Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Storia del movimento operaio

La rivoluzione ungherese dei consigli operai

Come ave­va­mo anti­ci­pa­to nel bre­ve post “La rivo­lu­zio­ne d’Ungheria del 1956”, pub­bli­chia­mo ora la splen­di­da ana­li­si di quei tra­gi­ci fat­ti svol­ta dal­lo sto­rio­gra­fo mar­xi­sta Pier­re Broué, per­ché, sia pure in un testo abba­stan­za lun­go, rivi­si­ta da un ver­san­te di clas­se lo svol­ger­si degli avve­ni­men­ti riat­tri­buen­do loro i carat­te­ri del­la veri­tà sto­ri­ca, can­cel­la­ti da tut­ti colo­ro che ave­va­no inte­res­se a depri­va­re la rivo­lu­zio­ne unghe­re­se del poten­zia­le anti­bu­ro­cra­ti­co di una rivo­lu­zio­ne poli­ti­ca che vole­va rove­scia­re l’oppressivo siste­ma sta­li­ni­sta per tor­na­re all’autentico signi­fi­ca­to del­la rivo­lu­zio­ne socia­li­sta del 1917: da una par­te, il capi­ta­li­smo, che inten­de­va così “dimo­stra­re” agli occhi del­le mas­se occi­den­ta­li che l’esperimento socia­li­sta era fal­li­men­ta­re; dall’altra, la cric­ca buro­cra­ti­ca sta­li­nia­na (dell’Urss in pri­mo luo­go, ma anche inter­na­zio­na­le), che prov­ve­de­va così — con la fero­ce repres­sio­ne del ten­ta­ti­vo del­le mas­se popo­la­ri e dei lavo­ra­to­ri magia­ri di libe­rar­si dal­la mor­sa del regi­me sta­li­ni­sta — alla pro­pria auto­con­ser­va­zio­ne e autoperpetuazione.
Si potreb­be allo­ra pen­sa­re che, da que­sto pun­to di vista, alla rie­vo­ca­zio­ne fat­ta da Broué pos­sa attri­buir­si solo un inte­res­se sto­ri­co. Noi, però, non ne sia­mo affat­to con­vin­ti, poi­ché cre­dia­mo inve­ce che essa ser­va anche a far emer­ge­re tut­te le con­trad­di­zio­ni nel­la posi­zio­ne di chi nel cam­po del­la sini­stra non rifor­mi­sta, pur richia­man­do­si for­mal­men­te al bol­sce­vi­smo, di fat­to nutre di esso — anche cer­can­do di met­ter­la in pra­ti­ca, per lo più con risul­ta­ti grot­te­schi — una con­ce­zio­ne “mili­ta­re”. Costo­ro, infat­ti, riven­di­ca­no sì il pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio unghe­re­se, ma sor­vo­la­no alle­gra­men­te sul fat­to che essa fu con­dot­ta dai lavo­ra­to­ri magia­ri pro­prio con­tro quel­la con­ce­zio­ne “mili­ta­re” e per ripor­ta­re la rivo­lu­zio­ne nell’alveo di un bol­sce­vi­smo auten­ti­co, con­ce­pi­to da Lenin e dai suoi come un siste­ma coe­ren­te per giun­ge­re alla libe­ra­zio­ne del­l’uo­mo, non alla sua irre­gi­men­ta­zio­ne in un’organizzazione buro­cra­ti­ca­men­te ottusa.
Tut­ta­via, ciò costi­tui­rà mate­ria per un pros­si­mo testo. Frat­tan­to, augu­ria­mo buo­na let­tu­ra, segna­lan­do che l’originale in fran­ce­se dell’articolo di Broué che qui pro­po­nia­mo si tro­va alla pagi­na web Marxists.org, men­tre noi ci sia­mo avval­si del­la tra­du­zio­ne in ita­lia­no fat­ta dai com­pa­gni di Marxpedia.org, che abbia­mo rive­du­to e mar­gi­nal­men­te cor­ret­to in alcu­ni punti.

La rivoluzione ungherese dei consigli operai

Pier­re Broué

 

Rivoluzione a Budapest

Il 20 e 21 otto­bre 1956 i lavo­ra­to­ri polac­chi, mobi­li­ta­ti all’interno del­le loro fab­bri­che, si pre­pa­ra­no a resi­ste­re alla minac­cia mili­ta­re rus­sa. La sera del 21 Radio-Var­sa­via pro­cla­ma la vit­to­ria del­la “Pri­ma­ve­ra d’ottobre”. Mosca ha cedu­to. Il suo sgher­ro Rokos­so­w­sky è sta­to eli­mi­na­to dal Polit­bu­ro e diven­ta segre­ta­rio il vete­ra­no Gomul­ka, get­ta­to in pri­gio­ne da Sta­lin. I lavo­ra­to­ri polac­chi festeg­gia­no in un cli­ma di gio­ia la loro vittoria.
I lavo­ra­to­ri e la gio­ven­tù unghe­re­se ven­go­no a cono­scen­za di que­sta gran­de noti­zia. Lot­ta­no già da mesi. Gli intel­let­tua­li han­no pre­so la paro­la per pri­mi: han­no riven­di­ca­to liber­tà nell’arte e, di fron­te all’impatto entu­sia­sman­te che si è pro­dot­to, han­no par­la­to di liber­tà tout court. La gio­ven­tù li ha accla­ma­ti. «Non sono sta­to io ad aver spin­to la gio­ven­tù ver­so la liber­tà – dichia­re­rà lo scrit­to­re comu­ni­sta Gyu­la Hay – ma è sta­ta lei a spin­ger­mi … Io cri­ti­ca­vo gli ecces­si del­la buro­cra­zia, i pri­vi­le­gi, le distor­sio­ni, e più anda­vo avan­ti più sen­ti­vo di esse­re asse­con­da­to da un’ondata di sen­ti­men­ti e di affet­to … Si orien­ta­va ver­so di noi, scrit­to­ri, un desi­de­rio irre­fre­na­bi­le di liber­tà»[1]. Gli scrit­to­ri comu­ni­sti han­no for­mu­la­to le riven­di­ca­zio­ni dei gio­va­ni. «È ora di finir­la con que­sto regi­me di gen­dar­mi e di buro­cra­ti», ha pro­cla­ma­to Tibor Déry[2]. Gyu­la Haj­du, mili­tan­te comu­ni­sta, 74 anni, 50 anni di mili­tan­za, ha mes­so a nudo i buro­cra­ti: «Come potreb­be­ro mai sape­re quel­lo che suc­ce­de i diri­gen­ti comu­ni­sti? Non vivo­no mai tra i lavo­ra­to­ri e la gen­te del popo­lo, non li incon­tra­no sull’autobus per­ché tut­ti pos­seg­go­no la loro auto, non li incon­tra­no nei nego­zi o al mer­ca­to per­ché usu­frui­sco­no di pro­pri magaz­zi­ni spe­cia­li, non li incon­tra­no all’ospedale per­ché dispon­go­no di sana­to­ri par­ti­co­la­ri»[3]. La gio­va­ne gior­na­li­sta Judith Mariás­sy rispon­de con fie­rez­za ai buro­cra­ti che l’hanno redar­gui­ta: «La ver­go­gna non sta nel par­la­re di que­sti magaz­zi­ni di lus­so e di que­ste case cir­con­da­te dal filo spi­na­to. La ver­go­gna è che que­sti nego­zi e que­ste case esi­sta­no. Abo­li­te i pri­vi­le­gi e non ne par­le­re­mo più»[4].
Al cir­co­lo Petö­fi, tri­bu­na di discus­sio­ne crea­ta alla fine del 1955 dall’organizzazione del­la gio­ven­tù (DISZ), alcu­ni gran­di dibat­ti­ti han­no per­mes­so di por­re pub­bli­ca­men­te i pro­ble­mi poli­ti­ci che toc­ca­no tut­ti gli unghe­re­si e spe­cial­men­te la gio­ven­tù, uti­liz­zan­do i risul­ta­ti del XX con­gres­so del PCUS in cui Kru­sciov, il 23 feb­bra­io 1956, ha espo­sto il noto “rap­por­to segre­to”: si ini­zia con un dibat­ti­to sull’economia mar­xi­sta in mar­zo, sul­la scien­za sto­ri­ca e la filo­so­fia mar­xi­sta a mag­gio e a giu­gno, un incon­tro dei gio­va­ni coi vec­chi mili­tan­ti comu­ni­sti dell’illegalità usci­ti in buo­na par­te dal­le pri­gio­ni di Sta­lin e Ráko­si, il 18 giu­gno, dibat­ti­ti sul­la stam­pa e l’informazione il 28 giu­gno … dibat­ti­ti in cui ven­go­no coin­vol­te miglia­ia di par­te­ci­pan­ti. In mol­ti dibat­ti­ti il sem­pli­ce con­tat­to tra mili­tan­ti di ori­gi­ni socia­li, gene­ra­zio­ne ed espe­rien­za dif­fe­ren­ti è suf­fi­cien­te per far emer­ge­re la real­tà socia­le, il castel­lo di men­zo­gne del pre­sun­to socia­li­smo sta­li­nia­no. Il 18 giu­gno la signo­ra Láz­ló Rajk, vedo­va del diri­gen­te comu­ni­sta assas­si­na­to nel 1949 come “titi­sta” e “agen­te dell’imperialismo” dopo un pro­ces­so costrui­to da Ráko­si per ordi­ne di Sta­lin, indi­can­do i buro­cra­ti che sie­do­no alla tri­bu­na escla­ma: «Non sol­tan­to ave­te ucci­so mio mari­to, ma ave­te anche ucci­so il sen­so del­la decen­za in que­sto pae­se. Ave­te distrut­to da cima a fon­do la vita poli­ti­ca, eco­no­mi­ca e mora­le dell’Ungheria. Non si pos­so­no ria­bi­li­ta­re gli assas­si­ni: biso­gna punir­li!». Dopo l’intervento di Gyu­la Haj­du, deci­ne di miglia­ia di gio­va­ni ini­zia­no a ripe­te­re: «I diri­gen­ti devo­no andar­se­ne». Agli occhi degli intel­let­tua­li e dei comu­ni­sti che ani­ma­no il cir­co­lo Petö­fi un uomo incar­na il cam­bia­men­to di poli­ti­ca, la “rifor­ma” del par­ti­to: Imre Nagy, vete­ra­no del par­ti­to, per lun­go tem­po in URSS ma lega­to alla ten­den­za “bucha­ri­nia­na” e che, dopo il suo bre­ve perio­do al pote­re nel 1953, con­so­li­da nel par­ti­to e nei cir­co­li di sim­pa­tiz­zan­ti le spe­ran­ze degli avver­sa­ri di Ráko­si. Secon­do il filo­so­fo Györ­gy Lukács, per gli ani­ma­to­ri del movi­men­to chia­ma­to “comu­ni­sta libe­ra­le” o del “comu­ni­smo nazio­na­le”, per i comu­ni­sti impri­gio­na­ti con l’accusa di titi­smo ai tem­pi di Sta­lin e da poco ria­bi­li­ta­ti, gli Jánós Kádár e i Geza Losonc­zy, ed anche per i gio­va­ni che dan­no loro fidu­cia, si trat­ta di cam­bia­re la dire­zio­ne del par­ti­to, sosti­tuen­do il grup­po Ráko­si-Gerö con quel­lo attor­no a Nagy: sarà allo­ra pos­si­bi­le met­ter­si in mar­cia ver­so il socia­li­smo auten­ti­co, libe­ra­to dal­le sco­rie del­lo stalinismo.
La “desta­li­niz­za­zio­ne” ha decu­pli­ca­to le spe­ran­ze. Ha crea­to le con­di­zio­ni per­ché ci si potes­se espri­me­re alla luce del gior­no. I risul­ta­ti sono però asfit­ti­ci. Cer­to Ráko­si è sta­to allon­ta­na­to, ma Gerö è rima­sto segre­ta­rio gene­ra­le del par­ti­to. Gerö, l’uomo del­la GPU[5]. Rajk è sta­to ria­bi­li­ta­to ma dai suoi assas­si­ni, i qua­li han­no pure por­ta­to la sua bara sul­le spal­le. Déry e Tar­dos sono sta­ti espul­si dal par­ti­to il 30 giu­gno 1956, ben dopo il rap­por­to Kru­sciov. Il tetro Far­kas e suo figlio, “il tor­tu­ra­to­re”, sono libe­ri. Gerö è anda­to a Bel­gra­do per chie­de­re a Tito un cer­ti­fi­ca­to di “desta­li­niz­za­zio­ne”. Il “titoi­sta” Kádár lo ha accom­pa­gna­to. Non è que­sta la desta­li­niz­za­zio­ne che voglio­no i gio­va­ni e i loro por­ta­vo­ce, gli scrit­to­ri comu­ni­sti. Voglio­no inve­ce una desta­li­niz­za­zio­ne auten­ti­ca, voglio­no finir­la con gen­dar­mi e buro­cra­ti, voglio­no un socia­li­smo vera­men­te demo­cra­ti­co. San­no anche, da qual­che tem­po, di ave­re al pro­prio fian­co i lavo­ra­to­ri, più len­ti a met­ter­si in movi­men­to ma che andran­no fino in fon­do. Nel­la sede di Iro­dal­mi Ujság, il gior­na­le dell’Unione degli Scrit­to­ri, il tor­ni­to­re Pál Lász­ló dichia­ra, in nome dei 40.000 ope­rai di Cse­pel, Cse­pel-la-ros­sa: «Fino­ra sia­mo rima­sti in silen­zio. Duran­te que­sti tem­pi tra­gi­ci abbia­mo impa­ra­to ad esse­re silen­zio­si e ad anda­re avan­ti con mol­ta cau­te­la. In pas­sa­to basta­va una pic­co­la osser­va­zio­ne per­ché l’operaio fos­se puni­to e per­des­se il suo pane quo­ti­dia­no … Dopo il XX con­gres­so le por­te si sono aper­te. Tut­ta­via, fino­ra, par­lia­mo solo di respon­sa­bi­li mino­ri. Ci chie­dia­mo se non sia giun­ta l’ora di get­ta­re pie­na luce sui pri­mi e veri col­pe­vo­li. Voglia­mo sape­re la veri­tà. Non sia­mo asse­ta­ti di san­gue ma di veri­tà. Sia­te sicu­ri, par­le­re­mo anche noi»[6].
Così gli ope­rai uni­sco­no la loro for­za tran­quil­la al movi­men­to degli intel­let­tua­li. Cse­pel ha appe­na dato la sua cau­zio­ne a Iro­dal­mi Ujzag, pro­prio come a Var­sa­via la fab­bri­ca di Zeran l’ha por­ta­ta alla reda­zio­ne di Po Pro­stu. In Polo­nia que­sta con­giun­zio­ne ha deci­so la vit­to­ria. Ma a Buda­pe­st c’è Gerö e die­tro di lui la poli­zia poli­ti­ca, l’AVH. I buro­cra­ti del Cre­mi­no tira­no le som­me. Han­no appe­na subi­to una pri­ma scon­fit­ta e sono, come sem­pre, pron­ti ad ogni tipo di cri­mi­ne per evi­ta­re una secon­da vit­to­ria rivo­lu­zio­na­ria che lasce­reb­be alla buro­cra­zia i gior­ni contati.

21 e 22 ottobre
Il 21 gli stu­den­ti del Poli­tec­ni­co di Buda­pe­st orga­niz­za­no un’assemblea. Come a Var­sa­via, gli stu­den­ti del­le clas­si supe­rio­ri dell’insegnamento tec­ni­co sono l’avanguardia del movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio. Chie­do­no la liber­tà di stam­pa, l’abolizione del­la pena di mor­te, l’abolizione dei cor­si obbli­ga­to­ri di “mar­xi­smo”, un pro­ces­so pub­bli­co per Far­kas. Come i loro com­pa­gni di Sze­ged, che, in più, han­no richie­sto la ridu­zio­ne degli alti sala­ri, quel­li dei buro­cra­ti, minac­cia­no di soste­ne­re il pro­prio pro­gram­ma con mani­fe­sta­zio­ni di piaz­za se le loro riven­di­ca­zio­ni non ver­ran­no sod­di­sfat­te[7].
Nel­la cit­tà indu­stria­le di Györ si tie­ne un’assemblea pub­bli­ca che il gior­na­le loca­le del PC unghe­re­se descri­ve come «il pri­mo dibat­ti­to pub­bli­co del tut­to libe­ro». Gyu­la Háy cita gli esem­pi cine­se e jugo­sla­vo, recla­ma la «chiu­su­ra del­le basi sovie­ti­che in Unghe­ria» come par­te inte­gran­te di una poli­ti­ca di indi­pen­den­za nazio­na­le, affer­ma che la stam­pa è diret­ta «in manie­ra inet­ta» e dipin­ge l’espulsione di Déry e Tar­dos come un atto inti­mi­da­to­rio desti­na­to a pre­pa­ra­re il ter­re­no a nuo­ve misu­re con­tro lo stes­so Imre Nagy. Due­mi­la per­so­ne lo accla­ma­no[8].
Il 22 all’università Lóránd Eöt­vös di Buda­pe­st si svol­ge un’assemblea degli stu­den­ti del Poli­tec­ni­co. Alcu­ni gior­ni pri­ma, i mee­ting all’università poli­tec­ni­ca di Var­sa­via sono sta­ti il cuo­re del­la rivo­lu­zio­ne. È là che sono inter­ve­nu­ti i rivo­lu­zio­na­ri di Zeran. È là che la gio­ven­tù rivo­lu­zio­na­ria di Var­sa­via ha dato il suo appog­gio a Gomul­ka. I gio­va­ni unghe­re­si riu­ni­ti al Poli­tec­ni­co di Buda­pe­st sono ansio­si di gio­ca­re lo stes­so ruo­lo. La riu­nio­ne è tur­bo­len­ta. Gli ora­to­ri, tra cui si nota uno stu­den­te anzia­no, Joszef Szi­lá­gyi, un vec­chio comu­ni­sta ami­co di Imre Nagy, recla­ma­no il ritor­no al pote­re di Nagy. Anche la gio­ven­tù unghe­re­se cer­ca il suo Gomul­ka. L’obiettivo del­la gio­ven­tù unghe­re­se è una «socie­tà socia­li­sta vera­men­te indi­pen­den­te»; essa pen­sa di arri­var­ci attra­ver­so il cam­bia­men­to del­la dire­zio­ne del par­ti­to che richie­de a gran voce. Gli obiet­ti­vi imme­dia­ti sono fis­sa­ti in una riso­lu­zio­ne pro­gram­ma­ti­ca di 16 pun­ti – i 16 pun­ti del­la gio­ven­tù – che pro­va si sfor­za di toc­ca­re tut­te le riven­di­ca­zio­ni imme­dia­te del­la nazio­ne ungherese.

  1. «Esi­gia­mo il riti­ro imme­dia­to dall’Ungheria di tut­te le trup­pe sovie­ti­che, in con­for­mi­tà col trat­ta­to di pace sigla­to nel 1947 tra URSS e Ungheria.
  2. Esi­gia­mo l’elezione a scru­ti­nio segre­to di tut­ti i diri­gen­ti del par­ti­to, ad ogni livel­lo, dal bas­so ver­so l’alto, affin­ché que­sti con­vo­chi­no appe­na pos­si­bi­le un con­gres­so del par­ti­to che eleg­ge­rà una nuo­va dire­zio­ne centrale.
  3. Esi­gia­mo la for­ma­zio­ne di un gover­no pre­sie­du­to dal com­pa­gno I. Nagy e che sia­no sosti­tui­ti tut­ti i diri­gen­ti cri­mi­na­li dell’epoca stalino-rákosista.
  4. Esi­gia­mo dibat­ti­ti pub­bli­ci sul caso Far­kas, Micha­ly e com­pa­gni, e così pure il loro rien­tro nel nostro Pae­se e un giu­di­zio davan­ti al tri­bu­na­le del popo­lo per Mátyas Ráko­si, prin­ci­pa­le respon­sa­bi­le del fal­li­men­to del Pae­se e dei cri­mi­ni com­mes­si nell’ultimo periodo.
  5. Esi­gia­mo l’elezione a scru­ti­nio segre­to ed ugua­le, con la par­te­ci­pa­zio­ne di più par­ti­ti, di una nuo­va Assem­blea nazio­na­le. Esi­gia­mo che sia garan­ti­to il dirit­to di scio­pe­ro per i lavoratori.
  6. Esi­gia­mo un nuo­vo accor­do e la revi­sio­ne del­le rela­zio­ni cul­tu­ra­li, eco­no­mi­che e poli­ti­che jugo­sla­vo-unghe­re­si e sovie­ti­co-unghe­re­si, sul­la base del prin­ci­pio di non inter­ven­to reci­pro­co nel­le que­stio­ni inter­ne e di una pie­na ugua­glian­za eco­no­mi­ca e politica.
  7. Esi­gia­mo la rior­ga­niz­za­zio­ne di tut­ta la vita eco­no­mi­ca unghe­re­se con la par­te­ci­pa­zio­ne dei nostri spe­cia­li­sti. Esi­gia­mo la rior­ga­niz­za­zio­ne di tut­to il siste­ma eco­no­mi­co sul­la base del pia­no, in modo da uti­liz­za­re le risor­se nazio­na­li per gli inte­res­si vita­li del nostro popolo.
  8. Esi­gia­mo che sia­no resi pub­bli­ci i trat­ta­ti riguar­dan­ti il com­mer­cio con l’estero e i dati rea­li sull’entità dei dan­ni di guer­ra. Esi­gia­mo una infor­ma­zio­ne pub­bli­ca e com­ple­ta sul­le con­ces­sio­ni pro­po­ste ai rus­si, sul­lo sfrut­ta­men­to e lo stoc­cag­gio dell’uranio del nostro pae­se. Esi­gia­mo che l’Ungheria pos­sa fis­sa­re libe­ra­men­te, in mone­ta for­te, il prez­zo di ven­di­ta del suo ura­nio sul­la base del prez­zo vigen­te sul mer­ca­to mondiale.
  9. Esi­gia­mo la revi­sio­ne com­ple­ta del­le nor­me sui rit­mi di lavo­ro nell’industria, come anche il sod­di­sfa­ci­men­to del­le riven­di­ca­zio­ni sala­ria­li dei lavo­ra­to­ri manua­li e intel­let­tua­li. I lavo­ra­to­ri pre­ten­do­no che sia fis­sa­to un mini­mo vitale.
  10. Esi­gia­mo una nuo­va orga­niz­za­zio­ne del siste­ma del­le con­se­gne obbli­ga­to­rie e l’utilizzo razio­na­le dei pro­dot­ti agri­co­li. Esi­gia­mo un trat­ta­men­to pari­ta­rio per i pic­co­li con­ta­di­ni lavoratori.
  11. Esi­gia­mo la revi­sio­ne davan­ti a Tri­bu­na­li, real­men­te indi­pen­den­ti, di tut­ti i pro­ces­si eco­no­mi­ci e poli­ti­ci e la ria­bi­li­ta­zio­ne di tut­ti gli inno­cen­ti con­dan­na­ti. Esi­gia­mo il tra­sfe­ri­men­to imme­dia­to in Unghe­ria di tut­ti i cit­ta­di­ni e i pri­gio­nie­ri tra­sfe­ri­ti coat­ti­va­men­te in URSS, com­pre­si i condannati.
  12. Esi­gia­mo una radio libe­ra, la com­ple­ta liber­tà di stam­pa, di paro­la e di opi­nio­ne e l’uscita di un nuo­vo quo­ti­dia­no a gran­de tira­tu­ra, orga­no del­la MEFESZ (l’organizzazione indi­pen­den­te degli stu­den­ti che si era appe­na costituita).
  13. Esi­gia­mo che la sta­tua di Sta­lin, sim­bo­lo dell’oppressione poli­ti­ca e del­la dit­ta­tu­ra sta­li­ni­sta, sia abbat­tu­ta al più pre­sto e che al suo posto sia eret­to un monu­men­to ai mar­ti­ri e agli eroi del­la lot­ta per la liber­tà del 1848–1849.
  14. Al posto di sim­bo­li del tut­to estra­nei al popo­lo unghe­re­se, esi­gia­mo il ritor­no alle vec­chie inse­gne di Kos­suth. Esi­gia­mo una nuo­va uni­for­me degna del­le tra­di­zio­ni nazio­na­li del­la Hon­ved (eser­ci­to unghe­re­se, NdT). Esi­gia­mo che il 5 mag­gio, anni­ver­sa­rio del­la pro­cla­ma­zio­ne dell’indipendenza nel 1848 sia festa nazio­na­le e gior­no festi­vo e che il 6 otto­bre, gior­no dei fune­ra­li solen­ni di Rajk, sia gior­no di lut­to e con­ge­do scolastico.
  15. La gio­ven­tù del­le uni­ver­si­tà poli­tec­ni­che di Buda­pe­st pro­cla­ma con entu­sia­smo una­ni­me la sua soli­da­rie­tà com­ple­ta con la clas­se ope­ra­ia e la gio­ven­tù di Var­sa­via e del­la Polo­nia nel­la sua rela­zio­ne col movi­men­to polac­co per l’indipendenza.
  16. Gli stu­den­ti dell’università poli­tec­ni­ca del­le costru­zio­ni costrui­sco­no da subi­to le orga­niz­za­zio­ni loca­li del­la MEFESZ ed han­no altre­sì deci­so di con­vo­ca­re a Buda­pe­st per saba­to 27 otto­bre un Par­la­men­to del­la Gio­ven­tù in cui tut­ti i gio­va­ni del pae­se saran­no rap­pre­sen­ta­ti da pro­pri dele­ga­ti».

La riso­lu­zio­ne è invia­ta al par­ti­to ed al gover­no. Gli stu­den­ti ne chie­do­no la pub­bli­ca­zio­ne sul­la stam­pa e la let­tu­ra alla radio. In segui­to mani­fe­sta­no la «loro sim­pa­tia fra­ter­na ai com­pa­gni polac­chi in lot­ta per la sovra­ni­tà e la libe­ra­zio­ne»[9]. Come a Var­sa­via, dove l’assemblea del Poli­tec­ni­co del 19 otto­bre ha par­la­to a nome di tut­ta la gio­ven­tù rivo­lu­zio­na­ria, gli stu­den­ti unghe­re­si con que­sto gesto sot­to­li­nea­no la cari­ca di inter­na­zio­na­li­smo pro­le­ta­rio che ani­ma que­sti gio­va­ni. Pro­fes­so­ri e allie­vi dell’Accademia mili­ta­re “Miklos Zri­nyi”, scuo­la di for­ma­zio­ne per uffi­cia­li, adot­ta­no i 16 pun­ti. Col mede­si­mo spi­ri­to di sim­pa­tia mili­tan­te ver­so la rivo­lu­zio­ne polac­ca, il cir­co­lo Petö­fi lan­cia per l’indomani, 23 otto­bre, la paro­la d’ordine di una mani­fe­sta­zio­ne pub­bli­ca in soli­da­rie­tà con la Polo­nia. Il cir­co­lo vota una riso­lu­zio­ne in cui chie­de la con­vo­ca­zio­ne urgen­te di un comi­ta­to cen­tra­le, l’esclusione di Ráko­si dal CC e dall’Assemblea nazio­na­le, un pro­ces­so pub­bli­co per Far­kas, l’appello a Imre Nagy, rein­te­gra­to il 14 otto­bre nel par­ti­to, per­ché diri­ga il pae­se ed un cam­bia­men­to com­ples­si­vo del­la poli­ti­ca gover­na­ti­va per mez­zo di una infor­ma­zio­ne com­ple­ta e di un dibat­ti­to pubblico.

La mani­fe­sta­zio­ne paci­fi­ca del 23 ottobre
L’indomani, l’appello del cir­co­lo Petö­fi è ripro­dot­to sul­la stam­pa, cosa che al con­tem­po con­tri­bui­sce alla mobi­li­ta­zio­ne e all’ottimismo, mostran­do che il cam­bia­men­to è pos­si­bi­le. Nel frat­tem­po Imre Nagy, rien­tra­to in fret­ta e furia dal­le rive del lago Bala­ton dove si sta­va ripo­san­do, appren­de dai suoi ami­ci il cor­so degli avve­ni­men­ti: spin­to da Miklós Gimes a pren­de­re la testa dei mani­fe­stan­ti onde evi­ta­re il peg­gio, si tira indie­tro osti­na­ta­men­te ipo­tiz­zan­do i rischi di una pro­vo­ca­zio­ne orga­niz­za­ta con­tro di lui da Gerö. Alle 13 il mini­stro degli Inter­ni annun­cia che la mani­fe­sta­zio­ne è vie­ta­ta. Il suo por­ta­vo­ce si fa fischia­re dagli stu­den­ti. Alle 14.30 il divie­to è annul­la­to quan­do si vie­ne a sape­re del­la deci­sio­ne del­la Gio­ven­tù Comu­ni­sta di ade­ri­re alla mani­fe­sta­zio­ne in soli­da­rie­tà con i lavo­ra­to­ri polac­chi. Il divie­to non ha inde­bo­li­to la mani­fe­sta­zio­ne: in ogni caso, i gio­va­ni era­no deci­si a sfi­dar­lo. Il comi­ta­to cen­tra­le del­la Gio­ven­tù comu­ni­sta (DISZ) l’ha affer­ma­to con net­tez­za: «Chi chie­de che la nostra gio­ven­tù espri­ma il suo pun­to di vista con pru­den­za e cau­te­la igno­ra lo svi­lup­po sto­ri­co e l’autentica posi­zio­ne del­la gio­ven­tù unghe­re­se»[10].
La mani­fe­sta­zio­ne ini­zia alle 15. Il suo ini­zia­le divie­to, più vol­te ripe­tu­to alla radio, e poi la deci­sio­ne improv­vi­sa di auto­riz­zar­la, han­no pro­dot­to uno choc. Tut­ta la popo­la­zio­ne ha sen­ti­to l’esitazione dei diri­gen­ti e con­si­de­ra la deci­sio­ne fina­le del­le auto­ri­tà come un cedi­men­to davan­ti alla for­za del movi­men­to. Tut­ta Buda­pe­st è in piaz­za. In testa, alcu­ni gio­va­ni por­ta­no immen­si ritrat­ti di Lenin[11]. Ci sono mol­te ban­die­re unghe­re­si ed una sola ban­die­ra ros­sa, quel­la degli allie­vi dell’Istituto Lenin che scan­di­sco­no gli stes­si slo­gan dei loro com­pa­gni: «Nagy al pote­re», «Via i rus­si», «Pro­ces­so per Ráko­si». Gli stu­den­ti han­no pro­dot­to stri­scio­ni enor­mi: «Non ci fer­mia­mo a metà stra­da: liqui­dia­mo lo sta­li­ni­smo», «Voglia­mo nuo­vi diri­gen­ti: abbia­mo fidu­cia in Nagy», «Indi­pen­den­za e liber­tà» e, ovvia­men­te, «Viva i polac­chi». Si can­ta la Mar­si­glie­se, per gli unghe­re­si can­to rivo­lu­zio­na­rio, e vie­ne scan­di­to il poe­ma di San­dor Petö­fi “La liber­tà o la mor­te”. A pie­di o dal­le piat­ta­for­me degli auto­bus, gli stu­den­ti dif­fon­do­no i volan­ti­ni ciclo­sti­la­ti clan­de­sti­na­men­te che ripro­du­co­no la riso­lu­zio­ne del gior­no pri­ma. Ai pie­di del­la sta­tua a Petö­fi si decla­ma un suo poe­ma, si leg­ge la riso­lu­zio­ne dell’università, dopo­di­ché un gio­va­ne, solen­ne­men­te, scri­ve la data “23 otto­bre 1956” sul basa­men­to. Ai pie­di del­la sta­tua dedi­ca­ta al gene­ra­le Bem, eroe polac­co dell’indipendenza unghe­re­se, tie­ne un discor­so Péter Veres, pre­si­den­te dell’Unione degli Scrit­to­ri. Si can­ta. Sono le 17.45 e i mani­fe­stan­ti ini­zia­no a deflui­re. Si potreb­be pen­sa­re che sia tut­to fini­to. In real­tà, tut­to comin­cia. Uffi­ci e fab­bri­che si svuo­ta­no. Impie­ga­ti ed ope­rai si uni­sco­no agli stu­den­ti. «Mar­te­dì noi abbia­mo lavo­ra­to – rac­con­ta un gio­va­ne elet­tri­ci­sta di Ujpe­st – ma men­tre lavo­ra­va­mo par­la­va­mo. Abbia­mo par­la­to di sala­ri e dei risul­ta­ti del­la riu­nio­ne degli scrit­to­ri. Ave­va­mo del­le copie del­la loro dichia­ra­zio­ne e sape­va­mo quel­lo che inten­de­va­no dire quan­do affer­ma­va­no che non pote­va con­ti­nua­re così. Non riu­sci­va­mo più a vive­re del nostro lavo­ro. Fini­to il lavo­ro abbia­mo visto gli stu­den­ti che mani­fe­sta­va­no e li abbia­mo rag­giun­ti»[12].
Allo­ra ope­rai, impie­ga­ti e stu­den­ti riem­pio­no le stra­de. Gli auto­bus si fer­ma­no. Tut­ta Buda­pe­st è in stra­da. Tut­ta Buda­pe­st dice che la misu­ra è col­ma. Ci vuo­le un cam­bia­men­to. Si for­ma­no dei grup­pi, si met­to­no in pie­di pic­co­li cor­tei. Ci si spar­pa­glia ovun­que. Non c’è una dire­zio­ne ma una volon­tà comu­ne di mani­fe­sta­re, una una­ni­mi­tà con­tro i diri­gen­ti sta­li­ni­sti e i loro padro­ni del­la buro­cra­zia rus­sa. Alla fine, la mas­sa si diri­ge ver­so il Par­la­men­to scan­den­do ripe­tu­ta­men­te «Nagy! Nagy!».
Davan­ti al Par­la­men­to, la fol­la è impa­zien­te, sem­pre più nume­ro­sa, scal­pi­ta fre­men­te e si irri­ta. Dopo un po’ vie­ne annun­cia­to che Gerö è rien­tra­to da Bel­gra­do e par­le­rà alla popo­la­zio­ne dal­la radio. È il momen­to tan­to atte­so dal­la mag­gio­ran­za dei mani­fe­stan­ti. Per tut­ta la gior­na­ta si sono visti in mez­zo a loro repor­ter e foto­gra­fi. Non ci sono sta­ti inci­den­ti con la poli­zia. Gerö par­le­rà. Gerö cede­rà, annun­cian­do una riu­nio­ne del comi­ta­to cen­tra­le che desi­gne­rà Nagy alla testa del gover­no. I lavo­ra­to­ri di Buda­pe­st aspet­ta­no che Gerö san­ci­sca la loro vit­to­ria chi­nan­do­si davan­ti alla loro volon­tà. Le mani­fe­sta­zio­ni di piaz­za avran­no impo­sto il cam­bia­men­to nel­la dire­zio­ne del PC: i comu­ni­sti libe­ra­li pren­de­ran­no in mano la situazione.
Così, alle 20, Gerö par­la: par­la da buro­cra­te qua­le egli è, ser­vi­le ver­so i suoi padro­ni, arro­gan­te coi lavo­ra­to­ri. Cer­to rico­no­sce che il par­ti­to ed il gover­no han­no for­se com­piu­to alcu­ni erro­ri. Con­vo­ca cer­to il comi­ta­to cen­tra­le ma per il 31 otto­bre, otto gior­ni dopo: tan­ta acqua scor­re­rà sot­to i pon­ti del Danu­bio. Però, più gra­ve anco­ra, non si accon­ten­ta di tem­po­reg­gia­re ma minac­cia e insul­ta: «Chi pre­ten­de che i nostri rap­por­ti eco­no­mi­ci e poli­ti­ci non sono basa­ti sull’uguaglianza men­te spu­do­ra­ta­men­te». Il vec­chio tor­tu­ra­to­re dei rivo­lu­zio­na­ri di Bar­cel­lo­na affer­ma sen­za indu­gi che non vuo­le «immi­schiar­si nel­le que­stio­ni inter­ne polac­che». Par­la di «cana­glie», di «mani­fe­sta­zio­ni nazio­na­li­ste». Doman­da: «Vole­te apri­re la por­ta ai capi­ta­li­sti?». Con­clu­de affer­man­do che le mani­fe­sta­zio­ni di piaz­za «non fer­me­ran­no il par­ti­to e il gover­no nel per­se­gui­men­to degli sfor­zi che por­te­ran­no alla demo­cra­zia socia­li­sta»[13]. Ha par­la­to il buro­cra­te, l’uomo di Mosca: la “desta­li­niz­za­zio­ne” sarà gui­da­ta dagli sta­li­ni­sti; se i lavo­ra­to­ri non sono con­ten­ti, è per­ché sono con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ri e ver­rà loro rispo­sto come con­vie­ne. Gli sgher­ri dell’AVH[14] avreb­be­ro ben pre­sto mostra­to con­cre­ta­men­te la natu­ra del­la san­gui­no­sa rispo­sta di Gerö.

L’AVH spa­ra: è l’inizio dell’insurrezione
Tut­ta Buda­pe­st ave­va ascol­ta­to Gerö. Tut­ta Buda­pe­st si sen­tì insul­ta­ta dal suo discor­so. I lavo­ra­to­ri e gli stu­den­ti, deci­ne di miglia­ia di gio­va­ni e di adul­ti ave­va­no appe­na mani­fe­sta­to con chia­rez­za la loro volon­tà, e Gerö li ave­va insul­ta­ti. Han­no però il con­trol­lo del­la stra­da, lo avver­to­no e sono inten­zio­na­ti a mostrar­lo e ad appro­fit­tar­ne. Nagy, di fron­te al Par­la­men­to, cer­ca di pro­nun­cia­re paro­le di paci­fi­ca­zio­ne, pro­met­te che agi­rà per anti­ci­pa­re la riu­nio­ne del CC. Uno stu­den­te dà una per­so­na­le inter­pre­ta­zio­ne del­la sua tat­ti­ca: «Non è che un pri­va­to cit­ta­di­no e ha pau­ra di pro­nun­ciar­si sul­le nostre riven­di­ca­zio­ni a cau­sa di Gerö»[15]. Una par­te dei gio­va­ni si era già reca­ta pres­so la sede del­la radio per esi­ge­re la dif­fu­sio­ne del­la riso­lu­zio­ne appro­va­ta in Uni­ver­si­tà. Una dele­ga­zio­ne esi­ge­va la let­tu­ra dei “sedi­ci pun­ti” e un «micro­fo­no aper­to in mez­zo alla mani­fe­sta­zio­ne» per con­sen­ti­re al popo­lo di espri­me­re le sue idee. A miglia­ia i mani­fe­stan­ti si era­no diret­ti ver­so la piaz­za dove si erge­va la gigan­te­sca sta­tua di Sta­lin e ini­zia­va­no ad appli­ca­re il loro pro­gram­ma but­tan­do­la giù. Sic­co­me la dele­ga­zio­ne – accom­pa­gna­ta da Péter Erdös del cir­co­lo Petö­fi – tar­da ad usci­re dal palaz­zo del­la radio, l’ansia si impa­dro­ni­sce dei loro com­pa­gni fer­mi davan­ti alla por­ta: for­se i dele­ga­ti sono sta­ti arrestati?
Il discor­so di Gerö pro­du­ce l’effetto dell’olio get­ta­to sul fuo­co, con­fer­man­do le pau­re dei più pes­si­mi­sti. I gio­va­ni mani­fe­stan­ti ini­zia­no a sfon­da­re le por­te per libe­ra­re i loro com­pa­gni. Nel­la con­fu­sio­ne che si gene­ra par­to­no i pri­mi spa­ri. Gli uomi­ni dell’AVH appo­sta­ti nel­le vici­nan­ze del palaz­zo spa­ra­no: ci sono tre mor­ti … È un gio­va­ne archi­tet­to a par­la­re, era tra i mani­fe­stan­ti: «Fu il col­po fina­le. Nel­la mas­sa alcu­ni ave­va­no del­le cara­bi­ne pre­ce­den­te­men­te pre­se ad alcu­ni uffi­cia­li del­la MOHOSZ (“Fede­ra­zio­ne unghe­re­se dei volon­ta­ri del­la dife­sa”, un’organizzazione spor­ti­va para­mi­li­ta­re soste­nu­ta dal par­ti­to). Rispo­se­ro al fuo­co dell’AVH come meglio pote­ro­no. Fu allo­ra che mol­ti camion e car­ri arma­ti si mos­se­ro da Buda ma né gli uffi­cia­li né i sol­da­ti spa­ra­ro­no sul popo­lo. Non fu dira­ma­to nes­sun ordi­ne e i mili­ta­ri resta­ro­no sui camion. Comin­cia­ro­no a far sci­vo­la­re le loro armi nel­le mani che si pro­trae­va­no ver­so di loro». Più tar­di, in sera­ta, men­tre i com­bat­ti­men­ti con­ti­nua­no, due uffi­cia­li dell’esercito unghe­re­se smon­ta­no da un car­ro e, nell’intenzione chia­ra di inter­por­si, avan­za­no disar­ma­ti ver­so l’immobile del­la radio. Sono abbat­tu­ti dall’AVH.
Le fuci­la­te del­la radio sono la scin­til­la del­la bat­ta­glia gene­ra­le. I lavo­ra­to­ri si arma­no: le cara­bi­ne del­la MOHOSZ e le armi pre­le­va­te dal­le arme­rie ser­vo­no come capi­ta­le di par­ten­za. Si diri­go­no davan­ti alle caser­me. Come a Bar­cel­lo­na nel 1936, sol­da­ti apro­no le por­te degli arse­na­li e dei magaz­zi­ni oppu­re lan­cia­no fuci­li e mitra­glia­tri­ci dal­le fine­stre. Altri por­ta­no in stra­da camion pie­ni di armi e muni­zio­ni e le distri­bui­sco­no. Altro­ve, come alla caser­ma Hadik, i grup­pi di ope­rai che voglio­no armar­si tro­va­no una resi­sten­za sol­tan­to for­ma­le. Si spa­ra dap­per­tut­to nel­le stra­de di Buda­pe­st e com­pa­io­no le pri­me bar­ri­ca­te. Fino­ra l’esercito è rima­sto neu­tra­le ma ora il gover­no gli dà l’ordine di inter­ve­ni­re con­tro gli insor­ti. Il rac­con­to che segue, ripre­so da un testi­mo­ne ingle­se, descri­ve il momen­to alta­men­te dram­ma­ti­co in cui un’unità dell’esercito pas­sa nel­le file del­la rivo­lu­zio­ne: «Le trup­pe del­la Hon­véd­ség[16] ave­va­no pre­so posi­zio­ne in un pun­to stra­te­gi­co, un incro­cio. Una mas­sa d’insorti si era fer­ma­ta a cir­ca 60 metri da quel pun­to e un dia­lo­go si aprì tra loro ed un uffi­cia­le – scam­bio di idee che non era fat­to di insul­ti ma di argo­men­ta­zio­ni poli­ti­che. L’ufficiale, assi­cu­ran­do loro che le riven­di­ca­zio­ni avreb­be­ro otte­nu­to sod­di­sfa­zio­ne, li invi­ta­va ripe­tu­ta­men­te a tor­na­re nel­le loro case. Era evi­den­te che avreb­be fat­to tut­to per evi­ta­re l’uso del­la for­za. Nel lun­go silen­zio duran­te la discus­sio­ne si udì la voce di una don­na che into­na­va l’inno nazio­na­le di Kos­suth. L’effetto fu ful­mi­neo. Tut­ta la mas­sa, ope­rai, tas­si­sti, stu­den­ti e ragaz­zi si tol­se­ro il cap­pel­lo e si mise­ro in ginoc­chio: in un atti­mo tut­ti si era­no mes­si a can­ta­re l’inno con la don­na. I sol­da­ti era­no anch’essi com­mos­si e ter­ri­bil­men­te tesi. Qual­cu­no alzò la ban­die­ra tri­co­lo­re unghe­re­se da cui era sta­ta strap­pa­ta la stel­la ros­sa. I sol­da­ti abban­do­na­ro­no i ran­ghi e cor­se­ro ad unir­si ai mani­fe­stan­ti»[17]. Una don­na che can­ta, uno sco­no­sciu­to che alza una ban­die­ra: un eser­ci­to che si squa­glia sot­to il fuo­co del­la rivo­lu­zio­ne, ope­rai e con­ta­di­ni in divi­sa si uni­sco­no ai loro fra­tel­li di classe …
Men­tre i com­bat­ti­men­ti si ina­spri­sco­no in tut­ta la cit­tà, i dele­ga­ti stu­den­te­schi, incon­tra­ti­si dopo il discor­so di Gerö, deci­do­no di costi­tuir­si in orga­ni­smo per­ma­nen­te. Si for­ma così il Comi­ta­to rivo­lu­zio­na­rio degli stu­den­ti, che vie­ne pre­sie­du­to da un mili­tan­te comu­ni­sta, Ferenc Mérey, pro­fes­so­re di psicologia.
Il comi­ta­to instal­la il suo quar­tier gene­ra­le nel­la Facol­tà di let­te­re e ini­zia a fun­zio­na­re, cen­tra­liz­zan­do le infor­ma­zio­ni, l’attività dei grup­pi arma­ti, l’azione dei grup­pi che con­tat­ta­no i sol­da­ti, dif­fon­den­do i volan­ti­ni, facen­do appel­lo al popo­lo per­ché si uni­sca alla rivo­lu­zio­ne ed alla lot­ta arma­ta con­tro i poli­ziot­ti dell’AVH di Gerö. Infat­ti, con­tro i gio­va­ni e i lavo­ra­to­ri di Buda­pe­st, sono rima­sti solo i dete­sta­ti poli­ziot­ti dell’AVH. Ver­so le 11, Sza­bad Nep, orga­no del par­ti­to, fa usci­re un volan­ti­no per annun­cia­re la riu­nio­ne del CC e dichia­ra: «La reda­zio­ne di Sza­bad Nep assi­cu­ra al par­ti­to e al popo­lo che essa non soster­rà mai quel­li che voglio­no rispon­de­re con le fuci­la­te e il ter­ro­re alla voce e alle richie­ste del popo­lo»[18]. Il comi­ta­to cen­tra­le deli­be­ra. Tut­ta Buda­pe­st si batte.

Combattenti per la libertà e consigli operai

Nel­la not­te tra il 23 ed il 24, men­tre i rivo­lu­zio­na­ri arma­ti attac­ca­no gli Avos dap­per­tut­to, il comi­ta­to cen­tra­le del PC deli­be­ra. Non sap­pia­mo nul­la di pre­ci­so sui suoi dibat­ti­ti, all’infuori del fat­to che vi si sono oppo­ste due ten­den­ze in meri­to al modo più effi­ca­ce per far tor­na­re l’ordine: attra­ver­so la repres­sio­ne bru­ta­le o per mez­zo di alcu­ne con­ces­sio­ni. Cono­scia­mo sol­tan­to le deci­sio­ni adot­ta­te, segna­te dal­la poli­ti­ca di Gerö e dei suoi padro­ni mosco­vi­ti. Poco impor­ta che sia­no sta­te o meno il frut­to di una tele­fo­na­ta con Kru­sciov. È cer­to inve­ce che, com­por­tan­do la deci­sio­ne dell’entrata in sce­na del­le trup­pe rus­se per schiac­cia­re l’insurrezione, esse non pos­so­no esse­re sta­te pre­se sen­za l’accordo di Mosca.

L’astuzia del­la GPU: Nagy sostie­ne l’intervento russo
Men­tre i mili­tan­ti comu­ni­sti di Buda­pe­st spa­ra­no con­tro gli Avos, quan­do solo gli Avos si bat­to­no per difen­de­re dal­la gio­ven­tù rivo­lu­zio­na­ria il dete­sta­to regi­me di Gerö e dei suoi burat­ti­nai del Cre­mi­no, il comi­ta­to cen­tra­le del par­ti­to con­ti­nua ad esse­re lo stru­men­to fida­to del­la GPU. Quan­do le mas­se, arma­te, si sol­le­va­no con­tro il regi­me dei gen­dar­mi e dei buro­cra­ti, l’azione dell’organismo “diri­gen­te” del par­ti­to mostra quan­te illu­sio­ni nutris­se­ro nei suoi con­fron­ti quei comu­ni­sti fidu­cio­si che una sua con­vo­ca­zio­ne anti­ci­pa­ta avreb­be por­ta­to un “cam­bia­men­to di linea” e un “cam­bia­men­to di direzione”.
In segui­to alla defe­zio­ne dell’esercito e del­la poli­zia, la gran­de deci­sio­ne pre­sa in not­ta­ta è l’appello alle trup­pe rus­se per “man­te­ne­re l’ordine” e la pro­cla­ma­zio­ne del­la leg­ge mar­zia­le. I buro­cra­ti del Cre­mi­no e i loro agen­ti dell’apparato unghe­re­se sono deci­si a con­ser­va­re ad ogni costo il con­trol­lo del­la situa­zio­ne e ad affo­ga­re nel san­gue la rivo­lu­zio­ne nascen­te. Dal­le 4.30 del­la mat­ti­na i blin­da­ti sovie­ti­ci si diri­go­no ver­so Buda­pe­st di cui bloc­ca­no le usci­te. I sol­da­ti rus­si sono sta­ti infor­ma­ti di dover anda­re a com­bat­te­re una «con­tro­ri­vo­lu­zio­ne fasci­sta appog­gia­ta dal­le trup­pe occi­den­ta­li»[19]. Gli Avos rice­vo­no rin­for­zi con­si­de­re­vo­li: blin­da­ti, arti­glie­ria e fan­te­ria si river­sa­no nel­la capi­ta­le insorta.
Qual­che ora pri­ma il comi­ta­to cen­tra­le ha deci­so di fare appel­lo a Imre Nagy per for­ma­re un nuo­vo gover­no: Géza Losonc­zy, Ferenc Donáth, Györ­gy Lukács, Zol­tán Szán­tó, tut­ti segua­ci di Nagy, entra­no nel CC. Donáth, Nagy, Szán­tó diven­ta­no mem­bri del nuo­vo Polit­bu­ro di 11 mem­bri da cui sono sta­ti allon­ta­na­ti alcu­ni sta­li­ni­sti più noti. Ma nul­la di essen­zia­le è cam­bia­to. Gerö man­tie­ne la cari­ca di segre­ta­rio gene­ra­le del par­ti­to non­ché il con­trol­lo dell’apparato. I comu­ni­sti oppo­si­to­ri sono sem­pli­ci ostag­gi in seno alla nuo­va dire­zio­ne. Imre Nagy è la coper­tu­ra all’ombra del­la qua­le Gerö, padro­ne dell’apparato, con­ti­nua a por­ta­re avan­ti la poli­ti­ca dei buro­cra­ti del Cre­mi­no. Ma c’è di più: il decre­to che isti­tui­sce la leg­ge mar­zia­le e l’appello alle trup­pe rus­se sono deci­sio­ni che si sup­po­ne sia­no sta­te pre­se dal nuo­vo gover­no Nagy. Nagy ha le mani lega­te, lega­te nel san­gue dei lavo­ra­to­ri. È in suo nome che rus­si ed Avos si appre­sta­no a mitra­glia­re gli insor­ti che han­no chie­sto e chie­do­no anco­ra la sua asce­sa al pote­re. Il desti­no dei soste­ni­to­ri del­la “rifor­ma” del par­ti­to si deli­nea: la buro­cra­zia si ser­ve del­la loro popo­la­ri­tà per diso­rien­ta­re e disar­ma­re i rivo­lu­zio­na­ri; ostag­gi dell’apparato, por­ta­no assie­me ad esso la respon­sa­bi­li­tà dei suoi crimini.

Nagy par­la
Imre Nagy, che ave­va rifiu­ta­to di pren­de­re la paro­la alla mani­fe­sta­zio­ne del­la mat­ti­na del 23, che ave­va rifiu­ta­to di par­la­re – mal­gra­do l’intervento insi­sten­te del suo ami­co Géza Losonc­zy – la sera del 23 per lan­cia­re un appel­lo alla cal­ma, que­sta vol­ta è invi­ta­to a par­la­re dagli stes­si diri­gen­ti, dal comi­ta­to cen­tra­le. Su richie­sta del Polit­bu­ro, in tar­da sera­ta, ha cer­ca­to di arrin­ga­re i mani­fe­stan­ti che sta­zio­na­va­no davan­ti al Par­la­men­to, in piaz­za Kos­suth, pri­ma di recar­si al palaz­zo del comi­ta­to cen­tra­le dove è infor­ma­to del­la deci­sio­ne che lo riguar­da­va pre­sa nel frat­tem­po. Quel palaz­zo, cir­con­da­to di car­ri arma­ti rus­si, Nagy non lo abban­do­ne­rà per diver­si gior­ni, iso­la­to mate­rial­men­te non solo dal­la real­tà, di fron­te al movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio che debor­da, dal­la repres­sio­ne che lo col­pi­sce in suo nome, ma anche dai suoi ami­ci che riu­sci­ran­no a ripren­de­re con­tat­to con lui solo alcu­ni gior­ni dopo, mesco­lan­do­si alle dele­ga­zio­ni ope­ra­ie che Nagy sarà auto­riz­za­to a ricevere.
Eppu­re, nel cor­so del­la not­te, all’indomani del­la sua “nomi­na”, sul­le onde di Radio Kos­suth Buda­pe­st, egli si rivol­ge al popo­lo unghe­re­se: «Su ordi­ne del comi­ta­to cen­tra­le, sono sta­to nomi­na­to pre­si­den­te del Con­si­glio. Unghe­re­si, ami­ci e com­pa­gni, vi par­lo in un’ora gra­ve … pos­so garan­tir­vi che ho la pos­si­bi­li­tà di rea­liz­za­re il mio pro­gram­ma poli­ti­co basa­to sul popo­lo unghe­re­se gui­da­to dal par­ti­to comu­ni­sta … Sono pre­si­den­te del Con­si­glio ed avre­mo pre­sto la pos­si­bi­li­tà di rea­liz­za­re la demo­cra­zia in tut­to il pae­se. Pre­go tut­ti gli uomi­ni e le don­ne ed ogni gio­va­ne di non per­de­re la testa»[20]. La bat­ta­glia con­ti­nua e si esten­de sen­za tre­gua. La radio lan­cia appel­li impau­ri­ti agli ope­rai, agli stu­den­ti, ai gio­va­ni. Ai micro­fo­ni di Radio Kos­suth pas­sa­no rap­pre­sen­tan­ti del­la Chie­sa, dei vec­chi par­ti­ti, come il “pic­co­lo pro­prie­ta­rio” Zol­tan Til­dy, il social­de­mo­cra­ti­co Sza­ka­si­ts, dei sin­da­ca­ti. I diri­gen­ti del cir­co­lo Petö­fi dichia­ra­no di non aver volu­to il “bagno di san­gue” e chie­do­no ai gio­va­ni di get­ta­re le armi. Il gover­no pro­met­te un’amnistia com­ple­ta a chi abban­do­ne­rà le armi pri­ma del­le ore 14. Poi ven­go­no con­ces­se nuo­ve sca­den­ze e si alter­na­no pro­mes­se e minac­ce. La radio dif­fon­de gli appel­li del­le madri ai figli com­bat­ten­ti, invi­ta ad apri­re le fine­stre per­ché gli insor­ti pos­sa­no ascol­ta­re dal­la stra­da le pro­mes­se che il gover­no fa alla radio. Nes­su­na mano­vra modi­fi­ca alcun­ché. Tut­ta Buda­pe­st si batte.

Quel­li che si bat­to­no: gli operai
Le tra­smis­sio­ni di Buda­pe­st su Radio Kos­suth e Radio Petö­fi sono signi­fi­ca­ti­ve: il gros­so dei com­bat­ti­men­ti si svol­ge attor­no alle fab­bri­che. I loro nomi tor­na­no in tut­ti gli appel­li ed i comu­ni­ca­ti gover­na­ti­vi: Cse­pel, Cse­pel-la-Ros­sa, le fab­bri­che di Ganz, Lang, le fab­bri­che “Kle­ment Gott­wald”, “Jac­ques Duclos”, i quar­tie­ri di Ujpe­st, Angya­fold. I quar­tie­ri pro­le­ta­ri sono i bastio­ni dell’insurrezione. Come dichia­ra ad un cor­ri­spon­den­te dell’Obser­ver un “com­bat­ten­te del­la liber­tà” rifu­gia­to in Austria: «Gli stu­den­ti han­no comin­cia­to la lot­ta ma, quan­do si è svi­lup­pa­ta, non ave­va­no né il nume­ro né la capa­ci­tà di bat­ter­si così dura­men­te come i gio­va­ni ope­rai»[21]. Lascia­mo la paro­la a uno di loro, 21 anni, che rac­con­ta le vicen­de di mer­co­le­dì vis­su­te nel­la sua fab­bri­ca di Ujpe­st: «Mer­co­le­dì mat­ti­na (24 otto­bre) è ini­zia­ta la rivol­ta nel­la nostra fab­bri­ca. Era spon­ta­nea e non orga­niz­za­ta. Se fos­se sta­ta orga­niz­za­ta, l’AVH avreb­be sapu­to e l’avrebbe schiac­cia­ta pri­ma che esplo­des­se. I gio­va­ni ope­rai han­no rot­to il ghiac­cio e gli altri li han­no segui­ti … Di soli­to ini­zia­mo il tur­no di lavo­ro alle set­te. Chi di noi vie­ne in tre­no dai quar­tie­ri peri­fe­ri­ci aspet­ta l’arrivo degli altri ope­rai in fab­bri­ca. Appe­na pri­ma del­le 7.00, un camion cari­co di gio­va­ni ope­rai arma­ti è arri­va­to davan­ti alla por­ta. Quan­do uno di loro ha ini­zia­to a spa­ra­re con­tro la stel­la ros­sa al di sopra del­la fab­bri­ca un mem­bro dell’amministrazione ha dato l’ordine di chiu­de­re le por­te. Era­va­mo divi­si in due grup­pi, quel­li all’interno e quel­li all’esterno. Noi che era­va­mo den­tro abbia­mo sfon­da­to le por­te del loca­le del­la Mohosz e pre­so le cara­bi­ne. Una respon­sa­bi­le comu­ni­sta, una don­na, ha cer­ca­to di fer­mar­ci piaz­zan­do una guar­dia davan­ti alle armi. Non pote­va fun­zio­na­re per­ché tut­ti – com­pre­si i capi­re­par­to – era­no uni­ti. Sia­mo usci­ti dal­la fab­bri­ca coi fuci­li ed abbia­mo mar­cia­to ver­so la cit­tà. Quan­do abbia­mo ini­zia­to la nostra azio­ne non ave­va­mo con­tat­ti con nes­su­no. Non ave­va­mo col­le­ga­men­ti con nes­su­na fab­bri­ca. Però, men­tre avan­za­va­mo, era­va­mo rag­giun­ti da altri ope­rai, sem­pre più nume­ro­si, alcu­ni in armi. All’angolo di via Rakoc­zih, uno stu­den­te uni­ver­si­ta­rio ha comin­cia­to ad orga­niz­zar­ci in pic­co­li grup­pi ed a spie­gar­ci le paro­le d’ordine che biso­gna­va lan­cia­re»[22].
Si for­gia­va così, nel­le stra­de, la fusio­ne dei gio­va­ni com­bat­ten­ti rivo­lu­zio­na­ri. Con­tem­po­ra­nea­men­te, il Comi­ta­to rivo­lu­zio­na­rio degli stu­den­ti, diven­ta­to “Comi­ta­to rivo­lu­zio­na­rio degli stu­den­ti in armi”, si allar­ga­va. Un posti­no del comi­ta­to rac­con­ta: «All’inizio era for­ma­to da stu­den­ti del­le scuo­le di eccel­len­za e dell’università ma in segui­to vi entra­ro­no sol­da­ti e gio­va­ni ope­rai. Pen­so che tut­ti fos­se­ro elet­ti da comi­ta­ti di base, a loro vol­ta espres­sio­ne di sin­go­le orga­niz­za­zio­ni di stu­den­ti, ope­rai e sol­da­ti»[23]. Pare che nel­le pri­me ore del­la mat­ti­na­ta l’Accademia Kos­suth, scuo­la mili­ta­re con 800 allie­vi, si sia uni­ta all’insurrezione, coi suoi qua­dri tec­ni­ci e le sue armi.

25 otto­bre: le fuci­la­te davan­ti al Parlamento
Le fuci­la­te in piaz­za del Par­la­men­to ci sono sta­te gio­ve­dì. Que­sto epi­so­dio dimo­stra­va ai lavo­ra­to­ri di Buda­pe­st anco­ra esi­tan­ti, con chia­rez­za e in modo defi­ni­ti­vo, che per otte­ne­re la rea­liz­za­zio­ne del­le loro riven­di­ca­zio­ni non c’era alter­na­ti­va alla lot­ta rivo­lu­zio­na­ria arma­ta, e che depor­re le armi sareb­be sta­to un sui­ci­dio a favo­re di Gerö. Miglia­ia di ope­rai e stu­den­ti disar­ma­ti si reca­ro­no in piaz­za del Par­la­men­to per esi­ge­re la depo­si­zio­ne di Gerö, la libe­ra­zio­ne dei loro diri­gen­ti arre­sta­ti a par­ti­re dal 23 e un incon­tro imme­dia­to con Imre Nagy. In piaz­za i gio­va­ni accer­chia­va­no i car­ri arma­ti rus­si fra­ter­niz­zan­do coi sol­da­ti. Gli Avos, nasco­sti sui tet­ti del palaz­zo del mini­ste­ro degli Inter­ni, di fron­te al Par­la­men­to, apri­ro­no il fuo­co. Anche i blin­da­ti ini­zia­ro­no a spa­ra­re; così, i mani­fe­stan­ti si tro­va­ro­no pre­si tra due fuo­chi e tre­cen­to cada­ve­ri resta­ro­no sul ter­re­no. Pro­prio in quel momen­to alla radio, il capo del futu­ro gover­no – Nagy sen­za pote­re, Nagy ostag­gio dell’apparato, Nagy pri­gio­nie­ro – mol­ti­pli­ca­va gli appel­li alla cal­ma ed alla resa … Por­tan­do sul­le spal­le i cada­ve­ri dei loro com­pa­gni, bran­den­do ban­die­re impre­gna­te del loro san­gue, quel­li che riu­sci­ro­no a sfug­gi­re si spar­se­ro per tut­ta la cit­tà al gri­do di «ucci­do­no gli ope­rai»[24]. Non era più pos­si­bi­le dubi­ta­re, ormai: agli occhi dei gio­va­ni rivo­lu­zio­na­ri di Buda­pe­st era chia­ro che Nagy era sen­za pote­re, fos­se o meno pri­gio­nie­ro, ed altre­sì che Gerö dete­ne­va il pote­re rea­le e, die­tro di lui, i rus­si, e, non ulti­mo, che ci si dove­va bat­te­re, qual­sia­si cosa Nagy affer­mas­se, con­tro gli Avos ed i rus­si. Nien­te sin­te­tiz­za meglio que­sto sta­to d’animo che il volan­ti­no dif­fu­so nel pome­rig­gio, dopo il mas­sa­cro, fir­ma­to “Gli stu­den­ti e gli ope­rai rivo­lu­zio­na­ri”: «Chia­mia­mo tut­ti gli unghe­re­si allo scio­pe­ro gene­ra­le. Fin­ché il gover­no non sod­di­sfa le nostre riven­di­ca­zio­ni, fin­ché gli assas­si­ni non sono chia­ma­ti a ren­de­re con­to, rispon­de­re­mo al gover­no con lo scio­pe­ro gene­ra­le. Viva il nuo­vo gover­no sot­to la dire­zio­ne di Imre Nagy!»[25]. Nel­lo stes­so fran­gen­te, in nome del gover­no, Radio Kos­suth pro­cla­ma­va che lo scio­pe­ro sareb­be sta­to un atto controrivoluzionario …
In nome del Comi­ta­to rivo­lu­zio­na­rio degli stu­den­ti sono stam­pa­ti e distri­bui­ti ai sol­da­ti sovie­ti­ci 100.000 volan­ti­ni in lin­gua rus­sa. Que­sti volan­ti­ni dico­no ai sol­da­ti dell’Armata Ros­sa che sono sta­ti chia­ma­ti a inter­ve­ni­re con­tro i lavo­ra­to­ri, i gio­va­ni ed i sol­da­ti unghe­re­si, i qua­li non sono né rea­zio­na­ri né con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ri né fasci­sti ma com­bat­to­no per il socia­li­smo democratico.
«Non spa­ra­te con­tro di noi, non spa­ra­te sui vostri fra­tel­li di clas­se!» con­clu­de­va il volantino.

Nuo­ve concessioni
Di fron­te alla nuo­va fiam­ma­ta di col­le­ra sca­te­na­ta dal mas­sa­cro del­la piaz­za del Par­la­men­to, di fron­te allo scio­pe­ro gene­ra­le insur­re­zio­na­le este­so a tut­to il pae­se, l’apparato deci­de di orien­tar­si a nuo­ve con­ces­sio­ni. La deci­sio­ne peral­tro non è pre­sa in auto­no­mia ma in segui­to a discus­sio­ni ser­ra­te con due emis­sa­ri del gover­no di Mosca, Michail Suslov e Ana­sta­se Mikoyan, pre­ci­pi­ta­ti­si in Unghe­ria per cer­ca­re di sal­va­re una situa­zio­ne ai loro occhi com­pro­mes­sa dagli erro­ri di Gerö. Men­tre nuo­vi ter­mi­ni ven­go­no accor­da­ti agli insor­ti per­ché depon­ga­no le armi, quest’ultimo, eso­ne­ra­to dal suo inca­ri­ca­to di segre­ta­rio gene­ra­le del par­ti­to, con­ser­va anco­ra per set­ti­ma­ne il suo uffi­cio … Jánós Kádár è nomi­na­to al suo posto.
Kádár è popo­la­re: vec­chio mili­tan­te ope­ra­io, ha lot­ta­to in Unghe­ria duran­te la guer­ra, nel­la clan­de­sti­ni­tà, men­tre Ráko­si e Gerö era­no a Mosca. Benin­te­so, Rajk è sta­to tor­tu­ra­to e assas­si­na­to men­tre era mini­stro degli Inter­ni, ma poi Kádár è sta­to a sua vol­ta arre­sta­to e tor­tu­ra­to con fero­cia in base all’accusa di “titi­smo”. Ria­bi­li­ta­to in tem­pi recen­ti, si è bat­tu­to per la “rifor­ma” del par­ti­to ripar­ten­do da un quar­tie­re ope­ra­io di Buda­pe­st dove è sta­to nomi­na­to segre­ta­rio loca­le. Eppu­re ha accet­ta­to di par­te­ci­pa­re al gover­no Hege­düs, dopo il crol­lo di Ráko­si, ed ha accom­pa­gna­to Gerö a Bel­gra­do. Kádár par­la alla radio gio­ve­dì 25 otto­bre: «Sono sta­to nomi­na­to in un momen­to reso mol­to dif­fi­ci­le da un’accozzaglia di sog­get­ti che han­no lavo­ra­to con­tro di noi. Il gover­no e il par­ti­to han­no deci­so che dob­bia­mo scon­fig­ge­re quest’accozzaglia con ogni mez­zo a nostra dispo­si­zio­ne … Fac­cia­mo appel­lo agli ope­rai e ai gio­va­ni per­ché sosten­ga­no il nostro pun­to di vista»[26]. Non è con­vin­cen­te. Par­lan­do anco­ra alla vigi­lia di “con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ri” in lot­ta con­tro il «pote­re del­la clas­se ope­ra­ia», minac­cian­do «i pro­vo­ca­to­ri che lavo­ra­no nell’ombra», salu­tan­do «gli allea­ti e fra­tel­li sovie­ti­ci», e sot­to­li­nean­do oggi che «la dire­zio­ne del par­ti­to ha pre­so posi­zio­ne all’unanimità riguar­do alla neces­si­tà di usa­re ogni mez­zo per stron­ca­re l’aggressione arma­ta con­tro il pote­re del­la nostra repub­bli­ca popo­la­re», sen­za nep­pu­re men­zio­na­re le riven­di­ca­zio­ni degli insor­ti, pre­sen­ta a chi lo ascol­ta una ver­sio­ne appe­na più atte­nua­ta del­le minac­ce di Gerö che han­no susci­ta­to la sol­le­va­zio­ne. Imre Nagy, inve­ce, sem­bra aver affer­ra­to meglio la situa­zio­ne quan­do inter­vie­ne a sua vol­ta alla radio. Il suo discor­so del 25 otto­bre dimo­stra che pare aver com­pre­so la deter­mi­na­zio­ne dei com­bat­ten­ti e la neces­si­tà di fare con­ces­sio­ni poli­ti­che per otte­ne­re la fine dei com­bat­ti­men­ti: «Dichia­ro che il gover­no unghe­re­se intra­pren­de­rà tra poco dei nego­zia­ti con l’Unione Sovie­ti­ca per:

  1. otte­ne­re il riti­ro del­le trup­pe sovie­ti­che dall’Ungheria;
  2. fon­da­re l’amicizia sovie­ti­co-unghe­re­se sul­la base dei prin­ci­pi di ugua­glian­za e di indi­pen­den­za nazionale.

[…] Pro­met­tia­mo di trat­ta­re con magna­ni­mi­tà colo­ro che – gio­va­ni, civi­li e mem­bri dell’esercito – ces­se­ran­no da subi­to di com­bat­te­re … La leg­ge col­pi­rà sol­tan­to chi con­ti­nue­rà …»[27].

Quel­li che si bat­to­no: gli studenti
Oggi sap­pia­mo in che modo si sono bat­tu­ti i gio­va­ni unghe­re­si con­tro i blin­da­ti rus­si. È impor­tan­te chia­ri­re l’atteggiamento dei gio­va­ni “Com­bat­ten­ti per la liber­tà” – nome che si sono dati essi stes­si, mutuan­do­lo dal­la rivo­lu­zio­ne demo­cra­ti­ca e dal­la guer­ra d’indipendenza del 1848. A quell’epoca i “Com­bat­ten­ti per la liber­tà” costi­tui­ro­no l’esercito di Kos­suth, “la Hon­véd­ség”, “l’esercito dei difen­so­ri del­la patria”, per con­tra­sta­re l’invasione del­le arma­te di Jela­chich, degli eser­ci­ti impe­ria­le e zari­sta. Due gio­va­ni, con la loro mitra­gliet­ta – la “chi­tar­ra” – in mano, due stu­den­ti, Fer­kó e Pista, han­no rispo­sto duran­te i com­bat­ti­men­ti di Buda­pe­st alle doman­de di un gior­na­li­sta bri­tan­ni­co che cono­sce­va l’ungherese: «I Com­bat­ten­ti del­la liber­tà, dico­no loro, han­no arre­sta­to tut­ti gli Avos che sono riu­sci­ti a sco­va­re. In que­sta ope­ra­zio­ne mol­ti mem­bri del­la poli­zia poli­ti­ca sono sta­ti ucci­si, ma ben pochi a tito­lo di rap­pre­sa­glia: la mag­gior par­te sono sta­ti ucci­si in azio­ne. L’apparato del par­ti­to è sta­to com­ple­ta­men­te disin­te­gra­to sin dal pri­mo gior­no dell’insurrezione ma non c’è sta­to alcun mas­sa­cro dei qua­dri del par­ti­to. Abbia­mo inva­so i loca­li del par­ti­to, seque­stra­to le armi e det­to a tut­ti di tor­na­re a casa. Ne abbia­mo cat­tu­ra­ti alcu­ni. Mol­ti si sono uni­ti a noi»[28].
Gio­ve­dì il “Comi­ta­to rivo­lu­zio­na­rio degli stu­den­ti in armi”, rap­pre­sen­ta­to dal suo pre­si­den­te Ferenc Mérey, si incon­tra con Nagy[29]. Si man­tie­ne il pro­gram­ma pre­sen­ta­to dagli stu­den­ti alla vigi­lia del­la rivo­lu­zio­ne aggiun­gen­do alcu­ne con­di­zio­ni neces­sa­rie per depor­re le armi: «Gover­no prov­vi­so­rio com­pren­den­te tut­ti i loro diri­gen­ti», «riti­ro imme­dia­to del­le trup­pe rus­se», «pro­ces­so pub­bli­co per i respon­sa­bi­li dei mas­sa­cri», «liber­tà per tut­ti i pri­gio­nie­ri poli­ti­ci», «scio­gli­men­to dell’AVH»[30]. Inol­tre Mérey pre­ci­sa: «Non sia­mo insor­ti per cam­bia­re la base del­la socie­tà unghe­re­se, ma voglia­mo un socia­li­smo e un comu­ni­smo che cor­ri­spon­da­no a ciò che vera­men­te vuo­le l’Ungheria. Su que­sto pun­to sia­mo tut­ti d’accordo»[31].

Quel­li che si bat­to­no: l’esercito
Dal­la sera del 24 non c’è più nes­su­na uni­tà mili­ta­re unghe­re­se che obbe­di­sca al gover­no. Non ce n’è nean­che una che com­bat­ta con­tro gli insor­ti al fian­co degli Avos e dei rus­si. Il 25 otto­bre mol­te acca­de­mie mili­ta­ri, dopo aver costi­tui­to comi­ta­ti rivo­lu­zio­na­ri di uffi­cia­li e sol­da­ti, si bat­to­no con gli insor­ti con­tro gli Avos. Una di esse strap­pa alla poli­zia poli­ti­ca il palaz­zo del­la stam­pe­ria del gior­na­le dell’esercito. Nel­la sera­ta del 25 camio­net­te mili­ta­ri dif­fon­do­no il seguen­te volantino:

«Giu­ria­mo davan­ti ai cada­ve­ri dei nostri mar­ti­ri che in que­ste ore cri­ti­che con­qui­ste­re­mo la liber­tà per il nostro pae­se. I diri­gen­ti del par­ti­to e del gover­no si sono pre­oc­cu­pa­ti sol­tan­to di con­ser­va­re il loro pote­re. Che dire­zio­ne poli­ti­ca è quel­la che pren­de misu­re timi­de sol­tan­to sot­to la pres­sio­ne del­le masse?
I loro atti arbi­tra­ri ci sono costa­ti trop­pi sacri­fi­ci in que­sti ulti­mi die­ci anni. Ora han­no chia­ma­to l’esercito sovie­ti­co con l’obiettivo di repri­me­re il popo­lo ungherese.
Cit­ta­di­ni, noi chiediamo:

  1. Un nuo­vo eser­ci­to rivo­lu­zio­na­rio prov­vi­so­rio e un nuo­vo gover­no nazio­na­le rivo­lu­zio­na­rio prov­vi­so­rio, in cui sia­no inclu­si i diri­gen­ti del­la gio­ven­tù insorta.
  2. L’abolizione imme­dia­ta del­la leg­ge marziale.
  3. L’annullamento imme­dia­to del Pat­to di Var­sa­via ed il riti­ro imme­dia­to e paci­fi­co del­le trup­pe sovie­ti­che dal­la nostra patria.
  4. La testa dei veri respon­sa­bi­li del bagno di san­gue, la libe­ra­zio­ne dei pri­gio­nie­ri poli­ti­ci e un’amnistia generalizzata.
  5. Una base auten­ti­ca­men­te demo­cra­ti­ca per il socia­li­smo unghe­re­se; nel frat­tem­po l’esercito unghe­re­se por­te­rà la respon­sa­bi­li­tà per il man­te­ni­men­to dell’ordine ed il disar­mo del­la poli­zia poli­ti­ca, l’AVH».

Lo stes­so volan­ti­no pro­se­gue affer­man­do che «i com­pa­gni Imre Nagy e Jánós Kádár sono mem­bri del nuo­vo gover­no rivo­lu­zio­na­rio dell’esercito»[32], con­fer­man­do anco­ra una vol­ta la volon­tà dei rivo­lu­zio­na­ri di dis­so­cia­re Nagy dall’apparato.

La pro­vin­cia: scio­pe­ro gene­ra­le e nasci­ta dei con­si­gli operai
A Buda­pe­st le orga­niz­za­zio­ni stu­den­te­sche era­no il moto­re dell’agitazione poli­ti­ca. È al loro comi­ta­to rivo­lu­zio­na­rio che si sono uni­te le dele­ga­zio­ni ope­ra­ie che si sono lan­cia­te nel­la bat­ta­glia. In pro­vin­cia la rivo­lu­zio­ne è ini­zia­ta con uno scio­pe­ro gene­ra­le insur­re­zio­na­le sca­te­na­to dall’intervento rus­so. La rivo­lu­zio­ne ha imme­dia­ta­men­te pre­so la for­ma di con­si­gli ope­rai che han­no pre­so il pote­re. Così, per la pri­ma vol­ta dopo alcu­ni decen­ni, i lavo­ra­to­ri unghe­re­si, in lot­ta con­tro la buro­cra­zia, ritro­va­va­no spon­ta­nea­men­te le for­me di orga­niz­za­zio­ne e di pote­re pro­le­ta­rie. Ritro­va­va­no la tra­di­zio­ne dei soviet (la paro­la rus­sa che signi­fi­ca con­si­glio) del 1905 e del 1917 ed anche del­la pri­ma Repub­bli­ca unghe­re­se dei con­si­gli (mar­zo 1919). I con­si­gli, elet­ti dal bas­so, con dele­ga­ti revo­ca­bi­li in ogni momen­to e respon­sa­bi­li davan­ti alla pro­pria base, sono la rea­liz­za­zio­ne auten­ti­ca e con­cre­ta del­la demo­cra­zia pro­le­ta­ria e del pote­re degli ope­rai arma­ti. Per descri­ve­re i con­si­gli unghe­re­si pos­sia­mo ripren­de­re un pas­sag­gio di Tro­tsky sul soviet di Pie­tro­gra­do del 1905:

«Il soviet è il pote­re orga­niz­za­to del­la stes­sa mas­sa, al di sopra di tut­te le sue fra­zio­ni. È la demo­cra­zia auten­ti­ca e non fal­si­fi­ca­ta, sen­za le due Came­re, sen­za buro­cra­zia di mestie­re ma che garan­ti­sce agli elet­to­ri di sosti­tui­re, quan­do lo deci­do­no, i depu­ta­ti da loro elet­ti. Il soviet, per mez­zo dei suoi mem­bri, attra­ver­so i depu­ta­ti che gli ope­rai han­no elet­to, pre­sie­de diret­ta­men­te a tut­te le atti­vi­tà socia­li del pro­le­ta­ria­to nel suo insie­me o nei suoi grup­pi, orga­niz­za la sua azio­ne, gli dà una paro­la d’ordine ed una ban­die­ra».

Il Con­si­glio di Miskolc
Situa­ta nel­la regio­ne nord‑occidentale dell’Ungheria, nel­la zona indu­stria­le di Bor­sod, vici­no alle minie­re di car­bo­ne e alle accia­ie­rie, nel cuo­re dell’industria side­rur­gi­ca e metal­mec­ca­ni­ca, Miskolc, cit­tà di 100.000 abi­tan­ti, è la pri­ma ad annun­cia­re la costi­tu­zio­ne di un con­si­glio ope­ra­io. Nel­la not­te tra il 24 e il 25 otto­bre, gli insor­ti, padro­ni del­la radio, annun­cia­no che han­no pre­so il pote­re ed esi­go­no un «nuo­vo gover­no nel­lo spi­ri­to di Bela Kun e Lász­ló Rajk»[33]. Il rife­ri­men­to a que­sti due diri­gen­ti comu­ni­sti, entram­bi assas­si­na­ti da Sta­lin – Kun pre­si­den­te nel 1919 del­la Repub­bli­ca dei con­si­gli assas­si­na­to duran­te i pro­ces­si di Mosca, Rajk impic­ca­to in quan­to “titi­sta” nel 1949 – è signi­fi­ca­ti­va dell’orientamento poli­ti­co del movi­men­to. Il 25 otto­bre i Comi­ta­ti ope­rai del­le fab­bri­che han­no elet­to un con­si­glio ope­ra­io del­la cit­tà, il cui pro­gram­ma è dif­fu­so dal­la radio loca­le: «Noi chie­dia­mo che ai posti di mag­gior respon­sa­bi­li­tà del par­ti­to e del­lo Sta­to sia­no mes­si dei comu­ni­sti devo­ti al prin­ci­pio dell’internazionalismo pro­le­ta­rio, che sia­no innan­zi tut­to unghe­re­si e rispet­ti­no le nostre tra­di­zio­ni nazio­na­li ed il nostro pas­sa­to mil­le­na­rio. Chie­dia­mo l’apertura di un’inchiesta sull’istituzione che garan­ti­sce la sicu­rez­za del­lo Sta­to (l’AVH) e l’eliminazione di tut­ti quel­li che, diri­gen­ti o fun­zio­na­ri, sia­no in qual­che misu­ra com­pro­mes­si. Chie­dia­mo che i cri­mi­ni di Far­kas e dei suoi sgher­ri sia­no inda­ga­ti in un pro­ces­so pub­bli­co davan­ti a un tri­bu­na­le indi­pen­den­te, anche qua­lo­ra si doves­se­ro chia­ma­re in cau­sa alti diri­gen­ti. Chie­dia­mo che i respon­sa­bi­li del­la cat­ti­va dire­zio­ne e ammi­ni­stra­zio­ne del pia­no eco­no­mi­co sia­no subi­to sosti­tui­ti. Chie­dia­mo un aumen­to dei sala­ri rea­li. Voglia­mo otte­ne­re la garan­zia che il Par­la­men­to non resti anco­ra a lun­go una mac­chi­na del voto, coi par­la­men­ta­ri ridot­ti a mero pez­zo di quell’ingranaggio»[34]. Il 25 il con­si­glio ope­ra­io e il “par­la­men­to stu­den­te­sco” pren­do­no il pote­re nell’agglomerazione urba­na di Miskolc e dall’indomani l’autorità del con­si­glio ope­ra­io è rico­no­sciu­ta in tut­ta la pro­vin­cia di Borsod.
Il 26 Rudolf Föld­va­ri, segre­ta­rio regio­na­le del PC, mem­bro del con­si­glio ope­ra­io, dichia­ra a Radio Miskolc che il gover­no Nagy ha accet­ta­to le riven­di­ca­zio­ni del Con­si­glio. Miskolc fa appel­lo ai lavo­ra­to­ri del­la regio­ne per­ché eleg­ga­no con­si­gli in tut­te le fab­bri­che sen­za con­si­de­ra­re l’affiliazione poli­ti­ca dei can­di­da­ti[35]. Lo stes­so gior­no si for­ma, attra­ver­so la fede­ra­zio­ne dei con­si­gli loca­li, il con­si­glio ope­ra­io del­la pro­vin­cia di Bor­sod. Il con­si­glio ope­ra­io con­trol­la la regio­ne. La sua dele­ga­zio­ne a Buda­pe­st recla­ma da Nagy: aumen­to imme­dia­to dei sala­ri, del­le pen­sio­ni e degli asse­gni fami­lia­ri, la fine del rial­zo dei prez­zi, l’abolizione del­la tas­sa sul­le fami­glie sen­za bam­bi­ni, il pro­ces­so a Far­kas e un par­la­men­to che non sia un’assemblea di “yes‑men”, il riti­ro del­le trup­pe sovie­ti­che e la pub­bli­ca­zio­ne del Trat­ta­to di com­mer­cio sovie­ti­co-unghe­re­se, la cor­re­zio­ne degli “erro­ri” del pia­no eco­no­mi­co[36]. La mat­ti­na del 28 la radio annun­cia che i con­si­gli ope­rai han­no sciol­to tut­te le orga­niz­za­zio­ni comu­ni­ste del­la regio­ne di Bor­sod. Nel­le cam­pa­gne i con­ta­di­ni, sot­to­po­sti a una col­let­ti­viz­za­zio­ne for­za­ta, han­no cac­cia­to i respon­sa­bi­li dei Kol­koz e han­no pro­ce­du­to alla distri­bu­zio­ne del­le ter­re. I con­si­gli ope­rai appro­va­no la loro azio­ne[37]. Pri­mo a costi­tuir­si, il Con­si­glio ope­ra­io di Miskolc è con­sa­pe­vo­le del­le pro­prie respon­sa­bi­li­tà. Cer­ca di esten­de­re a tut­to il pae­se ciò che ha sta­bi­li­to nel­la regio­ne di Bor­sod, il pote­re dei con­si­gli. Il 28 Radio Miskolc «chie­de ai con­si­gli ope­rai del­le cit­tà del­la pro­vin­cia di coor­di­na­re i pro­pri sfor­zi nell’obiettivo di for­gia­re un solo e poten­te movi­men­to»[38]. Vie­ne pro­po­sto come base comu­ne il seguen­te programma:

  1. «Edi­fi­ca­zio­ne di un’Ungheria libe­ra, sovra­na, indi­pen­den­te, demo­cra­ti­ca e socialista.
  2. Una leg­ge che isti­tui­sca ele­zio­ni libe­re a suf­fra­gio universale.
  3. Par­ten­za imme­dia­ta del­le trup­pe sovietiche.
  4. Ela­bo­ra­zio­ne di una Costituzione.
  5. Sop­pres­sio­ne dell’AVH, il gover­no dovrà appog­giar­si su due for­ze in armi: l’esercito nazio­na­le e la polizia.
  6. Amni­stia com­ple­ta per chi ha imbrac­cia­to le armi e pro­ces­so per Gerö e i suoi complici.
  7. Ele­zio­ni libe­re entro due mesi con la par­te­ci­pa­zio­ne di più par­ti­ti»[39].

I con­si­gli di Györ e di Trans­da­ne­lia sono i pri­mi a rispon­de­re all’appello.

Il con­si­glio di Györ
Györ è una cit­tà di 100.000 abi­tan­ti. È la cit­tà del­la gigan­te­sca fab­bri­ca di vago­ni e loco­mo­ti­ve Wilhelm-Pieck (Gyö­ri-Mávag). L’insurrezione ha avu­to ini­zio con uno scio­pe­ro gene­ra­le. La guar­ni­gio­ne rus­sa ha accet­ta­to di buon gra­do di riti­rar­si sen­za com­bat­te­re. Un Comi­ta­to nazio­na­le rivo­lu­zio­na­rio, elet­to nel­le fab­bri­che, diri­ge la regio­ne assie­me ad un Comi­ta­to mili­ta­re ai suoi ordi­ni. Il Comi­ta­to com­pren­de 20 mem­bri di dif­fe­ren­te pro­ve­nien­za poli­ti­ca. Il pre­si­den­te è un metal­mec­ca­ni­co, in pas­sa­to respon­sa­bi­le del par­ti­to social­de­mo­cra­ti­co, Györ­gy Sza­bó, ma la per­so­na­li­tà più in vista è Atti­la Szi­ge­ti, un vec­chio diri­gen­te del Par­ti­to nazio­na­le con­ta­di­no[40], depu­ta­to e ami­co di Imre Nagy. Nel Comi­ta­to si svi­lup­pa anche un’opposizione, diret­ta dal vec­chio sin­da­co del­la cit­tà, Lud­wig Poc­sa, elet­to dal­la fab­bri­ca in cui lavo­ra[41]. Sul­le riven­di­ca­zio­ni imme­dia­te, però, il Comi­ta­to è com­pat­to: esi­ge che sia fis­sa­ta una data per ele­zio­ni libe­re entro 2–3 mesi ed il riti­ro del­le trup­pe rus­se dall’Ungheria[42]. I dele­ga­ti dei mina­to­ri chie­do­no «la garan­zia che l’esercito sovie­ti­co abban­do­ni imme­dia­ta­men­te il pae­se, come pure l’assicurazione che ven­ga­no auto­riz­za­te ele­zio­ni libe­re con la par­te­ci­pa­zio­ne di tut­ti i par­ti­ti»[43]. Radio Györ dichia­ra solen­ne­men­te il 28:

«Agli insor­ti si sono mesco­la­ti ele­men­ti baca­ti con ten­den­ze fasci­ste e con­tro­ri­vo­lu­zio­na­rie. Noi non voglia­mo che ritor­ni il vec­chio siste­ma capi­ta­li­sta; voglia­mo un’Ungheria libe­ra e indi­pen­den­te»[44].

Il Con­si­glio di Sopron
Nel­la cit­ta­di­na indu­stria­le di Sopron, Unghe­ria occi­den­ta­le, il con­si­glio ope­ra­io è sta­to elet­to a scru­ti­nio segre­to nel­le impre­se e nel­la scuo­la fore­sta­le. Il socia­li­sta austria­co Peter Stras­ser ha assi­sti­to alle riu­nio­ni e assi­cu­ra: «Sono deci­sa­men­te con­tra­ri alla restau­ra­zio­ne del vec­chio regi­me di Hor­thy (dit­ta­to­re del pae­se fra le due guer­re mon­dia­li: ndt)»[45]. Il con­si­glio ha orga­niz­za­to il con­trol­lo dell’ordine pub­bli­co median­te la for­ma­zio­ne di pat­tu­glie miste com­po­ste da un ope­ra­io, un sol­da­to e uno stu­den­te[46]. Il con­si­glio ha invia­to in Austria due dele­ga­zio­ni di gio­va­ni comu­ni­sti per svi­lup­pa­re una cam­pa­gna di soli­da­rie­tà orien­ta­ta ver­so il movi­men­to ope­ra­io inter­na­zio­na­le[47].

Il Con­si­glio di Magyarovar
Il Con­si­glio di Magya­ro­var è sta­to anch’esso elet­to a scru­ti­nio segre­to. Com­pren­de 26 mem­bri, tra cui 4 comu­ni­sti, dei sen­za par­ti­to e alcu­ni rap­pre­sen­tan­ti dei vec­chi par­ti­ti rifor­mi­sti, social­de­mo­cra­ti­ci, nazio­nal-con­ta­di­ni e pic­co­li pro­prie­ta­ri. Il suo pre­si­den­te è un ope­ra­io comu­ni­sta, Gera, il qua­le dichia­ra: «Ci sono sostan­zial­men­te due gran­di pro­ble­mi: i rus­si devo­no andar­se­ne e si devo­no tene­re ele­zio­ni demo­cra­ti­che». Allo stu­pi­to gior­na­li­sta ame­ri­ca­no pre­ci­sa: «I comu­ni­sti che sono nel Con­si­glio sono bra­ve per­so­ne. Non oppri­mo­no nes­su­no e il popo­lo unghe­re­se lo sa»[48]. Il pro­gram­ma del Con­si­glio di Magya­ro­var chie­de ele­zio­ni libe­re e demo­cra­ti­che sot­to il con­trol­lo dell’ONU, la liber­tà dei par­ti­ti demo­cra­ti­ci, la liber­tà di stam­pa e di riu­nio­ne, l’indipendenza dei sin­da­ca­ti, la libe­ra­zio­ne dei dete­nu­ti, lo scio­gli­men­to dell’AVH, la par­ten­za dei rus­si, lo scio­gli­men­to del­le azien­de agri­co­le col­let­ti­ve impo­ste con l’uso del­la for­za, la sop­pres­sio­ne del­le dif­fe­ren­ze di clas­se[49].

Il pro­gram­ma dei consigli
Non è pos­si­bi­le con­ti­nua­re oltre misu­ra l’elenco. In ogni cit­tà indu­stria­le dell’Ungheria si sono for­ma­ti con­si­gli ope­rai: a Duna­pen­te­le, la vec­chia Szta­lin­vá­ros, “per­la” dell’industrializzazione del perio­do Ráko­si, a Szol­nok, nodo fer­ro­via­rio del pae­se, a Pécs, nel­le minie­re del sud‑ovest, a Debrec­zen e a Sze­ged. Entro il 1° novem­bre si sono for­ma­ti in tut­to il pae­se, in ogni loca­li­tà, con­si­gli che assu­mo­no il com­pi­to di sal­va­guar­da­re le con­qui­ste socia­li­ste e assi­cu­ra­re il rifor­ni­men­to del­la capi­ta­le in lot­ta. Tut­ti han­no le stes­se carat­te­ri­sti­che: elet­ti dai lavo­ra­to­ri nel vivo del­lo scio­pe­ro gene­ra­le insur­re­zio­na­le, essi garan­ti­sco­no il man­te­ni­men­to dell’ordine e la lot­ta con­tro i rus­si e gli Avos con mili­zie com­po­ste di ope­rai e stu­den­ti arma­ti; han­no sciol­to gli orga­ni­smi del PC ed epu­ra­to le ammi­ni­stra­zio­ni ora sot­to­po­ste alla loro auto­ri­tà. Sono l’espressione del pote­re degli ope­rai in armi. Ecco uno dei tan­ti esem­pi pos­si­bi­li del­lo spi­ri­to del­la popo­la­zio­ne di cui espri­mo­no la volon­tà. Il 29 otto­bre alle 10.20 Radio Györ libe­ra annuncia:

«Comu­ni­chia­mo il mes­sag­gio del­le don­ne del vil­lag­gio Gyir­mot alla radio di Györ libera:
“Le con­ta­di­ne di Gyir­mot fan­no appel­lo alle don­ne dell’area di Györ. Ieri abbia­mo appre­so, da una di noi che tor­na­va dal mer­ca­to di Györ, un fat­to ver­go­gno­so che ci ha disgu­sta­te. Ecco­lo: alcu­ne con­ta­di­ne pre­sen­ti al mer­ca­to, davan­ti alla doman­da smi­su­ra­ta, han­no ven­du­to il lat­te desti­na­to alla distri­bu­zio­ne ordi­na­ria a 6 fio­ri­ni al litro inve­ce di 3. Dun­que, non sol­tan­to esse non han­no adem­piu­to ai loro dove­ri, e ci sarà meno lat­te per gli ope­rai di Györ, ma in più ne han­no appro­fit­ta­to per fare pro­fit­to. Ana­lo­ga­men­te sia­mo scan­da­liz­za­te per l’aumento del prez­zo dell’anatra, ven­du­ta da una con­ta­di­na a 30 fio­ri­ni al chi­lo … Una don­na sif­fat­ta non è un’ungherese!
Don­ne, non per­met­te­te che cose del gene­re pos­sa­no acca­de­re di nuo­vo! Non dimen­ti­ca­te che chi com­pra è il com­bat­ten­te in lot­ta per il nostro futu­ro!”».

Il pro­gram­ma dei con­si­gli, mal­gra­do alcu­ne for­mu­la­zio­ni dif­fe­ren­ti, è straor­di­na­ria­men­te coe­ren­te: tut­ti esi­go­no la par­ten­za imme­dia­ta dei rus­si, lo scio­gli­men­to dell’AVH, la pro­mes­sa di ele­zio­ni libe­re, la liber­tà per i par­ti­ti demo­cra­ti­ci, l’indipendenza dei sin­da­ca­ti e il dirit­to di scio­pe­ro, la liber­tà di stam­pa e di riu­nio­ne, la revi­sio­ne del pia­no e l’aumento dei sala­ri, la liber­tà in cam­po arti­sti­co e cul­tu­ra­le. Tut­ti, per la loro stes­sa esi­sten­za, riven­di­ca­no il dirit­to dell’operaio unghe­re­se di pren­de­re in mano la sua vita. Tut­ti esi­go­no un gover­no rivo­lu­zio­na­rio che inclu­da i rap­pre­sen­tan­ti degli insor­ti. Col loro esem­pio, con la loro azio­ne, sono un peri­co­lo mor­ta­le per la buro­cra­zia come per l’imperialismo. Nell’immediato sono i pri­mi respon­sa­bi­li del­le rivol­te anti­bu­ro­cra­ti­che che si veri­fi­ca­no nell’esercito russo.

L’esercito rus­so si squa­glia al fuo­co del­la rivoluzione
I sol­da­ti rus­si inter­ve­nu­ti con­tro la rivo­lu­zio­ne unghe­re­se, come abbia­mo ricor­da­to, era­no sta­ti pre­ce­den­te­men­te infor­ma­ti che avreb­be­ro com­bat­tu­to una «con­tro­ri­vo­lu­zio­ne fasci­sta appog­gia­ta da trup­pe occi­den­ta­li». Però, di stan­za nel pae­se da mesi, si sono rapi­da­men­te resi con­to del lavo­ro che veni­va loro richie­sto. Non han­no visto eser­ci­ti occi­den­ta­li, non han­no visto fasci­sti o con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ri, ma un inte­ro popo­lo insor­to: ope­rai, stu­den­ti, sol­da­ti. Dal secon­do gior­no dell’insurrezione un cor­ri­spon­den­te bri­tan­ni­co sot­to­li­nea che alcu­ni equi­pag­gi dei car­ri arma­ti han­no tol­to dal­la loro ban­die­ra lo stem­ma sovie­ti­co e si bat­to­no, così, a fian­co dei rivo­lu­zio­na­ri unghe­re­si sot­to la «ban­die­ra ros­sa del comu­ni­smo»[50]. Un testi­mo­ne dichia­ra di aver visto car­ri rus­si unir­si agli insor­ti: «Di soli­to l’equipaggio di un car­ro pren­de­va una deci­sio­ne col­let­ti­va. I sol­da­ti abbas­sa­va­no la ban­die­ra sovie­ti­ca ed issa­va­no al suo posto la ban­die­ra unghe­re­se. Gli unghe­re­si li copri­va­no di fio­ri»[51]. Il 28 otto­bre il gior­na­le dei sin­da­ca­ti unghe­re­si, Népsza­va, esi­ge­va il dirit­to di asi­lo per i sol­da­ti rus­si pas­sa­ti nel­le file dei rivo­lu­zio­na­ri. In altre zone mol­te uni­tà rima­se­ro neu­tra­li; abbia­mo visto la guar­ni­gio­ne di Györ riti­rar­si … Un testi­mo­ne bri­tan­ni­co ha visto nel­la peri­fe­ria di Buda­pe­st insor­ti che por­ta­va­no lat­te negli accam­pa­men­ti rus­si: «Lat­te per i bam­bi­ni rus­si», spie­ga­va­no. «Han­no sti­pu­la­to un accor­do. Ogni gior­no i patrio­ti por­ta­no 50 litri di lat­te per i bam­bi­ni rus­si»[52]. Il fat­to è che i rivo­lu­zio­na­ri unghe­re­si ogni vol­ta che pos­so­no cir­con­da­no i sol­da­ti rus­si, gli mostra­no le loro mani cal­lo­se di ope­rai: «Guar­da le mie mani, com­pa­gno … Sono le mani di un ope­ra­io. Mi sono bat­tu­to con­tro i vostri car­ri. Ho mani da fasci­sta?»[53].
In que­ste con­di­zio­ni, davan­ti alla resi­sten­za deter­mi­na­ta dei rivo­lu­zio­na­ri unghe­re­si, l’utilizzo dell’esercito rus­so per fini repres­si­vi diven­ta­va sem­pre più peri­co­lo­so. La repres­sio­ne ave­va biso­gno di trup­pe fre­sche e sicu­re. Ciò basta a spie­ga­re la svol­ta del 28 otto­bre, quan­do chia­ra­men­te Imre Nagy ha ricon­qui­sta­to la sua liber­tà d’azione e ha smes­so di esse­re un ostag­gio in mano ai rus­si. È nei gior­ni seguen­ti che si con­clu­de­rà la chia­ri­fi­ca­zio­ne poli­ti­ca, men­tre sarà con­fer­ma­to dall’entourage stes­so di Nagy che dal suo arri­vo al “pote­re” egli era sta­to un ostag­gio dei russi.
Il 27, in effet­ti, Imre Nagy rice­ve una dele­ga­zio­ne degli ope­rai di Angyal­föld a cui si sono uni­ti mol­ti dei suoi ami­ci poli­ti­ci, tra cui Miklós Gimes e Józ­sef Szi­lá­gyi, a cui egli garan­ti­sce di non aver fat­to appel­lo alle trup­pe rus­se anche se Gerö – dopo la sua sosti­tu­zio­ne del 25 – ha cer­ca­to di far­gli fir­ma­re un docu­men­to in que­sto sen­so. Nagy inol­tre pro­met­te loro che il gior­no seguen­te, il 28, farà una dichia­ra­zio­ne sul signi­fi­ca­to del­la rivo­lu­zio­ne, «demo­cra­ti­co-nazio­na­le e non con­tro­ri­vo­lu­zio­ne», sul riti­ro del­le trup­pe rus­se da Buda­pe­st e su altre impor­tan­ti misure.

I giorni dell’indipendenza

Il secon­do gover­no Nagy
Il 27, Nagy annun­cia la for­ma­zio­ne di un nuo­vo gover­no desti­na­to a sod­di­sfa­re le riven­di­ca­zio­ni degli insor­ti. I socia­li­sti han­no rifiu­ta­to di par­te­ci­par­vi, ma alcu­ni noti sta­li­ni­sti sono sta­ti mes­si da par­te: Ist­ván Bata, del­la Dife­sa Nazio­na­le, Hege­dus, Dar­vas … Il filo­so­fo Lukács e Geza Losonc­zy sono rico­no­sciu­ti inve­ce come oppo­si­to­ri comu­ni­sti. Il gene­ra­le Káro­ly Jan­za, mili­ta­re di pro­fes­sio­ne, sem­bra sul pun­to di unir­si ai qua­dri diri­gen­ti dell’esercito. Da Béla Kovács e da Zol­tán Til­dy, lea­der dei pic­co­li pro­prie­ta­ri, Nagy senz’altro spe­ra che otter­ran­no l’appoggio dei con­ta­di­ni al suo governo.
Ma sono spe­ran­ze vane. Da par­te degli insor­ti, l’accoglienza è mol­to fred­da. Il 27 otto­bre Radio Miskolc dichia­ra: «Imre Nagy gode oggi del­la fidu­cia del popo­lo. È suf­fi­cien­te? […] Imre Nagy dovreb­be ave­re il corag­gio di sba­raz­zar­si dei poli­ti­can­ti i qua­li non pos­so­no che appog­giar­si sul­le armi, che uti­liz­za­no per oppri­me­re il popo­lo». L’indomani, sul­la stes­sa fre­quen­za, il con­si­glio ope­ra­io di Bor­sod argo­men­ta così: «Imre Nagy ha dichia­ra­to che, duran­te i com­bat­ti­men­ti, si era for­ma­to un gover­no di uni­tà nazio­na­le demo­cra­ti­co, per l’indipendenza ed il socia­li­smo, espres­sio­ne dell’autentica volon­tà popo­la­re. I lavo­ra­to­ri di Bor­sod riten­go­no sia dav­ve­ro l’ora che il gover­no Nagy espri­ma appe­na pos­si­bi­le la volon­tà del popo­lo con atti con­cre­ti. Il gover­no pro­met­te di basar­si sul­la for­za ed il con­trol­lo del popo­lo, e spe­ra di con­qui­sta­re la fidu­cia del popo­lo. La for­za popo­la­re soster­rà Nagy se il suo gover­no pas­sa da subi­to alla rea­liz­za­zio­ne del­le legit­ti­me riven­di­ca­zio­ni del popo­lo, sen­za alcu­na ulte­rio­re esi­ta­zio­ne»[54]. Szi­ge­ti, in nome del con­si­glio di Györ, dichia­ra di con­si­de­ra­re Nagy un patrio­ta ma che alcu­ni mem­bri del suo gover­no sono inac­cet­ta­bi­li[55]. Il por­ta­vo­ce del con­si­glio di Magya­ro­var dichia­ra: «Sia­mo dispo­ni­bi­li ad appog­gia­re il nuo­vo gover­no, ma esso ci deve pri­ma di tut­to dimo­stra­re il suo spi­ri­to per­ché noi gli dia­mo pie­na fidu­cia …»[56]. I Con­si­gli di Debrec­zen e Duna­pen­te­le sosten­go­no il gover­no Nagy ma quel­lo di Sze­ged richie­de a gran voce l’eliminazione del­lo sta­li­ni­sta Antal Apró dal­la com­pa­gi­ne; i fer­ro­vie­ri di Pécs non accet­ta­no Bebrics come mini­stro del­le Comu­ni­ca­zio­ni ed il Con­si­glio Rivo­lu­zio­na­rio dell’Università esi­ge che sia cac­cia­to dal gover­no Ferenc Mün­nich, mini­stro degli Inter­ni, con­si­de­ra­to un agen­te del Cremino.

Le deci­sio­ni del 28 ottobre
Nel­la not­te tra il 27 ed il 28, Imre Nagy ha ripre­so con­tat­to coi rap­pre­sen­tan­ti del “Comi­ta­to rivo­lu­zio­na­rio degli stu­den­ti in armi”, i qua­li man­ten­go­no tut­te le loro riven­di­ca­zio­ni ini­zia­li. Ades­so Nagy le accet­ta, pro­prio come il gior­no pri­ma ave­va accet­ta­to quel­le di Miskolc. Si fis­sa una tre­gua. Il quo­ti­dia­no del PC Sza­bad Nép affer­ma: «Il popo­lo vuo­le ordi­ne e, in pri­mis, la par­ten­za del­le trup­pe sovie­ti­che … Noi voglia­mo una demo­cra­zia unghe­re­se, eco­no­mi­ca­men­te, social­men­te e poli­ti­ca­men­te indi­pen­den­te … Era un giu­sto movi­men­to nazio­na­le». Nagy annun­cia diret­ta­men­te alla radio le ulti­me novi­tà. Egli dichia­ra che il gover­no sovie­ti­co accet­ta di eva­cua­re Buda­pe­st e che ci sono nego­zia­ti per la par­ten­za del­le trup­pe rus­se dall’Ungheria. Nagy rico­no­sce i con­si­gli ope­rai a cui chie­de col­la­bo­ra­zio­ne. L’AVH è sciol­ta. Nasce una nuo­va for­za arma­ta, con un Ese­cu­ti­vo Nazio­na­le: è una sor­ta di mili­zia o guar­dia nazio­na­le dove entre­ran­no, a fian­co del vec­chio eser­ci­to e del­la vec­chia poli­zia, i rivo­lu­zio­na­ri arma­ti, ope­rai e stu­den­ti. Nagy annun­cia anche il rista­bi­li­men­to del­la ban­die­ra nazio­na­le e che il gover­no farà tut­to il pos­si­bi­le per sod­di­sfa­re le riven­di­ca­zio­ni dei rivoluzionari.
I con­si­gli rispon­do­no: quel­lo di Györ doman­da ai con­si­gli del­la regio­ne di desi­gna­re colo­ro che par­te­ci­pe­ran­no alla nuo­va mili­zia[57]. Joszef Kiss, pre­si­den­te del con­si­glio ope­ra­io di Bor­sod, pro­cla­ma a Miskolc: «L’insurrezione nazio­na­le è vit­to­rio­sa, il gover­no sod­di­sfe­rà le nostre richie­ste, non spa­ra­te né con­tro le trup­pe sovie­ti­che né con­tro quel­le gover­na­ti­ve»[58]. Radio Miskolc chia­ma gli insor­ti ad arruo­lar­si nel­la nuo­va mili­zia nazio­na­le. Ma nes­su­no di que­sti con­si­gli vuo­le rico­no­sce­re il gover­no Nagy pri­ma di aver acqui­si­to la cer­tez­za che esso cer­chi vera­men­te di otte­ne­re la par­ten­za dei rus­si. Tut­ti dichia­ra­no che non con­se­gne­ran­no le armi pri­ma dell’evacuazione com­ple­ta del paese.
Nel con­tem­po, da tut­te le regio­ni del pae­se dele­ga­zio­ni dei con­si­gli par­to­no per Buda­pe­st e fan­no sape­re a Nagy le con­di­zio­ni poste dai lavo­ra­to­ri per rico­no­sce­re il suo gover­no. Sono que­sti incon­tri che pro­dur­ran­no, nei gior­ni seguen­ti, le fer­me pre­se di posi­zio­ne da par­te di Nagy. Davan­ti alla scel­ta tra le esi­gen­ze dei rus­si e quel­le degli ope­rai rivo­lu­zio­na­ri, Nagy si ricor­da del­la lezio­ne del­la set­ti­ma­na appe­na tra­scor­sa e sce­glie la rivo­lu­zio­ne, con­tro la buro­cra­zia e l’apparato.

Il pro­ble­ma del­la par­ten­za dei russi
La tre­gua pre­ca­ria con­clu­sa il 26 rischia di fal­li­re. Il coman­do mili­ta­re rus­so, pri­ma di riti­rar­si da Buda­pe­st, esi­ge­va la con­se­gna del­le armi da par­te degli insor­ti. Al rifiu­to oppo­sto da que­sti ulti­mi i com­bat­ti­men­ti ripre­se­ro nel­la not­te tra il 29 e il 30.
Così il 29, alle 20.50, Radio Györ libe­ra proclama:

«Con­tra­ria­men­te all’informazione for­ni­ta da Radio Kos­suth, il popo­lo di Buda­pe­st con­ti­nua la sua lot­ta arma­ta per la libe­ra­zio­ne. Noi, con­si­gli ope­rai dei mina­to­ri di Pécs, Dorog, Tokod, Tata­bá­nya, Tata, Miskolc abbia­mo pre­so le deci­sio­ni seguen­ti: non potre­mo strap­pa­re la nostra riven­di­ca­zio­ne – il riti­ro dei rus­si dal nostro pae­se – che con l’arma del­lo sciopero!
I con­si­gli ope­rai si sono impe­gna­ti, par­lan­do a nome del popo­lo, a sospen­de­re la pro­du­zio­ne di car­bo­ne fin­ché reste­ran­no sol­da­ti rus­si in Unghe­ria! La gio­ven­tù di Györ non ripren­de­rà il lavo­ro pri­ma che l’ultima uni­tà rus­sa abbia abban­do­na­to il nostro paese …
Avan­ti ver­so lo scio­pe­ro per una Unghe­ria libe­ra ed indipendente!».

Infi­ne, i rus­si cedet­te­ro e comin­cia­ro­no il riti­ro men­tre gli insor­ti, sot­to asse­dio dall’inizio del­la rivo­lu­zio­ne, usci­va­no con le loro armi. Fu così che, in par­ti­co­la­re, Buda­pe­st e l’Ungheria conob­be­ro il nome del colon­nel­lo Malé­ter, uffi­cia­le comu­ni­sta che ave­va diret­to per 6 gior­ni i 1200 insor­ti, ope­rai stu­den­ti e sol­da­ti, asse­dia­ti dai rus­si nel­la caser­ma Kilian. Quest’ufficiale, là invia­to per repri­mer­li, era pas­sa­to assie­me ai suoi sol­da­ti dal­la par­te degli insorti.
Allo stes­so tem­po un comu­ni­ca­to gover­na­ti­vo toglie­va dal­le spal­le di Nagy la respon­sa­bi­li­tà per i decre­ti isti­tu­ti­vi del­la leg­ge mar­zia­le e di appel­lo alle trup­pe russe:

«Radio Kos­suth, 30 otto­bre, ore 18.30, comu­ni­ca­to mol­to importante:
Unghe­re­si, la nostra tri­stez­za, la nostra ver­go­gna, il sur­ri­scal­dar­si degli ani­mi era­no pro­vo­ca­ti da due decre­ti che han­no fat­to ver­sa­re il san­gue di cen­ti­na­ia di per­so­ne: il pri­mo, l’appello per l’intervento a Buda­pe­st dell’esercito sovie­ti­co, l’altro, la leg­ge mar­zia­le con­tro i com­bat­ten­ti del­la libertà.
Assu­mia­mo la respon­sa­bi­li­tà di dichia­ra­re davan­ti alla sto­ria che Imre Nagy, pre­si­den­te del con­si­glio dei Mini­stri, non sape­va nul­la di que­ste due deci­sio­ni. La sua fir­ma non figu­ra a sug­gel­lo di que­sti due decre­ti. La respon­sa­bi­li­tà per que­sti due decre­ti è por­ta­ta da Ernö Gerö e András Hege­dus»[59].

Nagy lo con­fer­ma in un gran­de discor­so pro­nun­cia­to il gior­no seguen­te, 31 otto­bre, davan­ti a una fol­la in deli­rio. Dichia­ra: «La rivo­lu­zio­ne ha vin­to … La ban­da (Ráko­si-Gerö) ha cer­ca­to di insu­di­ciar­mi affer­man­do che ave­vo richie­sto l’intervento sovie­ti­co. È fal­so. Al con­tra­rio, esi­ge­vo la par­ten­za imme­dia­ta dell’esercito sovie­ti­co», aggiun­gen­do: «oggi ini­zia la con­fe­ren­za per l’abrogazione del Pat­to di Var­sa­via ed il riti­ro dei rus­si dal nostro pae­se». Ed è del 1° novem­bre, davan­ti ai movi­men­ti di trup­pe rus­se che vio­la­no for­mal­men­te le dichia­ra­zio­ni del loro gover­no, la riso­nan­te dichia­ra­zio­ne del riti­ro dell’Ungheria dal Pat­to di Var­sa­via e la pro­cla­ma­zio­ne del­la sua neu­tra­li­tà: «Ope­rai di Unghe­ria, pro­teg­ge­te il nostro pae­se, la nostra Unghe­ria libe­ra, indi­pen­den­te e demo­cra­ti­ca»[60].

Il pro­ble­ma del par­ti­to stalinista
Imre Nagy, in que­sti gior­ni deci­si­vi, inchi­nan­do­si alla volon­tà dei lavo­ra­to­ri unghe­re­si, ha smes­so di par­la­re come un uomo d’apparato. Sza­bad Nép, rispon­den­do in ter­mi­ni viva­ci alle accu­se del­la Pra­v­da, tie­ne un lin­guag­gio del tut­to diver­so da quel­lo del­la stam­pa sta­li­ni­sta di tut­to il mon­do. Il fat­to sostan­zia­le è che, sot­to la pres­sio­ne del­le mas­se, Nagy e i suoi com­pa­gni han­no rot­to con l’apparato stalinista.
Abbia­mo visto come quel­li defi­ni­ti i “comu­ni­sti libe­ra­li” si fos­se­ro bat­tu­ti, nel qua­dro del par­ti­to, per la rein­te­gra­zio­ne degli esclu­si ed il cam­bia­men­to del­la dire­zio­ne, in una paro­la per la rifor­ma e il cam­bia­men­to del cor­so del par­ti­to. Ma que­sta posi­zio­ne, dopo alcu­ni gior­ni di lot­ta arma­ta, si è rive­la­ta impraticabile.
Il 28 otto­bre, i con­si­gli ope­rai han­no intra­pre­so in tut­to il pae­se lo scio­gli­men­to del­le orga­niz­za­zio­ni di par­ti­to. Chi pote­va anco­ra cre­de­re in un cam­bia­men­to del par­ti­to da rea­liz­zar­si sot­to la dire­zio­ne del CC che ha man­te­nu­to e coper­to Gerö, coop­tan­do Nagy e i suoi segua­ci sol­tan­to per com­pro­met­ter­li col san­gue degli insor­ti in una repres­sio­ne ordi­na­ta da Mosca? Il comi­ta­to cen­tra­le si auto­scio­glie e nomi­na una dire­zio­ne prov­vi­so­ria inca­ri­ca­ta del­la pre­pa­ra­zio­ne del pros­si­mo con­gres­so. Il Pre­si­dium che ne risul­ta ha nel­le sue file solo mili­tan­ti impri­gio­na­ti o per­se­gui­ta­ti sot­to Sta­lin-Ráko­si. In suo nome, Jánós Kádár dichia­ra: «Potran­no esse­re mem­bri del par­ti­to rin­no­va­to solo colo­ro che non han­no alcu­na respon­sa­bi­li­tà nei cri­mi­ni pas­sa­ti»[61]. Nes­su­no può più par­la­re di “rifor­ma” davan­ti ad un rin­no­va­men­to così radi­ca­le. Due gior­ni dopo, Kádár fa appel­lo ai mili­tan­ti per­ché si uni­sca­no ai Com­bat­ten­ti per la liber­tà[62].
Il 1° novem­bre anche l’ipotesi del par­ti­to “rin­no­va­to” si dimo­stra impra­ti­ca­bi­le. Non c’è più un par­ti­to comu­ni­sta. L’apparato si è bat­tu­to dal­la par­te dei rus­si assie­me agli Avos. La gran par­te dei mili­tan­ti si è bat­tu­ta coi rivo­lu­zio­na­ri. Nes­su­no si sogna di unir­si ad un par­ti­to sta­li­ni­sta, per quan­to “rin­no­va­to”. Ansio­si di “rom­pe­re per sem­pre col pas­sa­to”, Nagy, Kádár, Lukács, Szán­tó for­ma­no un nuo­vo par­ti­to che rom­pe con l’organizzazione uffi­cia­le e che essi chia­ma­no Par­ti­to socia­li­sta ope­ra­io unghe­re­se. Han­no così rico­no­sciu­to il loro fal­li­men­to, l’impossibilità di rifor­ma­re un par­ti­to sta­li­ni­sta? Alme­no all’apparenza, si inchi­na­no al ver­det­to del­le mas­se unghe­re­si: comu­ni­sti e anti­sta­li­ni­sti fon­da­no un par­ti­to sul­la base del leni­ni­smo. Ma non è ancor più signi­fi­ca­ti­vo che un mili­tan­te come Miklós Gimes abbia rifiu­ta­to di unir­si ad una for­ma­zio­ne poli­ti­ca che non con­si­de­ra­va aves­se rot­to real­men­te con lo stalinismo?

Il pote­re dei consigli
Sin dal 28, annun­cian­do il ces­sa­te il fuo­co, Nagy ave­va rico­no­sciu­to i con­si­gli e pro­mes­so di garan­ti­re l’accoglimento del­le loro riven­di­ca­zio­ni. Andan­do oltre, «pro­po­ne ai con­si­gli ope­rai e ai comi­ta­ti rivo­lu­zio­na­ri di coor­di­na­re le loro atti­vi­tà e di for­ma­re gli Sta­ti gene­ra­li dell’insurrezione»[63]. Nasce­reb­be così un’autentica repub­bli­ca dei con­si­gli, una rea­le rap­pre­sen­tan­za dei lavo­ra­to­ri in armi per mez­zo di un Par­la­men­to ope­ra­io. Non si pote­va anda­re oltre sul­la via rivo­lu­zio­na­ria e, su que­sto pun­to, Nagy si col­le­ga­va al con­si­glio di Miskolc che ave­va rivol­to una pro­po­sta simi­le a tut­ti i con­si­gli di provincia.
Nell’esercito si sono for­ma­ti Comi­ta­ti rivo­lu­zio­na­ri dei sol­da­ti. La riu­nio­ne dei loro dele­ga­ti del 30 otto­bre al mini­ste­ro del­la Dife­sa costi­tui­sce in via defi­ni­ti­va il Comi­ta­to rivo­lu­zio­na­rio dell’esercito[64]. Vie­ne subi­to lan­cia­to un mani­fe­sto in cui si dichia­ra che l’esercito è al fian­co del popo­lo per difen­de­re le con­qui­ste del­la rivo­lu­zio­ne, dopo aver eli­mi­na­to un cer­to nume­ro di uffi­cia­li rea­zio­na­ri e men­tre si accin­ge al disar­mo degli Avos[65].
Lo stes­so gior­no si appren­de che il Comi­ta­to rivo­lu­zio­na­rio dei giu­ri­sti unghe­re­si ha appe­na costret­to alle dimis­sio­ni il pro­cu­ra­to­re gene­ra­le Györ­gy Non, in segui­to ad un esa­me del dos­sier riguar­dan­te la sua atti­vi­tà[66].
Si for­ma un Comi­ta­to rivo­lu­zio­na­rio al mini­ste­ro degli Este­ri. Fa pro­po­ste con­cre­te al gover­no per la rior­ga­niz­za­zio­ne del­la rap­pre­sen­tan­za unghe­re­se all’estero e richia­ma la dele­ga­zio­ne all’ONU per­ché non ha soste­nu­to il pun­to di vista dei rivoluzionari.
I fer­ro­vie­ri han­no otte­nu­to la revo­ca del mini­stro del­le Comu­ni­ca­zio­ni, Lajos Bebrics, ed il Con­si­glio rivo­lu­zio­na­rio dell’Università invo­ca quel­la di Mün­nich. A tut­ti i livel­li, in ogni loca­li­tà, in ogni ammi­ni­stra­zio­ne, i con­si­gli ope­rai ed i comi­ta­ti rivo­lu­zio­na­ri pren­do­no in mano la gestio­ne del­le cose. Si crea una nuo­va demo­cra­zia socia­li­sta, la demo­cra­zia ope­ra­ia auten­ti­ca dei con­si­gli, iden­ti­ca a quel­la dei soviet rus­si del 1917.

Il pro­gram­ma dei sindacati
Il 27 otto­bre su Nepsza­va ed il 3 novem­bre su Nepa­ka­rat, i sin­da­ca­ti unghe­re­si, epu­ra­ti per ope­ra dei lavo­ra­to­ri del­la loro dire­zio­ne sta­li­ni­sta, han­no pre­sen­ta­to un pro­gram­ma che riflet­te la volon­tà del­la clas­se lavo­ra­tri­ce e la ten­den­za del­la rivo­lu­zio­ne unghe­re­se in que­sta set­ti­ma­na deci­si­va: fine dei com­bat­ti­men­ti attra­ver­so nego­zia­ti coi capi del­la gio­ven­tù insor­ta, costi­tu­zio­ne di una Guar­dia Nazio­na­le con ope­rai e gio­va­ni per rin­for­za­re l’esercito e la poli­zia, nego­zia­ti per il riti­ro del­le trup­pe sovie­ti­che[67]. I sin­da­ca­ti, inol­tre, richie­do­no la costi­tu­zio­ne di con­si­gli ope­rai in tut­te le fab­bri­che, con dirit­to di opi­nio­ne sul­la pia­ni­fi­ca­zio­ne e la fis­sa­zio­ne del­le nor­me lavo­ra­ti­ve[68]. Que­sti con­si­gli con­sen­ti­ran­no di instau­ra­re un’autentica «dire­zio­ne ope­ra­ia» dell’economia, e di con­se­guen­za una «tra­sfor­ma­zio­ne radi­ca­le del siste­ma di pia­ni­fi­ca­zio­ne e di dire­zio­ne dell’economia». Coscien­ti del ruo­lo paras­si­ta­rio del­la buro­cra­zia instal­la­ta nel­le impre­se, i sin­da­ca­ti chie­do­no, assie­me all’aumento imme­dia­to dei sala­ri infe­rio­ri a 1.500 fio­ri­ni, lo sta­bi­li­men­to di un tet­to mas­si­mo di 3.500 fio­ri­ni per tut­ti i sala­ri. Que­sta riven­di­ca­zio­ne, ana­lo­ga a quel­la avan­za­ta dagli stu­den­ti di Sze­ged pri­ma dell’inizio dell’insurrezione, dimo­stra quan­to i lavo­ra­to­ri aves­se­ro pre­so coscien­za del ruo­lo gio­ca­to nel­la divi­sio­ne dei lavo­ra­to­ri dal­la dif­fe­ren­zia­zio­ne sala­ria­le, una del­le chia­vi di vol­ta del siste­ma buro­cra­ti­co sta­li­ni­sta. I sin­da­ca­ti esi­ge­va­no anche il dirit­to di scio­pe­ro e la denun­cia del­le nor­me di lavo­ro vigen­ti. Pro­cla­ma­va­no, il 3 novem­bre, la loro indi­pen­den­za rispet­to ad ogni par­ti­to poli­ti­co ed ogni gover­no, al pari del­la loro volon­tà di par­te­ci­pa­re alla dire­zio­ne degli orga­ni­smi rivo­lu­zio­na­ri ed alle futu­re ele­zio­ni gene­ra­li. Deci­de­va­no, infi­ne, di rom­pe­re con la Fede­ra­zio­ne Sin­da­ca­le Mon­dia­le – con­trol­la­ta dagli sta­li­ni­sti – che, per boc­ca di Sail­lant, suo pre­si­den­te, li ave­va insul­ta­ti, man­te­nen­do però con­tat­ti con tut­te le altre orga­niz­za­zio­ni sin­da­ca­li inter­na­zio­na­li[69].

Il pro­gram­ma degli intellettuali
Il pro­gram­ma adot­ta­to dal Comi­ta­to rivo­lu­zio­na­rio degli intel­let­tua­li, «costi­tui­to il 28 otto­bre nell’edificio cen­tra­le dell’Università Lóránd Eöt­vös di Buda­pe­st», che riu­ni­va «tut­te le orga­niz­za­zio­ni di intel­let­tua­li, scrit­to­ri, arti­sti, eru­di­ti e stu­den­ti», non è meno indi­ca­ti­va del­la volon­tà dei rivo­lu­zio­na­ri unghe­re­si di costrui­re un’autentica demo­cra­zia socia­li­sta che del­le pos­si­bi­li­tà che si offri­va­no di far emer­ge­re una dire­zio­ne ed un pro­gram­ma chia­ri per tut­ti i rivoluzionari:

  1. «Rego­la­men­to imme­dia­to del­le nostre rela­zio­ni con l’Unione Sovie­ti­ca. Riti­ro del­le trup­pe sovie­ti­che dal ter­ri­to­rio ungherese.
  2. Annul­la­men­to imme­dia­to di tut­ti gli accor­di com­mer­cia­li con­clu­si con Pae­si stra­nie­ri che por­ti­no dan­no alla nostra eco­no­mia nazio­na­le. Il pae­se deve esse­re infor­ma­to sul­la natu­ra di tali accor­di com­mer­cia­li, inclu­si quel­li rela­ti­vi alle espor­ta­zio­ni di ura­nio e bauxite.
  3. Ele­zio­ni gene­ra­li a scru­ti­nio segre­to. I can­di­da­ti devo­no esse­re nomi­na­ti dal popolo.
  4. Le minie­re e le fab­bri­che devo­no real­men­te appar­te­ne­re agli ope­rai. Le minie­re e le ter­re devo­no rima­ne­re pro­prie­tà del popo­lo e nien­te deve esse­re resti­tui­to ai capi­ta­li­sti e ai vec­chi gran­di pro­prie­ta­ri. Le fab­bri­che devo­no esse­re diret­te da Con­si­gli ope­rai libe­ra­men­te elet­ti. Il gover­no deve pro­teg­ge­re il dirit­to di eser­ci­zio di arti­gia­ni e pic­co­li commercianti
  5. Abo­li­zio­ne del vec­chio siste­ma pie­no di abu­si odio­si. I sala­ri trop­po bas­si e le pen­sio­ni devo­no esse­re aumen­ta­ti in base alle pos­si­bi­li­tà del­la nostra economia.
  6. I sin­da­ca­ti devo­no difen­de­re real­men­te gli inte­res­si del­la clas­se ope­ra­ia e i loro diri­gen­ti devo­no esse­re elet­ti libe­ra­men­te. I con­ta­di­ni potran­no crea­re i loro sindacati.
  7. Il gover­no deve assi­cu­ra­re la liber­tà del­la pro­du­zio­ne agri­co­la e aiu­ta­re i pic­co­li con­ta­di­ni e le coo­pe­ra­ti­ve for­ma­te su base volon­ta­ria. Biso­gna abo­li­re l’odioso siste­ma del­le con­se­gne obbligatorie.
  8. Biso­gna ren­de­re giu­sti­zia ai con­ta­di­ni che han­no subi­to la col­let­ti­viz­za­zio­ne for­za­ta ed indennizzarli.
  9. Il gover­no deve assi­cu­ra­re una com­ple­ta liber­tà di stam­pa e di riunione.
  10. Il 23 otto­bre, gior­no dell’insurrezione del nostro popo­lo per la sua libe­ra­zio­ne, deve esse­re pro­cla­ma­to festa nazio­na­le»[70].

La cac­cia agli Avos
La par­ten­za dei rus­si ave­va lascia­to a Buda­pe­st gli Avos iso­la­ti di fron­te agli insor­ti. I con­ti con loro furo­no pre­sto rego­la­ti. Avi­da di fat­ti ecla­tan­ti, la stam­pa bor­ghe­se a gran­de tira­tu­ra ha rac­con­ta­to tut­ti i det­ta­gli del­la cac­cia agli Avos in cui si lan­cia­ro­no i “Com­bat­ten­ti del­la liber­tà” nei gior­ni del­la loro effi­me­ra vit­to­ria. È inu­ti­le descri­ver­la nuo­va­men­te. Sono tutt’al più neces­sa­rie alcu­ne spiegazioni.
Dicia­mo innan­zi­tut­to che gli insor­ti han­no dato la cac­cia agli Avos per­ché li odia­va­no. Il cor­ri­spon­den­te a Buda­pe­st del Dai­ly Wor­ker, Char­lie Coutts, ha inti­to­la­to uno dei suoi arti­co­li “Per­ché si odia­va l’AVH”[71]. Spie e tor­tu­ra­to­ri, arro­gan­ti ed onni­po­ten­ti, per die­ci anni gli Avos ave­va­no con­cen­tra­to su di loro l’odio di un inte­ro popo­lo. La loro con­dot­ta sin dall’inizio dell’insurrezione, la spa­ra­to­ria alla Radio e quel­la al Par­la­men­to, le ese­cu­zio­ni som­ma­rie, tut­to ciò ha fat­to tra­ci­ma­re l’odio nei loro con­fron­ti duran­te le gior­na­te rivoluzionarie.
Inol­tre, gli Avos dove­va­no esse­re cac­cia­ti per­ché costi­tui­va­no un peri­co­lo rea­le. Fin­ché le trup­pe rus­se sta­zio­na­va­no in Unghe­ria, fin­ché Buda­pe­st resta­va alla por­ta­ta dei loro can­no­ni, fin­ché il loro ritor­no era pos­si­bi­le, la pre­sen­za di un Avos rap­pre­sen­ta­va un peri­co­lo mor­ta­le per ogni rivo­lu­zio­na­rio unghe­re­se. Nel­la Buda­pe­st libe­ra gli Avos era­no la Quin­ta Colon­na: gli insor­ti si sono volu­ti garan­ti­re al tem­po stes­so la loro sicu­rez­za e la loro retrovia.
Senz’altro, non tut­ti i rivo­lu­zio­na­ri han­no appro­va­to i meto­di sbri­ga­ti­vi con cui Buda­pe­st è sta­ta ripu­li­ta dagli Avos. Sap­pia­mo che la sera del 31 una dele­ga­zio­ne degli Avos sup­pli­cò l’Unione degli Scrit­to­ri di inter­ve­ni­re pres­so i Com­bat­ten­ti del­la Liber­tà per sigla­re un accor­do che sal­vas­se loro la pel­le. Ma l’intervento dell’Unione degli Scrit­to­ri – tra cui mol­ti, e dei miglio­ri, era­no sta­ti tor­tu­ra­ti dagli Avos – non pro­dus­se alcun effet­to. Ugual­men­te, il 3 novem­bre Bela Kira­ly, capo del­le for­ze mili­ta­ri rivo­lu­zio­na­rie di Buda­pe­st, con­fer­ma­va che gli ordi­ni del gover­no e dei comi­ta­ti era­no di non ucci­de­re nes­su­no sul posto ma di defe­ri­re tut­ti gli Avos arre­sta­ti davan­ti ai tri­bu­na­li[72]. Con­cre­ta­men­te, la cac­cia ai poli­ziot­ti dell’AVH si fer­ma sol­tan­to il 2 novem­bre, ormai in assen­za di pre­da[73].
La stam­pa dei par­ti­ti sta­li­ni­sti ha uti­liz­za­to que­sti fat­ti cer­can­do di trar­ne van­tag­gio per descri­ve­re una con­tro­ri­vo­lu­zio­ne bian­ca che dava la cac­cia ai mili­tan­ti comu­ni­sti nel­le stra­de di Buda­pe­st. Ma i mede­si­mi fat­ti da essa cita­ti smen­ti­sco­no tale tesi: scri­ven­do infat­ti che «un mili­tan­te del­la Fede­ra­zio­ne, il com­pa­gno Kele­men, è sta­to tol­to dal­la for­ca dal­la fol­la che l’ha rico­no­sciu­to»[74], André Stil, su L’Humanité, con­fes­sa in que­sto modo che la fol­la non ucci­de­va chi non cono­sce­va come Avos, quan­do sco­pri­va che si trat­ta­va inve­ce di un comu­ni­sta. La mor­te, dovu­ta ad una tra­gi­ca sot­to­va­lu­ta­zio­ne, del vete­ra­no comu­ni­sta Imre Mezo, segre­ta­rio del par­ti­to a Buda­pe­st, già nel­le Bri­ga­te Inter­na­zio­na­li in Spa­gna e nei par­ti­gia­ni FTP-MOI in Fran­cia, corag­gio­so avver­sa­rio di Ráko­si, non smen­ti­sce que­sta inter­pre­ta­zio­ne. Fu ucci­so pro­prio men­tre difen­de­va la sede del par­ti­to, dove sta­va rice­ven­do dele­ga­zio­ni di rivo­lu­zio­na­ri ma dove giun­se­ro degli Avos a cui si dava la cac­cia, per aver resi­sti­to all’ira del­le mas­se con le armi alla mano, tra­sci­nan­do alla mor­te gli altri occu­pan­ti del­la sede.
Fino ad oggi mas­sa­cri, ese­cu­zio­ni som­ma­rie e lin­ciag­gi, han­no accom­pa­gna­to ogni rivo­lu­zio­ne. Dob­bia­mo ricor­da­re i mas­sa­cri di set­tem­bre duran­te la rivo­lu­zio­ne fran­ce­se, le ese­cu­zio­ni di ostag­gi effet­tua­ti dal­la Comu­ne di Pari­gi ed i fat­ti ana­lo­ghi avve­nu­ti duran­te la rivo­lu­zio­ne rus­sa, la rivo­lu­zio­ne spa­gno­la o, in tut­ta Euro­pa, duran­te la Libe­ra­zio­ne? La ven­det­ta del­le mas­se è tan­to più ter­ri­bi­le quan­to più i con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ri che han­no sca­te­na­to la loro col­le­ra era­no sta­ti cru­de­li e bru­ta­li. Gli Avos han­no rac­col­to ciò che ave­va­no semi­na­to: sono sta­ti bru­cia­ti dall’incendio acce­so da quel­la buro­cra­zia di cui era­no sta­ti i fede­li servitori.

Ten­den­ze con­tro­ri­vo­lu­zio­na­rie: gli emigrati
Sin dall’annuncio dell’insurrezione unghe­re­se nume­ro­si emi­gra­ti han­no cer­ca­to di rien­tra­re nel loro pae­se; si trat­ta­va di ele­men­ti democratico‑borghesi, social­de­mo­cra­ti­ci, fasci­sti. È nota la tesi de L’Humanité, secon­do la qua­le que­ste ten­den­ze han­no for­ni­to i qua­dri al movi­men­to con­tro­ri­vo­lu­zio­na­rio, che avreb­be così trion­fa­to sot­to il basto­ne pro­tet­to­re di Nagy sen­za il prov­vi­den­zia­le inter­ven­to russo.
Un cer­to nume­ro di fat­ti con­trad­di­ce que­sta tesi. Innan­zi­tut­to un memo­ran­dum del gover­no austria­co, data­to 3 novem­bre, dichia­ra: «Il gover­no austria­co ha ordi­na­to di isti­tui­re una zona vie­ta­ta lun­go la fron­tie­ra austro-unghe­re­se … Il mini­stro del­la Dife­sa ha visi­ta­to que­sta zona assie­me ai dele­ga­ti mili­ta­ri del­le quat­tro gran­di poten­ze, com­pre­si quel­li dell’URSS. I dele­ga­ti mili­ta­ri han­no così potu­to assi­cu­rar­si del­le misu­re pre­se per pro­teg­ge­re la fron­tie­ra e garan­ti­re la neu­tra­li­tà austria­ca. Tut­te le pre­cau­zio­ni pos­si­bi­li sono così sta­te adot­ta­te alla fron­tie­ra occi­den­ta­le per impe­di­re l’infiltrazione di emi­gra­ti … Le auto­ri­tà austria­che han­no pre­ga­to il vec­chio pre­si­den­te del Con­si­glio, Ferenc Nagy (del Par­ti­to dei pic­co­li pro­prie­ta­ri), arri­va­to rapi­da­men­te a Vien­na, di abban­do­na­re il ter­ri­to­rio austria­co. Di ciò sono a cono­scen­za anche le auto­ri­tà sovie­ti­che. Il per­mes­so per rima­ne­re in Austria è rifiu­ta­to ai diri­gen­ti poli­ti­ci dell’emigrazione. L’ambasciatore austria­co a Mosca ha infor­ma­to di que­sti fat­ti il mini­ste­ro degli Este­ri dell’URSS». Nono­stan­te la cam­pa­gna del­la stam­pa sta­li­ni­sta, il gover­no rus­so non ha mai con­te­sta­to uffi­cial­men­te que­sti fat­ti pres­so il gover­no austria­co[75].
Allo stes­so modo, il vec­chio segre­ta­rio del­la gio­ven­tù socia­li­sta unghe­re­se, Ferenc Eröss, lino­ti­pi­sta a Bru­xel­les, non ha potu­to var­ca­re la fron­tie­ra unghe­re­se, essen­do sta­to respin­to pro­prio dagli insor­ti, che egli d’altronde appro­va per que­sta misu­ra cau­te­la­re[76].

Il prin­ci­pe Eszterházy
L’Humanité ha fat­to mol­to chias­so anche sul­la libe­ra­zio­ne del prin­ci­pe Esz­te­rhá­zy, il mag­gior pro­prie­ta­rio ter­rie­ro dell’Ungheria ante­guer­ra, la cui libe­ra­zio­ne indi­che­reb­be, secon­do il quo­ti­dia­no del PCF, il carat­te­re “hor­thy­sta” del movi­men­to. In veri­tà, libe­ra­to come ogni pri­gio­nie­ro poli­ti­co, libe­ra­to come tut­te le vit­ti­me di Ráko­si, il prin­ci­pe si è ben guar­da­to dal resta­re in que­sta ter­ra dove bru­cia la fiam­ma rivo­lu­zio­na­ria. È par­ti­to in fret­ta e furia e con discre­zio­ne per l’Austria, goden­do­vi­si in pace l’immensa for­tu­na con­ser­va­ta. Ha pro­va­to ad agi­re pub­bli­ca­men­te invian­do, dall’Austria, soc­cor­si e vesti­ti ai con­ta­di­ni dei suoi anti­chi pos­se­di­men­ti in Unghe­ria. Tut­to gli è sta­to rispe­di­to sen­za nem­me­no esse­re sta­to toc­ca­to[77]. È plau­si­bi­le imma­gi­na­re dei con­ta­di­ni che ver­sa­no il loro san­gue per resti­tui­re al prin­ci­pe i suoi pos­se­di­men­ti e che si bat­to­no per subi­re nuo­va­men­te il seco­la­re gio­go del­la servitù?

Il car­di­na­le Mindszenty
Il car­di­na­le Mindszen­ty ha for­ni­to mol­to mate­ria­le per le dichia­ra­zio­ni più sen­sa­zio­na­li­ste di chi, bor­ghe­si o sta­li­ni­sti, vole­va accre­di­ta­re l’idea di una con­tro­ri­vo­lu­zio­ne bian­ca in Unghe­ria. Radio Pra­ga, il 1° novem­bre, dà l’annuncio di un gover­no pre­sie­du­to dal pri­ma­te: l’informazione, rilan­cia­ta da AFP, farà la gio­ia del­la stam­pa rea­zio­na­ria e de L’Humanité, ben feli­ce di uti­liz­za­re le inven­zio­ni di Radio Free Euro­pe per le neces­si­tà del­la sua propaganda.
Mindszen­ty, car­di­na­le e pri­ma­te d’Ungheria, è un rea­zio­na­rio sen­za scru­po­li, un nemi­co incon­ci­lia­bi­le del­la rivo­lu­zio­ne. È sta­to però libe­ra­to, come Esz­te­rhá­zy, da una rivo­lu­zio­ne che, gene­ro­sa come ogni rivo­lu­zio­ne, apri­va le por­te del­le pri­gio­ni. Gli stes­si uomi­ni ave­va­no tor­tu­ra­to anche Rajk. Come Rajk anche Mindszen­ty ave­va con­fes­sa­to. Ria­bi­li­ta­to Rajk lo si dove­va liberare …
Si sono attri­bui­ti al car­di­na­le inten­zio­ni e pro­po­si­ti d’ogni sor­ta. In par­ti­co­lar modo la sua inter­vi­sta su Radio Buda­pe­st avreb­be pre­oc­cu­pa­to i rus­si spin­gen­do­li all’intervento. Il gior­na­li­sta bri­tan­ni­co Mer­vyn Jones ha cer­ca­to il reso­con­to ste­no­gra­fi­co del suo discor­so pro­nun­cia­to alla radio il 3 novem­bre. Il car­di­na­le ha par­la­to del­la «lot­ta per la liber­tà» che si svi­lup­pa­va in Unghe­ria e affer­ma­to che essa indi­ca­va la volon­tà di un popo­lo di sta­bi­li­re «una coe­si­sten­za paci­fi­ca fon­da­ta sul­la giu­sti­zia». Ha chie­sto la mes­sa sot­to accu­sa dei ráko­si­sti davan­ti a «tri­bu­na­li impar­zia­li e indi­pen­den­ti» e si è pro­nun­cia­to con­tro lo spi­ri­to di ven­det­ta. Ecco il suo pro­gram­ma: «Noi voglia­mo una socie­tà sen­za clas­si ed uno Sta­to in cui pre­val­ga la leg­ge, un Pae­se che svi­lup­pi le sue con­qui­ste demo­cra­ti­che, fon­da­to sul dirit­to alla pro­prie­tà pri­va­ta ristret­to giu­sta­men­te dagli inte­res­si del­la socie­tà e del­la giu­sti­zia». Non chie­de la resti­tu­zio­ne dei beni con­fi­sca­ti alla Chie­sa ma liber­tà di inse­gna­men­to reli­gio­so e liber­tà di stam­pa e di orga­niz­za­zio­ne per i cat­to­li­ci. Equi­va­le for­se ciò ad una con­ver­sio­ne del car­di­na­le ad una for­ma cri­stia­na di demo­cra­zia socia­li­sta? Cer­to che no, ma, come pen­sa Jones, «a cau­sa del fat­to che il domi­nio del­le for­ze demo­cra­ti­che era così schiac­cian­te e le pro­spet­ti­ve per la con­tro­ri­vo­lu­zio­ne così scar­se», il car­di­na­le non pote­va che assu­me­re quel lin­guag­gio[78]. Il gior­na­li­sta jugo­sla­vo Vla­do Tesic, in una nota d’agenzia in cui insi­ste sul peri­co­lo di «una evo­lu­zio­ne ver­so destra» soprat­tut­to a cau­sa del­la libe­ra­zio­ne di Mindszen­ty, for­ni­sce un’informazione pre­zio­sa: grup­pi di destra distri­bui­sco­no volan­ti­ni dal tito­lo «Non abbia­mo nul­la a che vede­re coi Con­si­gli ope­rai: i comu­ni­sti han­no il naso là den­tro». Pub­bli­ca­men­te, però, su que­sta que­stio­ne i vari Mindszen­ty tac­cio­no. Un altro cor­ri­spon­den­te jugo­sla­vo, Dju­ka Julius, ha nota­to un grup­po di gio­va­ni distri­bui­re volan­ti­ni scrit­ti a mano in cui si riven­di­ca l’eliminazione dei comu­ni­sti e la for­ma­zio­ne di un gover­no Mindszen­ty: «paro­le d’ordine mode­ra­ta­men­te fasci­ste», dice il gior­na­li­sta. L’indomani, in segui­to ad un incon­tro coi dele­ga­ti del­la side­rur­gia di Cse­pel assie­me al loro pre­si­den­te Elek Nagy, con­clu­de che l’appello dei fasci­sti a liqui­da­re «le con­qui­ste del socia­li­smo» non fa alcu­na signi­fi­ca­ti­va pre­sa tra la popo­la­zio­ne. Duran­te la sua con­fe­ren­za stam­pa del 3 novem­bre, Mindszen­ty, le cui pro­spet­ti­ve sono chia­ra­men­te di patro­ci­na­re la rico­stru­zio­ne di un par­ti­to demo­cra­ti­co cri­stia­no, si rifiu­ta di rispon­de­re alla doman­da di un gior­na­li­sta unghe­re­se su una sua even­tua­le can­di­da­tu­ra a pri­mo mini­stro, abban­do­nan­do la sala.

Joszef Dudás
L’Humanité, anco­ra gra­zie alla pen­na di André Stil, ha defi­ni­to Joszef Dudás, pre­si­den­te del Comi­ta­to Rivo­lu­zio­na­rio di Buda­pe­st, come uno dei diri­gen­ti del­la con­tro­ri­vo­lu­zio­ne “fasci­sta”[79].
Chi era vera­men­te Dudás? “Un gior­na­li­sta fasci­sta”, come scri­ve Stil? “Un inge­gne­re”, come scri­ve il suo com­pa­re sul Dai­ly Wor­ker? Lui stes­so si è pre­sen­ta­to ai gior­na­li­sti come un vec­chio mili­tan­te comu­ni­sta, mem­bro del PC duran­te l’occupazione nazi­sta, pas­sa­to nel 1947 al Par­ti­to dei pic­co­li pro­prie­ta­ri, arre­sta­to poco dopo, libe­ra­to nel 1956 e ria­bi­li­ta­to pochi gior­ni pri­ma dell’inizio del­la rivo­lu­zio­ne, anco­ra duran­te il regno di Gerö. Né L’HumanitéThe Dai­ly Wor­ker nega­no che per un perio­do egli si sia “infi­la­to” nel­le file del PC.
Dun­que, è pos­si­bi­le affer­ma­re che, nel­la misu­ra in cui Dudás si è espres­so pub­bli­ca­men­te duran­te le gior­na­te rivo­lu­zio­na­rie, nes­su­na del­le sue appa­ri­zio­ni spet­ta­co­la­ri con­sen­te di appiop­par­gli l’etichetta di fasci­sta. Nel suo gior­na­le, Füg­ge­tlen­tség (Indi­pen­den­za), ha pub­bli­ca­to quat­tro arti­co­li i cui temi era­no, secon­do Anna Kethly, «che non si met­ta mano alle rifor­me eco­no­mi­che del 1945, riti­ro del­le trup­pe sovie­ti­che, liber­tà di stam­pa e di asso­cia­zio­ne, libe­re ele­zio­ni»[80]. Ma sap­pia­mo anche che la testa­ta del suo gior­na­le del 30 otto­bre ave­va scrit­to «Non rico­no­scia­mo l’attuale gover­no» e che l’indomani è sta­to rice­vu­to da Nagy a cui avreb­be richie­sto il por­ta­fo­glio del mini­ste­ro degli Este­ri[81]. Rice­vu­to un rifiu­to, assie­me ai suoi segua­ci si è impa­dro­ni­to del mini­ste­ro per qual­che ora e, per que­sto, è sta­to arre­sta­to su ordi­ne del gover­no Nagy[82].
Si trat­ta­va di un avven­tu­rie­ro che cer­ca­va di trar­re van­tag­gio dal­la rivo­lu­zio­ne? Il suo com­por­ta­men­to può indur­re a pen­sar­lo. È comun­que l’ipotesi che si impo­ne dopo la let­tu­ra del­la nota del comu­ni­sta polac­co Woroszyl­ski, basa­ta sul rac­con­to del­la sua inter­vi­sta con Dudás, e dell’analisi che abboz­za in quel fran­gen­te. Ma que­sto pro­va che per otte­ne­re risul­ta­ti un avven­tu­rie­ro ambi­zio­so dove­va guar­dar­si bene dall’utilizzare un lin­guag­gio fasci­sta. Ciò pro­va pure che il 3 novem­bre il gover­no Nagy era suf­fi­cien­te­men­te soli­do e in sel­la da poter fare arre­sta­re un uomo che osten­ta­va fun­zio­ni rivo­lu­zio­na­rie impor­tan­ti come quel­le di Dudás. Stil, rac­con­tan­do la para­bo­la di Dudás, alla sua manie­ra, con­clu­de repen­ti­na­men­te: «È a quel pun­to che fu arre­sta­to»[83]. Non dice però da chi, et pour cau­se: se Dudás fos­se sta­to, come L’Humanité affer­ma, un auten­ti­co fasci­sta e con­tro­ri­vo­lu­zio­na­rio, come spie­ga­re poi che Nagy, secon­do Stil arte­fi­ce del­la con­tro­ri­vo­lu­zio­ne, l’abbia fat­to arre­sta­re? Que­ste men­zo­gne sono così gros­so­la­ne che basta sfio­rar­le per­ché si sbriciolino.

Pro­spet­ti­ve per la rivo­lu­zio­ne unghe­re­se dopo il 4 novembre
I fat­ti sono chia­ri. È cer­to che si sia­no espres­se ten­den­ze con­tro­ri­vo­lu­zio­na­rie. Non è meno chia­ro, come scri­ve il comu­ni­sta Peter Fryer, cor­ri­spon­den­te del Dai­ly Wor­ker, nel­la sua let­te­ra di dimis­sio­ni dal PC, che «il popo­lo in armi era del tut­to con­sa­pe­vo­le del peri­co­lo del­la con­tro­ri­vo­lu­zio­ne ma anche asso­lu­ta­men­te in gra­do di schiac­ciar­la esso stes­so»[84]. Dopo le dure bat­ta­glie del­la pri­ma set­ti­ma­na, l’Ungheria ha spe­ri­men­ta­to un’autentica esplo­sio­ne di liber­tà, tra­dot­ta­si in una fra­ter­ni­tà fra tut­te le clas­si che si era­no oppo­ste ai rus­si e in una cer­ta con­fu­sio­ne: nien­te è più tipi­co dell’apparire dei gior­na­li più diver­si, da quel­li “uffi­cia­li”, stam­pa­ti, a quel­li ciclo­sti­la­ti, dat­ti­lo­scrit­ti o per­si­no scrit­ti a mano e poi attac­ca­ti ai muri. In que­sta atmo­sfe­ra alcu­ni rea­zio­na­ri han­no potu­to infil­trar­si e “fic­ca­re il naso” nel movi­men­to. Nien­te più di que­sto. È com­par­so un solo gior­na­le rea­zio­na­rio: Vir­ra­dat (l’Aurora). Ne è usci­to un solo nume­ro per­ché il gior­no seguen­te gli ope­rai han­no rifiu­ta­to di stam­par­lo[85]. Ciò non ha trat­te­nu­to la stam­pa bor­ghe­se occi­den­ta­le dal par­la­re di esplo­sio­ne di gior­na­li anti­co­mu­ni­sti. A noi inve­ce basta ricor­da­re il gior­na­le Igaz­ság (La Veri­tà), orga­no del Par­ti­to del­la gio­ven­tù rivo­lu­zio­na­ria, diret­to dal gio­va­ne intel­let­tua­le comu­ni­sta Ober­so­vsz­ky, assie­me ai gio­va­ni redat­to­ri di Sza­bad Ibju­sag, gior­na­le del­la Gio­ven­tù Comu­ni­sta, ed avre­mo un’idea più chia­ra di che cos’era quel pre­te­so “anti­co­mu­ni­smo”.
Non men­zio­ne­re­mo che en pas­sant la tesi per cui la rivo­lu­zio­ne unghe­re­se si indi­riz­za­va ver­so una “demo­cra­zia all’occidentale”. Tut­to lo smen­ti­sce, tut­to l’ha smen­ti­to sin dall’inizio: la resi­sten­za ope­ra­ia, l’azione dei Con­si­gli, la repres­sio­ne dei rus­si con­tro i set­to­ri ope­rai del­la rivo­lu­zio­ne. Que­sta tesi, in ulti­ma ana­li­si, ha avu­to un’unica fun­zio­ne: for­ni­re agli sta­li­ni­sti argo­men­ti per giu­sti­fi­ca­re la loro repressione.
L’orientamento del­la rivo­lu­zio­ne unghe­re­se era così tra­vol­gen­te che nes­su­no in Unghe­ria è potu­to sfug­gi­re alla sua influen­za, nes­su­no ha agi­to sen­za tener­lo in con­si­de­ra­zio­ne. Sot­to que­sto aspet­to, le basi su cui in Unghe­ria si sono rico­sti­tui­ti i par­ti­ti pic­co­lo bor­ghe­si e rifor­mi­sti sono assai signi­fi­ca­ti­ve. Non è per que­sto deci­si­va la pre­sen­za di diri­gen­ti rifor­mi­sti come Béla Kovács per giu­di­ca­re cor­ret­ta­men­te il signi­fi­ca­to poli­ti­co del III gover­no Nagy: è uti­le inve­ce stu­dia­re il loro lin­guag­gio e il pro­gram­ma comu­ne a base dell’accordo. Di fron­te al pote­re nascen­te dei Con­si­gli ope­rai, la restau­ra­zio­ne gover­na­ti­va non pote­va pro­ce­de­re che uti­liz­zan­do un lin­guag­gio che tro­vas­se con­sen­so tra le mas­se insorte.

Il ter­zo gover­no Nagy
L’Ufficio Poli­ti­co del PCF ha par­la­to di «quel­li che furo­no gli allea­ti di Hitler, i rap­pre­sen­tan­ti del­la rea­zio­ne e del Vati­ca­no, rimes­si al gover­no dal tra­di­to­re Nagy»[86]. La stam­pa rea­zio­na­ria fran­ce­se è rima­sta esem­plar­men­te silen­zio­sa sul­la costi­tu­zio­ne di que­sto gover­no for­ma­to, come l’avevano richie­sto i con­si­gli, da rap­pre­sen­tan­ti di tut­ti i par­ti­ti demo­cra­ti­ci e dai capi degli insor­ti. A fian­co dei comu­ni­sti nagy­sti – Nagy, Kádár, Losonc­zy – acce­de­va­no in effet­ti al gover­no diri­gen­ti dei par­ti­ti rifor­mi­sti socia­li­sti e con­ta­di­ni che sot­to Ráko­si ave­va­no avu­to un’esistenza lega­le, seb­be­ne sol­tan­to teo­ri­ca, e gli eroi mili­ta­ri dell’insurrezione di Buda­pe­st, tra cui Malé­ter, con­si­de­ra­to come il rap­pre­sen­tan­te dei “Com­bat­ten­ti del­la libertà”.

I socia­li­sti
Anna Kethly ha lun­ga­men­te espo­sto il pun­to di vista del suo par­ti­to, sin dal­la sua par­ten­za dall’Ungheria. È impor­tan­te sot­to­li­nea­re che il 1° novem­bre, nel gior­na­le di par­ti­to, Népsza­va[87], dichia­ra­va: «Vigi­lia­mo sul­le nostre fab­bri­che e sul­le nostre minie­re, e anche sul­la ter­ra che deve resta­re nel­le mani dei con­ta­di­ni»[88].
Gyu­la Kele­men, segre­ta­rio del par­ti­to, uti­liz­za­va lo stes­so lin­guag­gio. Rice­ven­do una dele­ga­zio­ne di gior­na­li­sti jugo­sla­vi, dice­va che il par­ti­to socia­li­sta «lot­te­rà con la più gran­de deter­mi­na­zio­ne per man­te­ne­re le con­qui­ste del­la clas­se ope­ra­ia e soster­rà i con­si­gli ope­rai»[89].

I diri­gen­ti dei par­ti­ti contadini
Il 21 otto­bre a Pécs, nell’assemblea di rico­sti­tu­zio­ne del Par­ti­to dei pic­co­li pro­prie­ta­ri, Béla Kovács escla­ma­va: «La que­stio­ne è sape­re se il par­ti­to, rina­to, pro­cla­me­rà di nuo­vo le vec­chie idee. Nes­su­no può pen­sa­re di tor­na­re indie­tro al mon­do dei con­ti, dei ban­chie­ri e dei capi­ta­li­sti; que­sto vec­chio mon­do è mor­to, una vol­ta per tut­te. Un auten­ti­co mem­bro del Par­ti­to dei pic­co­li pro­prie­ta­ri non può pen­sa­re oggi nel­la manie­ra in cui pen­sa­va nel 1939 o nel 1945»[90].
Ferenc Far­kas, segre­ta­rio del par­ti­to nazio­nal-con­ta­di­no, rino­mi­na­to­si Par­ti­to Petö­fi, il 3 novem­bre sot­to­li­nea­va che «il gover­no man­ter­rà del­le rea­liz­za­zio­ni socia­li­ste tut­to ciò che può e deve esse­re uti­liz­za­to in un pae­se libe­ro, demo­cra­ti­co e socia­li­sta»[91].

Pál Malé­ter, eroe dell’insurrezione
Infi­ne, c’è Malé­ter, que­sto uffi­cia­le dell’esercito pas­sa­to con gli insor­ti sin dal­le pri­me ore. Il difen­so­re, con 1500 gio­va­ni ope­rai, stu­den­ti e sol­da­ti, del­la caser­ma Kilian; Malé­ter, l’eroe dei Com­bat­ten­ti del­la liber­tà. Chi è? Secon­do Stil si trat­ta di «un vec­chio uffi­cia­le hor­thy­sta che ha fin­to di aggre­gar­si al pote­re popo­la­re»[92]. In real­tà è un vec­chio comu­ni­sta gua­da­gna­to al comu­ni­smo duran­te la pri­gio­nia, già allie­vo del­le Acca­de­mie Mili­ta­ri rus­se, para­ca­du­ta­to in Unghe­ria duran­te la guer­ra quan­do fu capo di ban­de par­ti­gia­ne. L’inviato spe­cia­le del Dai­ly Herald, il labu­ri­sta Basil David­son, è anda­to ad inter­vi­star­lo. Rac­con­ta: «Por­ta­va anco­ra la sua pic­co­la stel­la di par­ti­gia­no del 1944 (e un’altra stel­la ros­sa otte­nu­ta per l’estrazione di car­bo­ne effet­tua­ta dal suo reg­gi­men­to a Tata­ba­nya), in momen­ti nei qua­li tut­ti gli uffi­cia­li toglie­va­no le mostri­ne di tipo sovie­ti­co». David­son gli chie­de del­le pro­spet­ti­ve del­la rivo­lu­zio­ne unghe­re­se. «“Se noi ci libe­re­re­mo dei rus­si – dice – non cre­dia­te che tor­ne­re­mo indie­tro, al pas­sa­to. E se ci sono del­le per­so­ne che pen­sa­no di tor­na­re indie­tro, allo­ra fare­mo i con­ti”. – E met­te la mano sul­la sua rivol­tel­la»[93].

Il gover­no del­la rivoluzione
L’atteggiamento del gio­va­ne capo comu­ni­sta dell’esercito unghe­re­se era chia­ro. Riflet­te­va l’immagine del gover­no di cui era mem­bro e che ave­va appe­na accet­ta­to il pro­gram­ma e le isti­tu­zio­ni del­la rivo­lu­zio­ne. In suo nome, il comu­ni­sta Géza Losonc­zy dichia­ra­va che non si sareb­be rimes­sa in discus­sio­ne «la nazio­na­liz­za­zio­ne del­le fab­bri­che, la rifor­ma agra­ria e le con­qui­ste socia­li». Si dichia­ra­va pron­to a bat­ter­si per «l’indipendenza nazio­na­le, l’eguaglianza dei dirit­ti e la costru­zio­ne del socia­li­smo non attra­ver­so la dit­ta­tu­ra ma sul­la base del­la demo­cra­zia»[94].
La rivo­lu­zio­ne dei con­si­gli ope­rai ave­va appe­na por­ta­to a ter­mi­ne con suc­ces­so la pri­ma tap­pa. Ovun­que regna­va l’ordine dei con­si­gli e degli ope­rai in armi. Gli unghe­re­si, nono­stan­te gli orro­ri e le distru­zio­ni, si pre­pa­ra­va­no a costrui­re “il sol dell’avvenire”. Mikoyan e Suslov, ritor­na­ti, era­no ripar­ti­ti per Mosca garan­ten­do a Imre Nagy il loro appog­gio. Era il 3 novem­bre. Quel­la stes­sa sera i rus­si cat­tu­ra­va­no a tra­di­men­to Malé­ter e il suo capo di sta­to mag­gio­re men­tre nego­zia­va­no il loro riti­ro. Il 4 lan­cia­ro­no con­tro la rivo­lu­zio­ne i loro obi­ci, i loro can­no­ni e i loro auto­blin­do, men­tre la stam­pa sta­li­ni­sta di tut­to il mon­do asse­con­da­va i pas­si degli assas­si­ni e suo­na­va la mar­cia fune­bre ai rivo­lu­zio­na­ri d’Ungheria.

Il dualismo di potere

La rivo­lu­zio­ne polac­ca ave­va sca­te­na­to la rivo­lu­zio­ne unghe­re­se. La vit­to­ria dei con­si­gli ope­rai, sul­la base del loro pro­gram­ma rivo­lu­zio­na­rio, è con­si­de­ra­ta dal­la buro­cra­zia dell’URSS alla stre­gua di un peri­co­lo mor­ta­le. L’8 novem­bre, Kru­sciov, in un discor­so ai gio­va­ni comu­ni­sti di Mosca, ha par­la­to del­la gio­ven­tù unghe­re­se sol­le­va­ta­si con­tro il regi­me con­clu­den­do sul­la neces­si­tà, anche in URSS, di «aumen­ta­re sen­za sosta la vigi­lan­za e attri­bui­re sem­pre più atten­zio­ne all’educazione del­la gio­ven­tù». L’effervescenza che carat­te­riz­za in quel momen­to (dicem­bre 1956‑gennaio 1957) l’ambiente uni­ver­si­ta­rio di Mosca lo pro­va: la dia­gno­si era cor­ret­ta. Il pro­gram­ma del­la gio­ven­tù rivo­lu­zio­na­ria polac­ca e di quel­la unghe­re­se è lo stes­so di quel­lo del­la gio­ven­tù tede­sca sol­le­va­ta­si il 17 giu­gno 1953 a Ber­li­no Est, lo stes­so dei gio­va­ni ceco­slo­vac­chi, rume­ni e rus­si. Nel 1940 Sta­lin ha assas­si­na­to Tro­tsky ma non ha potu­to assas­si­na­re il tro­tski­smo, le cui idee trion­fa­no oggi nei gran­dio­si som­mo­vi­men­ti rivo­lu­zio­na­ri del­la nostra epo­ca. I suc­ces­so­ri di Sta­lin han­no svol­to il loro com­pi­to assas­si­nan­do deci­ne di miglia­ia di mili­tan­ti rivo­lu­zio­na­ri unghe­re­si e depor­tan­do­ne in URSS altre deci­ne di miglia­ia. Ma la rivo­lu­zio­ne continua.

La lot­ta militare
Mal­gra­do una schiac­cian­te supe­rio­ri­tà nume­ri­ca, mal­gra­do una schiac­cian­te supe­rio­ri­tà nell’armamento pesan­te, i rus­si han­no impie­ga­to più di una set­ti­ma­na per fare ces­sa­re ogni for­ma di resi­sten­za mili­ta­re orga­niz­za­ta. «I mag­gio­ri cen­tri di resi­sten­za furo­no i quar­tie­ri ope­rai. Gli obiet­ti­vi che i sovie­ti­ci attac­ca­ro­no con una rab­bia ed una furia supe­rio­ri furo­no le fab­bri­che metal­mec­ca­ni­che del­la “peri­fe­ria ros­sa” di Buda­pe­st, i quar­tie­ri ope­rai e le indu­strie dove i comu­ni­sti unghe­re­si ave­va­no i loro bastio­ni e i loro mili­tan­ti più atti­vi», anno­ta un testi­mo­ne[95], e anco­ra: «Sono soprat­tut­to gli ope­rai, i comu­ni­sti, i gio­va­ni sot­to i vent’anni che si bat­te­ro­no dap­per­tut­to a Buda­pe­st con vec­chi fuci­li, mitra­glia­tri­ci o bot­ti­glie molo­tov, con­tro gli auto­blin­do rus­si. Fu la fab­bri­ca di Cse­pel, con le sue miglia­ia di ope­rai, avan­guar­die dei mili­tan­ti pro­le­ta­ri del PC unghe­re­se, che offrì la mag­gior resi­sten­za ai car­ri rus­si»[96]. Gli ope­rai di Cse­pel han­no depo­sto le armi sol­tan­to dopo die­ci gior­ni di com­bat­ti­men­ti acca­ni­ti e, il gior­no stes­so, han­no deci­so di pro­se­gui­re la lot­ta per le loro riven­di­ca­zio­ni, quel­le del­la rivo­lu­zio­ne ope­ra­ia. I lavo­ra­to­ri di Duna­pen­te­le, la vec­chia Sztá­lin­va­ros, si sono bat­tu­ti “per il socia­li­smo” sot­to la dire­zio­ne dei loro con­si­gli, fino a quan­do sono sta­ti tra­vol­ti dagli auto­blin­do e som­mer­si dal­le bom­be. I mina­to­ri di Pécs han­no resi­sti­to nel­le loro minie­re ed alcu­ni vi han­no tro­va­to volon­ta­ria­men­te la mor­te facen­do­si sal­ta­re in aria con esse. Depor­ta­zio­ni mas­sic­ce di gio­va­ni unghe­re­si rive­la­no l’impotenza dei rus­si davan­ti alla volon­tà indo­ma­bi­le del­la gio­ven­tù rivoluzionaria.

L’internazionalismo pro­le­ta­rio
A par­ti­re dal 4 novem­bre la buro­cra­zia del Crem­li­no ha deci­so di far inter­ve­ni­re trup­pe pro­ve­nien­ti dall’Asia sovie­ti­ca, nel­la spe­ran­za che la bar­rie­ra lin­gui­sti­ca impe­di­sca la fra­ter­niz­za­zio­ne tra gli ope­rai ed i con­ta­di­ni sovie­ti­ci in divi­sa e la gio­ven­tù rivo­lu­zio­na­ria unghe­re­se. Allo stes­so tem­po i buro­cra­ti face­va­no cre­de­re a que­ste trup­pe di esse­re invia­te a difen­de­re il cana­le di Suez, nazio­na­liz­za­to da Nas­ser, con­tro la spe­di­zio­ne degli impe­ria­li­sti anglo-fran­ce­si del 4 novem­bre; e ai Com­bat­ten­ti unghe­re­si toc­ca­va di spie­ga­re che il Danu­bio non era il cana­le di Suez …
Com­bat­ten­ti del­la liber­tà, con­vin­ti del­la loro cau­sa, con­ti­nua­ro­no i loro appel­li all’internazionalismo pro­le­ta­rio dei sol­da­ti dell’URSS. Il 7 novem­bre i lavo­ra­to­ri di Duna­pen­te­le indi­riz­za­ro­no un appel­lo alle trup­pe sovie­ti­che in occa­sio­ne del 39° anni­ver­sa­rio del­la rivo­lu­zio­ne rus­sa: «Sol­da­ti! Il vostro Sta­to è sta­to crea­to al prez­zo di una lot­ta san­gui­no­sa per­ché voi abbia­te la vostra liber­tà. Per­ché voler schiac­cia­re la nostra liber­tà? Pote­te con­sta­ta­re coi vostri occhi che a pren­de­re le armi con­tro di voi non sono sta­ti i padro­ni del­le fab­bri­che, i pro­prie­ta­ri ter­rie­ri, i bor­ghe­si ma il popo­lo unghe­re­se che com­bat­te per gli stes­si dirit­ti per i qua­li voi ave­te lot­ta­to nel 1917. Sol­da­ti sovie­ti­ci! Ave­te dimo­stra­to a Sta­lin­gra­do come era­va­te in gra­do di difen­de­re il vostro Pae­se. Sol­da­ti non vi ser­vi­te del­le vostre armi con­tro la nazio­ne unghe­re­se»[97]. La rispo­sta è arri­va­ta: a Buda­pe­st il coman­dan­te di un’unità di car­ri arma­ti rus­si si è arre­so ai Com­bat­ten­ti del­la liber­tà. Ave­va dovu­to spa­ra­re con­tro tre bam­bi­ni che cer­ca­va­no di incen­dia­re il suo car­ro con una bot­ti­glia di ben­zi­na e capì allo­ra che ave­va a che fare con una rivo­lu­zio­ne ope­ra­ia[98]. Miglia­ia di sol­da­ti rus­si disar­ma­ti sono ripor­ta­ti in URSS e siste­ma­ti in cam­pi. Alcu­ni si sono dati alla mac­chia ed altri nel Nord-Ove­st del Pae­se han­no libe­ra­to un tre­no cari­co di depor­ta­ti unghe­re­si[99]. La rivo­lu­zio­ne unghe­re­se e l’intervento arma­to rus­so diven­ta­no così un poten­te fat­to­re di radi­ca­liz­za­zio­ne del­le mas­se rus­se e del­la volon­tà rivo­lu­zio­na­ria del­la gioventù.

Il gover­no di Jánós Kádár
Quan­do l’esercito rus­so attac­ca­va la rivo­lu­zio­ne unghe­re­se, si dise­gna­va una mano­vra desti­na­ta ad ingan­na­re i lavo­ra­to­ri e a for­ni­re una coper­tu­ra all’opera con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ria del­la buro­cra­zia. Poche ore dopo l’ingresso sul­la sce­na dei blin­da­ti, Radio Buda­pe­st, con­trol­la­ta dai rus­si, annun­cia­va la for­ma­zio­ne di un «gover­no rivo­lu­zio­na­rio ope­ra­io e con­ta­di­no» pre­sie­du­to da Jánós Kádár. La per­so­na­li­tà di Kádár, la popo­la­ri­tà deri­va­ta­gli dal­le per­se­cu­zio­ni e dal­le tor­tu­re subi­te nell’era Ráko­si-Gerö ne ave­va­no fat­to un lea­der dei comu­ni­sti oppo­si­to­ri pri­ma del­la rivo­lu­zio­ne ed un luo­go­te­nen­te di Nagy duran­te il pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio. Anco­ra il 1° novem­bre ave­va dichia­ra­to all’ambasciatore sovie­ti­co Yuri Andro­pov che, se neces­sa­rio, avreb­be com­bat­tu­to «a mani nude»[100]. Quel­lo stes­so gior­no ave­va par­la­to alla radio in nome del gover­no Nagy di cui era mem­bro. Ben­ché come mini­stro degli Inter­ni aves­se comun­que pre­so par­te al pro­ces­so con­tro il suo com­pa­gno Rajk, ben­ché fos­se rima­sto estra­neo alle atti­vi­tà del cir­co­lo Petö­fi e aves­se accom­pa­gna­to Gerö a Bel­gra­do, nel cor­so dei gior­ni deci­si­vi sem­bra­va esser­si stac­ca­to dall’apparato sta­li­ni­sta con la stes­sa net­tez­za di Nagy e Losonc­zy. Cosa può spie­ga­re una vira­ta così bru­sca? Cosa è vera­men­te suc­ces­so? Kádár, spez­za­to dal­le tor­tu­re, è diven­ta­to for­se un cor­po pri­vo di pen­sie­ro, uno stru­men­to nel­le mani dei poli­ziot­ti sta­li­ni­sti?[101] Ha inve­ce sem­pli­ce­men­te agi­to come uomo d’apparato ceden­do alle pres­sio­ni del­la buro­cra­zia? Non è pos­si­bi­le sta­bi­lir­lo con cer­tez­za. È cer­to inve­ce che un gover­no con la pre­sen­za diri­gen­te di Kádár e for­ma­to dal nucleo duro degli sta­li­ni­sti – i vari Mün­nich, Apró e Maro­sán, di cui i con­si­gli ave­va­no richie­sto l’eliminazione – ser­vi­va alla buro­cra­zia del Cre­mi­no per crea­re con­fu­sio­ne tra i lavoratori.

Un pri­mo pas­so indie­tro di fron­te ai consigli
Nei pri­mi gior­ni di com­bat­ti­men­to seguen­ti al 4 novem­bre, sem­bra che l’iniziativa sia sta­ta nel­le mani degli ele­men­ti più con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ri del cam­po sta­li­ni­sta. In que­sti ter­mi­ni infat­ti il coman­dan­te unghe­re­se di Szom­ba­the­ly, uni­to­si ai rus­si, annun­cia­va trion­fal­men­te alla radio: «I lavo­ra­to­ri han­no col­pi­to. Nel­le fab­bri­che i con­si­gli ope­rai e i fasci­sti sono sta­ti liqui­da­ti»[102]. L’8 novem­bre lo sta­li­ni­sta Ferenc Mün­nich, mini­stro degli Inter­ni e del­le For­ze Arma­te del gover­no Kádár, espri­me­va pub­bli­ca­men­te la volon­tà del Crem­li­no di annien­ta­re il pote­re dei Con­si­gli ope­rai dis­sol­ven­do i Comi­ta­ti rivo­lu­zio­na­ri dell’esercito, esi­gen­do l’eliminazione di quel­li che defi­ni­va i “con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ri” dei con­si­gli. I con­si­gli era­no rico­no­sciu­ti ma il gover­no toglie­va loro ogni rile­van­za decre­tan­do che non ave­va­no alcun pote­re per nomi­na­re o licen­zia­re chiun­que all’interno dell’amministrazione, proi­ben­do loro di pren­de­re una qual­sia­si deci­sio­ne sen­za l’approvazione di un “com­mis­sa­rio poli­ti­co” che era ormai il loro tuto­re[103].
Ma in real­tà, man mano che gli ope­rai era­no costret­ti a ces­sa­re i com­bat­ti­men­ti, appa­ri­va con chia­rez­za che, nono­stan­te le ese­cu­zio­ni, gli arre­sti e le depor­ta­zio­ni, i con­si­gli era­no rima­sti in pie­di ovun­que, rin­no­va­ti­si per riem­pi­re i vuo­ti che si crea­va­no, por­ta­ti avan­ti e soste­nu­ti da quei lavo­ra­to­ri i qua­li non rico­no­sce­va­no altra auto­ri­tà ed altro pro­gram­ma eccet­to il loro. Set­te gior­ni di com­bat­ti­men­to non ave­va­no fat­to indie­treg­gia­re la volon­tà rivo­lu­zio­na­ria del­le mas­se. Biso­gna­va cam­bia­re tat­ti­ca. Jánós Kádár comin­ciò a gio­ca­re il ruo­lo che gli era sta­to affidato.

Kádár cer­ca di con­qui­sta­re i consigli
L’11 novem­bre Kádár ha dichia­ra­to alla radio che il gover­no avreb­be nego­zia­to il riti­ro dei rus­si. I mem­bri del pre­ce­den­te gover­no Nagy, a suo dire, «con­cor­da­no pie­na­men­te col suo pro­gram­ma rivo­lu­zio­na­rio» e han­no altre­sì mani­fe­sta­to la volon­tà di col­la­bo­ra­re stret­ta­men­te con lui. Kádár dice che mol­ti par­ti­ti poli­ti­ci potran­no par­te­ci­pa­re alla vita pub­bli­ca. Men­tre con­dan­na il regi­me instau­ra­to sot­to Ráko­si e Gerö, si lascia sfug­gi­re che «in Unghe­ria ci sono per­so­ne le qua­li temo­no che que­sto gover­no rein­tro­du­ca i meto­di del vec­chio par­ti­to comu­ni­sta e il suo siste­ma di dire­zio­ne. Non c’è un solo uomo in posi­zio­ne diri­gen­te che imma­gi­ni di agi­re in tal sen­so per­ché, anche qua­lo­ra lo desi­de­ras­se, sa che sareb­be spaz­za­to via dal­le mas­se»[104]. Il 12 novem­bre il quo­ti­dia­no del PC bri­tan­ni­co è auto­riz­za­to ad annun­cia­re che «il signor Kádár ha avu­to un col­lo­quio con Nagy»[105]. Il 14 novem­bre il diri­gen­te dei sin­da­ca­ti unghe­re­si, Sán­dor Gáspár, affer­ma che il gover­no ha rico­no­sciu­to i con­si­gli i qua­li avran­no il dirit­to, all’interno del­le fab­bri­che, di pren­de­re le deci­sio­ni che i diret­to­ri dovran­no ese­gui­re. Aggiun­ge che i con­si­gli dovran­no però esse­re con­fer­ma­ti coi loro nuo­vi pote­ri da nuo­ve ele­zio­ni[106].
Il 14 novem­bre a Buda­pe­st si era costi­tui­to il Con­si­glio cen­tra­le degli ope­rai di Buda­pe­st, elet­to dal­la tota­li­tà dei con­si­gli ope­rai del­la capi­ta­le. I com­po­nen­ti del Con­si­glio cen­tra­le sono mol­to gio­va­ni: la metà ha tra i 23 ed i 28 anni. Alcu­ni “anzia­ni” han­no cono­sciu­to la repres­sio­ne del regi­me fasci­sta di Hor­thy pri­ma anco­ra di quel­la di Ráko­si, alcu­ni sono sta­ti mili­tan­ti social­de­mo­cra­ti­ci pri­ma di ade­ri­re al par­ti­to “comu­ni­sta”: è il caso di Sán­dor Báli, dele­ga­to alla fab­bri­ca Belo­jan­nis di Buda­pe­st, mol­to ascol­ta­to all’interno del Con­si­glio cen­tra­le. Que­sto fab­bro, assie­me al fab­bro diven­ta­to inge­gne­re, Kar­sai, è la testa poli­ti­ca che ispi­ra la mag­gio­ran­za del Con­si­glio cen­tra­le dopo l’eliminazione, ini­zia­ta il 15 novem­bre, dell’ala filo‑Kádár diret­ta da Arpád Balász. Gli altri mili­tan­ti che diven­ta­no diri­gen­ti sono il gio­va­ne attrez­zi­sta Sán­dor Rácz, anch’egli dele­ga­to del­la fab­bri­ca Belo­jan­nis, l’ingegnere otti­co Miklós Sebe­styén, il fab­bro Ferenc Töke, il dele­ga­to del­la raf­fi­ne­ria di Cse­pel Györ­gy Kamoc­sai, il rap­pre­sen­tan­te dei fer­ro­vie­ri Endre Mester, tut­ti rap­pre­sen­tan­ti del­la gene­ra­zio­ne ope­ra­ia a cui il nuo­vo regi­me ha dato istru­zio­ne e qua­li­fi­ca pri­van­do­la al tem­po stes­so di ogni dirit­to demo­cra­ti­co. Dopo la repres­sio­ne segui­ta al 4 novem­bre, il Con­si­glio cen­tra­le è la sola auto­ri­tà real­men­te rico­no­sciu­ta a Buda­pe­st. Incar­na la rivo­lu­zio­ne ope­ra­ia ed è in con­tat­to costan­te coi Comi­ta­ti rivo­lu­zio­na­ri degli stu­den­ti e degli intel­let­tua­li. È al Con­si­glio cen­tra­le che Kádár – senz’altro pote­re che i blin­da­ti rus­si impo­ten­ti di fron­te allo scio­pe­ro – lan­cia un appel­lo per trat­ta­re la ripre­sa del lavo­ro. Come avreb­be dichia­ra­to in segui­to: «Il gover­no ha trat­ta­to più vol­te col Con­si­glio di Buda­pe­st valu­tan­do che esso avreb­be aiu­ta­to i con­si­gli di fab­bri­ca nel­la rea­liz­za­zio­ne dei loro com­pi­ti e sco­pi»[107].
Fin dal 14 novem­bre, il Con­si­glio cen­tra­le degli ope­rai di Buda­pe­st ren­de pub­bli­che le con­di­zio­ni che pone per la ripre­sa del lavo­ro. Sono le riven­di­ca­zio­ni del­la rivo­lu­zio­ne: rico­no­sci­men­to del dirit­to di scio­pe­ro, ritor­no al pote­re di Imre Nagy, riti­ro dei rus­si, ele­zio­ni libe­re e puli­te a suf­fra­gio uni­ver­sa­le, abo­li­zio­ne del par­ti­to uni­co e liber­tà per i par­ti­ti che accet­ta­no il regi­me eco­no­mi­co vigen­te, indi­pen­den­za com­ple­ta dall’URSS, neu­tra­li­tà dell’Ungheria rispet­to ai pat­ti mili­ta­ri inter­na­zio­na­li. Le rispo­ste di Kádár, eva­si­ve o posi­ti­ve, così come sono sta­te rese pub­bli­che l’indomani, testi­mo­nia­no innan­zi­tut­to del suo desi­de­rio di con­vin­ce­re i dele­ga­ti dei con­si­gli del­la purez­za del­le sue inten­zio­ni, ma anche dei suoi limi­ti … Kádár sot­to­li­nea le con­se­guen­ze eco­no­mi­ca­men­te disa­stro­se del pro­lun­ga­men­to del­lo scio­pe­ro, dichia­ra che «non si pone nep­pu­re la que­stio­ne del ritor­no al pote­re di Imre Nagy fin­ché si tro­ve­rà in ter­ri­to­rio stra­nie­ro» (cioè l’ambasciata jugo­sla­va). Si dice d’accordo, in linea di prin­ci­pio, col riti­ro dei rus­si: «quan­do sarà scon­fit­to il peri­co­lo rea­zio­na­rio, le trup­pe sovie­ti­che abban­do­ne­ran­no l’Ungheria». Kádár pro­met­te la costru­zio­ne di un «siste­ma poli­ti­co plu­ri­par­ti­ti­co», «a con­di­zio­ne che tut­ti i par­ti­ti rico­no­sca­no il regi­me socia­li­sta»; chie­de inol­tre ai Con­si­gli di esse­re pru­den­ti sul­la que­stio­ne di ele­zio­ni libe­re, «pun­to deli­ca­to», per­ché «il nostro par­ti­to potreb­be esse­re scon­fit­to». Non fa nes­su­na pro­mes­sa rispet­to all’uranio unghe­re­se che, così dice, «non potrem­mo comun­que sfrut­ta­re da soli», ma in com­pen­so si impe­gna a ren­de­re pub­bli­ci tut­ti i futu­ri accor­di eco­no­mi­ci con l’URSS. L’idea di neu­tra­li­tà, infi­ne, vie­ne cate­go­ri­ca­men­te rifiu­ta­ta. Al Con­si­glio in rivol­ta con­tro le depor­ta­zio­ni dichia­ra: «Abbia­mo rag­giun­to un accor­do col Coman­do sovie­ti­co sul­la base del qua­le nes­su­no deve esse­re depor­ta­to dall’Ungheria»[108].
Appe­na vie­ne resa nota, la rispo­sta di Kádár è discus­sa dai con­si­gli ope­rai. La sera di quel­la stes­sa gior­na­ta, il 15 novem­bre, i dele­ga­ti del Con­si­glio cen­tra­le di Buda­pe­st regi­stra­no la volon­tà ope­ra­ia di non por­re fine allo scio­pe­ro pri­ma di aver otte­nu­to il sod­di­sfa­ci­men­to del­le riven­di­ca­zio­ni essen­zia­li. In riu­nio­ne nel­la sede del­la Com­pa­gnia dei tra­spor­ti di Buda­pe­st, i dele­ga­ti vota­no la con­ti­nua­zio­ne del­lo scio­pe­ro gene­ra­le. L’ottenimento di due riven­di­ca­zio­ni cen­tra­li potreb­be, secon­do loro, moti­va­re un cam­bia­men­to del­la loro linea: il ritor­no al pote­re di Imre Nagy e l’allontanamento da Buda­pe­st e a bre­ve ter­mi­ne da tut­to il pae­se del­le trup­pe, ele­men­to chia­ve «nell’interesse del man­te­ni­men­to di una rela­zio­ne fra­ter­na con l’Unione Sovie­ti­ca»[109]. Vale ricor­da­re che il Con­si­glio cen­tra­le non abban­do­na le riven­di­ca­zio­ni pre­sen­ta­te il gior­no pri­ma. Ma il ritor­no al pote­re di Imre Nagy, di cui Kádár ha lascia­to intra­ve­de­re la pos­si­bi­li­tà, e la par­ten­za dei rus­si sareb­be­ro la garan­zia che i rus­si sono pron­ti ormai a con­sen­ti­re che la vita poli­ti­ca unghe­re­se si svi­lup­pi sen­za inter­ven­ti ester­ni. Rea­li­sta, il Con­si­glio ipo­tiz­za una riti­ra­ta gra­dua­le. Dif­fi­den­ti, i suoi dele­ga­ti avver­to­no Kádár che si riser­va­no il dirit­to di ricor­re­re nuo­va­men­te allo scio­pe­ro, se lo rite­nes­se­ro neces­sa­rio, al fine di otte­ne­re le altre riven­di­ca­zio­ni. È chia­ro che in quel momen­to i com­po­nen­ti del Con­si­glio di Buda­pe­st pen­sa­no che con­ti­nuan­do lo scio­pe­ro sia pos­si­bi­le che Kádár e i rus­si ceda­no sui due pun­ti fon­da­men­ta­li. Per par­te sua Kádár vuo­le man­te­ne­re que­sti «inter­lo­cu­to­ri cre­di­bi­li». In pie­na riu­nio­ne del Con­si­glio, la sala è inva­sa dai sol­da­ti rus­si appog­gia­ti da due car­ri e tre auto­blin­do[110]. Kádár, rag­giun­to tele­fo­ni­ca­men­te, si scu­sa coi dele­ga­ti ope­rai e inter­ce­de pres­so il Coman­do rus­so per­ché ven­ga­no riti­ra­te le trup­pe. Que­sto epi­so­dio indu­ce senz’altro alcu­ni mem­bri del Con­si­glio a pen­sa­re che Kádár sia il difen­so­re dei con­si­gli pres­so i rus­si e per­se­gua una poli­ti­ca del male mino­re con­ve­nien­te da caval­ca­re. In veri­tà il “gio­co” di Kádár, come in segui­to sareb­be sta­to evi­den­te, non con­si­ste­va nell’imporre ai rus­si il pun­to di vista dei con­si­gli ma al con­tra­rio ad impor­re ai con­si­gli la volon­tà dei russi.

Pri­mi frut­ti dell’azione di Kádár
La fame e il fred­do sta­va­no diven­tan­do gli allea­ti più pre­zio­si di Kádár. Le sof­fe­ren­ze sop­por­ta­te duran­te e dopo i com­bat­ti­men­ti, la stan­chez­za e le pri­va­zio­ni non avreb­be­ro potu­to, esse sole, demo­ra­liz­za­re i lavo­ra­to­ri. Ma, aggiun­gen­do­si alle pro­mes­se di Kádár che lascia­va intra­ve­de­re una pos­si­bi­le via d’uscita paci­fi­ca, esse han­no con­tri­bui­to ad ali­men­ta­re la demo­ra­liz­za­zio­ne nel­la clas­se ope­ra­ia. Sem­bra che pro­prio que­sti due ele­men­ti sia­no sta­ti deci­si­vi per spin­ge­re gli ope­rai di Cse­pel alla ripre­sa del lavoro.
I metal­mec­ca­ni­ci di Cse­pel era­no sta­ti l’ariete del­la rivo­lu­zio­ne. Si era­no bat­tu­ti fin dal 23 otto­bre. La mat­ti­na del 4 novem­bre resi­ste­va­no all’attacco por­ta­to dai rus­si con­tro la loro fab­bri­ca. Nel cor­so di quel­la bat­ta­glia acca­ni­ta gli ope­rai del­la Bil­lan­court[111] unghe­re­se han­no per­so mol­ti dei miglio­ri com­bat­ten­ti rivo­lu­zio­na­ri. Nono­stan­te ciò, il gior­no in cui con­se­gna­no le armi vota­no pure la con­ti­nua­zio­ne del­lo scio­pe­ro. I con­ta­di­ni li rifor­ni­sco­no[112]. Il gover­no vie­ta allo­ra ogni scam­bio di ali­men­ti al di fuo­ri del con­trol­lo dei suoi orga­ni­smi. Kádár mol­ti­pli­ca pro­mes­se e pres­sio­ni, facen­do intra­ve­de­re la pos­si­bi­li­tà di un accor­do: mol­ti lavo­ra­to­ri di Cse­pel, che han­no subi­to più di altri, vor­reb­be­ro cura­re le loro feri­te. È que­sta la pri­ma vit­to­ria di Kádár, par­zia­le sol­tan­to, ma che sfrut­te­rà sino in fon­do. I diri­gen­ti ope­rai del Con­si­glio di Cse­pel pen­sa­no di poter ripren­de­re il lavo­ro sen­za rinun­cia­re alle pro­prie riven­di­ca­zio­ni ope­ra­ie: «Voglia­mo cer­ta­men­te ripren­de­re il lavo­ro nel­le fab­bri­che di Cse­pel», dichia­ra il loro mani­fe­sto usci­to la sera del 15 novem­bre, «ma alla sola con­di­zio­ne che pro­se­gua­no le trat­ta­ti­ve tra gover­no e ope­rai e che le nostre riven­di­ca­zio­ni sia­no accet­ta­te. Con­ti­nue­re­mo la lot­ta per la rea­liz­za­zio­ne com­ple­ta del­le idee del­la nostra rivo­lu­zio­ne, poi­ché ci sen­tia­mo abba­stan­za for­ti per ese­gui­re il testa­men­to dei nostri eroi cadu­ti nel­la lot­ta di libe­ra­zio­ne … Nien­te al mon­do può pri­var­ci di quest’arma invin­ci­bi­le che è lo scio­pe­ro, qua­lo­ra i nego­zia­ti col gover­no fal­lis­se­ro»[113].
Il peso degli ope­rai di Cse­pel nel pro­le­ta­ria­to di Buda­pe­st e il peso dei suoi dele­ga­ti nel Con­si­glio cen­tra­le sem­bra­no aver­vi fat­to pen­de­re la bilan­cia a favo­re dei “con­ci­lia­to­ri”. Kádár fa pres­sio­ne sui dele­ga­ti in nome del­le neces­si­tà mate­ria­li. Ripe­te che la con­ti­nua­zio­ne del­lo scio­pe­ro è un «sui­ci­dio nazio­na­le». Ripe­te che la ripre­sa del lavo­ro, il «rista­bi­li­men­to dell’ordine», sono la pre­con­di­zio­ne di un qual­sia­si suc­ces­si­vo pas­so in avan­ti. Senz’altro alcu­ni con­ci­lia­to­ri pen­sa­no che si deb­ba “aiu­ta­re” Kádár, il qua­le, otte­nu­ta la fine del­lo scio­pe­ro, sareb­be in una posi­zio­ne di mag­gior for­za per strap­pa­re alcu­ne con­ces­sio­ni ai rus­si. Dopo una lun­ga not­te di discus­sio­ne sono i con­ci­lia­to­ri a ripor­ta­re la vit­to­ria, con una mag­gio­ran­za risicata.
La mat­ti­na del 16 novem­bre il Con­si­glio cen­tra­le degli ope­rai di Buda­pe­st lan­cia un appel­lo per la ripre­sa del lavoro:

«Con­sa­pe­vo­li del­la respon­sa­bi­li­tà ver­so la nostra patria e il nostro popo­lo, che han­no tan­to sof­fer­to, dob­bia­mo dire che nell’interesse dell’economia nazio­na­le, per ragio­ni socia­li e uma­ni­ta­rie, e in segui­to a deter­mi­na­te cir­co­stan­ze, si ren­de asso­lu­ta­men­te neces­sa­ria la ripre­sa del lavo­ro produttivo.
In que­sta tra­gi­ca situa­zio­ne, il vostro buon sen­so, la vostra con­sa­pe­vo­lez­za e il vostro spi­ri­to ope­ra­io vi ordi­na­no cate­go­ri­ca­men­te di ripren­de­re il lavo­ro, man­te­nen­do i vostri dirit­ti, per saba­to 17 novembre.
Pro­cla­mia­mo solen­ne­men­te che tale deci­sio­ne non signi­fi­ca in nes­sun modo che noi abbia­mo abban­do­na­to, fos­se pure una vir­go­la, degli obiet­ti­vi e del­le con­qui­ste del­la nostra insur­re­zio­ne nazionale.
I nego­zia­ti con­ti­nua­no e sia­mo con­vin­ti che, gra­zie agli sfor­zi reci­pro­ci, le que­stio­ni in sospe­so saran­no risol­te per il meglio.
Chie­dia­mo la vostra fidu­cia e il vostro una­ni­me aiu­to»[114].

È evi­den­te che tale posi­zio­ne è lun­gi dall’essere con­di­vi­sa da tut­ti gli ope­rai. Quel gior­no stes­so, la base revo­ca alcu­ni dele­ga­ti ai qua­li rim­pro­ve­ra di non aver rispet­ta­to le deci­sio­ni pre­se la vigi­lia dopo le discus­sio­ni tra gli ope­rai. Mol­ti con­si­gli pro­te­sta­no ricor­dan­do le con­di­zio­ni poste dal­lo stes­so Con­si­glio cen­tra­le per la ripre­sa del lavo­ro: ritor­no al pote­re di Imre Nagy e riti­ro dei rus­si da Buda­pe­st[115]. L’opposizione si espri­me pub­bli­ca­men­te: un volan­ti­no dif­fu­so il 17 rive­la che Kádár ha minac­cia­to di depor­ta­re i mem­bri del Con­si­glio nel caso in cui il lavo­ro non fos­se ripre­so. Il 18 una dele­ga­zio­ne ope­ra­ia chie­de al Con­si­glio cen­tra­le di fare un appel­lo a tut­ti i con­si­gli di pro­vin­cia per­ché eleg­ga­no un Con­si­glio nazio­na­le, un Par­la­men­to ope­ra­io che, elet­to dall’insieme dei lavo­ra­to­ri unghe­re­si, sareb­be l’unico orga­ni­smo col pote­re di trat­ta­re in nome di tutti.

Le ten­den­ze poli­ti­che all’interno dei consigli
Il Con­si­glio cen­tra­le di Buda­pe­st, som­mer­so da un’ondata di pro­te­ste e con­sta­tan­do che il suo appel­lo alla ripre­sa del lavo­ro non è sta­to segui­to, fa sua la pro­po­sta ed ini­zia a pre­pa­ra­re la riu­nio­ne del Con­si­glio nazio­na­le per la qua­le sol­le­ci­te­rà tra l’altro un’autorizzazione uffi­cia­le che ver­rà nega­ta[116]. La situa­zio­ne di Buda­pe­st sem­bra ana­lo­ga a quel­la di Cse­pel dove, il 19 novem­bre, il 30% degli ope­rai entra in fab­bri­ca ma nes­su­no lavo­ra. Un por­ta­vo­ce dichia­ra: «Rite­nia­mo che sia la sola cosa ragio­ne­vo­le che pos­sia­mo fare in que­sto momen­to. Sia­mo qui in fab­bri­ca per­ché abbia­mo biso­gno del nostro sala­rio ed anche per­ché la pre­sen­za in fab­bri­ca aiu­ta a rag­grup­par­ci. Se con­ti­nua­va­mo a resi­ste­re nel­le nostre case, i can­cel­li del­le fab­bri­che sareb­be­ro sta­ti chiu­si, ren­den­do più faci­le al gover­no il com­pi­to di occu­par­si di noi indi­vi­dual­men­te a casa nostra piut­to­sto che di far­lo nel­le fab­bri­che dove sia­mo riu­ni­ti»[117].
Ma la pro­vin­cia si rive­le­rà mol­to meno pro­pen­sa alla con­ci­lia­zio­ne del­la mag­gio­ran­za – ristret­ta, è vero – dei com­po­nen­ti del Con­si­glio cen­tra­le di Buda­pe­st. Il fat­to non ha nul­la di straor­di­na­rio. A Buda­pe­st i con­si­gli ope­rai sono nati quan­do l’insurrezione era già ini­zia­ta. I pri­mi com­bat­ten­ti ope­rai han­no rag­giun­to i distac­ca­men­ti for­ma­ti dal Comi­ta­to rivo­lu­zio­na­rio degli stu­den­ti. Lo scio­pe­ro gene­ra­le ha fat­to segui­to all’insurrezione pro­vo­ca­ta dall’attacco dell’AVH con­tro le mani­fe­sta­zio­ni del 23 otto­bre. Duran­te l’insurrezione i con­si­gli ope­rai, iso­la­ti gli uni dagli altri, non han­no avu­to modo di cen­tra­liz­zar­si. I lavo­ra­to­ri in lot­ta con gli insor­ti si sono mes­si sot­to gli ordi­ni di vari orga­ni­smi: il Comi­ta­to degli stu­den­ti, il Comi­ta­to nazio­na­le rivo­lu­zio­na­rio di Dudás, il Comi­ta­to dell’esercito. Mol­ti ope­rai mesco­la­ti agli altri Com­bat­ten­ti del­la liber­tà segui­va­no Malé­ter, altri anco­ra il gover­no Nagy. La for­za orga­niz­za­ta del­la clas­se ope­ra­ia, coi suoi con­si­gli elet­ti nel­le azien­de, le sue posi­zio­ni in fab­bri­ca – in altri ter­mi­ni, i suoi bastio­ni indu­stria­li – è appar­sa sol­tan­to quan­do la repres­sio­ne, abbat­ten­do gli orga­ni­smi nati dall’insurrezione e i comi­ta­ti loca­li, ha attac­ca­to diret­ta­men­te gli embrio­ni di un nuo­vo pote­re. I mili­tan­ti diri­gen­ti dei con­si­gli ope­rai han­no costi­tui­to il Con­si­glio cen­tra­le, su pro­po­sta del con­si­glio di Ujpe­st, per­ché era­no coscien­ti che solo l’organizzazione su base di clas­se dei con­si­gli pote­va dare alla clas­se ope­ra­ia la for­za per difen­de­re le con­qui­ste dell’Ottobre per con­to dell’intera popo­la­zio­ne. A pro­po­si­to del Con­si­glio cen­tra­le, è uti­le osser­va­re che se è diven­ta­to l’organismo più rap­pre­sen­ta­ti­vo del­la resi­sten­za ope­ra­ia orga­niz­za­ta, a Buda­pe­st si è scon­tra­to con una con­cen­tra­zio­ne spro­por­zio­na­ta di for­ze arma­te rus­se ed all’apparato ammi­ni­stra­ti­vo, ridot­to ma rea­le, for­ma­to da ex Avos che spal­leg­gia­va­no il gover­no Kádár. In pro­vin­cia, al con­tra­rio, l’insurrezione è sca­tu­ri­ta dal­lo scio­pe­ro gene­ra­le e i con­si­gli ope­rai, dopo aver­la diret­ta, han­no assun­to diret­ta­men­te il pote­re. Han­no spaz­za­to via l’amministrazione sta­li­ni­sta, dato ordi­ni alle for­ze arma­te, e il gover­no Nagy ha trat­to la pro­pria for­za dal loro appog­gio. Duran­te il perio­do del­la “indi­pen­den­za” han­no real­men­te eser­ci­ta­to il pote­re. Dopo l’attacco del 4 novem­bre sono rima­sti nei fat­ti la sola auto­ri­tà davan­ti ai Coman­di rus­si, una vol­ta squa­glia­ti­si l’apparato del par­ti­to e del­lo Sta­to. In alcu­ne cit­tà il Coman­do rus­so ha trat­ta­to con loro. Così a Miskolc la radio con­ti­nua a tra­smet­te­re libe­ra­men­te e i rus­si si rifiu­ta­no di inter­ve­ni­re per far rico­no­sce­re il gover­no Kádár, a pat­to che i suoi sol­da­ti non ven­ga­no attac­ca­ti[118]. I con­si­gli ope­rai di pro­vin­cia sono così mol­to meno incli­ni al com­pro­mes­so rispet­to al Con­si­glio cen­tra­le, sot­to­po­sto ad una mag­gio­re pres­sio­ne. Que­sti con­si­gli han­no il pote­re e l’esigeranno per tut­ti i consigli.
Lo scon­tro coi buro­cra­ti è ine­vi­ta­bi­le. Un por­ta­vo­ce dei sin­da­ca­ti, segua­ce di Kádár, dichia­ra in effet­ti il 19, secon­do quan­to ripor­ta Stil: «Ci sono anco­ra in Unghe­ria com­pa­gni i qua­li non cre­do­no che la for­ma­zio­ne dei con­si­gli sia posi­ti­va e non vedo­no che i peri­co­li del­la loro azio­ne … Fino­ra tali con­si­gli, allon­ta­nan­do­si dal loro ruo­lo di orga­ni­smo eco­no­mi­co loca­le, limi­ta­to alla sin­go­la impre­sa, pre­ten­den­do di assu­me­re una fun­zio­ne di pote­re poli­ti­co o di sosti­tuir­si ai sin­da­ca­ti, o di orga­niz­zar­si in comi­ta­ti cit­ta­di­ni, regio­na­li o nazio­na­li, han­no por­ta­to sol­tan­to ver­so una situa­zio­ne di caos anar­chi­co»[119]. La situa­zio­ne è chia­ra. All’interno del­la buro­cra­zia un’ala è tena­ce­men­te oppo­sta all’esistenza stes­sa dei con­si­gli, un’altra è pron­ta a tol­le­rar­li qua­lo­ra si limi­ti­no a “fun­zio­ni di orga­niz­za­zio­ne eco­no­mi­ca loca­le”. Una par­te dei Con­si­gli, di con­tro, è deci­sa a “gio­ca­re il ruo­lo di orga­ni­smo del pote­re poli­ti­co”. Aven­do il Con­si­glio di Buda­pe­st cedu­to alle pres­sio­ni dei buro­cra­ti, i lavo­ra­to­ri fan­no appel­lo al Con­si­glio nazio­na­le rispet­to alla deci­so­ne di por­re fine allo sciopero.

Il con­si­glio nazio­na­le operaio
La riu­nio­ne del con­si­glio nazio­na­le ope­ra­io, una sor­ta di Par­la­men­to ope­ra­io, dove­va ini­zia­re alle ore 9 del 21 novem­bre pres­so il Palaz­zo del­lo Sport di Buda­pe­st. Quan­do i dele­ga­ti si pre­sen­ta­ro­no tro­va­ro­no i lati del­la sala bloc­ca­ti dal­la poli­zia e dall’esercito, rin­for­za­ti dai car­ri rus­si. Deci­se­ro allo­ra di riu­nir­si al loca­le del Con­si­glio cen­tra­le, alla sede del­la Com­pa­gnia dei tra­spor­ti. Nes­sun gior­na­li­sta ha potu­to assi­ste­re a quel­la riu­nio­ne, dura­ta cin­que ore, nell’edificio accer­chia­to dal­la poli­zia che la tol­le­ra­va come ses­sio­ne “allar­ga­ta” del Con­si­glio di Budapest.
La pri­ma deci­sio­ne del Con­si­glio nazio­na­le fu di revo­ca­re l’ordine di ripre­sa del lavo­ro lan­cia­to dal Con­si­glio cen­tra­le di Buda­pe­st, segui­to peral­tro da non più di un quar­to dei lavo­ra­to­ri. Il Con­si­glio nazio­na­le ordi­na la ripre­sa del­lo scio­pe­ro per 48 ore, in segno di oppo­si­zio­ne alle misu­re adot­ta­te con­tro la sua riu­nio­ne ed ai ten­ta­ti­vi gover­na­ti­vi di impe­dir­la. L’ordine di scio­pe­ro è vali­do per tut­ta l’industria, sal­vo quel­la ali­men­ta­re. Al ter­mi­ne del­le 48 ore, la con­di­zio­ne per la ripre­sa del lavo­ro è il rico­no­sci­men­to da par­te del gover­no Kádár del Con­si­glio nazio­na­le ope­ra­io elet­to demo­cra­ti­ca­men­te come la sola rap­pre­sen­tan­za auten­ti­ca dei lavo­ra­to­ri unghe­re­si. Se que­sta doman­da è accet­ta­ta, il lavo­ro ripren­de­rà il 24 novem­bre con­tem­po­ra­nea­men­te ai nego­zia­ti tra il gover­no e i dele­ga­ti del con­si­glio nazio­na­le ope­ra­io. Que­sti avran­no come ogget­to le riven­di­ca­zio­ni del­la clas­se ope­ra­ia, le stes­se avan­za­te il 15 novem­bre dal Con­si­glio cen­tra­le: ritor­no al pote­re di Imre Nagy, libe­ra­zio­ne dei pri­gio­nie­ri tra cui figu­ra Malé­ter, riti­ro dei rus­si ed abban­do­no del pae­se, ele­zio­ni libe­re con tut­ti i par­ti­ti, liber­tà di stam­pa e di riu­nio­ne, indi­pen­den­za dell’Ungheria. Le discus­sio­ni tra il gover­no e il Con­si­glio dovran­no esse­re pub­bli­ca­te con esat­tez­za sul­la stam­pa. Il gover­no dovrà mani­fe­sta­re «la sua buo­na fede libe­ran­do imme­dia­ta­men­te i civi­li ed i mili­ta­ri fer­ma­ti, arre­sta­ti e depor­ta­ti»[120], «defe­ren­do davan­ti ai tri­bu­na­li unghe­re­si per giu­di­zi pub­bli­ci colo­ro che sono incol­pa­ti per delit­ti comu­ni»[121]. La rispo­sta del­la clas­se ope­ra­ia unghe­re­se era net­ta. Pri­ma di con­se­gna­re le armi esi­ge­va garan­zie serie. È ancor più signi­fi­ca­ti­va la riven­di­ca­zio­ne del Con­si­glio nazio­na­le di esse­re rico­no­sciu­to uni­ca auto­ri­tà in gra­do di rap­pre­sen­ta­re auten­ti­ca­men­te i lavo­ra­to­ri unghe­re­si. Con la for­ma­zio­ne del Con­si­glio nazio­na­le ope­ra­io pren­de­va for­ma quel movi­men­to “uni­co e poten­te” recla­ma­to sin dal 28 otto­bre da par­te del con­si­glio ope­ra­io di Miskolc, que­gli “sta­ti gene­ra­li dei con­si­gli ope­rai” che Nagy vole­va rea­liz­za­re. Si era davan­ti alla riven­di­ca­zio­ne soste­nu­ta dal­la clas­se ope­ra­ia di eser­ci­ta­re il pote­re per mez­zo del­le sue orga­niz­za­zio­ni auto­no­me di clas­se, dei suoi soviet, i con­si­gli loca­li e regio­na­li, del suo Con­si­glio nazio­na­le. Il brac­cio di fer­ro era ine­vi­ta­bi­le tra la clas­se ope­ra­ia e i buro­cra­ti, deter­mi­na­ti per loro con­to a sof­fo­ca­re o a svuo­ta­re di sostan­za i con­si­gli. Però, nel­lo scon­tro tra un gover­no che ave­va una stra­te­gia nei con­fron­ti dei lavo­ra­to­ri e pre­pa­ra­va scru­po­lo­sa­men­te i suoi col­pi, da una par­te, e una dire­zio­ne ope­ra­ia pri­va di espe­rien­za, sen­za qua­dri poli­ti­ci rivo­lu­zio­na­ri for­ma­ti, dall’altra, tra la buro­cra­zia dota­ta di poli­ti­can­ti capa­ci di mano­vra­re e i con­si­gli ope­rai cui man­ca­va il soste­gno e l’organizzazione di un par­ti­to rivo­lu­zio­na­rio come il par­ti­to bol­sce­vi­co del 1917, ci fu biso­gno di tem­po e di nume­ro­se esi­ta­zio­ni del­la gio­va­ne dire­zio­ne per­ché la situa­zio­ne diven­tas­se chiara.

Il gover­no Kádár mano­vra per gua­da­gna­re tempo
I buro­cra­ti capi­va­no che era trop­po pre­sto per pun­ta­re a una pro­va di for­za. I comi­ta­ti rivo­lu­zio­na­ri for­ma­ti­si ad ogni livel­lo dell’amministrazione e del­lo Sta­to costi­tui­va­no un osta­co­lo piut­to­sto ingom­bran­te per l’azione del­la buro­cra­zia. Dal 22 il gover­no deci­de di pas­sa­re all’attacco dei comi­ta­ti instal­la­ti nei mini­ste­ri, del­la rivo­lu­zio­ne inse­dia­ta­si ad instal­la­re nel cuo­re del­lo Sta­to. «I Comi­ta­ti rivo­lu­zio­na­ri dei mini­ste­ri voglio­no pren­de­re deci­sio­ni che van­no oltre la loro com­pe­ten­za e non favo­ri­sco­no né la ripre­sa del lavo­ro né il rista­bi­li­men­to dell’ordine», dichia­ra Radio Buda­pe­st, che aggiun­ge: «Il gover­no ha dato l’ordine ai diret­to­ri dei mini­ste­ri di ridur­re l’attività di que­sti comi­ta­ti e di accet­ta­re i loro sug­ge­ri­men­ti solo se sono real­men­te costrut­ti­vi»[122].
Quel­lo stes­so gior­no il Con­si­glio ope­ra­io di Cse­pel, fede­le alla linea con­den­sa­ta nel­la sua riso­lu­zio­ne del 16, si dichia­ra­va con­tra­rio allo scio­pe­ro di 48 ore deci­so dal Con­si­glio nazio­na­le e con­di­vi­so dal Con­si­glio ope­ra­io cen­tra­le di Buda­pe­st. Dopo aver pro­te­sta­to con­tro la deci­sio­ne gover­na­ti­va di met­te­re al ban­do il Con­si­glio nazio­na­le, dopo aver chie­sto di «por­re fine alle misu­re con­tro gli ope­rai ed i loro rap­pre­sen­tan­ti», il Con­si­glio di Cse­pel con­si­de­ra­va «un gra­ve erro­re» la paro­la d’ordine del­lo scio­pe­ro, poi­ché «ciò ren­de la situa­zio­ne eco­no­mi­ca anco­ra più dif­fi­ci­le». Si chie­de­va inol­tre al Con­si­glio di Buda­pe­st di «ammet­te­re che il perio­do dell’irruenza e del libe­ro sfo­go del­le pas­sio­ni è da archi­via­re» e che l’arma del­lo scio­pe­ro deve esse­re uti­liz­za­ta «in manie­ra più ragio­ne­vo­le»[123].
La pre­sa di posi­zio­ne dei lavo­ra­to­ri di Cse­pel sem­bra esse­re sta­ta, anco­ra una vol­ta, deci­si­va. La mat­ti­na del 23 Radio Buda­pe­st annun­cia che la not­te pre­ce­den­te è sta­to fir­ma­to un accor­do per la ripre­sa del lavo­ro tra Kádár ed il Con­si­glio ope­ra­io cen­tra­le di Buda­pe­st. Vie­ne rico­no­sciu­ta l’autorità dei Con­si­gli den­tro la fab­bri­ca, com­pre­sa la facol­tà di nomi­na dei diret­to­ri. Ripren­do­no le trat­ta­ti­ve tra gover­no e con­si­gli, ma il Con­si­glio si riser­va di ricor­re­re nuo­va­men­te all’arma del­lo scio­pe­ro[124]. Sen­za dub­bio gli ele­men­ti con­ci­lia­to­ri pote­va­no van­ta­re di esse­re rico­no­sciu­ti dal loro pro­prio con­si­glio, come impli­ca­va l’annuncio alla radio di un accor­do con­clu­so tra essi ed il gover­no Kádár. Tut­ta­via, sem­bra pro­prio che la dichia­ra­zio­ne del 23 novem­bre, quel­lo stes­so gior­no, da par­te dell’Unione degli Scrit­to­ri, indi­chi una posi­zio­ne più fer­ma di fron­te al gover­no, poi­ché dopo aver appro­va­to l’operato dei Con­si­gli «in dife­sa del­le con­qui­ste socia­li», l’Unione degli Scrit­to­ri «con­si­glia la ricer­ca di un accor­do per la ripre­sa del lavo­ro sen­za fare con­ces­sio­ni sul­le riven­di­ca­zio­ni fon­da­men­ta­li»[125]. Ancor più del­la pre­sa di posi­zio­ne degli scrit­to­ri, in cui ritro­via­mo l’influenza di Tibor Déry[126], l’opposizione ope­ra­ia è net­ta. Un gior­na­li­sta, dopo aver discus­so coi diri­gen­ti del Con­si­glio cen­tra­le di Buda­pe­st il 23, rife­ri­sce quan­to segue: «Il Con­si­glio rico­no­sce che l’ordine di ripre­sa non è sta­to segui­to; aggiun­ge di aver rice­vu­to cen­ti­na­ia di tele­fo­na­te che recla­ma­va­no la con­ti­nua­zio­ne del­lo scio­pe­ro con­tro il rapi­men­to di Imre Nagy»[127].

Il rapi­men­to di Imre Nagy
In effet­ti, il 4 novem­bre Nagy ave­va chie­sto asi­lo pres­so l’ambasciata jugo­sla­va a Buda­pe­st. Con lui c’erano i suoi ami­ci Géza Losonc­zy, Ferenc Donáth, Jánós Szi­lá­gyi, vete­ra­ni comu­ni­sti, la vedo­va di Rajk, Gabor Tanc­zos, il segre­ta­rio del cir­co­lo Petö­fi, in tota­le una tren­ti­na di per­so­ne. Tra loro figu­ra­va­no anche Lukács, il filo­so­fo, Zol­tán Szán­tó, ex amba­scia­to­re a Pari­gi e il vec­chio comu­ni­sta Zol­tán Vas. Que­sti ulti­mi tre ave­va­no lascia­to l’ambasciata sen­za più ricom­pa­ri­re in pub­bli­co. Il 21 novem­bre, però, era sta­to fir­ma­to un accor­do tra i gover­ni unghe­re­se e jugo­sla­vo per garan­ti­re a Nagy e ai suoi com­pa­gni la pos­si­bi­li­tà di rien­tra­re libe­ra­men­te al pro­prio domicilio.
Ave­va­mo già osser­va­to che il gior­na­le comu­ni­sta ingle­se annun­cia­va che Kádár si era incon­tra­to con Nagy. Già il 14 novem­bre, spaz­zan­do via le calun­nie a pro­po­si­to del “tra­di­to­re Nagy”, Kádár ave­va dichia­ra­to pub­bli­ca­men­te: «Non cre­do che Nagy abbia coscien­te­men­te aiu­ta­to la con­tro­ri­vo­lu­zio­ne. Né il gover­no né i rus­si desi­de­ra­no limi­ta­re la sua liber­tà»[128]. Davan­ti ai Con­si­gli ope­rai Kádár ave­va par­la­to di «nego­zia­ti» con Nagy appe­na egli fos­se rien­tra­to in ter­ri­to­rio unghe­re­se. L’accordo rea­liz­za­to tra il gover­no jugo­sla­vo e Kádár, rive­la­to da fon­te uffi­cia­le jugo­sla­va il 23 novem­bre, anda­va in dire­zio­ne del­le pro­mes­se di Kádár. La libe­ra­zio­ne di Nagy non pote­va che signi­fi­ca­re la ripre­sa del­le trat­ta­ti­ve con lui e la sod­di­sfa­zio­ne alme­no par­zia­le del­la richie­sta degli ope­rai i qua­li esi­ge­va­no il suo ritor­no al pote­re. Nagy, usci­to dall’ambasciata, ha real­men­te discus­so con Kádár alla sede del Par­la­men­to? Entram­bi, come ritie­ne il cor­ri­spon­den­te del­la Reu­ter, stu­dia­va­no l’ipotesi di un gover­no di coa­li­zio­ne. Un gover­no Nagy‑Kádár? Il ruo­lo di Kádár e le sue inten­zio­ni rea­li sono poco chia­re. Non è comun­que l’elemento deci­si­vo. I fat­ti sono indi­scu­ti­bi­li, che Kádár abbia agi­to coscien­te­men­te oppu­re no, che abbia ingan­na­to Nagy e gli jugo­sla­vi o che sia ser­vi­to da esca per atti­ra­re Nagy fuo­ri dal suo rifu­gio e per­met­te­re così ai rus­si di cat­tu­rar­lo. È infat­ti sul­la base del­la pro­mes­sa di Kádár che Nagy è usci­to ed è gra­zie a que­sta pro­mes­sa subi­to vio­la­ta che è sta­to arre­sta­to dai rus­si. Che sia sta­to o meno infor­ma­to dell’operazione, Kádár l’ha comun­que coper­ta facen­do annun­cia­re la par­ten­za volon­ta­ria di Nagy per la Roma­nia. Fa poi di più e rin­ne­ga le pro­prie dichia­ra­zio­ni del­la vigi­lia soste­nen­do: «Quest’uomo è diven­ta­to il fan­toc­cio dei con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ri e degli hor­thy­sti»[129].

Il Con­si­glio di Buda­pe­st ed il rapi­men­to di Nagy
Il rapi­men­to di Nagy da par­te dei rus­si ed il rin­ne­ga­men­to del­la paro­la data da par­te di Kádár con­dan­na­va­no sen­za appel­lo la pro­spet­ti­va dei con­ci­lia­to­ri. Nel­le paro­le di un por­ta­vo­ce del Con­si­glio in segui­to al discor­so di Kádár su Nagy, «Kádár, il qua­le ave­va det­to agli ope­rai una set­ti­ma­na fa: “Ripor­ta­te Nagy e sarò feli­ce di ceder­gli il posto”, si è ora alli­nea­to al pun­to di vista sovie­ti­co affer­man­do che “la que­stio­ne Nagy è chiu­sa”». Lo stes­so ope­ra­io con­sta­ta­va la fal­si­tà dell’opinione dif­fu­sa tra i con­ci­lia­to­ri che intro­du­ce­va una distin­zio­ne tra Kádár e i rus­si pre­ci­san­do: «Kádár ha ora un atteg­gia­men­to rigi­do ed uti­liz­za argo­men­ti fon­da­ti sul­la pre­sen­za di 5.000 car­ri arma­ti». Nono­stan­te ciò il Con­si­glio di Buda­pe­st man­te­ne­va le sue riven­di­ca­zio­ni sul ritor­no al pote­re di Nagy e sul riti­ro dei rus­si: «Non cede­re­mo e il gover­no lo sa. Il ritor­no al pote­re di Imre Nagy è sta­ta e resta la nostra riven­di­ca­zio­ne cen­tra­le. Qua­lun­que cosa acca­da, alla fine vin­ce­re­mo»[130]. L’appello tut­ta­via si chiu­de­va con una pro­va del­la volon­tà di arri­va­re ad ogni costo ad una con­ci­lia­zio­ne, aggiun­gen­do: «Nell’interesse del­la popo­la­zio­ne chie­dia­mo cio­no­no­stan­te ai Con­si­gli di con­ti­nua­re la pro­du­zio­ne ed anche di inten­si­fi­car­la»[131].
Allo­ra, men­tre si pote­va sup­por­re che il tra­di­men­to di Kádár ver­so Nagy avreb­be irri­gi­di­to la posi­zio­ne dei com­po­nen­ti del Con­si­glio di Buda­pe­st appe­na ingan­na­ti, si assi­ste inve­ce nei gior­ni suc­ces­si­vi a con­ti­nui cedi­men­ti. Il 20 novem­bre un por­ta­vo­ce del Con­si­glio lascia inten­de­re che gli ope­rai sono pron­ti a rinun­cia­re al ritor­no di Nagy se «que­sti affer­mas­se per­so­nal­men­te che rifiu­ta di gui­da­re un nuo­vo gover­no»[132]. Secon­do il pare­re dei dele­ga­ti che han­no discus­so con Kádár, sareb­be al momen­to pre­fe­ri­bi­le tra­la­scia­re la que­stio­ne del ritor­no al pote­re di Imre Nagy[133]: avver­to­no Kádár che «potreb­be­ro scop­pia­re scio­pe­ri spon­ta­nei se agli ope­rai unghe­re­si non fos­se det­ta la veri­tà su quel­lo che suc­ce­de ad Imre Nagy»[134]. Ben pre­sto, tut­ta­via, i buro­cra­ti distrug­ge­ran­no tut­te le illu­sio­ni sul loro con­to: otte­nu­to un pas­so indie­tro pas­sa­no all’attacco cer­can­do di demo­li­re i con­si­gli. Spa­ri­sco­no così i con­ci­lia­to­ri: davan­ti all’assenza di una conciliazione …

Il pro­ble­ma dell’esistenza dei consigli
Sam Rus­sel, cor­ri­spon­den­te del Dai­ly Wor­ker, orga­no del par­ti­to comu­ni­sta bri­tan­ni­co, è sta­to per con­to del suo gior­na­le a Cse­pel. Cer­ta­men­te spe­ra­va di tro­va­re nel­le con­ver­sa­zio­ni coi diri­gen­ti di quel con­si­glio la pro­va che gli ope­rai di Cse­pel ini­zia­va­no a soste­ne­re il gover­no. Inve­ce, suo mal­gra­do, ha dovu­to ripor­ta­re esat­ta­men­te il con­tra­rio. I diri­gen­ti degli ope­rai di Cse­pel, infat­ti, si sono oppo­sti allo scio­pe­ro ma non per soli­da­rie­tà con Kádár. Così Rus­sell descri­ve la “con­fu­sio­ne” che si sta pro­du­cen­do e annun­cia una lot­ta diret­ta tra Kádár ed i con­si­gli: «Ho par­la­to col segre­ta­rio del Con­si­glio ope­ra­io prov­vi­so­rio, Béla Sze­ne­tzy, col vice pre­si­den­te Pál Kupa e con un altro mem­bro del con­si­glio, Józ­sef Dévé­nyi. Dal­le con­ver­sa­zio­ni avu­te emer­ge chia­ra­men­te che c’è anco­ra mol­ta con­fu­sio­ne rispet­to al ruo­lo del con­si­glio ope­ra­io, dive­nu­to ormai un orga­ni­smo per­ma­nen­te in vir­tù del­la nuo­va leg­ge. È anco­ra viva l’idea che essi potreb­be­ro com­bi­na­re assie­me la fun­zio­ne di dato­ri di lavo­ro e di sin­da­ca­to assu­men­do una sor­ta di gene­ri­ca fun­zio­ne poli­ti­ca»[135]. Da ana­li­si come que­sta tro­via­mo la con­fer­ma che i con­si­gli, com­pre­so quel­lo di Cse­pel, voglio­no gio­ca­re un ruo­lo poli­ti­co, esse­re l’organo del pote­re ope­ra­io. Pre­stia­mo atten­zio­ne al gior­na­li­sta comu­ni­sta bri­tan­ni­co men­tre spie­ga le ragio­ni avan­za­te dal Con­si­glio ope­ra­io di Buda­pe­st per giu­sti­fi­ca­re la sua con­tra­rie­tà allo scio­pe­ro: «Con­ti­nua­re lo scio­pe­ro potreb­be fare più male che bene agli ope­rai. Era pre­fe­ri­bi­le gua­da­gna­re un po’ di sol­di per com­pra­re di che man­gia­re piut­to­sto che esse­re costret­ti dal­la fame a tor­na­re al lavo­ro»[136].
I diri­gen­ti di alcu­ni con­si­gli, par­ti­co­lar­men­te quel­li del Con­si­glio cen­tra­le di Buda­pe­st, sono con­vin­ti che lo scio­pe­ro sareb­be dan­no­so. Man­ten­go­no però la loro idea rispet­to al ruo­lo dei con­si­gli ope­rai, il ruo­lo del­la clas­se ope­ra­ia. E su quel pun­to non c’è alcu­na con­ci­lia­zio­ne che sia pro­po­ni­bi­le. In assen­za di un’organizzazione d’avanguardia che con­sen­ta di uni­fi­ca­re espe­rien­ze e pre­se di posi­zio­ne, c’è tut­ta­via biso­gno di tem­po per­ché un orga­ni­smo poli­ti­co come il Con­si­glio cen­tra­le rag­giun­ga l’omogeneità poli­ti­ca tra­du­cen­do quel­la del­la clas­se in azio­ne; il cli­ma crea­to dai com­bat­ti­men­ti di stra­da, e poi dal­la repres­sio­ne, non favo­ri­sce per nien­te il pre­va­le­re del­la demo­cra­zia poli­ti­ca, con­di­zio­ne per una chia­ri­fi­ca­zio­ne. Già il 14 novem­bre il pre­si­den­te del Con­si­glio ope­ra­io cen­tra­le, Arpád Balász, si era per­mes­so di lan­cia­re alla radio, in nome del Con­si­glio cen­tra­le, un appel­lo a favo­re del­la ripre­sa del lavo­ro. La mag­gio­ran­za del Con­si­glio ope­ra­io lo sol­le­va allo­ra dal­le sue fun­zio­ni rite­nen­do che gio­chi, coscien­te­men­te o no, a favo­re di Kádár, e vie­ta al tem­po stes­so che i suoi mem­bri fac­cia­no dichia­ra­zio­ni su que­stio­ni non sot­to­po­ste pre­ce­den­te­men­te ad una vota­zio­ne. Il nuo­vo pre­si­den­te del Con­si­glio cen­tra­le è elet­to tra i dele­ga­ti di Cse­pel: si trat­ta di Józ­sef Dévé­nyi. Alcu­ni gior­ni dopo, tut­ta­via, in segui­to ad atteg­gia­men­ti tem­po­reg­gia­to­ri, anche Dévé­nyi dà le dimis­sio­ni dopo esse­re sta­to mes­so in mino­ran­za e sot­to accu­sa davan­ti al Con­si­glio cen­tra­le. A quel pun­to, il gio­va­ne fab­bro di Belo­jan­nis, Saán­dor Raácz, di 23 anni, sarà il pre­si­den­te, affian­ca­to dal suo com­pa­gno di fab­bri­ca Báli e da Kar­sai come vice­pre­si­den­ti. Que­sti tre uomi­ni saran­no fino alla fine i por­ta­vo­ce del Con­si­glio ope­ra­io centrale.
Toc­ca al vice­pre­si­den­te, l’attrezzista fab­bro Sán­dor Báli, il 25 novem­bre, espri­me­re davan­ti al gover­no, per con­vin­cer­lo ad inta­vo­la­re nego­zia­ti, una con­ce­zio­ne del ruo­lo dei con­si­gli ope­rai che è, in tut­ta evi­den­za, il frut­to di un com­pro­mes­so occasionale:

«È la clas­se ope­ra­ia – dice – che ha mes­so in pie­di i con­si­gli ope­rai i qua­li, al momen­to, sono gli orga­ni­smi eco­no­mi­ci e poli­ti­ci che han­no die­tro di sé la clas­se ope­ra­ia […] Sap­pia­mo bene che i con­si­gli ope­rai non pos­so­no esse­re del­le orga­niz­za­zio­ni poli­ti­che. Sia chia­ro che ci ren­dia­mo per­fet­ta­men­te con­to del­la neces­si­tà di ave­re un par­ti­to poli­ti­co ed un sin­da­ca­to. Ma, visto che ora non abbia­mo la pos­si­bi­li­tà pra­ti­ca di costrui­re tali orga­niz­za­zio­ni, sia­mo obbli­ga­ti a con­cen­tra­re le nostre for­ze su un solo pun­to ed atten­de­re il segui­to degli avve­ni­men­ti. Non dob­bia­mo e non pos­sia­mo par­la­re di sin­da­ca­ti pri­ma che gli ope­rai unghe­re­si abbia­mo for­ma­to dal bas­so i loro sin­da­ca­ti e sia sta­to rida­to loro il dirit­to di scio­pe­ro»[137].

Tut­ta­via, i fat­ti spin­go­no ine­so­ra­bil­men­te il Con­si­glio ope­ra­io cen­tra­le a svol­ge­re un ruo­lo poli­ti­co. Nel­le paro­le di uno dei suoi com­po­nen­ti, Ferenc Töke, Kar­sai fu por­ta­to «a dire ai diri­gen­ti che noi ave­va­mo una mis­sio­ne eco­no­mi­ca da rea­liz­za­re, che non tene­va­mo per nien­te a svol­ge­re un’attività poli­ti­ca, ma che la loro dop­piez­za ci obbli­ga­va a far­lo»[138]. Così il 26 novem­bre il Con­si­glio cen­tra­le infor­ma Kádár che, oltre alle sue riven­di­ca­zio­ni ini­zia­li – ritor­no di Nagy al pote­re, par­ten­za dei rus­si, fine del­le depor­ta­zio­ni – por­ta avan­ti la volon­tà degli ope­rai di orga­niz­za­re una mili­zia ope­ra­ia arma­ta e di ave­re pro­pri gior­na­li[139]. I Con­si­gli han­no ben com­pre­so che il loro pote­re e la loro auto­ri­tà non var­ran­no nul­la fin­ché non dispor­ran­no di una pro­pria for­za arma­ta: tale for­za non può esse­re altro che il popo­lo in armi. Recla­ma­no l’organizzazione di mili­zie ope­ra­ie. Rifiu­ta­no il mono­po­lio sul­la stam­pa sta­bi­li­to a bene­fi­cio del­la buro­cra­zia che auto­riz­za solo i suoi gior­na­li di par­ti­to e sin­da­ca­li. I Con­si­gli voglio­no i loro gior­na­li per difen­de­re le loro posi­zio­ni, dare le loro paro­le d’ordine, fare bilan­ci, discu­te­re. Mani­fe­sta­no con chia­rez­za che han­no l’intenzione di oppor­si allo «Sta­to dei gen­dar­mi e dei buro­cra­ti» denun­cia­to da Déry: gli si voglio­no oppor­re, recla­ma­no una pro­pria for­za arma­ta e una pro­pria stam­pa. Kádár dichia­ra a L’Humanité che sono «gli ele­men­ti con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ri ad aver pre­sen­ta­to richie­ste non rea­li­sti­che»[140].
Dun­que, Kádár, dopo aver rico­no­sciu­to i con­si­gli, ha fat­to sape­re, una vol­ta lan­cia­to l’ordine di rien­tro al lavo­ro, che essi era­no auto­riz­za­ti a discu­te­re i «pro­ble­mi del lavo­ro»[141]. Il Con­si­glio ope­ra­io cen­tra­le pre­pa­ra, sot­to la dire­zio­ne di Sebe­styen, la pub­bli­ca­zio­ne del suo gior­na­le, Mun­ka­su­j­sag (Gaz­zet­ta ope­ra­ia): è con­fi­sca­to in stam­pe­ria assie­me ad un reso­con­to di una discus­sio­ne in cui Kádár ave­va dichia­ra­to: «Per me il vostro rico­no­sci­men­to con­ta poco. 200.000 sol­da­ti sovie­ti­ci sono die­tro di me. In Unghe­ria coman­do io»[142]. Il Con­si­glio fa allo­ra usci­re un foglio ciclo­sti­la­to: le auto­ri­tà rus­se per­qui­si­sco­no e con­fi­sca­no il ciclo­sti­le[143]. Per tut­ta rispo­sta, il Con­si­glio cen­tra­le orga­niz­za una gior­na­ta di boi­cot­tag­gio del gior­na­le di par­ti­to Népsza­bad­sag: i lavo­ra­to­ri lo com­pra­no e poi in stra­da lo strap­pa­no sen­za leg­ger­lo. Ferenc Töke potrà scri­ve­re: «Le per­so­ne cam­mi­na­va­no con le cavi­glie che affon­da­va­no nei fogli di gior­na­le»[144].
Il Con­si­glio cen­tra­le deci­de la distri­bu­zio­ne di volan­ti­ni tal­vol­ta det­ta­ti e rico­pia­ti a mano per dare infor­ma­zio­ne del­la pro­pria azio­ne e invi­ta tut­ti i con­si­gli ad imi­tar­lo[145]. I dele­ga­ti del Con­si­glio tor­na­no a vede­re Kádár. «Sarà una sera­ta deci­si­va, dichia­ra uno di loro alla stam­pa, se le trat­ta­ti­ve fal­li­sco­no non c’è alcu­na garan­zia che riu­sci­re­mo ad impe­di­re scio­pe­ri spon­ta­nei tra gli ope­rai»[146]. Chie­de­ran­no la modi­fi­ca del­la leg­ge sui con­si­gli e l’autorizzazione ad isti­tui­re con­si­gli non solo nel­le fab­bri­che ma in tut­te le impre­se sta­ta­li, dal­le fer­ro­vie alle poste, ecc. dove essi non sono autorizzati.
Népa­ka­rat, orga­no dei sin­da­ca­ti, è inca­ri­ca­to di rispon­de­re alle tre riven­di­ca­zio­ni fon­da­men­ta­li dei con­si­gli: pre­pon­de­ran­za poli­ti­ca dei con­si­gli ope­rai, crea­zio­ne di con­si­gli regio­na­li in ogni pro­vin­cia e pub­bli­ca­zio­ne di un gior­na­le cen­tra­le. A pare­re dell’organo dei sin­da­ca­ti si trat­ta di riven­di­ca­zio­ni “distrut­ti­ve”: i con­si­gli «non potreb­be­ro assu­me­re un qual­sia­si ruo­lo poli­ti­co ma uni­ca­men­te eco­no­mi­co»; il gior­na­le cen­tra­le dei con­si­gli non è asso­lu­ta­men­te «neces­sa­rio» e la crea­zio­ne di con­si­gli regio­na­li «non cor­ri­spon­de­reb­be ai com­pi­ti dei con­si­gli ope­rai». Que­sti com­pi­ti Népa­ka­rat li rias­su­me così: fare ciò che devo­no sul pia­no eco­no­mi­co rior­ga­niz­zan­do le offi­ci­ne[147]. La buro­cra­zia è dispo­sta ad accet­ta­re l’esistenza dei con­si­gli a pat­to che essi sia­no doci­li col­la­bo­ra­to­ri nell’amministrazione del­la fab­bri­ca. La buro­cra­zia inten­de con­ser­va­re il mono­po­lio del­la dire­zio­ne del­lo Sta­to, del­la vita poli­ti­ca e del­la stam­pa. O i con­si­gli si inchi­ne­ran­no ai suoi dik­tat o li distrug­ge­rà. Non c’è una via di mez­zo che per­met­ta una con­ci­lia­zio­ne. Per Kádár e i buro­cra­ti rus­si è neces­sa­rio che la clas­se ope­ra­ia e i suoi con­si­gli rinun­ci­no al potere.

L’offensiva dei burocrati
Il 4 dicem­bre il gover­no lan­cia la sua offen­si­va, diret­ta con­tro i comi­ta­ti rivo­lu­zio­na­ri. Fino a quel momen­to i soli ad esse­re sciol­ti sono sta­ti quel­li dell’esercito. Secon­do un comu­ni­ca­to gover­na­ti­vo i comi­ta­ti «non tene­va­no in con­si­de­ra­zio­ne le dispo­si­zio­ni gover­na­ti­ve che ave­va­no rego­la­men­ta­to la loro atti­vi­tà, deli­mi­ta­to il loro cam­po d’azione, fis­sa­to le loro attri­bu­zio­ni»[148]. «L’esperienza mostra che i comi­ta­ti non svol­ge­va­no alcu­na atti­vi­tà di inte­res­se pub­bli­co ma al con­tra­rio, quan­do c’erano, la loro azio­ne con­si­ste­va nell’ostacolare il lavo­ro del­le auto­ri­tà sta­ta­li e la rea­liz­za­zio­ne di com­pi­ti uti­li all’interesse pub­bli­co»[149]. I comi­ta­ti rivo­lu­zio­na­ri sono dun­que sciol­ti da un decre­to fir­ma­to da Ferenc Mün­nich, il qua­le al con­tem­po indi­ca l’esistenza e la dis­so­lu­zio­ne di un «Comi­ta­to ese­cu­ti­vo cen­tra­le dei comi­ta­ti rivo­lu­zio­na­ri»[150]. Miklós Gimes, rifiu­ta­to­si di emi­gra­re, è arre­sta­to il 5 dicembre.
A que­sto pun­to, pen­san­do che cede­ran­no davan­ti alla minac­cia e all’intimidazione, il gover­no lan­cia la poli­zia con­tro i diri­gen­ti dei con­si­gli ope­rai. Nel­la not­te del 6 dicem­bre ne sono arre­sta­ti più di un cen­ti­na­io. Il Con­si­glio cen­tra­le è «let­te­ral­men­te som­mer­so di pro­te­ste con­tro gli arre­sti di mem­bri di con­si­gli ope­rai»[151]. Il 7, il Con­si­glio cen­tra­le lan­cia un appel­lo. Agli ope­rai, ai qua­li denun­cia il «fron­te orga­niz­za­to in tut­to il pae­se con­tro i con­si­gli ope­rai», dichia­ra: «Se que­sto atteg­gia­men­to con­ti­nua, per­de­re­mo la sola pos­si­bi­li­tà di costrui­re una vita nor­ma­le e restau­ra­re l’ordine»[152]. Avver­te poi il gover­no: «Se quest’atteggiamento con­ti­nua, la fidu­cia degli ope­rai sarà per­du­ta e chi ci pro­vo­ca avrà defi­ni­ti­va­men­te sol­le­va­to la clas­se ope­ra­ia con­tro il gover­no»[153]. Scop­pia­no imme­dia­ta­men­te scio­pe­ri spon­ta­nei. La metà dei lavo­ra­to­ri di Cse­pel entra in scio­pe­ro. Chi ha cre­du­to alla con­ci­lia­zio­ne dichia­ra allo­ra con asprez­za: «Le nostre trat­ta­ti­ve col gover­no non sono sfo­cia­te nel risul­ta­to spe­ra­to. Pare che Jánós Kádár non abbia il pote­re di sba­raz­zar­si di alcu­ne per­so­ne del suo entou­ra­ge»[154]. Dopo un ulti­mo e vano ten­ta­ti­vo ver­so Kádár, il con­si­glio, sul­la base del reso­con­to del­la dele­ga­zio­ne capeg­gia­ta da Sán­dor Rácz, decre­ta 48 ore di scio­pe­ro gene­ra­le. La dele­ga­zio­ne deve denun­cia­re «la cam­pa­gna con­dot­ta con­tro il popo­lo e con­tro gli ope­rai dal gover­no Kádár, appog­gia­to dall’URSS» e che «vuo­le igno­ra­re tut­ta la popo­la­zio­ne unghe­re­se ed i suoi rap­pre­sen­tan­ti»[155].
Il Con­si­glio di Buda­pe­st, allar­ga­to nell’occasione a dele­ga­ti di con­si­gli di pro­vin­cia, si rivol­ge alla nazio­ne. Ai lavo­ra­to­ri del mon­do inte­ro chie­de «scio­pe­ri di soli­da­rie­tà con la loro lot­ta per una vita sen­za pau­ra e per la liber­tà indi­vi­dua­le»[156].
Il gover­no Kádár con­trat­tac­ca con l’imposizione del­la leg­ge mar­zia­le e la mes­sa al ban­do dei con­si­gli ope­rai, a par­ti­re da quel­lo di Buda­pe­st. Il suo cri­mi­ne: aver volu­to «fare del Con­si­glio cen­tra­le degli ope­rai l’organismo del pote­re cen­tra­le ese­cu­ti­vo»[157], «costrui­re un nuo­vo pote­re da oppor­re agli orga­ni ese­cu­ti­vi del­lo Sta­to»[158]. La buro­cra­zia dichia­ra guer­ra sen­za quar­tie­re al pote­re dei con­si­gli, al pote­re ope­ra­io. È lan­cia­ta una nuo­va pro­va di for­za. Que­sta vol­ta nel­la più tota­le chia­rez­za politica.

Sconfitta e vittoria

Lo scio­pe­ro gene­ra­le dell’11 e 12 dicem­bre, sul­la paro­la d’ordine del Con­si­glio cen­tra­le, ha con­fer­ma­to oltre ogni pre­vi­sio­ne l’indistruttibile volon­tà rivo­lu­zio­na­ria dei lavo­ra­to­ri unghe­re­si. Tota­le, mal­gra­do il ter­ro­re poli­zie­sco, lo scio­pe­ro espri­me in for­ma spet­ta­co­la­re l’avvenuta rot­tu­ra degli ulti­mi lega­mi sapien­te­men­te intes­su­ti dal­le astu­zie di Kádár, tra la buro­cra­zia e gli ele­men­ti con­ci­lia­to­ri del­la clas­se ope­ra­ia. Lo scio­pe­ro non è tut­ta­via riu­sci­to a spaz­za­re via il ter­ro­re con­tro­ri­vo­lu­zio­na­rio. Con esso si chiu­de la pri­ma fase del­la rivo­lu­zio­ne unghe­re­se: uno dopo l’altro spa­ri­sco­no, sot­to i col­pi del­la repres­sio­ne, i con­si­gli ope­rai nati dal­la Rivo­lu­zio­ne d’ottobre. La rivo­lu­zio­ne unghe­re­se indietreggia.

Il Con­si­glio cen­tra­le e lo scio­pe­ro generale
Il gover­no Kádár ave­va accu­sa­to il Con­si­glio cen­tra­le di voler «fare del Con­si­glio cen­tra­le degli ope­rai un orga­ni­smo di pote­re cen­tra­le ese­cu­ti­vo»[159]. In real­tà, se tale era in effet­ti la volon­tà degli ope­rai unghe­re­si a vol­te espres­sa dal loro Con­si­glio cen­tra­le, la sua posi­zio­ne pub­bli­ca non ha qua­si mai oltre­pas­sa­to l’affermazione di esse­re il rap­pre­sen­tan­te degli ope­rai per nego­zia­re col gover­no, sen­za par­la­re di rove­sciar­lo e pren­der­ne il posto. Ana­lo­ga­men­te, per un perio­do in Rus­sia i soviet non ave­va­no recla­ma­to il pote­re, essen­do i bol­sce­vi­chi i soli, con Lenin, ad avan­za­re la paro­la d’ordine «Tut­to il pote­re ai soviet». Il Con­si­glio cen­tra­le non ha recla­ma­to «Tut­to il pote­re ai con­si­gli».
Cer­to, biso­gna capi­re che la gran­de mag­gio­ran­za dei lavo­ra­to­ri ha a lun­go nutri­to illu­sio­ni, spe­ran­do in un cam­bia­men­to del­la poli­ti­ca rus­sa, con­tan­do sull’appoggio dell’ex “nagy­sta” Kádár al fine di ripor­ta­re per mez­zo di mano­vre gover­na­ti­ve quel­la vit­to­ria par­zia­le che la loro com­pat­tez­za face­va appa­ri­re vero­si­mi­le. Altri, sen­za dub­bio, han­no spe­ra­to di evi­ta­re nuo­vi com­bat­ti­men­ti san­gui­no­si, desi­de­ra­to di ripren­de­re fia­to, sen­za capi­re che Kádár, stru­men­to del­la buro­cra­zia rus­sa, avreb­be uti­liz­za­to tale pau­sa solo per col­pi­re meglio i lavo­ra­to­ri. È di tali illu­sio­ni e di tali sof­fe­ren­ze man­da­te giù che si è ali­men­ta­to il pen­sie­ro dei “con­ci­lia­to­ri”. La pro­lun­ga­ta sta­si del­le mas­se ha por­ta­to a uno scio­pe­ro che era, nel­lo spi­ri­to dei suoi diri­gen­ti, più una dife­sa dispe­ra­ta che una nuo­va offen­si­va: una dimo­stra­zio­ne del­la pro­pria volon­tà in cui però, sin dall’inizio, essi accet­ta­va­no la scon­fit­ta se il gover­no si rifiu­ta­va di cede­re. In tali con­di­zio­ni era ine­vi­ta­bi­le la scon­fit­ta imme­dia­ta: il gover­no Kádár non pote­va cede­re ma sol­tan­to col­pi­re anco­ra più duro. È ciò che ha fatto.
Il Con­si­glio cen­tra­le non fu per nul­la una­ni­me sul­la oppor­tu­ni­tà del­lo scio­pe­ro. Secon­do Radio Buda­pe­st, quat­tro dei suoi mem­bri sareb­be­ro anda­ti a con­fi­da­re a Kádár che a loro avvi­so la deci­sio­ne di scio­pe­ra­re «non era cor­ret­ta»[160]. Azio­ne spon­ta­nea? Ne pos­sia­mo dubi­ta­re: tre gior­ni dopo la deci­sio­ne … Balázs, già eli­mi­na­to dal­la pre­si­den­za il 14 novem­bre, avreb­be dato le sue dimis­sio­ni nel cor­so del­la riu­nio­ne allar­ga­ta ai dele­ga­ti del­la pro­vin­cia[161]. Ma se ci furo­no le dimis­sio­ni di Balázs, cosa comun­que non pro­va­ta, ciò non impli­ca un’adesione al gover­no Kádár di cui né la stam­pa né la radio dan­no trac­cia. Al con­tra­rio, il fer­ro­vie­re Endre Mester denun­cia i “con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ri” del Con­si­glio cen­tra­le[162] tre gior­ni dopo esse­re sta­to lui stes­so denun­cia­to da Kádár come il loro ispi­ra­to­re[163]. Dichia­ra­zio­ne sospet­ta, nel caso sia auten­ti­ca: que­ste “con­fes­sio­ni” tar­di­ve e que­sta “con­ver­sio­ne” improv­vi­sa non si pos­so­no spie­ga­re che con l’intervento di una poli­zia capa­ce di strap­pa­re con­fes­sio­ni e conversioni.
Il Con­si­glio cen­tra­le ha pre­so le sue misu­re per far fron­te alla repres­sio­ne: una radio clan­de­sti­na par­le­rà a suo nome e uno dei suoi com­po­nen­ti, Ist­ván Török, è invia­to all’estero per por­ta­re docu­men­ti ad Anna Kethly. Il gior­no 8 dicem­bre, Sán­dor Rácz ave­va rila­scia­to a un cor­ri­spon­den­te ita­lia­no un’intervista da pub­bli­ca­re nel caso fos­se sta­to arrestato:

«Ho la coscien­za tran­quil­la per­ché sono sta­to l’infelice inter­pre­te del­la volon­tà dei lavo­ra­to­ri e di quel­li che han­no lot­ta­to per l’ideale di un’Ungheria libe­ra, indi­pen­den­te e neu­tra­le e per uno Sta­to socia­li­sta … Tut­to ciò ci è sta­to nega­to. Il gover­no sa di non ave­re il Pae­se con lui e, con­sa­pe­vo­le che oggi l’unica for­za orga­niz­za­ta che ha fat­to vera­men­te la rivo­lu­zio­ne è la clas­se ope­ra­ia, vuo­le sman­tel­la­re il fron­te dei lavo­ra­to­ri. Pos­so però affer­mar­lo: non si riu­sci­rà mai a spez­za­re la volon­tà degli unghe­re­si che sono pron­ti a dare la vita»[164]. L’appello lan­cia­to dal­la radio clan­de­sti­na è ancor più pro­fon­da­men­te impre­gna­to di pes­si­mi­smo sull’esito imme­dia­to dei com­bat­ti­men­ti: «Il gover­no ha mostra­to che non con­ce­de e non con­ce­de­rà mai alcu­na atten­zio­ne al nostro lavo­ro. Ope­rai e con­ta­di­ni devo­no resta­re uni­ti. L’altro cam­po desi­de­ra la lot­ta aper­ta. Con­ti­nue­re­mo il com­bat­ti­men­to mal­gra­do la nostra posi­zio­ne di debo­lez­za … Noi, ope­rai, non sia­mo con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ri. Abbia­mo lot­ta­to per con­qui­sta­re la liber­tà. Abbia­mo crea­to dei con­si­gli ope­rai lega­li, respon­sa­bi­li di trat­ta­re col gover­no cen­tra­le. Sia­mo però sta­ti con­si­de­ra­ti dei fuo­ri­leg­ge. Tut­ti devo­no sape­re da qua­le par­te si tro­va la ragio­ne e saprà allo­ra come sia­mo sta­ti ingan­na­ti»[165].

Lo scio­pe­ro generale
La con­se­gna del Con­si­glio cen­tra­le era di ini­zia­re lo scio­pe­ro alla mez­za­not­te dell’11 dicem­bre. Nel­la gior­na­ta del 10 si ten­go­no assem­blee in tut­te le fab­bri­che di Buda­pe­st e del­la pro­vin­cia: anco­ra una vol­ta gli ope­rai discu­to­no demo­cra­ti­ca­men­te l’azione che intra­pren­de­ran­no[166]. Il gover­no mol­ti­pli­ca gli arre­sti, le reta­te e le per­qui­si­zio­ni. Dal­le ore 18 del 10, ancor pri­ma dell’inizio del­lo scio­pe­ro, vie­ne decre­ta­ta la leg­ge marziale.
Nono­stan­te ciò, l’11 e il 12 lo scio­pe­ro è gene­ra­le in tut­to il pae­se. Radio Buda­pe­st pro­cla­ma che il Con­si­glio di Cse­pel si è pro­nun­cia­to con­tro lo scio­pe­ro ma nel com­ples­so indu­stria­le lo scio­pe­ro è gene­ra­le, come con­fer­ma il comu­ni­sta Sam Rus­sel[167]. L’Humanité cita a ripe­ti­zio­ne il pre­si­den­te del Con­si­glio ope­ra­io di Mavag, con­tra­rio allo scio­pe­ro, ma lo scio­pe­ro è tota­le anche a Mavag …[168]. Nel pri­mo pome­rig­gio sono arre­sta­ti Sán­dor Rácz, pre­si­den­te del Con­si­glio cen­tra­le, e il suo com­pa­gno Sán­dor Báli, come lui mem­bro del con­si­glio e ope­ra­io nel­la fab­bri­ca di appa­rec­chi elet­tri­ci Belo­jan­nis. La pre­fet­tu­ra del­la poli­zia di Kádár annun­cia: «Que­ste due per­so­ne han­no gio­ca­to un ruo­lo di pri­mo pia­no nel­la tra­sfor­ma­zio­ne del Con­si­glio cen­tra­le di Buda­pe­st in uno stru­men­to del­la con­tro­ri­vo­lu­zio­ne … Han­no coman­da­to un’organizzazione ille­ga­le, pro­mos­so scio­pe­ri pro­vo­ca­to­ri; con le minac­ce han­no cer­ca­to di inti­mi­di­re gli ope­rai e i tec­ni­ci one­sti. Recen­te­men­te, han­no orga­niz­za­to una con­fe­ren­za nazio­na­le con la par­te­ci­pa­zio­ne di ele­men­ti con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ri pri­vi di alcun rap­por­to coi con­si­gli ope­rai. In quest’occasione han­no lan­cia­to un appel­lo per rove­scia­re il gover­no e, con que­sta fina­li­tà, han­no impo­sto un pro­vo­ca­to­rio scio­pe­ro gene­ra­le di 48 ore …». Lo stes­so comu­ni­ca­to accu­sa Rácz e Báli di aver «man­te­nu­to rela­zio­ni stret­te con Radio Free Euro­pe e con cor­ri­spon­den­ti del­la stam­pa occi­den­ta­le»[169]. Lo stes­so gior­no vie­ne sciol­to il Comi­ta­to rivo­lu­zio­na­rio degli intel­let­tua­li. La poli­zia per­qui­si­sce la sua sede e ne chiu­de i loca­li[170]. Que­ste misu­re poli­zie­sche non impres­sio­na­no però i lavo­ra­to­ri e lo scio­pe­ro sarà così gene­ra­le entram­bi i gior­ni. Addi­rit­tu­ra, il 13 ed il 14 lo scio­pe­ro con­ti­nue­rà sia alla Belo­jan­nis che a Cse­pel per pro­te­sta­re, in par­ti­co­la­re, con­tro l’arresto di Rácz e Báli [171].

La clas­se ope­ra­ia resi­ste ancora
È dif­fi­ci­le descri­ve­re con pre­ci­sio­ne la situa­zio­ne nel­le fab­bri­che unghe­re­si all’indomani del­la repres­sio­ne sca­te­na­ta con­tro i diri­gen­ti dei con­si­gli ope­rai. La mag­gior par­te del­le fab­bri­che sono fer­me o lavo­ra­no al mini­mo. Il gover­no Kádár attri­bui­sce la respon­sa­bi­li­tà alla man­can­za di car­bo­ne. Nel­la pri­ma metà di dicem­bre, alter­nan­do minac­ce e pro­mes­se come abi­tu­di­ne, il gover­no ha por­ta­to avan­ti una cam­pa­gna acca­ni­ta per far ripren­de­re il lavo­ro nel­le minie­re. I mina­to­ri han­no rispo­sto il 16 attra­ver­so la radio clan­de­sti­na del con­si­glio ope­ra­io. I mina­to­ri unghe­re­si rifiu­ta­no di trat­ta­re con Kádár. Accet­te­reb­be­ro di trat­ta­re con un even­tua­le suc­ces­so­re se poli­zia ed eser­ci­to rus­so si riti­ras­se­ro del tut­to e se tut­ti gli unghe­re­si arre­sta­ti dopo il 4 novem­bre fos­se­ro libe­ra­ti … In più chie­do­no l’aumento gene­ra­liz­za­to dei sala­ri e la proi­bi­zio­ne del lavo­ro for­za­to. Con sen­so del­lo humour, i mina­to­ri anti­ci­pa­no che se la poli­zia e l’esercito rus­so si riti­ras­se­ro, loro ripren­de­reb­be­ro il lavo­ro assi­cu­ran­do il 25% del­la pro­du­zio­ne nor­ma­le. Se i pri­gio­nie­ri poli­ti­ci fos­se­ro libe­ra­ti arri­ve­reb­be­ro al 33%. Comun­que, non ripren­de­reb­be­ro il lavo­ro al 100% pri­ma di aver visto sod­di­sfat­te tut­te le pro­prie riven­di­ca­zio­ni. L’appello fini­sce con l’affermazione di una indo­mi­ta volon­tà rivo­lu­zio­na­ria: «Se il gover­no non accet­ta que­ste con­di­zio­ni, nes­su­no lavo­re­rà nel­le minie­re, anche se noi mina­to­ri doves­si­mo ridur­ci a fare l’elemosina oppu­re ad emi­gra­re all’estero»[172].
Il 10 gen­na­io han­no luo­go mani­fe­sta­zio­ni ope­ra­ie a Cse­pel, duran­te le qua­li un metal­mec­ca­ni­co è ucci­so dal­la poli­zia di Kádár. Quel­lo stes­so gior­no si dimet­to­no i Con­si­gli di Cse­pel e di Belo­jan­nis, men­tre il gior­na­le di Kádár, Népsza­bad­sag, fa un appel­lo alla lot­ta «con­tro gli ele­men­ti osti­li che si masche­ra­no da mar­xi­sti e lan­cia­no paro­le d’ordine su demo­cra­tiz­za­zio­ne e desta­li­niz­za­zio­ne»[173].
Il gover­no Kádár mol­ti­pli­ca le con­ces­sio­ni ai con­ta­di­ni ric­chi: è sem­pre il “pic­co­lo pro­prie­ta­rio” Ist­ván Dobi che diri­ge il “pre­si­dium” del­la Repub­bli­ca unghe­re­se. Kádár trat­ta con Béla Kovács, Ist­ván Bibó e Zol­tán Til­dy, diri­gen­ti del par­ti­to dei pic­co­li pro­prie­ta­ri, e con Ferenc Erdei, nazio­nal-con­ta­di­no. In segui­to ver­ran­no altre con­ces­sio­ni la cui linea è già trac­cia­ta: con­ces­sio­ni agli ele­men­ti filo­ca­pi­ta­li­sti e alla bor­ghe­sia inter­na­zio­na­le in cam­bio di “pre­sti­ti”. Non ci saran­no però con­ces­sio­ni alla clas­se ope­ra­ia unghe­re­se fin­ché essa si orga­niz­ze­rà nei con­si­gli: tra i “soviet” e la buro­cra­zia l’antagonismo è inconciliabile.

La dire­zio­ne rivoluzionaria
Nel­la lot­ta che con­ti­nua si pre­pa­ra­no le con­di­zio­ni per la vit­to­ria di doma­ni. I lavo­ra­to­ri unghe­re­si si sono lan­cia­ti nel­la rivo­lu­zio­ne sen­za dire­zio­ne rivo­lu­zio­na­ria. Gli intel­let­tua­li e i qua­dri del PC che han­no ani­ma­to le pri­me mani­fe­sta­zio­ni vole­va­no una rifor­ma del par­ti­to, un cam­bia­men­to nel­la sua dire­zio­ne. La dimo­stra­zio­ne che la pre­sen­za di Nagy alla testa del gover­no non cam­bia­va nul­la fin­ché esi­ste­va lo Sta­to dei gen­dar­mi e dei buro­cra­ti si è avu­ta nei pri­mi gior­ni del­la rivo­lu­zio­ne. La trap­po­la di Gerö si è ritor­ta con­tro di lui e i suoi padro­ni per­ché, spon­ta­nea­men­te, i lavo­ra­to­ri han­no comin­cia­to a costrui­re il loro Sta­to, quel­lo dei con­si­gli ope­rai. Per alcu­ni gior­ni la loro for­za è sta­ta irre­si­sti­bi­le: si trat­ta­va, come dice il comu­ni­sta polac­co Bie­lic­ki, del­la sosti­tu­zio­ne del caos con «l’ordine rivo­lu­zio­na­rio». Ma non era suf­fi­cien­te. La volon­tà, espres­sa­si ovun­que, di costrui­re un gover­no dei con­si­gli – a Miskolc, Györ, Sopron, nel Con­si­glio di Bor­sod o nel Comi­ta­to Trans­da­nu­bia­no – avreb­be dovu­to con­cre­tiz­zar­si imme­dia­ta­men­te nel­la costi­tu­zio­ne di un Par­la­men­to ope­ra­io, di un Con­si­glio ope­ra­io nazio­na­le. Per rea­liz­za­re ciò era neces­sa­ria una dire­zio­ne rivo­lu­zio­na­ria, con pro­spet­ti­ve giu­ste, prov­vi­sta di un’analisi sul­la poten­za dell’avversario e sull’obiettivo da rag­giun­ge­re, il pote­re ope­ra­io, e che avreb­be dovu­to esse­re in gra­do di orga­niz­za­re il pote­re nazio­na­le dei con­si­gli e dei comi­ta­ti. È grot­te­sco, come qual­cu­no ha fat­to, e pen­sia­mo di aver­lo mostra­to, affer­ma­re con pre­sun­zio­ne che Nagy e i suoi era­no social­de­mo­cra­ti­ci e favo­re­vo­li alla restau­ra­zio­ne del capi­ta­li­smo. È fuor di dub­bio che si sono uni­ti alla rivo­lu­zio­ne e han­no, sen­za ambi­gui­tà, rot­to con la buro­cra­zia e il suo appa­ra­to. Sareb­be però erro­neo pen­sa­re che abbia­no svol­to il ruo­lo di dire­zio­ne: sca­val­ca­ti dagli even­ti, in ritar­do di mol­ti gior­ni sul­le mas­se – nel vivo di una rivo­lu­zio­ne in cui le ore sono gior­ni e i gior­ni anni – sono sta­ti al trai­no degli avve­ni­men­ti, schiac­cia­ti dal peso di anni pas­sa­ti a pen­sa­re ed agi­re come uomi­ni d’apparato.
È signi­fi­ca­ti­vo che il nuo­vo par­ti­to comu­ni­sta che han­no volu­to fon­da­re non abbia rac­col­to l’avanguardia dei com­bat­ten­ti rivo­lu­zio­na­ri dell’Ottobre. I Miklós Gimes, Feke­te San­der e gli altri oppo­si­to­ri comu­ni­sti che pun­ta­no a fon­da­re nel­la clan­de­sti­ni­tà la “Lega dei socia­li­sti unghe­re­si” pub­bli­che­ran­no 9 nume­ri clan­de­sti­ni di “23 Otto­bre” pri­ma di esse­re col­pi­ti dal­la repres­sio­ne. Anche in que­sto caso la buro­cra­zia è riu­sci­ta a col­pi­re con rapi­di­tà: ha uti­liz­za­to la sua orga­niz­za­zio­ne, la sua espe­rien­za e la sua tec­ni­ca per repri­me­re e al tem­po stes­so diso­rien­ta­re le mas­se ope­ra­ie pri­ve di una dire­zio­ne. I lavo­ra­to­ri di Duna­pen­te­le face­va­no appel­lo ai lavo­ra­to­ri rus­si per fra­ter­niz­za­re, quel­li di Miskolc gri­da­va­no ai lavo­ra­to­ri ceco­slo­vac­chi e rume­ni che si sta­va­no bat­ten­do anche per loro. Inve­ce Imre Nagy face­va appel­lo all’aiuto dell’ONU … E infi­ne, la mano­vra per eccel­len­za del­la buro­cra­zia, la sua ulti­ma car­ta, cioè “l’oppositore” Kádár, il qua­le ha potu­to prov­vi­so­ria­men­te gio­ca­re un ruo­lo che né i car­ri né i can­no­ni avreb­be­ro potu­to svol­ge­re. Anche in que­sto fran­gen­te nes­su­na dire­zio­ne rivo­lu­zio­na­ria ha potu­to impe­di­re che i lavo­ra­to­ri unghe­re­si cades­se­ro in que­sto tra­nel­lo. Era­no i più for­ti e si sono bat­tu­ti alla gran­de. Eppu­re sono sta­ti sconfitti.

Una “oppo­si­zio­ne” inconseguente
Una del­le ragio­ni del­la scon­fit­ta è da cer­ca­re nel carat­te­re dell’opposizione inter­na al par­ti­to unghe­re­se. Come abbia­mo visto Imre Nagy si col­le­ga­va, all’interno del movi­men­to comu­ni­sta, alla tra­di­zio­ne del­la ten­den­za “di destra” incar­na­ta negli anni 30 da Bucha­rin. Un com­pa­gno unghe­re­se scri­ve al riguardo:

«Le tra­di­zio­ni “bucha­ri­nia­ne” si sono orga­niz­za­te attor­no a tre principi:

  • NEP: man­te­ni­men­to del­la pic­co­la pro­prie­tà per un perio­do pro­lun­ga­to di tran­si­zio­ne ver­so il socialismo;
  • demo­cra­zia popo­la­re: perio­do di tran­si­zio­ne in cui si con­ser­va­no le for­me poli­ti­che del­la demo­cra­zia bor­ghe­se (par­la­men­ta­ri­smo, siste­ma multipartitico);
  • fron­te popo­la­re: sul pia­no del­la poli­ti­ca inter­na ed inter­na­zio­na­le, allean­za coi set­to­ri piccolo‑borghesi e i loro rap­pre­sen­tan­ti poli­ti­ci».

Aggiun­ge inol­tre che il limi­te dell’ala nagy­sta “bucha­ri­nia­na” era che essa «non pos­se­de­va l’esperienza tro­tski­sta del­la cri­ti­ca allo sta­li­ni­smo in quan­to siste­ma buro­cra­ti­co»:

«Secon­do l’ala nagy­sta, lo sta­li­ni­smo era una for­ma set­ta­ria di estre­mi­smo, cioè una mar­cia in avan­ti trop­po velo­ce su una stra­da però neces­sa­ria, lun­go la qua­le però si era­no abban­do­na­te le for­me neces­sa­rie del­la tran­si­zio­ne. Essa era così inca­pa­ce di cri­ti­ca­re lo sta­li­ni­smo in quan­to siste­ma con­se­guen­te alla dege­ne­ra­zio­ne del socia­li­smo e la sua posi­zio­ne non era “più socia­li­sta” ma sola­men­te “più mode­ra­ta”».

Al momen­to del­lo scon­tro fron­ta­le di novem­bre, Nagy ha senz’altro avu­to il meri­to di abban­do­na­re la via del tem­po­reg­gia­men­to, del com­pro­mes­so con la buro­cra­zia sta­li­ni­sta, dell’adattamento che ave­va segui­to sino ad allo­ra: tenen­do testa ai suoi boia e ai suoi giu­di­ci Nagy ha scel­to il suo cam­po di clas­se, quel­lo dei lavo­ra­to­ri unghe­re­si cadu­ti sot­to i car­ri e sot­to il fuo­co dell’AVH restau­ra­ta per volon­tà del KGB e dei capi del Crem­li­no. Non è meno vero che fino a quel momen­to si era aste­nu­to dal pren­de­re qual­sia­si ini­zia­ti­va per orga­niz­za­re gli oppo­si­to­ri in manie­ra indi­pen­den­te dall’apparato, in altre paro­le di rom­pe­re in modo deci­si­vo con la buro­cra­zia con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ria. Sin dal 1955 alcu­ni corag­gio­si mili­tan­ti, ad esem­pio Miklós Gimes, ex gior­na­li­sta di Sza­bad Nép, o quel gio­va­ne sto­ri­co che nel bel mez­zo di una riu­nio­ne di par­ti­to chie­de­va l’espulsione di Ráko­si, apri­va­no una via che non fu segui­ta. Gli ele­men­ti più coscien­ti dell’opposizione comu­ni­sta – e Miklós Gimes era uno di loro – ave­va­no ini­zia­to ad ana­liz­za­re la socie­tà rus­sa – tal­vol­ta appog­gian­do­si alla let­tu­ra dell’unico esem­pla­re, in fran­ce­se, de La Rivo­lu­zio­ne tra­di­ta por­ta­to da Pari­gi da Gimes – e ave­va­no sco­per­to l’esistenza del­la casta buro­cra­ti­ca, ave­va­no rot­to nel­la loro testa con la “lega­li­tà” del par­ti­to e ipo­tiz­za­to la costru­zio­ne di un’organizzazione clan­de­sti­na con­tro l’apparato. Tut­ta­via non si dedi­ca­ro­no al rag­giun­gi­men­to di que­sto obiet­ti­vo, schiac­cia­ti innan­zi­tut­to dall’ampiezza del com­pi­to sto­ri­co ed anche dal rit­mo rapi­dis­si­mo e allu­ci­nan­te del­lo svi­lup­po rivo­lu­zio­na­rio. Alcu­ni mesi dopo il sof­fo­ca­men­to del­le ulti­me resi­sten­ze, con­clu­sio­ni ana­lo­ghe era­no for­mu­la­te da un altro comu­ni­sta oppo­si­to­re, vero­si­mil­men­te San­der Feke­te, sot­to lo pseu­do­ni­mo di Hun­ga­ri­cus in un pam­phlet arri­va­to in Occidente.
Eppu­re nel 1956 il pro­gram­ma espres­so da milio­ni di lavo­ra­to­ri manua­li e intel­let­tua­li di Unghe­ria nel­le riso­lu­zio­ni dei loro con­si­gli e comi­ta­ti ripren­de­va qua­si alla let­te­ra, para­gra­fo per para­gra­fo, il pro­gram­ma trac­cia­to vent’anni pri­ma ne La Rivo­lu­zio­ne tra­di­ta – e pre­ci­sa­to nel Pro­gram­ma di tran­si­zio­ne – del­la “rivo­lu­zio­ne poli­ti­ca” all’ordine del gior­no in URSS e in segui­to anche nei pae­si sot­to­mes­si alla buro­cra­zia sta­li­ni­sta. Man­ca­va a que­sto pro­gram­ma la sua pun­ta più avan­za­ta, la neces­si­tà del­la costru­zio­ne di un par­ti­to rivo­lu­zio­na­rio col­le­ga­to alla Quar­ta Inter­na­zio­na­le. La respon­sa­bi­li­tà prin­ci­pa­le non sta sul­le spal­le dei rivo­lu­zio­na­ri dell’opposizione comu­ni­sta unghe­re­se, ma su quel­le degli uomi­ni che all’epoca era­no alla testa del­la Quar­ta Inter­na­zio­na­le e ten­ta­va­no con Pablo e Man­del di difen­de­re e ria­bi­li­ta­re la pro­spet­ti­va di una “rige­ne­ra­zio­ne dell’apparato”, del­la “muta­zio­ne” dei par­ti­ti sta­li­ni­sti … e cele­bra­va­no la ‘rivo­lu­zio­ne poli­ti­ca’ diret­ta da Gomulka!

Un appa­ra­to con­tro­ri­vo­lu­zio­na­rio conseguente
La buro­cra­zia, inve­ce, non ha com­mes­so erro­ri. Anche se è sta­ta costret­ta a gri­da­re ai quat­tro ven­ti che era dovu­ta inter­ve­ni­re per repri­me­re l’assalto del­la “con­tro­ri­vo­lu­zio­ne hor­thy­sta”, anche se ha denun­cia­to a gran voce gli uomi­ni dei “par­ti­ti bor­ghe­si” rien­tra­ti a suo dire sot­to l’ala pro­tet­tri­ce di Nagy, essa non ha impic­ca­to nes­sun hor­thy­sta e nes­sun diri­gen­te dei vec­chi par­ti­ti schie­ra­ti­si col gover­no Nagy. Ha incar­ce­ra­to inve­ce tan­ti comu­ni­sti quan­ti ne ave­va impri­gio­na­to Hor­thy. Ma soprat­tut­to, la buro­cra­zia sta­li­ni­sta ha ucci­so in pri­mo luo­go i comu­ni­sti, non sol­tan­to a cal­do, nel cor­so del­la repres­sio­ne e del­la ricon­qui­sta del­le cit­tà, ma anche più tar­di a fred­do e segre­ta­men­te. La buro­cra­zia ha impic­ca­to lo stes­so Imre Nagy, Pal Malé­ter, Miklós Gimes e Józ­sef Szi­lá­gyi; con­dan­na­to a pene pesan­tis­si­me Sán­dor Rácz, Báli, Kar­sai e altri diri­gen­ti del Con­si­glio ope­ra­io cen­tra­le, i respon­sa­bi­li degli intel­let­tua­li, come Györ­gy Mar­kos, come Gabor Tanc­zos, segre­ta­rio del Cir­co­lo Petö­fi, Jánós Var­ga, mem­bro del Comi­ta­to rivo­lu­zio­na­rio degli stu­den­ti, mili­tan­ti del­la Gio­ven­tù Comu­ni­sta come Bálint Papp, difen­so­re di Duna­pen­te­le, o Lász­ló Bede di Debre­cen … Miglia­ia di mili­tan­ti, com­bat­ten­ti del­la rivo­lu­zio­ne poli­ti­ca del 1956, sono sta­ti con­dan­na­ti ad anni di pri­gio­ne, han­no per­so il lavo­ro, sono sta­ti costret­ti ad una sor­ve­glian­za este­nuan­te, iso­la­ti dai loro com­pa­gni, tenu­ti lon­ta­ni dal­le gio­va­ni gene­ra­zio­ni. Col­pen­do que­sti uomi­ni, strap­pan­do dal­la memo­ria col­let­ti­va dei lavo­ra­to­ri unghe­re­si per­si­no il ricor­do del­la rivo­lu­zio­ne del 1956, la buro­cra­zia ha mostra­to alla luce del gior­no la sua natu­ra e la sua coscien­za con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ria, il suo carat­te­re di casta irri­du­ci­bil­men­te osti­le alla clas­se operaia.

Il futu­ro
In que­sta scon­fit­ta si tro­va­no, nono­stan­te tut­to, i ger­mi del­le pros­si­me vit­to­rie. La dire­zio­ne poli­ti­ca rivo­lu­zio­na­ria che è man­ca­ta ai lavo­ra­to­ri unghe­re­si per coor­di­na­re la loro azio­ne e ren­der­la inar­re­sta­bi­le, per supe­ra­re i tra­nel­li del­la buro­cra­zia con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ria del Cre­mi­no, si for­gia oggi nel­la resi­sten­za dei lavo­ra­to­ri, nel­le fab­bri­che come nei cam­pi di con­cen­tra­men­to e nel­le pri­gio­ni ed anche nel­la clan­de­sti­ni­tà. La futu­ra dire­zio­ne sarà rin­for­za­ta dagli inse­gna­men­ti del­la lot­ta in que­sti mesi deci­si­vi. La vit­to­ria del­la rivo­lu­zio­ne rus­sa del 1917 è il frut­to del­la scon­fit­ta del 1905 e del­la costru­zio­ne del par­ti­to bol­sce­vi­co di Lenin. Com­bat­ten­ti comu­ni­sti di diver­se gene­ra­zio­ni pre­pa­ra­no oggi il loro Otto­bre vit­to­rio­so in Unghe­ria come in Polo­nia, a Pra­ga come a Mosca.


Note

[1] Inter­vi­sta cita­ta da Bon­dy. Demain, 8 novem­bre 1956.
[2] New York Times, 2 luglio 1956.
[3] New York Times, 1° luglio 1956.
[4] Iro­dal­mi Ujság, 18 ago­sto 1956.
[5] Ghe­peu o GPU: poli­zia poli­ti­ca rus­sa, diven­ta­ta poi NKVD e poi KGB.
[6] Iro­dal­mi Ujság, 30 giu­gno 1956.
[7] New York Times, 22 otto­bre 1956.
[8] Ibi­dem, 23 otto­bre 1956.
[9] New York Times, 22 otto­bre 1956.
[10] Sza­bad Nep, 23 otto­bre 1956.
[11] Sef­ton Del­mer, in Dai­ly Express, 24 otto­bre 1956.
[12] Sher­man, The Obser­ver, 11 novem­bre 1956.
[13] Noti­zia del­la Uni­ted Press, 24 otto­bre 1956.
[14] AVH (o AVO): poli­zia poli­ti­ca unghe­re­se. Gli “Avos” sono i suoi membri.
[15] The Obser­ver, 11 novem­bre 1956.
[16] Hon­véd­ség: arma­ta unghe­re­se. La paro­la “Hon­ved” signi­fi­ca “difen­so­re del­la patria”: in ori­gi­ne, defi­ni­va i sol­dai che, nel 1848, ser­vi­va­no sot­to le inse­gne unghe­re­si e non sot­to l’uniforme austriaca.
[17] Antho­ny Rho­des, Dai­ly Tele­gra­ph, 24 novem­bre 1956.
[18] Archi­vi privati.
[19] Dai­ly Tele­gra­ph, 29 otto­bre 1956.
[20] Uni­ted Press, 24 otto­bre 1956.
[21] Cita­to da Demain, 1° novem­bre 1956.
[22] The Obser­ver, 1° novembre.
[23] Ibi­dem.
[24] Ibi­dem.
[25] New York Times, 27 ottobre.
[26] Radio-Kos­suth e Petö­fi, 25 otto­bre, ore 15.18: “I com­pa­gni Jánós Kadar e Imre Nagy al microfono”.
[27] Ibi­dem.
[28] Uni­ted Press, 25 otto­bre 1956.
[29] The Obser­ver, 25 novem­bre 1956.
[30] Coutts, su The Dai­ly Wor­ker, 26 novem­bre 1956.
[31] New York Times, 28 otto­bre 1956.
[32] The Times, 27 otto­bre 1956.
[33] New York Herald Tri­bu­ne, 27 otto­bre 1956.
[34] Uni­ted Press, 26 otto­bre 1956.
[35] Ibi­dem.
[36] Times, 27 otto­bre 1956.
[37] Le Mon­de, 29 otto­bre 1956.
[38] Ibi­dem, 30 otto­bre 1956.
[39] Franc‑Tireur, 29 otto­bre 1956.
[40] Il Par­ti­to nazio­na­le con­ta­di­no si è for­ma­to nel 1939 sot­to la dire­zio­ne di scrit­to­ri “popu­li­sti”; rag­grup­pa­va brac­cian­ti, con­ta­di­ni pove­ri, intel­let­tua­li, mae­stri di pae­se. Si è dichia­ra­to sin dal­la costi­tu­zio­ne a favo­re di una rifor­ma agra­ria. Ha par­te­ci­pa­to al gover­no prov­vi­so­rio del dicem­bre 1944, a fian­co del PC, del PSP e del par­ti­to dei pic­co­li pro­prie­ta­ri; ha pre­so l’iniziativa per una radi­ca­le rifor­ma agra­ria. Ha fat­to par­te del gover­no di coa­li­zio­ne del 1945–1948 e si è sciol­to dopo la “svol­ta” del 1948. Rina­sce il 31 otto­bre 1956.
[41] New York Times, 29 otto­bre 1956.
[42] Ibi­dem.
[43] Le Mon­de, 30 otto­bre 1956.
[44] Franc-Tireur, 30 otto­bre 1956.
[45] Demain, 1° novem­bre 1956.
[46] New York Times, 2 novem­bre 1956.
[47] Demain, 1° novem­bre 1956.
[48] New York Times, 31 otto­bre 1956.
[49] Franc-Tireur, 30 otto­bre 1956.
[50] Dai­ly Mail, 26 otto­bre 1956.
[51] Noti­zia Reu­ter, 27 otto­bre 1956.
[52] Dai­ly Tele­gra­ph, rac­con­to di Rho­des, 24 novem­bre 1956.
[53] Gor­dey, su Fran­ce Soir, 12 novem­bre 1956.
[54] Jour­nal du Diman­che, 27 otto­bre 1956.
[55] Times, 29 otto­bre 1956.
[56] Ibi­dem.
[57] Le Mon­de, 30 otto­bre 1956.
[58] Ibi­dem.
[59] Comu­ni­ca­to a Radio Kos­suth, 30 otto­bre 1956.
[60] Radio Kos­suth, 31 otto­bre, ore 20.01.
[61] Le Mon­de, 1° novem­bre 1956.
[62] New York Times, 31 otto­bre 1956.
[63] Fran­ce Obser­va­teur, 1° novem­bre 1956.
[64] New York Times, 30 otto­bre 1956.
[65] Franc Tireur, 31 otto­bre 1956.
[66] Ibi­dem.
[67] Le Mon­de, 28 otto­bre 1956.
[68] Uni­ted Press, 27 otto­bre 1956.
[69] Le Mon­de, 14 novem­bre 1956.
[70] Cita­to da Polo­gne-Hon­grie 1956, EDI, pp. 196–197.
[71] The Dai­ly Wor­ker, 1° dicem­bre 1956.
[72] New York Times, 4 novem­bre 1956.
[73] Fran­ce Obser­va­teur, F. Fej­to, 8 novem­bre 1956.
[74] L’Humanité, 17 novem­bre 1956.
[75] Tri­bu­ne, 23 novem­bre 1956.
[76] Le Peu­ple, 14 novem­bre 1956.
[77] Anna Kethly su Franc Tireur, 30 novem­bre 1956.
[78] Tri­bu­ne, 30 novem­bre 1956.
[79] L’Humanité, 16 novem­bre 1956.
[80] Anna Kethly su Franc Tireur, 30 novem­bre 1956.
[81] Le Mon­de, 5 dicem­bre 1956.
[82] Ibi­dem.
[83] L’Humanité, 16 novem­bre 1956.
[84] The Dai­ly Wor­ker, 16 novem­bre 1956.
[85] Demain, 29 novem­bre 1956.
[86] L’Humanité, 5 novem­bre 1956.
[87] Nepsza­va (Voce del popo­lo), orga­no cen­tra­le del par­ti­to social­de­mo­cra­ti­co unghe­re­se dal­la fine del XIX seco­lo, diven­tò l’organo cen­tra­le dei sin­da­ca­ti dopo la “fusio­ne” tra que­sto par­ti­to ed il PC nel giu­gno 1948. Ridi­ven­ta­to orga­no del par­ti­to social­de­mo­cra­ti­co rior­ga­niz­za­to­si duran­te la rivo­lu­zio­ne, oggi è nuo­va­men­te l’organo dei sindacati.
[88] Tri­bu­ne, 23 novem­bre 1956.
[89] Ibi­dem.
[90] Ibi­dem.
[91] Ibi­dem.
[92] Ibi­dem.
[93] Ibi­dem.
[94] Le Pari­sien libé­ré, 5 novem­bre 1956.
[95] Michel Gor­dey, Fran­ce Soir, 12 novem­bre 1956.
[96] Ibi­dem, 16 novembre.
[97] New York Times, 8 novem­bre 1956.
[98] Dai­ly Tele­gra­ph, 10 novem­bre 1956.
[99] New York Times, 25 novem­bre 1956.
[100] Tibor Meray, nel suo rac­con­to “Imre Nagy duran­te la rivo­lu­zio­ne” (in Imre Nagy, un com­mu­ni­sme qui n’oublie pas l’homme, Plon, Pari­gi, p. 249), rife­ri­sce in que­sti ter­mi­ni la con­ver­sa­zio­ne tenu­ta tra i mini­stri unghe­re­si venu­ti a pro­te­sta­re con­tro l’avanzata del­le colon­ne moto­riz­za­te che occu­pa­va­no ormai pun­ti stra­te­gi­ci: “Inter­ve­nen­do uno dopo l’altro, i mem­bri del gover­no appog­gia­no “il vec­chio”. Il più viru­len­to è il suo suc­ces­so­re, Janos Kadar. Poco impor­ta quel­lo che sarà di lui, dice pri­ma di ini­zia­re a gri­da­re, per­ché se si ren­de­rà neces­sa­rio egli è dispo­sto, come unghe­re­se, a com­bat­te­re. “Se i vostri car­ri, gri­da Kadar all’ambasciatore sovie­ti­co, entra­no a Buda­pe­st scen­de­rò in stra­da per bat­ter­mi con­tro di voi, anche a mani nude”.
[101] Franc Tireur, 29 novem­bre 1956.
[102] The Dai­ly Wor­ker, 5 novem­bre 1956.
[103] Franc Tireur, 5 novem­bre 1956.
[104] Ibi­dem, 12 novem­bre 1956.
[105] The Dai­ly Wor­ker, 12 novem­bre 1956.
[106] Fran­ce Soir, 15 novem­bre 1956.
[107] L’Humanité, 10 dicem­bre 1956.
[108] Franc Tireur, 16 novem­bre 1956.
[109] Ibi­dem.
[110] Ibi­dem.
[111] Rife­ri­men­to allo sta­bi­li­men­to Renault di Bil­lan­court, sto­ri­co bastio­ne del­la clas­se ope­ra­ia fran­ce­se [ndt]. Per impor­tan­za nel­la sto­ria del movi­men­to ope­ra­io lo si potreb­be para­go­na­re allo sta­bi­li­men­to Fiat di Mirafiori.
[112] Dai­ly Tele­gra­ph, 11 novem­bre 1956.
[113] Tri­bu­ne de Genè­ve, 16 novem­bre 1956.
[114] Ibi­dem.
[115] New York Times, Mc Cor­mac, 17 novem­bre 1956.
[116] Ibi­dem, 19 novem­bre 1956.
[117] Franc Tireur, 20 novem­bre 1956.
[118] Figa­ro, 1° dicembre.
[119] L’Humanité, 21 novem­bre 1956.
[120] Tri­bu­ne de Genè­ve, 22 novem­bre 1956.
[121] Franc Tireur, 22 novem­bre 1956.
[122] Ibi­dem, 23 novem­bre 1956.
[123] Le Figa­ro, 23 novem­bre 1956.
[124] Franc Tireur, 24 novem­bre 1956.
[125] Ibi­dem.
[126] L’Humanité, 23 novem­bre 1956.
[127] New York Times, 25 novem­bre 1956.
[128] L’Humanité, 27 novem­bre 1956.
[129] L’Humanité, 27 novem­bre 1956.
[130] Franc Tireur, 28 novem­bre 1956.
[131] Le Mon­de, 29 novem­bre 1956.
[132] Fran­ce Soir, 1° dicem­bre 1956.
[133] New York Times, 1° dicem­bre 1956.
[134] Com­bat, 1° dicem­bre 1956.
[135] The Dai­ly Wor­ker, 28 novem­bre 1956.
[136] Ibi­dem, 27 novem­bre 1956.
[137] Polo­gne-Hon­grie, op. cit., p. 286.
[138] Ibi­dem, p. 260.
[139] Le Mon­de, 28 novem­bre 1956.
[140] L’Humanité, 28 novem­bre 1956.
[141] The Dai­ly Wor­ker, 24 novem­bre 1956.
[142] Polo­gne-Hon­grie 1956, op. cit., pp. 261–262.
[143] Ibi­dem, p. 262.
[144] Ibi­dem.
[145] Le Figa­ro, 1° dicem­bre 1956.
[146] Com­bat, 1° dicem­bre 1956.
[147] Le Figa­ro, 1° dicem­bre 1956.
[148] AFP, 4 dicem­bre 1956.
[149] New York Times, 5 dicem­bre 1956.
[150] Ibi­dem.
[151] Tri­bu­ne de Genè­ve, 8 dicem­bre 1956.
[152] Dai­ly Tele­gra­ph, 8 dicem­bre 1956.
[153] Le Figa­ro, 8 dicem­bre 1956.
[154] Le Mon­de, 8 dicem­bre 1956.
[155] Dai­ly Tele­gra­ph, 10 dicem­bre 1956.
[156] Dai­ly Mail, 10 dicem­bre 1956.
[157] L’Humanité, 10 dicem­bre 1956.
[158] Le Mon­de, 11 dicem­bre 1956.
[159] L’Humanité, 10 dicem­bre 1956.
[160] Tri­bu­ne de Genè­ve, 12 dicem­bre 1956.
[161] The Dai­ly Wor­ker, 12 dicem­bre 1956.
[162] Ibi­dem.
[163] L’Humanité, 10 dicem­bre 1956.
[164] Il Gior­no, 14 dicem­bre 1956.
[165] Tri­bu­ne de Genè­ve, 13 dicem­bre 1956.
[166] New York Times, 11 dicem­bre 1956.
[167] The Dai­ly Wor­ker, 12 dicem­bre 1956.
[168] Ibi­dem.
[169] Tri­bu­ne de Genè­ve, 13 dicem­bre 1956.
[170] Fran­ce Soir, 15 dicem­bre 1956.
[171] Dai­ly Tele­gra­ph, 14 dicem­bre 1956.
[172] The Times, 17 dicembre.
[173] Le Mon­de, 10 gen­na­io 1957.