vol. 41, p. 467) ave­va soste­nu­to: «In tut­to il mon­do la scis­sio­ne già esi­ste di fat­to, e gli zim­mer­wal­dia­ni, se chiu­do­no gli occhi su que­sto dato, ne rica­va­no sol­tan­to un dan­no, per­ché si ren­do­no ridi­co­li dinan­zi alle mas­se, le qua­li san­no mol­to bene che ogni pas­so del loro lavo­ro nel­lo spi­ri­to di Zim­mer­wald impli­ca un’estensione e un appro­fon­di­men­to del­la scis­sio­ne. Biso­gna ave­re il corag­gio di rico­no­sce­re aper­ta­men­te l’inevitabile e il fat­to com­piu­to».
[50] V. pre­ce­den­te nota 47 e il testo cui essa si rife­ri­sce. V. anche G.E. Zinov’ev, La for­ma­zio­ne del par­ti­to bol­sce­vi­co. 1898–1917, Gra­phos, p. 156.
[51] Così A. Rosmer, op. ult. cit., p. 19.
[52] Che, a dispet­to del­la deno­mi­na­zio­ne, fu inve­ce una vera e pro­pria insur­re­zio­ne con­tro il gover­no e assun­se un chia­ro carat­te­re anti­mi­li­ta­ri­sta: v. al riguar­do, R. Del Car­ria, Pro­le­ta­ri sen­za rivo­lu­zio­ne. Sto­ria del­le clas­si subal­ter­ne in Ita­lia, Savel­li edi­to­re, vol. 3, pp. 40–53.
[53] Cit. da A. Sagra, op. cit., p. 41.
[54] V. nota 41.
[55] Non va dimen­ti­ca­to che, nell’aprile 1917, nel pie­no del­la cri­si rivo­lu­zio­na­ria, Lenin, appe­na rien­tra­to in Rus­sia col famo­so tre­no blin­da­to, si pre­oc­cu­pò con le Tesi d’aprile di rio­rien­ta­re la poli­ti­ca del suo par­ti­to (in quel momen­to oscil­lan­te) ponen­do al cen­tro del pro­gram­ma per la fase rivo­lu­zio­na­ria il seguen­te pun­to: «Rin­no­va­re l’Internazionale. Pren­de­re l’iniziativa del­la crea­zio­ne di un’Internazionale rivo­lu­zio­na­ria con­tro i social­scio­vi­ni­sti e con­tro il “cen­tro”» (V.I. Lenin, “Sui com­pi­ti del pro­le­ta­ria­to nel­la rivo­lu­zio­ne attua­le”, Ope­re, vol. 24, p. 14). Dun­que, come si vede, la fon­da­zio­ne di un’Internazionale rivo­lu­zio­na­ria era con­si­de­ra­ta uno stru­men­to indi­spen­sa­bi­le per la rot­tu­ra rivoluzionaria.
[56] Come inve­ce sarà poi l’Internazionale com­ple­ta­men­te sta­li­niz­za­ta, fino a diven­ta­re doci­le stru­men­to nel­le mani del­la cric­ca buro­cra­ti­ca sta­li­nia­na per il con­trol­lo del movi­men­to ope­ra­io internazionale.
[57] D’altronde, come segna­la A. Ago­sti, La Ter­za Inter­na­zio­na­le. Sto­ria docu­men­ta­ria, Edi­to­ri riu­ni­ti, vol. 1, p. 16, «l’egemonia dei bol­sce­vi­chi nel Comin­tern era […] rico­no­sciu­ta e accet­ta­ta come legit­ti­ma: frut­to non già di una volon­tà di pre­va­ri­ca­zio­ne dei comu­ni­sti rus­si ma del­la dia­let­ti­ca del pro­ces­so sto­ri­co».
[58] V.I. Lenin, “Let­te­ra agli ope­rai d’Europa e d’America”, Ope­re, vol. 28, pp. 434–435.
[59] V.I. Lenin, “La Ter­za Inter­na­zio­na­le e il suo posto nel­la sto­ria”, Ope­re, vol. 29, p. 279.
[60] Sul con­gres­so di fon­da­zio­ne del­la Ter­za Inter­na­zio­na­le, oltre al lavo­ro di A. Ago­sti richia­ma­to nel­la pre­ce­den­te nota 57, può esse­re uti­le rife­rir­si a P. Broué, Histó­ria da Inter­na­cio­nal comu­ni­sta, Edi­to­ra Insti­tu­to José Luís e Rosa Sun­der­mann, vol. 1, pp. 91 e ss.; J. Degras, Sto­ria dell’Internazionale comu­ni­sta attra­ver­so i docu­men­ti uffi­cia­li, Fel­tri­nel­li edi­to­re, vol. 1, pp. 13 e ss.; E.H. Carr, La rivo­lu­zio­ne bol­sce­vi­ca. 1917–1923, Giu­lio Einau­di edi­to­re, pp. 906 e ss.; G.D.H. Cole, op. cit., vol. 4, t. 1, pp. 333 e ss.; A. Ago­sti, Le cor­ren­ti costi­tu­ti­ve del movi­men­to comu­ni­sta inter­na­zio­na­le, in Sto­ria del mar­xi­smo, a cura di E.J. Hob­sba­wm et al., Giu­lio Einau­di edi­to­re, vol. 3, t. 2, pp. 329 e ss.
[61] Assal­to al cie­lo. Docu­men­ti e mani­fe­sti dei con­gres­si dell’Internazionale comu­ni­sta (1919–1922), Gio­va­ne Tal­pa, p. 46. La riso­lu­zio­ne è ripor­ta­ta anche da A. Rosmer, Il movi­men­to ope­ra­io duran­te la pri­ma guer­ra mon­dia­le. Da Zim­mer­wald alla rivo­lu­zio­ne rus­sa, cit., p. 11.
[62] Cit. da A. Rosmer, Il movi­men­to ope­ra­io alle por­te del­la pri­ma guer­ra mon­dia­le. Dall’Unione sacra a Zim­mer­wald, cit., p. 557.