Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Politica internazionale: America Latina

Il Brasile, il golpe e l’arresto di Lula spiegati a mio nonno

Il Brasile, il golpe e l’arresto di Lula spiegati a mio nonno

La tra­iet­to­ria del luli­smo e la pro­spet­ti­va per il movi­men­to operaio

Vale­rio Torre

«Come giun­ge­rà il pro­le­ta­ria­to alla com­pren­sio­ne sog­get­ti­va del com­pi­to sto­ri­co che gli pone la sua situa­zio­ne oggettiva?
Se il pro­le­ta­ria­to come clas­se fos­se capa­ce di com­pren­de­re da subi­to il suo com­pi­to sto­ri­co, non sareb­be­ro neces­sa­ri né il par­ti­to né i sin­da­ca­ti: la rivo­lu­zio­ne pro­le­ta­ria sareb­be sor­ta insie­me al pro­le­ta­ria­to. Al con­tra­rio, il pro­ces­so attra­ver­so cui il pro­le­ta­ria­to com­pren­de la sua mis­sio­ne sto­ri­ca è lun­go e peno­so, ed è segna­to da con­trad­di­zio­ni interne.
Solo attra­ver­so pro­lun­ga­te lot­te, dure pro­ve, tan­ti erro­ri e una lar­ga espe­rien­za, la con­ce­zio­ne cor­ret­ta del­le stra­de e dei meto­di di svi­lup­po ven­go­no assi­mi­la­ti dai miglio­ri ele­men­ti che for­ma­no l’avanguardia del­la clas­se operaia»
(L. Tro­tsky, “Una spie­ga­zio­ne neces­sa­ria ai sin­da­ca­li­sti comu­ni­sti”, 12 apri­le 1923)


Un chia­ri­men­to pre­li­mi­na­re dell’autore
Mio non­no era un pic­co­lis­si­mo arti­gia­no del legno, un mae­stro d’ascia: costrui­va bar­che. Era pro­prie­ta­rio solo del­la sua cas­set­ta degli attrez­zi che, quand’era più gio­va­ne, si cari­ca­va in spal­la per anda­re a lavo­ra­re in un mode­sto can­tie­re, dopo aver per­cor­so a pie­di sva­ria­ti chi­lo­me­tri. Ha costrui­to bar­che in legno fino all’età di novant’anni con le nude mani e la falan­ge di un dito in meno, tron­ca­ta di net­to dal­la sua stes­sa sega, ed è pas­sa­to attra­ver­so due guer­re mon­dia­li, la fame e la mise­ria, con cin­que figli lascia­ti­gli in ere­di­tà da una moglie scom­par­sa trop­po presto.
Da pic­co­lo, pas­sa­vo mol­te ore a guar­dar­lo all’opera, ammi­ra­to dal­la mae­stria con cui dal legno grez­zo face­va nasce­re quel­le imbar­ca­zio­ni da pesca­to­ri. Gli par­la­vo men­tre lui lavo­ra­va, e gli rac­con­ta­vo quel­lo che – era­va­mo all’incirca a metà degli anni 60 – era impor­tan­te ai miei occhi inge­nui di bam­bi­no. Ricor­do, ad esem­pio, che, dopo aver visto qual­che film sul vec­chio West, cer­ca­vo di spie­gar­gli chi fos­se­ro i cow‑boy. E non era sem­pli­ce, per­ché mio non­no era un uomo dell’Ottocento ita­lia­no, che dell’America ave­va sen­ti­to par­la­re solo quan­do qual­che suo coe­ta­neo era costret­to ad andar­ci per emi­gra­re. Ma mi sfor­za­vo comun­que di tro­va­re le paro­le più sem­pli­ci per far­glie­lo capi­re. Non so se io ci sia mai riu­sci­to. Non so se mio non­no annuis­se per condiscendenza.

* * *

Dal­le ana­li­si con cui diver­se orga­niz­za­zio­ni del­la sini­stra ita­lia­na han­no spie­ga­to quan­to è acca­du­to e sta acca­den­do in Bra­si­le, mi sono reso con­to che le let­tu­re che di quel­la real­tà ven­go­no for­ni­te sono basa­te, non su un qua­dro d’insieme, ma su ele­men­ti fram­men­ta­ri: ogni arti­co­lo, quan­do vie­ne pub­bli­ca­to, dà per scon­ta­to che il let­to­re – sia esso un mili­tan­te del­la sini­stra, oppu­re un sem­pli­ce curio­so che si inte­res­sa dell’America Lati­na – abbia pre­sen­ti gli ante­fat­ti, pro­dot­ti­si mol­ti anni pri­ma, che han­no por­ta­to alla situa­zio­ne che vie­ne espo­sta. Per di più, da quan­to ho potu­to veri­fi­ca­re, ho rin­ve­nu­to, nel­la tra­du­zio­ne ita­lia­na del­la real­tà bra­si­lia­na, due rico­stru­zio­ni oppo­ste, sim­me­tri­ca­men­te sba­glia­te a mio avvi­so, del luli­smo e del­la sua tra­iet­to­ria nei quat­tor­di­ci anni di suoi governi.
Ho pro­va­to quin­di, nel­lo scrit­to che segue, a riper­cor­re­re que­sto las­so di tem­po sof­fer­man­do­mi in par­ti­co­la­re sugli ulti­mi anni e sugli even­ti che han­no por­ta­to alla desti­tu­zio­ne di Dil­ma Rous­seff e all’arresto di Lula. E ho cer­ca­to di far­lo con lo stes­so spi­ri­to di quan­do par­la­vo a mio non­no dei cow‑boy e del­le pra­te­rie del vec­chio West. Non per­ché io sup­pon­ga di rivol­ger­mi a let­to­ri sprov­ve­du­ti: no, sarei un pre­sun­tuo­so. Ma per pro­va­re a for­ni­re quel qua­dro d’insieme che man­ca in altre analisi.
E pro­prio per que­sta ragio­ne, la reda­zio­ne di que­sto Blog ha anche deci­so di pub­bli­ca­re il testo tut­to insie­me e non in più par­ti, nono­stan­te la lun­ghez­za con­si­glias­se di far­lo, pre­sen­tan­do­lo per­ciò così com’è.
Mi augu­ro che que­sta scel­ta non sfi­di la pazien­za dei let­to­ri. Così come mi augu­ro di esse­re riu­sci­to nell’impresa di risul­ta­re chia­ro. Più di quan­to sia sta­to capa­ce di fare con mio nonno.


L’ascesa di Lula al gover­no e i suoi due mandati
Quan­do, nel gen­na­io del 2011, Lula lasciò la pre­si­den­za del Pae­se dopo aver com­piu­to il suo secon­do man­da­to, gode­va – fat­to uni­co, più che raro – del 87% del con­sen­so popo­la­re. Due anni pri­ma, nel 2009, il pre­si­den­te degli Usa, Barack Oba­ma, lo ave­va defi­ni­to «il poli­ti­co più popo­la­re del­la Ter­ra»[1]. Ave­va assun­to l’incarico quan­do l’economia bra­si­lia­na era la tre­di­ce­si­ma nel mon­do: nel 2015, sot­to il man­da­to di Dil­ma Rous­seff – che egli ave­va impo­sto qua­le suo suc­ces­so­re – l’economia del Bra­si­le era asce­sa al nono posto.

Lula con il pre­si­den­te Usa, Obama

Ben­ché Lula abbia appli­ca­to, addi­rit­tu­ra con mag­gior zelo, le poli­ti­che richie­ste dal Fmi[2], una par­ti­co­la­re e favo­re­vo­le con­giun­tu­ra spin­se la situa­zio­ne eco­no­mi­ca glo­ba­le del Pae­se ver­so un note­vo­le miglio­ra­men­to. Infat­ti, l’aumento del­la doman­da mon­dia­le (dovu­to, in par­ti­co­la­re, a quel­la cine­se), uni­to al boom del­le mate­rie pri­me e al for­te afflus­so di inve­sti­men­ti este­ri, deter­mi­nò un’importante cre­sci­ta dell’economia del Bra­si­le: il Pil, che nel 2002 – ulti­mo anno del gover­no Car­do­so – era cre­sciu­to del 3,1%, aumen­tò duran­te il man­da­to Lula del 4% nel 2006 e del 7,5 nel 2010. A prez­zi cor­ren­ti, nel 2011, il Pil bra­si­lia­no è sta­to il sesto al mon­do (2.520 miliar­di di dol­la­ri, con­tro i 2.480 del­la Gran Bre­ta­gna e i 2.276 dell’Italia) e, a pari­tà di pote­re d’acquisto, il set­ti­mo con 2.260 miliar­di di dol­la­ri. L’inflazione, che nel 2002 era al 12,5%, sce­se nel 2010 al 5,1%. Con rife­ri­men­to a que­sti stes­si anni, il tas­so di disoc­cu­pa­zio­ne pas­sò dal 10,5% al 5,7%, con un aumen­to di 21 milio­ni di posti di lavo­ro nel decen­nio degli anni 2000[3].
Inol­tre, il sala­rio mini­mo regi­strò una cre­sci­ta signi­fi­ca­ti­va, men­tre l’incremento del­le entra­te for­nì al gover­no le risor­se per lan­cia­re quei pia­ni socia­li – “Fome Zero”, “Min­ha casa, min­ha vida”, “Bol­sa Famí­lia”[4] – che han­no per­mes­so una impor­tan­te dimi­nu­zio­ne del tas­so di pover­tà asso­lu­ta[5] dal 26,7% nel 2002 al 15,3% nel 2009: di con­se­guen­za, cir­ca 26 milio­ni di bra­si­lia­ni usci­ro­no dal livel­lo di pover­tà. Anche la disu­gua­glian­za, misu­ra­ta con l’indice Gini[6], sce­se dal­lo 0,6 nel 2002 allo 0,54 nel 2009, ben­ché in ter­mi­ni rela­ti­vi si sia man­te­nu­ta ad alti livel­li, in Bra­si­le così come in qua­si tut­ti i Pae­si dell’America Latina.
Com­ple­ta­ro­no il qua­dro del­la muta­ta situa­zio­ne eco­no­mi­ca bra­si­lia­na: l’aumento, a par­ti­re dal 2005, degli inve­sti­men­ti sta­ta­li nell’istruzione, che pro­dus­se un amplia­men­to con­si­de­re­vo­le del­la popo­la­zio­ne stu­den­te­sca, favo­ren­do in par­ti­co­la­re le fami­glie meno abbien­ti che mai avreb­be­ro potu­to man­da­re i pro­pri figli alle scuo­le supe­rio­ri e addi­rit­tu­ra all’università; e una mag­gio­re faci­li­ta­zio­ne per l’accesso al cre­di­to, che fece cre­sce­re la pla­tea dei “con­su­ma­to­ri”, favo­ren­do l’ingresso nel mer­ca­to dei beni dure­vo­li (casa, auto­mo­bi­le, elet­tro­do­me­sti­ci) di quei set­to­ri che pri­ma ne era­no esclu­si in ragio­ne del­la loro con­di­zio­ne economica.
Tut­to ciò por­tò, soprat­tut­to duran­te il pri­mo man­da­to di Lula, all’aumento di un mode­sto benes­se­re per fasce sem­pre più ampie di mas­se popo­la­ri, deter­mi­nan­do un’ulteriore cre­sci­ta del suo con­sen­so, nono­stan­te i gran­di scan­da­li per cor­ru­zio­ne che inve­sti­ro­no il suo gover­no, ma dai qua­li egli fu appe­na sfio­ra­to[7]. Nel com­ples­so, era cre­sciu­ta la gene­ra­le sen­sa­zio­ne di un miglio­ra­men­to con i gover­ni del Pt in coin­ci­den­za con gli anni di cre­sci­ta eco­no­mi­ca: una sen­sa­zio­ne che si fon­da­va sull’immagine di un’economia con­trol­la­ta, con un dif­fu­so aumen­to del teno­re di vita di ampi set­to­ri del­la popo­la­zio­ne che pote­va­no, rispet­to a pri­ma e gra­zie al cre­di­to con­ces­so, com­pra­re una casa, un’automobile, gli elettrodomestici.
In real­tà, però, il luli­smo ave­va man­te­nu­to del tut­to inal­te­ra­to il model­lo neo­li­be­ra­le, dan­do­gli sem­mai un tono “svi­lup­pi­sta”, tant’è che del net­to miglio­ra­men­to del­la situa­zio­ne eco­no­mi­ca le clas­si subal­ter­ne rice­vet­te­ro solo le bri­cio­le. Chi inve­ce ne bene­fi­ciò real­men­te, facen­do pro­fit­ti in misu­ra spet­ta­co­la­re, fu la bor­ghe­sia. Era que­sto il tri­bu­to che, a spe­se dei lavo­ra­to­ri e del popo­lo bra­si­lia­no, Lula e il Pt dove­va­no pagar­le per aver­ne otte­nu­to il soste­gno e il con­sen­so a gover­na­re. E Lula stes­so non si fece scru­po­lo di con­fes­sar­lo can­di­da­men­te: «Se c’è una cosa di cui nes­sun impren­di­to­re bra­si­lia­no può lamen­tar­si nei miei sei anni di man­da­to è che mai sono sta­ti gua­da­gna­ti tan­ti sol­di come nel mio gover­no»[8].
I pro­fit­ti del siste­ma finan­zia­rio bra­si­lia­no nei due man­da­ti di Fer­nan­do Hen­ri­que Car­do­so (1995‑2002) furo­no di 95 miliar­di di real: “noc­cio­li­ne”, rispet­to a quel­li rea­liz­za­ti duran­te il dop­pio man­da­to di Lula, 428 miliar­di di real[9]. Inol­tre, il ren­di­men­to del­le ban­che rag­giun­se, nel 2012, il 16,8%. Per ave­re un ter­mi­ne di para­go­ne, nel­lo stes­so perio­do quel­lo del­le due mag­gio­ri ban­che sta­tu­ni­ten­si fu del 9,9%.
Il fat­tu­ra­to del­le cin­que­cen­to più gran­di impre­se bra­si­lia­ne, in undi­ci anni di gover­no peti­sta (otto di Lula e i pri­mi tre di Dil­ma Rous­seff), è sta­to di 15,4 tri­lio­ni di real[10]. Nel 2011, le loro ven­di­te han­no rap­pre­sen­ta­to il 48% del Pil del Pae­se. Il 72% di que­sta ric­chez­za pro­dot­ta è anda­to a impre­se e ban­che, il 19% allo Sta­to e solo il 9% ai lavoratori.
Il siste­ma eco­no­mi­co dei gover­ni a gui­da Pt si è basa­to in mas­si­ma par­te su eso­ne­ro dal paga­men­to di impo­ste per il padro­na­to e decon­tri­bu­zio­ni, il cui mon­tan­te è sta­to di 44 miliar­di di real nel 2011, 72 miliar­di nel 2012 e cir­ca 91 miliar­di nel 2013. Secon­do cal­co­li del­lo stes­so gover­no, le indu­strie favo­ri­te dal­la decon­tri­bu­zio­ne avreb­be­ro dovu­to paga­re all’Inss (l’istituto nazio­na­le di pre­vi­den­za bra­si­lia­no) 21,5 miliar­di di real nel 2013, ma per effet­to dei bene­fi­ci fisca­li han­no paga­to solo 8,7 miliardi.
La bor­ghe­sia è sta­ta favo­ri­ta anche dagli inter­ven­ti sugli asset stra­te­gi­ci del Pae­se: aste dei poz­zi di petro­lio; costru­zio­ni di infra­strut­tu­re (prin­ci­pal­men­te idroe­let­tri­che e por­ti) in part­ner­ship con pri­va­ti; con­ces­sio­ni di stra­de fede­ra­li, set­to­re elet­tri­co e del­le tele­co­mu­ni­ca­zio­ni; pri­va­tiz­za­zio­ne di aero­por­ti; finan­zia­men­to di scuo­le supe­rio­ri pri­va­te; ven­di­ta del­le par­te­ci­pa­zio­ni in ban­che statali.

Le gior­na­te di giu­gno 2013
Quan­do, nel gen­na­io 2011, Lula ter­mi­nò l’incarico pre­si­den­zia­le pas­san­do­lo nel­le mani di Dil­ma Rous­seff, le lasciò un’economia che anda­va a tut­to vapo­re e che anco­ra non ave­va risen­ti­to in pie­no gli effet­ti del­la cri­si eco­no­mi­ca mon­dia­le scop­pia­ta nel 2007‑2008. Eppu­re, già sul fini­re del secon­do gover­no Lula ini­zia­va a pro­dur­si un ral­len­ta­men­to del­la cre­sci­ta bra­si­lia­na: per que­sto egli ave­va comin­cia­to ad appli­ca­re, poco pri­ma di lascia­re defi­ni­ti­va­men­te l’incarico pre­si­den­zia­le, una poli­ti­ca “orto­dos­sa” di ridu­zio­ne del­la spe­sa pub­bli­ca. Dil­ma Rous­seff con­ti­nuò su que­sta stes­sa stra­da, appro­fon­den­do­la ma anche restrin­gen­do il cre­di­to. Tut­ta­via, nono­stan­te l’apprezzamento dei mer­ca­ti inter­na­zio­na­li per que­ste scel­te[11], l’economia del Pae­se sta­va visto­sa­men­te rallentando.
Dopo una timi­da espan­sio­ne nel 2011 (3,9%), il Pil sostan­zial­men­te rista­gnò nel 2014 (0,1%) per poi crol­la­re nel 2015 (-3,8%)[12]. Il peso del con­te­sto inter­na­zio­na­le fu deter­mi­nan­te, a par­ti­re dal ral­len­ta­men­to dell’economia cine­se, dall’aspettativa (anda­ta delu­sa) di un aumen­to dei tas­si di inte­res­se degli Usa e dal crol­lo dei prez­zi del­le com­mo­di­ties, in par­ti­co­la­re soia e petro­lio, pro­dot­ti cen­tra­li nel­le espor­ta­zio­ni bra­si­lia­ne. Il solo annun­cio, poi, da par­te del­la Ban­ca cen­tra­le sta­tu­ni­ten­se, del­la fine del quan­ti­ta­ti­ve easing pro­vo­cò una ingen­te fuga di capi­ta­li[13], col con­se­guen­te crol­lo degli inve­sti­men­ti este­ri. Il real si deprez­zò in bre­ve tem­po, deter­mi­nan­do l’aumento dell’inflazione: e per con­te­ner­la, le auto­ri­tà mone­ta­rie bra­si­lia­ne deci­se­ro l’aumento dei tas­si di inte­res­se, misu­ra che però sco­rag­giò gli inve­sti­to­ri nazio­na­li, stron­cò la doman­da di cre­di­to al con­su­mo e aggra­vò il debi­to pub­bli­co. L’aumento di tas­se già inso­ste­ni­bi­li per la stra­gran­de mag­gio­ran­za del­la popo­la­zio­ne fece scop­pia­re le gigan­te­sche pro­te­ste del giu­gno 2013, che pose­ro fine alla nar­ra­zio­ne trion­fa­li­sti­ca che pro­prio in quel perio­do il peti­smo sta­va pro­pa­gan­dan­do[14].
La scin­til­la che fece esplo­de­re la pro­te­sta fu l’aumento di 20 cen­te­si­mi di real[15] del prez­zo di tra­spor­ti sovraf­fol­la­ti, len­ti, inef­fi­cien­ti e peri­co­lo­si. Ma sin da subi­to gli argi­ni del­la pura e sem­pli­ce riven­di­ca­zio­ne eco­no­mi­ca cedet­te­ro per sfo­cia­re nel­la mes­sa in discus­sio­ne del­le isti­tu­zio­ni sta­ta­li. Come spes­so acca­de, infat­ti, die­tro la rela­ti­va esi­gui­tà del­le riven­di­ca­zio­ni imme­dia­te, era dis­si­mu­la­ta la rea­le dimen­sio­ne del mal­con­ten­to popo­la­re: un’insoddisfazione gene­ra­liz­za­ta che sfo­ciò in una pro­te­sta con riven­di­ca­zio­ni di miglio­re qua­li­tà nell’offerta dei ser­vi­zi pub­bli­ci, dal­la sani­tà all’istruzione, e con­tro l’alto livel­lo di cor­ru­zio­ne venu­to alla luce soprat­tut­to nel­la costru­zio­ne del­le gran­di ope­re e infra­strut­tu­re per la Cop­pa del Mon­do del 2014 e le Olim­pia­di del 2016, finan­zia­te taglian­do i bilan­ci dei ser­vi­zi pubblici.
L’imprevista, gigan­te­sca e mon­tan­te onda­ta di pro­te­ste in tut­to il Pae­se col­se di sor­pre­sa le isti­tu­zio­ni sta­ta­li met­ten­do­le spal­le al muro. La bor­ghe­sia cer­cò in un pri­mo momen­to di smi­nui­re il sen­so del­la mobi­li­ta­zio­ne dileg­gian­do i mani­fe­stan­ti: in rispo­sta allo slo­gan che attra­ver­sa­va le mani­fe­sta­zio­ni – «Non è solo per 20 cen­te­si­mi!» – un edi­to­ria­li­sta del con­ser­va­to­re tele­gior­na­le del­la Rede Glo­bo non si fece scru­po­lo di affer­ma­re in un ser­vi­zio tele­vi­si­vo: «I rivol­to­si non val­go­no nean­che 20 cen­te­si­mi!».

“Se il prez­zo non scen­de­rà la cit­tà si fermerà”

Ma ben pre­sto, quan­do i cor­tei diven­ne­ro impo­nen­ti, occu­pan­do sta­bil­men­te le prin­ci­pa­li arte­rie del cen­tro di tan­te gran­di cit­tà, il tono del­le clas­si domi­nan­ti cam­biò. L’irrisione cedet­te il posto alla mano libe­ra lascia­ta alla poli­zia mili­ta­re per­ché repri­mes­se vio­len­te­men­te le pro­te­ste. Si distin­se in que­sto il quo­ti­dia­no Folha de S. Pau­lo, che in un duro edi­to­ria­le[16] inti­mò alle for­ze dell’ordine di slog­gia­re sen­za indu­gio i mani­fe­stan­ti. E allo­ra, la repres­sio­ne si sca­te­nò, fero­cis­si­ma, con­tro i cor­tei che inva­de­va­no le stra­de e le piaz­ze di cen­ti­na­ia di cit­tà bra­si­lia­ne, rag­giun­gen­do il suo acme il 13 giu­gno, quan­do per­fi­no mol­ti gior­na­li­sti ven­ne­ro arre­sta­ti o rima­se­ro gra­ve­men­te feriti.
Nei gior­ni seguen­ti, la rea­zio­ne dei mani­fe­stan­ti all’azione repres­si­va del­le for­ze dell’ordine si tra­sfor­mò nel­la cri­ti­ca gene­ra­liz­za­ta al model­lo di sicu­rez­za pub­bli­ca pre­va­len­te in Bra­si­le, basa­to su trup­pe mili­ta­riz­za­te di sor­ve­glian­za onni­pre­sen­ti nel­le stra­de e dedi­te a pra­ti­che quo­ti­dia­ne arbi­tra­rie e irri­spet­to­se per­si­no dei dirit­ti uma­ni; ma si trat­tò, in real­tà, di una rea­zio­ne rab­bio­sa, cie­ca, pri­va di uni­tà pro­gram­ma­ti­ca e orga­niz­za­ti­va che potes­se dar­le con­ti­nui­tà, sic­ché ine­vi­ta­bil­men­te rifluì.
Ma non fu solo que­sta la ragio­ne del riflus­so. Ce n’erano altre che andre­mo di qui a poco ad ana­liz­za­re. Pri­ma di far­lo, però, è neces­sa­rio esa­mi­na­re qual era la com­po­si­zio­ne di clas­se di quel­le manifestazioni.

La pro­le­ta­riz­za­zio­ne del­la clas­se media e la rea­zio­ne del­la borghesia
Come abbia­mo visto, i pri­mi due gover­ni Lula, con gli inve­sti­men­ti (ben­ché mini­mi) su wel­fa­re, sani­tà e istru­zio­ne, e con l’ampliamento dei bene­fi­ci dell’assistenza socia­le, ave­va­no deter­mi­na­to la ridu­zio­ne del­la mise­ria, un signi­fi­ca­ti­vo aumen­to del­la sco­la­riz­za­zio­ne e dell’istruzione supe­rio­re e l’accesso al mer­ca­to di set­to­ri socia­li che pri­ma ne era­no esclu­si; ma l’offerta di lavo­ro, anche duran­te l’ultimo ciclo espan­si­vo pri­ma del­la sta­gna­zio­ne eco­no­mi­ca, non aumen­tò il sala­rio medio, né ridus­se la rota­ti­vi­tà di mano­do­pe­ra, né inver­tì la ten­den­za all’emigrazione, né infi­ne ridus­se la cri­mi­na­li­tà. E così pure, abbia­mo visto che i sala­ri di occu­pa­zio­ni di livel­lo supe­rio­re ebbe­ro un rit­mo di len­ta cadu­ta, tan­to che la dif­fe­ren­za fra il sala­rio medio di impie­ghi che richie­do­no un bas­so tas­so di sco­la­ri­tà e quel­li di sco­la­ri­tà media e supe­rio­re dimi­nuì signi­fi­ca­ti­va­men­te negli anni. In altri ter­mi­ni, la dise­gua­glian­za sala­ria­le si ridus­se sì, ma ver­so il basso.
Que­sto pro­ces­so eco­no­mi­co pro­dus­se in que­gli anni, non già il sor­ge­re di una robu­sta “nuo­va clas­se media”, come alcu­ni stu­di inte­res­sa­ta­men­te soste­ne­va­no: al con­tra­rio, si veri­fi­cò un impor­tan­te feno­me­no di pro­le­ta­riz­za­zio­ne di ampi set­to­ri di clas­se media sala­ria­ta. E, prin­ci­pal­men­te, furo­no pro­prio que­sti set­to­ri pro­le­ta­riz­za­ti del­la socie­tà bra­si­lia­na (pre­va­len­te­men­te gio­va­ni­li e ad ele­va­to tas­so di sco­la­riz­za­zio­ne) a scen­de­re in piaz­za nel giu­gno del 2013 insce­nan­do le gigan­te­sche mani­fe­sta­zio­ni che attra­ver­sa­ro­no tut­to il Pae­se[17] e dan­do cor­po a un movi­men­to spon­ta­neo, di mas­sa, che non ave­va un pro­gram­ma defi­ni­to, né uni­tà orga­niz­za­ti­va, ma che andò espri­men­do l’insoddisfazione pro­fon­da di lar­ghe fasce socia­li: non ver­so il gover­no del Pt in par­ti­co­la­re, ma ver­so l’insieme dell’ordine sociale.
Insom­ma, c’era il peri­co­lo che que­sto dif­fu­so sen­ti­men­to si inca­na­las­se peri­co­lo­sa­men­te su un ver­san­te “di sini­stra”, met­ten­do a rischio la sta­bi­li­tà del regi­me stes­so ed espo­nen­do­lo a con­vul­sio­ni dall’esito impre­ve­di­bi­le. Que­sto peri­co­lo ven­ne luci­da­men­te per­ce­pi­to dal­le clas­si domi­nan­ti, che cer­ca­ro­no il modo, non solo di gover­na­re, diri­ge­re e final­men­te depo­ten­zia­re il pro­ces­so, ma anche di libe­rar­si dell’incomodo di un ese­cu­ti­vo che non era diret­ta­men­te “loro” e che comin­cia­va a mostrar­si non all’altezza di ammi­ni­stra­re nel loro esclu­si­vo inte­res­se la cri­si che ini­zia­va a far sen­ti­re i suoi effetti.
Fu per que­sto che la stra­te­gia del­la bor­ghe­sia cam­biò di regi­stro[18].
Sce­se­ro in cam­po i gran­di mez­zi di comu­ni­ca­zio­ne al ser­vi­zio del­le clas­si domi­nan­ti, che nel giro di poche ore muta­ro­no il segno dei loro ser­vi­zi gior­na­li­sti­ci per crea­re la base di un con­sen­so ideo­lo­gi­co di mas­sa uti­le a fre­na­re l’impatto del­le mobi­li­ta­zio­ni svuo­tan­do­le del signi­fi­ca­to anti­si­ste­ma che anda­va­no assu­men­do. Que­sto risul­ta­to fu otte­nu­to attra­ver­so una mar­tel­lan­te cam­pa­gna di stam­pa che, innan­zi­tut­to, divi­de­va i mani­fe­stan­ti in “van­da­li” e cit­ta­di­ni “paci­fi­ci”, descri­ven­do le mani­fe­sta­zio­ni insce­na­te da que­sti ulti­mi come “atti civi­ci” meri­te­vo­li di ascol­to, e anzi det­tan­do­ne addi­rit­tu­ra l’agenda che dove­va ave­re al cen­tro la paro­la d’ordine del­la “lot­ta alla cor­ru­zio­ne”. Il bom­bar­da­men­to media­ti­co in tal sen­so – “tut­ti i par­ti­ti sono cor­rot­ti”, “tut­ta la poli­ti­ca è cor­rot­ta” – pro­dus­se l’effetto di una “spo­li­ti­ciz­za­zio­ne” del­le pro­te­ste: entra­ro­no in sce­na set­to­ri di mas­sa, sia di clas­se media che di sot­to­pro­le­ta­ria­to, che mani­fe­sta­va­no can­tan­do l’inno nazio­na­le, inal­be­ra­va­no la ban­die­ra bra­si­lia­na e vie­ta­va­no l’esposizione del­le ban­die­re ros­se e, in gene­ra­le, dei sim­bo­li dei par­ti­ti di sini­stra, fisi­ca­men­te espul­si dai cor­tei da grup­pi di fasci­sti. Nuo­ve paro­le d’ordine risuo­na­va­no: «Abbas­so i poli­ti­ci!», «Abbas­so i par­ti­ti!», «Il mio par­ti­to è il Bra­si­le!».

Mani­fe­sta­zio­ni rea­zio­na­rie in favo­re dell’impeachment di DIl­ma e inneg­gian­ti all’esercito

Il vele­no del­la rea­zio­na­ria ideo­lo­gia anti­par­ti­to spar­so a pie­ne mani dai media fu essen­zia­le per disor­ga­niz­za­re poli­ti­ca­men­te le mani­fe­sta­zio­ni e non fu con­tra­sta­to dal­la clas­se ope­ra­ia: che pure par­te­ci­pa­va alle pro­te­ste, ma lo face­va nel­la con­di­zio­ne indi­vi­dua­le di insie­me di “cit­ta­di­ni” e non come clas­se por­ta­tri­ce di inte­res­si anti­te­ti­ci e con­trap­po­sti a quel­li del­le clas­si dominanti.
Per com­ple­ta­re il qua­dro, le isti­tu­zio­ni poli­ti­che deci­se­ro di “veni­re incon­tro” alle riven­di­ca­zio­ni ori­gi­na­rie del­le mobi­li­ta­zio­ni, con­ge­lan­do gli aumen­ti tariffari.
Fu gra­zie a que­sto com­ples­so di cir­co­stan­ze che le mani­fe­sta­zio­ni sce­ma­ro­no fino a riflui­re del tutto.
Il peri­co­lo era dun­que sta­to scon­giu­ra­to. La bor­ghe­sia ave­va otte­nu­to il risul­ta­to che si era pre­fis­so, ma con un esi­to favo­re­vo­le in più: il gover­no Dil­ma, che solo ver­so la metà del mese di mar­zo del 2013 gode­va di un altis­si­mo livel­lo di con­sen­so popo­la­re (il 63% degli inter­vi­sta­ti con­si­de­ra­va il suo ese­cu­ti­vo otti­mo o buo­no e il 79% appro­va­va l’operato per­so­na­le del­la pre­si­den­te), in giu­gno vide pre­ci­pi­ta­re quel con­sen­so al 30%. Due set­ti­ma­ne di pro­te­ste in tal modo ete­ro­di­ret­te furo­no suf­fi­cien­ti a distrug­ge­re la popo­la­ri­tà di innu­me­re­vo­li gover­ni muni­ci­pa­li e sta­ta­li a gui­da Pt, oltre a quel­la del gover­no fede­ra­le. Un signi­fi­ca­ti­vo arre­tra­men­to del­la coscien­za poli­ti­ca di un vasto set­to­re del­la clas­se lavo­ra­tri­ce nell’identificazione con l’azione poli­ti­ca del Pt si pro­dus­se quan­do le aspet­ta­ti­ve di una rile­van­te tra­sfor­ma­zio­ne socia­le che in que­sto par­ti­to era­no sta­te ripo­ste ven­ne­ro fru­stra­te dal­la per­ce­zio­ne del suo ade­gua­men­to al siste­ma di cor­rut­te­le insi­to nel siste­ma bra­si­lia­no: e ciò, come abbia­mo visto, ha rap­pre­sen­ta­to al con­tem­po la base per quell’ideologia anti­par­ti­to e anti­cor­ru­zio­ne costrui­ta dal­la mar­tel­lan­te pro­pa­gan­da media­ti­ca, su cui poi le clas­si domi­nan­ti han­no costrui­to il mar­chin­ge­gno giu­di­zia­rio che ha aper­to la stra­da all’impeachment e all’allontanamento dal gover­no di Dil­ma e all’arresto di Lula.

La desti­tu­zio­ne di Dilma
Cre­dia­mo, sul­la base di tut­to quan­to abbia­mo sino­ra det­to, che non sia pos­si­bi­le sospet­tar­ci di sim­pa­tie luli­ste. Se lo riba­dia­mo a que­sto pun­to del testo, è solo per­ché è da que­sto momen­to in poi che insor­go­no le diver­gen­ze nel­le ana­li­si che si fan­no nel­la sini­stra a pro­po­si­to del­le vicen­de bra­si­lia­ne dal 2014 ai gior­ni nostri. Vediamo.
Nel mar­zo del 2014, la magi­stra­tu­ra ini­ziò le inda­gi­ni che die­de­ro il via a un’operazione deno­mi­na­ta “Lava Jato” (Auto­la­vag­gio), che avreb­be scos­so dal­le fon­da­men­ta l’universo poli­ti­co bra­si­lia­no disve­lan­do una gigan­te­sca rete di cor­ru­zio­ne che coin­vol­ge­va l’impresa sta­ta­le del petro­lio, Petro­bras, e gran­di impre­se di costru­zio­ne, come la Ode­bre­cht. Dall’inchiesta è emer­so un giro di tan­gen­ti del valo­re com­ples­si­vo sti­ma­to in oltre 10 miliar­di di real (cir­ca 2,5 miliar­di di euro).
Ben­ché non sia mai risul­ta­to alcun coin­vol­gi­men­to per­so­na­le di Dil­ma Rous­seff, è indub­bio che le inda­gi­ni sia­no sta­te foca­liz­za­te prin­ci­pal­men­te sul suo par­ti­to, il Pt, a dispet­to del fat­to che le risul­tan­ze istrut­to­rie faces­se­ro emer­ge­re respon­sa­bi­li­tà di poli­ti­ci e par­ti­ti sia del­la mag­gio­ran­za che dell’opposizione. È appar­so chia­ro, in mol­te fasi dell’inchiesta, il ten­ta­ti­vo for­za­to di coin­vol­ge­re, oltre a Lula, anche Dil­ma, oppu­re di uti­liz­za­re gli ele­men­ti di pro­va rac­col­ti per spin­ge­re in dire­zio­ne dell’impeachment del­la pre­si­den­te[19].
D’altronde, quel­lo di libe­rar­si di Dil­ma Rous­seff, era l’obiettivo sco­per­to del Psdb[20], il par­ti­to che con­tro di lei ave­va, alle ele­zio­ni del 2014, can­di­da­to Aécio Neves, risul­ta­to poi scon­fit­to per un esi­guo mar­gi­ne. Ma subi­to dopo l’esito elet­to­ra­le, il Psdb non rico­nob­be il risul­ta­to e chie­se il ricon­teg­gio dei voti. Respin­ta que­sta richie­sta da par­te del Tri­bu­nal Supe­rior Elei­to­ral (l’organo di giu­sti­zia che si occu­pa di pro­ces­si elet­to­ra­li), lo scon­fit­to con­vo­cò mani­fe­sta­zio­ni di piaz­za per pro­te­sta­re con­tro il rico­no­sci­men­to dell’incarico a Dilma.
Le mobi­li­ta­zio­ni furo­no di mas­sa ed espres­sio­ne del­la cre­sci­ta di una destra viru­len­te­men­te rea­zio­na­ria, anti­co­mu­ni­sta, anti­de­mo­cra­ti­ca e anti­po­po­la­re[21]: una cre­sci­ta frut­to di quell’ideologia anti­po­li­ti­ca che, come abbia­mo visto, era sta­ta instil­la­ta dal­la mar­tel­lan­te cam­pa­gna stam­pa dei gran­di mez­zi di comu­ni­ca­zio­ne bor­ghe­si duran­te le gior­na­te del giu­gno 2013 e ormai diven­ta­ta sen­so comu­ne in lar­ghi set­to­ri del­la socie­tà, da un lato; dall’altro, pro­dot­to del­le incon­gruen­ze e con­trad­di­zio­ni del gover­no Dil­ma, che, con­ti­nuan­do e appro­fon­den­do la poli­ti­ca di accor­di e con­ces­sio­ni a poli­ti­ci con­ser­va­to­ri e alla gran­de bor­ghe­sia, pro­muo­ven­do mag­gio­ri tagli ai bilan­ci dei ser­vi­zi pub­bli­ci, garan­ten­do i pro­fit­ti del capi­ta­le finan­zia­rio e repri­men­do le pro­te­ste dei movi­men­ti, soprat­tut­to in occa­sio­ne dei Mon­dia­li di cal­cio e dei Gio­chi olim­pi­ci, asse­stò un ulte­rio­re col­po a quel­la coscien­za di “esse­re di sini­stra” che costi­tui­va la base di mas­sa del Pt.
Fu così che, quan­do lun­go il 2015, le stra­de si riem­pi­ro­no di orde rea­zio­na­rie che recla­ma­va­no l’allontanamento di Dil­ma dal gover­no, non ci fu nes­su­na rispo­sta popo­la­re, soprat­tut­to per il diso­rien­ta­men­to indot­to dal­le buro­cra­zie poli­ti­che e sin­da­ca­li lega­te a lei e al suo par­ti­to, che non vol­le­ro affat­to con­vo­ca­re mani­fe­sta­zio­ni di segno con­tra­rio nel­la pro­spet­ti­va del nego­zia­to per­ma­nen­te con l’opposizione. Un’opposizione che, inve­ce, non ave­va alcu­na voglia di nego­zia­re poi­ché sen­ti­va sem­pre più for­te l’odore del potere.
Que­sto fu il cli­ma socia­le che si era deter­mi­na­to quan­do il Tri­bu­nal de Con­tas da União – l’equivalente del­la nostra Cor­te dei Con­ti – fece dei rilie­vi, tut­to som­ma­to venia­li, alle moda­li­tà con cui l’esecutivo ave­va pre­di­spo­sto il bilan­cio del­lo Sta­to fede­ra­le. Ma ciò bastò per­ché si spa­lan­cas­se­ro le por­te di un pro­ce­di­men­to di impea­ch­ment rapi­da­men­te intro­dot­to e auto­riz­za­to anche da una par­te del­la coa­li­zio­ne che soste­ne­va il gover­no Dilma.

Depu­ta­ti del­l’op­po­si­zio­ne festeg­gia­no l’impeachment con car­tel­li che irri­do­no Dil­ma: “Ciao cara!”

L’inatteso assi­st for­ni­to dal Tri­bu­nal de Con­tas – per quan­to zop­pi­can­te, discu­ti­bi­le e ambi­guo – ser­vì ad agglu­ti­na­re le for­ze neces­sa­rie per por­ta­re avan­ti il pro­ces­so che sareb­be cul­mi­na­to poi nel­la depo­si­zio­ne del­la pre­si­den­te e la sua sosti­tu­zio­ne con l’ex allea­to, il vice­pre­si­den­te Michel Temer.

Fu un golpe?
In seno alla sini­stra bra­si­lia­na si aprì subi­to un dibat­ti­to, se cioè quel­lo che ave­va por­ta­to alla defe­ne­stra­zio­ne di Dil­ma Rous­seff fos­se o meno un gol­pe. Una par­te – per vero estre­ma­men­te mino­ri­ta­ria – ha soste­nu­to (e anco­ra sostie­ne) che non si trat­tò di gol­pe, ma di uno scon­tro tut­to inter­bor­ghe­se, anche per­ché non c’era sta­to alcun inter­ven­to mili­ta­re (cir­co­stan­za che, sola, legit­ti­me­reb­be, secon­do que­sto set­to­re, l’utilizzo di tale cate­go­ria), e poi per­ché si era trat­ta­to di un mec­ca­ni­smo pre­vi­sto dall’ordinamento giu­ri­di­co bra­si­lia­no, per il qua­le era­no sta­ti rispet­ta­ti tut­ti i pas­sag­gi det­ta­ti dal­la legge.
Ci sof­fer­me­re­mo più avan­ti sul­le posi­zio­ni spe­ci­fi­che di que­sta par­te del­la sini­stra, ana­liz­zan­do­le appro­fon­di­ta­men­te. Per il momen­to, inten­dia­mo esa­mi­na­re inve­ce la più gene­ra­le cate­go­ria di gol­pe, par­ten­do in par­ti­co­la­re dal secon­do argo­men­to uti­liz­za­to da colo­ro che ne nega­no l’occorrenza nel caso di Dilma.
Si sostie­ne che sia sta­ta osser­va­ta scru­po­lo­sa­men­te tut­ta la ritua­li­tà ordi­na­men­ta­le: fu pre­sen­ta­ta una denun­cia al pre­si­den­te del­la Came­ra dei Depu­ta­ti, essa ven­ne calen­da­riz­za­ta, si for­mò una com­mis­sio­ne che deci­se di dare segui­to al pro­ces­so, la Came­ra in sedu­ta ple­na­ria la appro­vò e la rin­viò al Sena­to, e così via; in ogni pas­sag­gio, ci fu spa­zio per i rap­pre­sen­tan­ti dell’accusa e del­la dife­sa; il Supre­mo Tri­bu­na­le Fede­ra­le, custo­de del­la Costi­tu­zio­ne, vigi­lò su tut­to il pro­ce­di­men­to. Dove sareb­be il golpe?
Il fat­to è che, ragio­nan­do in que­sti ter­mi­ni, si bada solo all’aspetto for­ma­le del­la que­stio­ne, e cioè si cade nel for­ma­li­smo. Pren­dia­mo, ad esem­pio, il caso di Cesa­re Bat­ti­sti, l’ex ter­ro­ri­sta con­dan­na­to con sen­ten­za defi­ni­ti­va per quat­tro omi­ci­di e oggi con­si­de­ra­to lati­tan­te pro­prio in Bra­si­le. Chi lo accu­sa si sof­fer­ma sull’osservanza scru­po­lo­sa dei tre gra­di di giu­di­zio. Eppu­re, c’è – e noi tra quel­li – chi lo con­si­de­ra con­dan­na­to sen­za alcu­na pro­va. Dun­que, sul­la base di una visio­ne for­ma­li­sti­ca del caso Bat­ti­sti, non c’è discus­sio­ne: le sen­ten­ze sono pas­sa­te in giu­di­ca­to e il con­dan­na­to dovrà scon­ta­re la sua pena. Noi rite­nia­mo, inve­ce, che man­chi­no del tut­to le pro­ve del­la sua col­pe­vo­lez­za, per­ché quel­le por­ta­te in tri­bu­na­le non pos­so­no esse­re con­si­de­ra­te tali, né gli indi­zi pos­so­no esse­re rite­nu­ti gra­vi, pre­ci­si e concordanti.
Tor­nia­mo al caso di Dil­ma. Innan­zi­tut­to, va con­si­de­ra­to che l’accusa di mani­po­la­zio­ne del bilan­cio del­lo Sta­to riguar­da un epi­so­dio che si rife­ri­sce al suo pri­mo man­da­to. Eppu­re, tut­to il pro­ce­di­men­to è ini­zia­to duran­te il suc­ces­si­vo. Trat­tan­do­si di un pro­ce­di­men­to poli­ti­co, e non giu­di­zia­rio (ben­ché abbia veste for­ma­le giu­ri­di­ca e deb­ba ave­re ad ogget­to rea­ti con­tro lo Sta­to), sem­bra evi­den­te la for­za­tu­ra, qua­si vi fos­se una sor­ta di ultrat­ti­vi­tà del man­da­to.
Ma c’è un altro pro­ble­ma, e riguar­da ciò di cui Dil­ma Rous­seff è sta­ta accu­sa­ta, che i giu­ri­sti più accre­di­ta­ti non riten­go­no con­fi­gu­ra­re una con­dot­ta con­no­ta­ta dall’antigiuridicità neces­sa­ria per avvia­re un pro­ce­di­men­to di impea­ch­ment (cri­me de respon­sa­bi­li­da­de)[22]. In real­tà, se la Came­ra ha intro­dot­to l’azione con­tro la pre­si­den­te, è per­ché la mag­gio­ran­za che la soste­ne­va si è sfal­da­ta: un pez­zo, quel­lo di cui era espres­sio­ne il vice­pre­si­den­te Temer, ha “cam­bia­to casac­ca”, alli­nean­do­si con l’opposizione che non ave­va mai rico­no­sciu­to la vit­to­ria di stret­ta misu­ra di Dilma.
Quan­to, inve­ce, al pri­mo argo­men­to – e cioè l’essere man­ca­to qual­sia­si tipo di inter­ven­to mili­ta­re nel­la vicen­da per lo spos­ses­sa­men­to del­la pre­si­den­te – va bre­ve­men­te osser­va­to che, come ha acu­ta­men­te dimo­stra­to Alva­ro Bian­chi[23], ben­ché il gol­pe mili­ta­re sia sta­ta la for­ma “tipi­ca” cui abbia­mo assi­sti­to duran­te il XX seco­lo, per la com­pren­sio­ne del­la real­tà odier­na devo­no vice­ver­sa risul­ta­re chiari:

«[…] il pro­ta­go­ni­sta di ciò che vie­ne defi­ni­to “coup d’état”, i mez­zi che carat­te­riz­za­no l’azione e i fini per­se­gui­ti. Il sog­get­to del col­po di sta­to moder­no è […] una fra­zio­ne del­la buro­cra­zia sta­ta­le. Il col­po di sta­to non è un gol­pe nel­lo Sta­to o con­tro lo Sta­to. Il suo pro­ta­go­ni­sta si tro­va all’interno del­lo stes­so Sta­to, poten­do esse­re, per­fi­no, lo stes­so gover­nan­te[24]. I mez­zi sono ecce­zio­na­li, cioè, non sono carat­te­ri­sti­ci del fun­zio­na­men­to rego­la­re del­le isti­tu­zio­ni poli­ti­che. Tali mez­zi si carat­te­riz­za­no per l’eccezionalità dei pro­ce­di­men­ti e del­le risor­se mes­se in atto. Il fine è il muta­men­to isti­tu­zio­na­le, una alte­ra­zio­ne radi­ca­le nel­la distri­bu­zio­ne di pote­re fra le isti­tu­zio­ni poli­ti­che, con la sosti­tu­zio­ne o meno dei gover­nan­ti. Sin­te­ti­ca­men­te, col­po di sta­to è un cam­bia­men­to isti­tu­zio­na­le pro­mos­so sot­to la dire­zio­ne di una fra­zio­ne dell’apparato del­lo Sta­to che uti­liz­za a tale sco­po misu­re e risor­se ecce­zio­na­li che non appar­ten­go­no alle rego­le usua­li del gio­co politico».

Pro­prio per­ché deve risul­ta­re chia­ro qual è “il pro­ta­go­ni­sta di ciò che vie­ne defi­ni­to ‘coup d’état’”, si può dare o meno la pos­si­bi­li­tà che esso sia oppu­re no rap­pre­sen­ta­to dal­le for­ze arma­te, dal momen­to che l’uso del­la for­za, in par­ti­co­la­re quel­la mili­ta­re, non è una com­po­nen­te neces­sa­ria per la defi­ni­zio­ne di col­po di sta­to: la vio­la­zio­ne del­le “rego­le usua­li del gio­co poli­ti­co” può esse­re posta in esse­re per altre stra­de. Ecco per­ché, secon­do mol­ti poli­to­lo­gi, per­ché ci sia un gol­pe non sono neces­sa­ri l’appoggio e l’azione posi­ti­va del­le for­ze arma­te, che pos­so­no inve­ce mostra­re neu­tra­li­tà o addi­rit­tu­ra pas­si­vi­tà. In altri ter­mi­ni, quel­lo mili­ta­re è solo una moda­li­tà di gol­pe, che si veri­fi­ca quan­do si mani­fe­sta con l’uso del­le armi e del­la for­za; men­tre pos­so­no dar­si ipo­te­si di gol­pe giu­di­zia­rio, quan­do ven­go­no usa­ti pre­cet­ti e cavil­li lega­li per rove­scia­re un gover­no; o di gol­pe par­la­men­ta­re, quan­do è una coa­li­zio­ne par­la­men­ta­re a rag­giun­ge­re quest’obiettivo[25].
D’altronde, in tem­pi recen­ti abbia­mo avu­to alme­no due casi di gol­pe par­la­men­ta­re o parlamentare‑giudiziario: quel­lo in Para­guay con­tro Lugo nel 2012 e quel­lo in Hon­du­ras con­tro Zela­ya nel 2009. Ma su entram­bi que­sti epi­so­di, come su altri, ci sof­fer­me­re­mo più oltre nel testo.
Nel caso del­la depo­si­zio­ne di Dil­ma Rous­seff, si può allo­ra con­clu­de­re con cer­tez­za che vi fu un uso oppor­tu­ni­sti­co del pro­ce­di­men­to pre­vi­sto dall’ordinamento allo sco­po di rea­liz­za­re l’obiettivo ipo­tiz­za­to sin dall’esito elet­to­ra­le che ave­va visto la ricon­fer­ma di Dil­ma: e cioè, la sua esau­to­ra­zio­ne. Per far­lo, ven­ne mes­so in cam­po un insie­me di ele­men­ti che pun­ta­va­no tut­ti allo stes­so fine: pro­ce­di­men­ti lega­li per il ricon­teg­gio dei voti, l’uso del­la piaz­za, i gran­di mez­zi di comu­ni­ca­zio­ne, e infi­ne, quan­do emer­se la giu­sti­fi­ca­zio­ne “accet­ta­bi­le” ino­pi­na­ta­men­te offer­ta dal­la giu­ri­spru­den­za con­ta­bi­le, il pro­ce­di­men­to di impea­ch­ment pre­vio il cam­bio di casac­ca di una par­te del­la coa­li­zio­ne di mag­gio­ran­za[26].

Mani­fe­sta­zio­ne del­la destra in favo­re dell’impeachment

In que­sto sen­so, sì, quel­lo con­tro Dil­ma Rous­seff fu un golpe.

Le ragio­ni del golpe
Per­ché que­sta pun­ti­glio­si­tà argo­men­ta­ti­va per defi­ni­re “gol­pe” la mano­vra che por­tò alla defe­ne­stra­zio­ne del­la pre­si­den­te? Non si cor­re il rischio così – come accu­sa­no alcu­ne orga­niz­za­zio­ni del­la sini­stra bra­si­lia­na – di por­si nel cam­po poli­ti­co del Pt e del suo (ormai ex) gover­no? O peg­gio – secon­do un’accusa ancor più pesan­te – di esse­re il “vago­ne di coda” del lulismo?
Come abbia­mo già in pre­ce­den­za soste­nu­to, cre­dia­mo di ave­re squa­der­na­to fin qui parec­chie ragio­ni per non esse­re sospet­ta­ti di sim­pa­tie luli­ste. Se appro­fon­dia­mo l’analisi del­la mano­vra giudiziario‑parlamentare che ha por­ta­to all’impeachment di Dil­ma Rous­seff e la defi­nia­mo come un “gol­pe”, non è cer­to per­ché sia­mo “tifo­si” del Pt e dei suoi gover­ni, ma è per com­pren­de­re le pro­fon­de ragio­ni che han­no por­ta­to la gran­de bor­ghe­sia impren­di­to­ria­le e finan­zia­ria a far­la fini­ta con que­gli ese­cu­ti­vi che le han­no fat­to gua­da­gna­re tan­ti sol­di quan­ti mai in pre­ce­den­za nel­la sto­ria del Bra­si­le[27]. Per­ché mai la gran­de impre­sa avreb­be dovu­to libe­rar­si di gover­ni che le sono sta­ti così utili?
Eppu­re, le ragio­ni c’erano. Ne sono sta­te indi­vi­dua­te alme­no quat­tro che giu­sti­fi­ca­va­no ampia­men­te la rot­tu­ra degli indu­stria­li con il luli­smo[28]:

  1. per­ché essi rite­ne­va­no chiu­so il ciclo di svi­lup­po eco­no­mi­co basa­to sull’espansione del cre­di­to e del con­su­mo gesti­to dai gover­ni Lula e Dilma;
  2. per­ché non cre­de­va­no più che il gover­no Dil­ma fos­se capa­ce di rista­bi­li­re una dina­mi­ca di cre­sci­ta eco­no­mi­ca attra­ver­so una mano­vra cor­ret­ti­va dei con­ti e la rifor­ma del mer­ca­to del lavo­ro, rite­nu­te indispensabili;
  3. per­ché rite­ne­va­no che la cri­si poli­ti­ca costi­tuis­se un osta­co­lo alla ripre­sa eco­no­mi­ca, dato che crea­va una situa­zio­ne di cat­ti­va ammi­ni­stra­zio­ne, dimi­nuen­do la pos­si­bi­li­tà di mano­vra del­la squa­dra di gover­no dell’economia[29];
  4. per­ché non era­no dispo­sti ad atten­de­re le suc­ces­si­ve ele­zio­ni per una vit­to­ria dell’opposizione, volen­do giun­ge­re inve­ce a una solu­zio­ne imme­dia­ta del­la cri­si, che non pote­va non pas­sa­re attra­ver­so la dire­zio­ne del Pmdb[30] e di Michel Temer.

Per con­tro, soste­ne­re che si sia trat­ta­to di una con­te­sa inter­bor­ghe­se, che alla fin fine sosti­tui­re Dil­ma con Temer abbia avu­to il solo signi­fi­ca­to di instal­la­re un gover­no bor­ghe­se al posto di un altro, non è “sem­pli­ce”. È sem­pli­ci­sti­co! E non fa inten­de­re la natu­ra, la pro­fon­di­tà e la por­ta­ta del­le tra­sfor­ma­zio­ni che si sono veri­fi­ca­te in Bra­si­le. Ciò a cui abbia­mo assi­sti­to non è sta­to un mero muta­men­to del­la per­so­na che occu­pa­va il Palá­cio do Pla­nal­to, ma un cam­bio signi­fi­ca­ti­vo – e, nel­le inten­zio­ni di chi lo ha volu­to, defi­ni­ti­vo – intro­dot­to uni­la­te­ral­men­te da una fra­zio­ne dell’apparato del­lo Sta­to bor­ghe­se, che ha uti­liz­za­to a pro­prio van­tag­gio un mec­ca­ni­smo for­mal­men­te lega­le per pote­re poi impor­re alle mas­se popo­la­ri le con­tro­ri­for­me neces­sa­rie affin­ché la bor­ghe­sia potes­se inver­ti­re la ten­den­za alla cadu­ta del sag­gio di pro­fit­to e ripri­sti­na­re un ciclo eco­no­mi­co ascen­den­te che l’aveva fino a un cer­to pun­to beneficiata.
Ecco a cosa ser­vi­va il golpe.
E tut­ta­via, il solo fat­to di ave­re instal­la­to un gover­no “puro­san­gue”, diret­ta espres­sio­ne del­le clas­si domi­nan­ti e tale da rispon­de­re diret­ta­men­te ad esse, sen­za media­zio­ni, non è sta­to rite­nu­to suf­fi­cien­te. Per por­ta­re a ter­mi­ne il dise­gno e ren­der­lo dav­ve­ro “defi­ni­ti­vo” era neces­sa­rio met­te­re a pun­to un ulte­rio­re tas­sel­lo, e non il meno impor­tan­te: eli­mi­na­re dal qua­dro poli­ti­co Lula, che anco­ra gode­va di un rile­van­te appog­gio popo­la­re, tan­to da risul­ta­re pri­mo nei son­dag­gi per le pros­si­me pre­si­den­zia­li, men­tre nes­sun espo­nen­te del­la par­te a lui avver­sa appa­ri­va in gra­do di assi­cu­ra­re le vit­to­ria alla nuo­va coa­li­zio­ne. È evi­den­te che il dise­gno rea­zio­na­rio era incom­pa­ti­bi­le con un Lula rie­let­to: per quan­to, infat­ti, egli abbia gover­na­to, come abbia­mo visto – diret­ta­men­te o per il tra­mi­te di Dil­ma Rous­seff – prin­ci­pal­men­te nell’interesse del­la bor­ghe­sia bra­si­lia­na facen­do­le rea­liz­za­re pro­fit­ti favo­lo­si, il lea­der del Pt non pote­va esse­re con­si­de­ra­to pie­na­men­te affi­da­bi­le in una con­giun­tu­ra eco­no­mi­ca in cui le risor­se non pos­so­no esse­re dirot­ta­te nean­che in mini­ma par­te su poli­ti­che com­pen­sa­to­rie come quel­le che il luli­smo ha attua­to. Anzi. La cri­si richie­de che, con mano ener­gi­ca, quan­to è sta­to con­ces­so ai lavo­ra­to­ri e alle fasce più pove­re ed emar­gi­na­te del­la socie­tà bra­si­lia­na deb­ba esse­re ripre­so con gli inte­res­si, a tut­to van­tag­gio dei capi­ta­li­sti. L’uso del mec­ca­ni­smo giu­di­zia­rio è per­ciò sem­bra­to il più appro­pria­to per toglie­re di mez­zo Lula.

Un momen­to dell’interrogatorio di Lula davan­ti al giu­di­ce Ser­gio Moro

Al ter­mi­ne di un pro­ces­so basa­to sostan­zial­men­te su illa­zio­ni (a det­ta del­lo stes­so magi­stra­to che ha con­dot­to le inda­gi­ni), è sta­to dispo­sto l’arresto dell’ex pre­si­den­te, poi ese­gui­to su ordi­ne del giu­di­ce Ser­gio Moro dopo che il Supre­mo Tri­bu­nal Fede­ral (Stf) ave­va nega­to l’habeas cor­pus a Lula.

L’ondata rea­zio­na­ria e il tas­sel­lo che mancava
Che cosa ha signi­fi­ca­to l’arresto di Lula?
Ci sem­bra chia­ro, sul­la scor­ta del­la rico­stru­zio­ne fin qui fat­ta, che il ciclo cul­mi­na­to con le gior­na­te del giu­gno 2013 si sia defi­ni­ti­va­men­te chiu­so; men­tre, a par­ti­re dal 2015, è ini­zia­ta un’offensiva rea­zio­na­ria mol­to for­te che dura tut­to­ra: un’ondata con­ser­va­tri­ce in cui si è affer­ma­ta una cor­ren­te neo­fa­sci­sta con influen­za di mas­sa su talu­ni set­to­ri di clas­se media, rap­pre­sen­ta­ta nel­le più alte isti­tu­zio­ni dal depu­ta­to Jair Bol­so­na­ro, ex mili­ta­re, espo­nen­te del rea­zio­na­ri­smo reli­gio­so nazio­na­li­sta, omo­fo­bo e ses­si­sta, dal­le dichia­ra­te sim­pa­tie per il perio­do del­la dit­ta­tu­ra mili­ta­re, soste­ni­to­re del­la tor­tu­ra, ammi­ra­to­re di Pino­chet e di Fuji­mo­ri, inter­pre­te dei desi­de­ra­ta dei gran­di lati­fon­di­sti e dei signo­ri dell’agrobusiness[31], can­di­da­to alle pros­si­me ele­zio­ni con buo­ne pos­si­bi­li­tà, secon­do i son­dag­gi, di arri­va­re al bal­lot­tag­gio. Ma si trat­ta anche di una cor­ren­te che ha soli­de basi nel­la mac­chi­na sta­ta­le, con un’evidente arti­co­la­zio­ne nell’apparato mili­ta­re e rami­fi­ca­zio­ni nel­le mili­zie para­mi­li­ta­ri clan­de­sti­ne che non han­no mai smes­so di ope­ra­re in Brasile.
L’esercito, in par­ti­co­la­re, sta viven­do una sta­gio­ne di inten­so pro­ta­go­ni­smo poli­ti­co. Nel set­tem­bre del 2017, il gene­ra­le Anto­nio Hamil­ton Mou­rão dichia­rò che, se la magi­stra­tu­ra non aves­se fat­to piaz­za puli­ta dei cor­rot­ti pri­ma del­le pros­si­me ele­zio­ni (tra­spa­ren­te, qui, il rife­ri­men­to a Lula), l’esercito non si sareb­be fat­to scru­po­lo di rea­liz­za­re un inter­ven­to mili­ta­re[32]. Tre mesi dopo riba­dì il con­cet­to[33].
Alla vigi­lia dell’udienza dinan­zi al Supre­mo Tri­bu­nal Fede­ral che dove­va deci­de­re sul­la richie­sta di habeas cor­pus di Lula, il gene­ra­le Eduar­do Vil­las Bôas, coman­dan­te in capo dell’esercito, rila­sciò dichia­ra­zio­ni che chia­ra­men­te inten­de­va­no fare inde­bi­te pres­sio­ni sui giu­di­ci[34]: «Assi­cu­ro la nazio­ne che l’esercito bra­si­lia­no con­di­vi­de le ansie di tut­ti i cit­ta­di­ni dab­be­ne di ripu­dio dell’impunità e di rispet­to del­la Costi­tu­zio­ne, del­la pace socia­le e del­la demo­cra­zia, così come rima­ne atten­to alla pro­pria mis­sio­ne isti­tu­zio­na­le»[35].
Anco­ra più espli­ci­to è sta­to il gene­ra­le del­la riser­va, Luiz Gon­za­ga Schroe­der Les­sa, che, sem­pre per l’eventualità che Lula fos­se sta­to sal­va­to da Stf, dichia­rò[36]: «Se doves­se­ro esser­ci simi­li mac­chi­na­zio­ni e un tale cam­bia­men­to del­la leg­ge, non dubi­to che resta solo il ricor­so alla rea­zio­ne arma­ta. In tal caso, sareb­be dove­re del­le For­ze arma­te restau­ra­re l’ordine. Anche se non cre­do che arri­ve­re­mo a tan­to».
Quan­do il gover­no Temer deci­se l’intervento dell’esercito a Rio de Janei­ro con la scu­sa di far ces­sa­re gli epi­so­di di vio­len­za che si stan­no veri­fi­can­do nel­la capi­ta­le e nel­lo Sta­to[37], il gene­ra­le Wal­ter Bra­ga Net­to ipo­tiz­zò, sen­za trop­pi giri di paro­le, che la misu­ra si sareb­be potu­ta esten­de­re all’intero Pae­se[38]: «Rio de Janei­ro è ora un labo­ra­to­rio per il Bra­si­le. Se ciò che fare­mo qui sarà allar­ga­to al resto del Pae­se non spet­ta a me dir­lo». In altri ter­mi­ni, ipo­tiz­zan­do la pos­si­bi­li­tà dell’instaurazione di uno sta­to d’eccezione a livel­lo nazionale.
L’assassinio poli­ti­co di Mariel­le Fran­co e del suo auti­sta[39] ad ope­ra di ban­de para­mi­li­ta­ri dopo quel­li, da lei denun­cia­ti, dei gio­va­ni del­le fave­las, l’assalto a col­pi d’arma da fuo­co con­tro i due auto­bus su cui viag­gia­va l’entourage di Lula[40] e un altro con­tro l’accampamento dei suoi soste­ni­to­ri riu­ni­ti per recla­mar­ne il rila­scio[41], ci con­fer­ma­no l’esistenza di un con­te­sto favo­re­vo­le a quel­la cor­ren­te neo­fa­sci­sta, di cui dice­va­mo all’inizio di que­sto para­gra­fo, che, pur aven­do influen­za di mas­sa su talu­ni set­to­ri di clas­se media[42], è per il momen­to anco­ra mino­ri­ta­ria, ma si nutre del cli­ma rea­zio­na­rio che si respi­ra nel Paese.
Tut­to ciò signi­fi­ca che c’è il con­cre­to peri­co­lo di un gol­pe mili­ta­re o fasci­sta in Bra­si­le? Asso­lu­ta­men­te no. Nell’attuale fase sto­ri­ca, le clas­si domi­nan­ti, nel­la loro stra­gran­de mag­gio­ran­za, sosten­go­no la via isti­tu­zio­na­le per pote­re appli­ca­re in tut­ta tran­quil­li­tà le con­tro­ri­for­me neces­sa­rie. D’altronde, per­ché pos­sa pro­fi­lar­si un sif­fat­to peri­co­lo occor­re­reb­be che ci fos­se la con­trap­po­sta minac­cia di una rivo­lu­zio­ne socia­li­sta, ma è del tut­to evi­den­te che non c’è, ad oggi, un ampio e radi­ca­liz­za­to movi­men­to del­la clas­se lavo­ra­tri­ce in gra­do di met­te­re a rischio la domi­na­zio­ne del­la bor­ghe­sia e l’ordine capi­ta­li­sta. E infi­ne, il movi­men­to rea­zio­na­rio sta­bi­liz­za­to­si a par­ti­re dal 2015 non rap­pre­sen­ta anco­ra un movi­men­to fasci­sta di massa.
In que­sto qua­dro – al momen­to, non con­so­li­da­to – l’arresto di Lula ha rap­pre­sen­ta­to il tas­sel­lo fina­le, l’elemento che man­ca­va per chiu­de­re il ciclo del gol­pe par­la­men­ta­re che, attra­ver­so l’impeachment, ha desti­tui­to dall’incarico Dil­ma Rous­seff. Ha avu­to il signi­fi­ca­to di un “impea­ch­ment pre­ven­ti­vo”, come è sta­to feli­ce­men­te defi­ni­to dal poli­to­lo­go bra­si­lia­no Rena­to Lessa.
La bor­ghe­sia ha mes­so la paro­la fine all’esperimento dei gover­ni di con­ci­lia­zio­ne di clas­se per inse­dia­re al loro posto un gover­no “puro­san­gue”. Ma solo que­sto non le basta­va: dove­va per sem­pre can­cel­la­re dall’immaginario col­let­ti­vo un “sim­bo­lo” che, pur aven­do fat­to gli inte­res­si del­le clas­si domi­nan­ti, ave­va com­mes­so il “pec­ca­to ori­gi­na­le” di voler entra­re nel salot­to buo­no del­la socie­tà bra­si­lia­na con le mani spor­che del tor­ni­to­re mec­ca­ni­co che egli era sta­to decen­ni prima.

Inter­ven­to di Lula davan­ti ai metal­mec­ca­ni­ci dell’ABC pau­li­sta (São Ber­nar­do do Cam­po, 1979)

E poco impor­ta­va che quel­le mani spor­che fos­se­ro solo un pal­li­do ricor­do, un sim­bo­lo sbia­di­to del­le lot­te ope­ra­ie dell’ABC pau­li­sta[43], ma che Lula ave­va ripu­li­te pro­prio per entra­re nel Palá­cio do Pla­nal­to: alla fin fine, egli era pur sem­pre un intru­so al qua­le solo per neces­si­tà la bor­ghe­sia ave­va con­se­gna­to le chia­vi del Pae­se[44]. E dove­va fare la fine che meri­ta­no gli intru­si: sbat­tu­to den­tro, umi­lia­to per sod­di­sfa­re le pul­sio­ni più rea­zio­na­rie che attra­ver­sa­no la socie­tà bra­si­lia­na. E per­ché non gli venis­se in men­te, for­te del con­sen­so popo­la­re che comun­que i son­dag­gi gli attri­bui­va­no, di pro­va­re di nuo­vo ad entra­re nel salot­to buo­no. Ora quel salot­to ha biso­gno di una bel­la ripu­li­ta, e così pure la socie­tà: le clas­si popo­la­ri tor­ni­no a sta­re al posto loro! Nean­che le bri­cio­le che Lula ha distri­bui­to dovran­no più avere!

Una posi­zio­ne mino­ri­ta­ria di una sini­stra contraddittoria
Con­tro il gol­pe e l’arresto di Lula, e per il suo dirit­to a can­di­dar­si, è sce­sa in piaz­za la gran par­te del­la sini­stra bra­si­lia­na, ad ecce­zio­ne di un set­to­re estre­ma­men­te mino­ri­ta­rio – com­po­sto prin­ci­pal­men­te dal Pstu e dal­la sua orga­niz­za­zio­ne inter­na­zio­na­le, la Lit – che ha carat­te­riz­za­to diver­sa­men­te la situa­zio­ne che abbia­mo sin qui descrit­to: soste­nen­do innan­zi­tut­to che non c’era sta­to nes­sun gol­pe e quin­di, con l’assunzione del­la paro­la d’ordine del­la lot­ta alla cor­ru­zio­ne, rifiu­tan­do­si di mani­fe­sta­re, sia con­tro il gol­pe che poi con­tro la deten­zio­ne dell’ex pre­si­den­te[45].
Abbia­mo già illu­stra­to a suf­fi­cien­za gli argo­men­ti che smen­ti­sco­no la tesi con­tra­ria alla sus­si­sten­za del gol­pe (man­ca­to inter­ven­to mili­ta­re; uti­liz­zo e pie­na osser­van­za di mec­ca­ni­smi costi­tu­zio­na­li per l’impeachment), sic­ché non vi ritor­ne­re­mo. Ci pre­me, inve­ce, sof­fer­mar­ci in que­sta sede sul­le ana­li­si che que­sta par­te del­la sini­stra fece in altre occa­sio­ni, per evi­den­zia­re le enor­mi con­trad­di­zio­ni rispet­to alla posi­zio­ne assun­ta oggi e alle sue conseguenze.
Come abbia­mo già scrit­to altro­ve[46], nel­la sma­nia di non appa­ri­re come un difen­so­re del gover­no bor­ghe­se del PT a gui­da Rous­seff, il Pstu ha strom­baz­za­to ai quat­tro ven­ti che la sua sosti­tu­zio­ne con il vice­pre­si­den­te signi­fi­ca­va “tro­car seis por meia duzia”[47], cioè met­te­re un gover­no  bor­ghe­se al posto di un altro[48]. Per que­sto moti­vo, ha accu­sa­to le altre orga­niz­za­zio­ni, che era­no in piaz­za a mani­fe­sta­re con­tro il gol­pe, di soste­ne­re con la loro ini­zia­ti­va un gover­no bor­ghe­se e di esse­re il vago­ne di coda del lulismo.
E però, in pas­sa­te situa­zio­ni, iden­ti­che o mol­to simi­li, il Pstu e la Lit si rego­la­ro­no diver­sa­men­te. Vedia­mo­ne qual­che esempio.

  1. Para­guay

Quan­do nel 2012 il pre­si­den­te del Para­guay, Fer­nan­do Lugo, fu desti­tui­to in favo­re del suo vice, Fede­ri­co Fran­co, con una mano­vra di impea­ch­ment basa­ta su un voto par­la­men­ta­re (asso­lu­ta­men­te iden­ti­ca a ciò che è acca­du­to in Bra­si­le), gli stes­si Pstu e Lit denun­cia­ro­no «il gol­pe bian­co … dis­si­mu­la­to die­tro una fac­cia­ta di lega­li­tà attra­ver­so un “pro­ces­so poli­ti­co” rea­liz­za­to dal par­la­men­to»[49], defi­nen­do­lo un «col­po di Sta­to rea­zio­na­rio, soste­nu­to dal­la destra tra­di­zio­na­le para­gua­ia­na, … con un pro­ces­so poli­ti­co lam­po con­su­ma­to nel par­la­men­to»[50], e anche «un gol­pe con­tro il movi­men­to sin­da­ca­le, con­ta­di­no, popo­la­re e stu­den­te­sco. È un attac­co diret­to alle liber­tà demo­cra­ti­che con­qui­sta­te duran­te decen­ni di lot­te popo­la­ri», sic­ché «il com­pi­to prin­ci­pa­le ora è scon­fig­ge­re il gol­pe rea­zio­na­rio nel­le stra­de, attra­ver­so l’organizzazione e le mobi­li­ta­zio­ni popo­la­ri. La prin­ci­pa­le paro­la d’ordine di tut­to il movi­men­to di mas­sa e del­la sini­stra deve esse­re: Abbas­so il gol­pe par­la­men­ta­re! Abbas­so il gover­no gol­pi­sta di Fran­co!»[51].
Per­ché quel­lo con­tro Lugo era un gol­pe (ben­ché sen­za inter­ven­to dei mili­ta­ri e cor­ret­ta­men­te carat­te­riz­za­to come “par­la­men­ta­re”) e inve­ce quel­lo con­tro Dil­ma – asso­lu­ta­men­te iden­ti­co per le moda­li­tà e gli esi­ti – no?

  1. Hon­du­ras

E così pure, nel 2009, Manuel Zela­ya, pre­si­den­te dell’Honduras, deci­se di con­vo­ca­re un refe­ren­dum con la pro­po­sta di eleg­ge­re un’Assemblea costi­tuen­te cui deman­da­re il com­pi­to di appro­va­re una nuo­va Costi­tu­zio­ne allo sco­po di supe­ra­re il divie­to di rie­le­zio­ne, immo­di­fi­ca­bi­le per via ordi­na­ria, posto da quel­la vigen­te[52]. Il prov­ve­di­men­to ven­ne annul­la­to dal­la magi­stra­tu­ra e, di fron­te all’insistenza di Zela­ya, la Cor­te supre­ma decre­tò il suo arre­sto per alto tra­di­men­to e atten­ta­to alla Costi­tu­zio­ne. Il 28 giu­gno 2009, un repar­to di mili­ta­ri lo pre­le­vò dal Palaz­zo pre­si­den­zia­le e lo espul­se dal Pae­se, men­tre il par­la­men­to ne san­ci­va con il voto la desti­tu­zio­ne. Come si vede, non si trat­tò affat­to di un gol­pe mili­ta­re, dal momen­to che Zela­ya ven­ne desti­tui­to con un pro­ce­di­men­to costi­tu­zio­na­le vota­to dal suo stes­so par­ti­to: l’intervento del­le for­ze arma­te fu solo desti­na­to al suo arre­sto e all’espulsione. Cer­to, nei gior­ni suc­ces­si­vi, di fron­te alle pro­te­ste di piaz­za, il par­la­men­to deli­be­rò lo sta­to d’assedio che ebbe come con­se­guen­za alcu­ni mor­ti, parec­chi feri­ti e deci­ne di arre­sti. Però, l’intervento del­le trup­pe nel­le stra­de non costi­tuì un gol­pe su ini­zia­ti­va dei ver­ti­ci mili­ta­ri, ben­sì una deci­sio­ne del Con­gres­so a segui­to dell’impeachment per por­re fine ai moti popo­la­ri dei segua­ci di Zelaya.
Ebbe­ne, la Lit defi­nì que­gli even­ti “un gol­pe civi­le”[53] e chia­mò alla resi­sten­za del­le mas­se, recla­man­do peral­tro il ritor­no di Zela­ya e il suo rein­se­dia­men­to. Come si vede, un altro esem­pio di con­trad­di­zio­ne nel­la poli­ti­ca di un’organizzazione che si mostra ondi­va­ga a secon­da del momen­to. Peral­tro, gio­va sof­fer­mar­si pro­prio sul­la riven­di­ca­zio­ne rela­ti­va alla resti­tu­zio­ne al pote­re del pre­si­den­te depo­sto. Usia­mo le paro­le di una dichia­ra­zio­ne uffi­cia­le del­la Lit del 20 ago­sto 2009:

«Una del­le que­stio­ni più discus­se è se si deb­ba o meno riven­di­ca­re il ritor­no di Zela­ya al gover­no […], visto che si trat­ta di un “diri­gen­te bor­ghe­se”. Sic­ché, riven­di­ca­re il suo rein­se­dia­men­to sareb­be “capi­to­la­re alla bor­ghe­sia”. La Lit non ha alcun dub­bio su chi sia Zela­ya: un diri­gen­te bor­ghe­se rea­zio­na­rio pro­ve­nien­te dall’oligarchia hon­du­re­gna […]. Ma set­to­ri mag­gio­ri­ta­ri di mas­sa … lo vedo­no come un “loro” diri­gen­te e sono dispo­sti a lot­ta­re … per­ché tor­ni al gover­no. […] Que­sti pro­ces­si di lot­ta, ben­ché in essi vi sia l’elemento nega­ti­vo del­la fidu­cia nel­la dire­zio­ne bor­ghe­se, sono mol­to pro­gres­si­vi […]. D’altro lato, il “ritor­no” del “diri­gen­te bor­ghe­se”, in que­sto caso Zela­ya, è un ele­men­to impre­scin­di­bi­le affin­ché le mas­se pos­sa­no fare la loro espe­rien­za con lui e pro­gre­di­re nel­la pro­pria coscien­za […]»[54].

E allo­ra, anche qui: se quel­lo con­tro Zela­ya era un pro­ce­di­men­to cui ven­ne data “una coper­tu­ra di lega­li­tà” per poter­lo “desti­tui­re costi­tu­zio­nal­men­te”[55], e que­sto pro­ce­di­men­to la Lit ebbe a defi­ni­re “gol­pe civi­le”, per­ché non adot­ta­re lo stes­so cri­te­rio per la defe­ne­stra­zio­ne di Dil­ma (che peral­tro era accu­sa­ta di “cri­mi­ni” mol­to meno gra­vi di quel­li impu­ta­ti a Zela­ya, e non era cer­ta­men­te – a dif­fe­ren­za di que­sti – “un diri­gen­te bor­ghe­se rea­zio­na­rio pro­ve­nien­te dall’oligarchia”)? Se la Lit, pur con­sa­pe­vo­le del carat­te­re bor­ghe­se dell’ex pre­si­den­te dell’Honduras, riten­ne allo­ra di riven­di­car­ne il ritor­no affin­ché le mas­se potes­se­ro “fare la loro espe­rien­za con lui”, per­ché non ha fat­to lo stes­so con Dil­ma? Per­ché, se vol­le – per para­fra­sa­re le sue stes­se paro­le – esse­re “il vago­ne di coda del­lo zelay­smo”, non ha volu­to inve­ce oppor­si all’impeachment del­la pre­si­den­te brasiliana?

  1. Boli­via

La cri­si poli­ti­ca scop­pia­ta nel 2008 in Boli­via, deri­van­te dal con­flit­to auto­no­mi­sti­co tra i gover­na­to­ra­ti con­trol­la­ti dall’opposizione di destra del­la regio­ne deno­mi­na­ta “Media Luna” (San­ta Cruz, Tari­ja, Beni y Pan­do) e il gover­no cen­tra­le di Evo Mora­les, sfo­ciò in un refe­ren­dum “revo­ca­to­rio” dei man­da­ti del pre­si­den­te e dei gover­na­to­ri, che si svol­se in un cli­ma di vio­len­ze etni­che e di clas­se sca­te­na­te da movi­men­ti rea­zio­na­ri espres­sio­ne dei ric­chi dipar­ti­men­ti che riven­di­ca­va­no l’autonomia con­tro le popo­la­zio­ni indi­ge­ne del resto dei territori.
La con­sul­ta­zio­ne si con­clu­se con la ricon­fer­ma sia di Evo Mora­les che di qua­si tut­ti i gover­na­to­ri dell’opposizione. Ma ciò che impor­ta qui sot­to­li­nea­re è che, nell’imminenza del voto, la Lit, pur denun­cian­do giu­sta­men­te l’attitudine con­ci­lia­tri­ce del gover­no boli­via­no con la bor­ghe­sia del­la “Media Luna”, scri­ve­va sul sito del Pstu[56]: «Sia­mo con­tro la poli­ti­ca di nego­zia­to per­ma­nen­te. Sia­mo con­tro lo svia­men­to del­le lot­te nel­le urne. Ma non sia­mo a favo­re del rove­scia­men­to del gover­no da par­te del­la bor­ghe­sia rea­zio­na­ria. Per­ciò, non sia­mo a favo­re del No a Evo, pro­po­sto dall’oligarchia. E nep­pu­re sia­mo a favo­re dell’astensione che, in que­sto caso, signi­fi­che­reb­be la stes­sa cosa: aste­ner­si è come non pren­de­re posi­zio­ne in que­sta bat­ta­glia con­tro la destra, in pra­ti­ca fini­reb­be per rap­pre­sen­ta­re un soste­gno silen­zio­so per la stes­sa. Se il man­da­to di Evo venis­se revo­ca­to in que­sto refe­ren­dum, sareb­be una scon­fit­ta per la clas­se lavo­ra­tri­ce, per i con­ta­di­ni e il popo­lo in gene­ra­le, che ripo­ne anco­ra mol­te spe­ran­ze in que­sto gover­no. Sareb­be una capi­to­la­zio­ne ver­so la destra. Fac­cia­mo appel­lo agli ope­rai, ai con­ta­di­ni e ai gio­va­ni per­ché […] dia­no un voto cri­ti­co a Evo».
Anche in que­sto caso: per­ché soste­ne­re addi­rit­tu­ra col voto Evo Mora­les per evi­ta­re che il suo gover­no venis­se “rove­scia­to” (non da un col­po di sta­to ma dall’esito refe­ren­da­rio) e non oppor­si inve­ce all’impeachment di Dil­ma Rous­seff? Per­ché, così come fece per la Boli­via, il Pstu e la Lit non han­no “pre­so posi­zio­ne nel­la bat­ta­glia con­tro la destra” in Brasile?

  1. Argen­ti­na

Dopo il gol­pe del set­tem­bre del 1955, defi­ni­to “Revo­lu­ción liber­ta­do­ra”, Juan Domin­go Perón abban­do­nò il Pae­se e si esi­liò, dap­pri­ma in Para­guay e quin­di in Spagna.
Nahuel More­no – che sareb­be poi sta­to il fon­da­to­re e il prin­ci­pa­le diri­gen­te del­la futu­ra Lit – pra­ti­ca­va con il suo par­ti­to l’“entrismo orga­ni­co” nel­le orga­niz­za­zio­ni pero­ni­ste[57]. Que­ste ulti­me vede­va­no pro­scrit­te le pro­prie liste, sic­ché non pote­va­no par­te­ci­pa­re alle ele­zio­ni. Allo stes­so Perón veni­va impe­di­to di candidarsi.
Ebbe­ne, More­no si rese copro­ta­go­ni­sta del­la cam­pa­gna per i dirit­ti demo­cra­ti­ci dell’ex pre­si­den­te e per la lega­liz­za­zio­ne del­le orga­niz­za­zio­ni pero­ni­ste affin­ché potes­se­ro par­te­ci­pa­re alle ele­zio­ni: cam­pa­gna che poi sfo­ciò nel fal­li­to ten­ta­ti­vo di far rien­tra­re Perón in patria (“Ope­ra­ti­vo Retor­no de Perón”).
Cer­to: nell’Argentina di que­gli anni c’era sta­to un col­po di sta­to mili­ta­re, cosa che sicu­ra­men­te non si è veri­fi­ca­ta nel Bra­si­le di oggi; così come si potran­no tro­va­re mil­le altre dif­fe­ren­ze tra le due situa­zio­ni. E tut­ta­via, per­ché si sosten­ne il dirit­to demo­cra­ti­co a can­di­dar­si di Perón e si orga­niz­zò un’operazione per far­lo tor­na­re dall’esilio, men­tre non si è fat­ta una cam­pa­gna per la liber­tà di Lula?

La bor­ghe­sia archi­via un’epoca
Gli esem­pi che abbia­mo por­ta­to non han­no mini­ma­men­te l’obiettivo di fare una pole­mi­ca ste­ri­le nei con­fron­ti di un’organizzazione, in cui non­di­me­no chi scri­ve ha mili­ta­to, pur sen­za mai pro­cla­mar­si “more­ni­sta” con­si­de­ran­do la pro­pria pro­ve­nien­za da una tra­di­zio­ne poli­ti­ca dif­fe­ren­te del­la Quar­ta Inter­na­zio­na­le. L’obiettivo – qui – è, inve­ce, ana­liz­za­re la situa­zio­ne poli­ti­ca nel più gran­de Pae­se del con­ti­nen­te lati­noa­me­ri­ca­no alla luce del­le posi­zio­ni assun­te da quell’organizzazione (e dal­le poche altre che ne con­di­vi­do­no il pen­sie­ro al riguar­do), che rite­nia­mo erro­nee e forie­re di gra­vi pre­giu­di­zi per la clas­se lavo­ra­tri­ce e le mas­se popo­la­ri brasiliane.
Ciò che, infat­ti, que­sti set­to­ri sem­bra­no non aver com­pre­so è che, die­tro a quel­lo che essi nega­no – e cioè l’esistenza del gol­pe (par­la­men­ta­re, isti­tu­zio­na­le, di palaz­zo, bian­co: chia­mia­mo­lo come voglia­mo) con cui è sta­ta desti­tui­ta Dil­ma, e che è cul­mi­na­to poi nel­la con­dan­na sen­za pro­ve e l’arresto di Lula – c’è ben altro che la “sosti­tu­zio­ne di un gover­no bor­ghe­se con un altro”: c’è inve­ce un attac­co fron­ta­le e sen­za pre­ce­den­ti ai dirit­ti demo­cra­ti­ci, lavo­ra­ti­vi, pre­vi­den­zia­li, socia­li dei lavo­ra­to­ri e del­le clas­si subal­ter­ne, per impor­re una scon­fit­ta sto­ri­ca che cri­stal­liz­zi e svi­lup­pi ulte­rior­men­te l’avanzata rea­zio­na­ria del­la borghesia.
Ma – dico­no costo­ro – è pos­si­bi­le nega­re che gli attac­chi con­tro la clas­se lavo­ra­tri­ce sono comin­cia­ti pri­ma, e cioè già coi gover­ni peti­sti? No, rispon­dia­mo, non è pos­si­bi­le. Effet­ti­va­men­te, l’offensiva padro­na­le rimon­ta ad anni addie­tro e si è ser­vi­ta dell’opera di quei gover­ni. Ma è altret­tan­to inne­ga­bi­le che è sta­to l’esecutivo di Temer, nel qua­dro del­la radi­ca­liz­za­zio­ne del­la bru­ta­li­tà dei rap­por­ti di clas­se, a inten­si­fi­ca­re fero­ce­men­te que­gli attac­chi: rifor­ma del dirit­to del lavo­ro, aumen­to del­la ter­zia­riz­za­zio­ne che isti­tu­zio­na­liz­za una gene­ra­liz­za­ta inter­me­dia­zio­ne di mano­do­pe­ra (leg­ge 13.429/17), con­ge­la­men­to degli inve­sti­men­ti per ope­re e ser­vi­zi socia­li (sani­tà, istru­zio­ne, ecc.) per la dura­ta di un ven­ten­nio (Pec – cioè “Pro­po­sta di emen­da­men­to costi­tu­zio­na­le” – n. 241, poi deno­mi­na­ta Pec 55 in sede di vota­zio­ne nell’altro ramo del par­la­men­to), bloc­co del­la spe­sa per il sala­rio mini­mo, aumen­to del­le privatizzazioni.

Depu­ta­ti dell’opposizione a favo­re dell’approvazione del­la Pec 241

Oltre a que­ste misu­re eco­no­mi­che, è enor­me­men­te aumen­ta­ta la mili­ta­riz­za­zio­ne del­la socie­tà (di cui l’intervento dell’esercito a Rio de Janei­ro è solo l’esempio più ecla­tan­te[58]), con il corol­la­rio dell’assassinio di Mariel­le Fran­co e del suo auti­sta, Ander­son Gomes. Né si con­ta­no più gli omi­ci­di ai dan­ni di gio­va­ni di colo­re del­le fave­las ad ope­ra di squa­dro­ni para­mi­li­ta­ri e del­la poli­zia stes­sa, così come di atti­vi­sti indi­ge­ni e sem‑terra da par­te del­le ban­de che difen­do­no gli inte­res­si dell’agrobusiness.
Ciò che la Lit e un set­to­re mino­ri­ta­rio di altre orga­niz­za­zio­ni nega­no, pur di fron­te all’evidenza, è inve­ce la dimo­stra­zio­ne che per la bor­ghe­sia è defi­ni­ti­va­men­te tra­mon­ta­ta l’epoca del­la con­ci­lia­zio­ne di clas­se di cui il luli­smo è sta­ta l’incarnazione, e che si è chiu­so per sem­pre il ciclo in cui i pro­fit­ti favo­lo­si per il capi­ta­le indu­stria­le e finan­zia­rio bra­si­lia­no sono sta­ti rea­liz­za­ti sull’altare di una sor­ta di “pat­to socia­le” che pre­ve­de­va la redi­stri­bu­zio­ne di bri­cio­le per le clas­si più disa­gia­te allo sco­po di con­trol­lar­ne le dina­mi­che socia­li; è, insom­ma, la dimo­stra­zio­ne che le clas­si domi­nan­ti ora non inten­do­no lasciar cade­re dal tavo­lo nean­che una di quel­le bri­cio­le. Voglio­no tut­to. E lo voglio­no per­ché si sen­to­no for­ti e non han­no più biso­gno di un “inter­me­dia­rio” che è estra­neo al loro milieu: ora sosti­tui­sco­no il con­trol­lo del­le dina­mi­che di mas­sa ad ope­ra di un agen­te nel loro inte­res­se con la repres­sio­ne diret­ta e gene­ra­liz­za­ta del­le stesse.
Ma ciò che è ancor più gra­ve è che que­ste orga­niz­za­zio­ni han­no assun­to, intro­iet­tan­do­le e ripro­po­nen­do­le come pro­prio pro­gram­ma, le paro­le d’ordine uti­liz­za­te dal­la bor­ghe­sia per modi­fi­ca­re il segno – come abbia­mo in pre­ce­den­za visto – del­le pro­te­ste del giu­gno 2003. Sven­to­lan­do la ban­die­ra dell’anticorruzione, sono arri­va­te al pun­to da ulu­la­re insie­me ai lupi dell’estrema destra riven­di­can­do con loro la cac­cia­ta di Dil­ma e l’arresto di Lula.

Qua­le pro­spet­ti­va per il movi­men­to ope­ra­io bra­si­lia­no? La neces­si­tà del fron­te unico
Per­ché sot­to­li­neia­mo con for­za l’erroneità di que­ste posi­zio­ni? Non cer­to – l’abbiamo det­to – per amor di pole­mi­ca fine a se stessa.
Nell’attuale situa­zio­ne socia­le del Bra­si­le, in cui le clas­si domi­nan­ti sono all’offensiva e la gran­de mag­gio­ran­za del movi­men­to ope­ra­io è diso­rien­ta­ta, incer­ta e pri­va di un’autorevole dire­zio­ne, è neces­sa­rio pren­de­re coscien­za del­la fase e inqua­drar­ne i confini.
Soste­ne­re che i lavo­ra­to­ri stan­no rom­pen­do, non solo col luli­smo[59], ma col regi­me nel suo insie­me; sban­die­ra­re che sono pron­ti già oggi a lan­ciar­si nel­lo scon­tro fron­ta­le col nemi­co di clas­se; affer­ma­re un gior­no sì e l’altro pure che il Bra­si­le vive una situa­zio­ne pre­ri­vo­lu­zio­na­ria che può rapi­da­men­te evol­ve­re ver­so la rivo­lu­zio­ne; asse­ri­re che il gover­no Temer è in cri­si per­ché “debo­le”[60]; soprav­va­lu­ta­re le lot­te par­zia­li e gli scio­pe­ri di cate­go­ria – che pure ci sono, ben­ché sia­no feno­me­ni di set­to­ri d’avanguardia – rite­nen­do che sia­no per­ciò già matu­re (o pros­si­me alla matu­ra­zio­ne) le con­di­zio­ni per chia­ma­re da subi­to a una “ribel­lio­ne”[61] (espres­sio­ne che, peral­tro, non si capi­sce a cosa allu­da, se all’assalto fina­le per la pre­sa del pote­re, o se a mani­fe­sta­zio­ni di piaz­za); tut­to que­sto non tie­ne con­to del fat­to che il sen­ti­men­to pre­do­mi­nan­te nel­la mag­gio­ran­za dei lavo­ra­to­ri non è, ad oggi, la dispo­si­zio­ne imme­dia­ta alla lot­ta con­sa­pe­vo­le per rove­scia­re rapi­da­men­te il siste­ma vigen­te e sosti­tuir­lo con un altro, ma l’incertezza e il diso­rien­ta­men­to. Al con­tra­rio, que­sto modo di ragio­na­re con­du­ce ine­vi­ta­bil­men­te al volon­ta­ri­smo e, in ulti­ma ana­li­si, all’avventurismo.
Que­sti set­to­ri del­la sini­stra bra­si­lia­na sem­bra­no non aver affat­to com­pre­so che die­tro la com­pres­sio­ne dei dirit­ti demo­cra­ti­ci di Lula sta la mor­ti­fi­ca­zio­ne e la ridu­zio­ne (fino a un poten­zia­le azze­ra­men­to) dei dirit­ti demo­cra­ti­ci e socia­li del­le clas­si lavoratrici.
L’operazione “Lava Jato”, che per parec­chi aspet­ti è sovrap­po­ni­bi­le all’inchiesta ita­lia­na “Mani puli­te”[62], al pari di quest’ultima ha avu­to come esi­to un muta­men­to ai ver­ti­ci del­le isti­tu­zio­ni sta­ta­li. Ma lo sbi­lan­cia­men­to dei pote­ri in favo­re dell’esecutivo, che da allo­ra in poi si è regi­stra­to in Ita­lia, non è per nul­la para­go­na­bi­le alla radi­ca­le bona­par­tiz­za­zio­ne del­la socie­tà bra­si­lia­na, carat­te­riz­za­ta – come abbia­mo visto – da un cre­scen­te pro­ta­go­ni­smo (al limi­te dell’autonomizzazione) del­le for­ze arma­te, che segna l’acuirsi e l’approfondirsi di una fase (la c.d. “onda con­ser­va­tri­ce”) che cam­bia in peg­gio il trat­to già nega­ti­vo di una “demo­cra­zia blin­da­ta”[63].
E allo­ra, di fron­te all’acuirsi del­la bru­ta­li­tà del­la spo­lia­zio­ne ai dan­ni del­le clas­si subal­ter­ne, non c’è tem­po per rispo­ste sba­glia­te: da un lato, non si può esse­re alla coda del Pt e del­le buro­cra­zie sin­da­ca­li che esso con­trol­la, facen­do­si irre­ti­re dal­la loro poli­ti­ca immo­bi­li­sta che con­fi­da anco­ra nel nego­zia­to con le for­ze con cui fino alla vigi­lia del gol­pe han­no gover­na­to[64]; così come, d’altro lato, non si può resta­re pri­gio­nie­ri di un’analisi sba­glia­ta in quan­to impres­sio­ni­sta, e che ele­va a ran­go di “real­tà” i pro­pri inti­mi desi­de­ri, sfo­cian­do nel volon­ta­ri­smo, nel vel­lei­ta­ri­smo e nell’avventurismo.
Se il pri­mo atteg­gia­men­to è dan­no­so per­ché codi­sta, il secon­do non lo è da meno in quan­to inde­bo­li­sce l’insieme di quei set­to­ri poli­ti­ci e socia­li che devo­no, inve­ce, orga­niz­za­re la resi­sten­za all’offensiva del capi­ta­li­smo. Di fron­te al peri­co­lo che incom­be, infat­ti, è neces­sa­rio lan­cia­re, attra­ver­so un’ampia poli­ti­ca di fron­te uni­co e il più vasto rag­grup­pa­men­to di for­ze, la costru­zio­ne di una piat­ta­for­ma uni­fi­can­te del­le lot­te che denun­ci e si oppon­ga alle mano­vre del­le for­ze gol­pi­ste orga­niz­zan­do la rispo­sta dei lavo­ra­to­ri con­tro gli attac­chi del­la bor­ghe­sia: denun­cian­do l’opportunismo del­le cupo­le buro­cra­ti­che sin­da­ca­li e poli­ti­che che rap­pre­sen­ta­no un fre­no per l’azione dei lavo­ra­to­ri; crean­do comi­ta­ti di base nei luo­ghi di lavo­ro e di stu­dio in cui ven­ga­no demo­cra­ti­ca­men­te discus­si le for­me e i meto­di di rea­zio­ne all’aggressione con­tro i dirit­ti demo­cra­ti­ci, lavo­ra­ti­vi, socia­li, con­tro la pre­vi­den­za, la sani­tà, l’istruzione; met­ten­do in pie­di grup­pi di auto­di­fe­sa con­tro la vio­len­za del­la poli­zia e dei grup­pi neofascisti.
È neces­sa­rio, insom­ma, vara­re un fron­te uni­co che, dap­pri­ma difen­si­vo, costi­tui­sca, attra­ver­so una neces­sa­ria fase di accu­mu­la­zio­ne di for­ze, uno stru­men­to di mobi­li­ta­zio­ne del pro­le­ta­ria­to e si tra­sfor­mi quin­di in offen­si­vo. E le dif­fe­ren­ze poli­ti­che – che pure esi­sto­no tra le orga­niz­za­zio­ni che deb­bo­no rico­no­scer­si in que­sto per­cor­so se non voglio­no che la bor­ghe­sia impon­ga una scon­fit­ta epo­ca­le alla clas­se lavo­ra­tri­ce bra­si­lia­na – non deb­bo­no spa­ven­ta­re o rap­pre­sen­ta­re un ali­bi per non pro­ce­de­re in que­sto sen­so: sto­ri­ca­men­te, infat­ti, si sono dati casi di fron­ti uni­ci difen­si­vi sor­ti tra for­ze diver­sis­si­me tra loro, ma che, gra­zie ai prin­ci­pi di una discus­sio­ne auten­ti­ca­men­te demo­cra­ti­ca nel qua­dro del­la più ampia demo­cra­zia ope­ra­ia, si sono tra­sfor­ma­ti in offen­si­vi tan­to da deter­mi­na­re una vit­to­ria (sia pure par­zia­le e tem­po­ra­nea) con­tro la rea­zio­ne[65].

Mani­fe­sta­zio­ne con­tro il gover­no Temer

Quel­la scon­fit­ta epo­ca­le che il capi­ta­le vuo­le inflig­ge­re in Bra­si­le alle mas­se popo­la­ri non si è anco­ra veri­fi­ca­ta. Ci sono tut­to­ra abbon­dan­ti riser­ve di ener­gie per oppor­vi­si e inver­ti­re il segno rea­zio­na­rio di que­sta fase. Ma un esi­to posi­ti­vo per le clas­si subal­ter­ne non cadrà dal cie­lo. Dipen­de­rà, in ulti­ma ana­li­si, dal­la dire­zio­ne che pren­de­ran­no le orga­niz­za­zio­ni del­la sini­stra bra­si­lia­na; e, natu­ral­men­te, del­la sini­stra inter­na­zio­na­le. Sia­mo di fron­te, come abbia­mo visto, a due stra­de sim­me­tri­ca­men­te sba­glia­te e a un tra­git­to dif­fi­ci­le, stret­to, imper­vio, ma neces­sa­rio da per­cor­re­re, seb­be­ne – come reci­ta la cita­zio­ne posta all’inizio di que­sto scrit­to – segna­to “da con­trad­di­zio­ni inter­ne”. Occor­re­ran­no “pro­lun­ga­te lot­te, dure pro­ve, tan­ti erro­ri e una lar­ga espe­rien­za”, ma con­fi­dia­mo che la tra­di­zio­ne di lot­ta del­la clas­se ope­ra­ia bra­si­lia­na farà pen­de­re dal­la pro­pria par­te la bilancia.


Note

[1] “Oba­ma diz que Lula é «o polí­ti­co mais popu­lar da Ter­ra»”, BBC Bra­sil, 2/4/2009 (https://tinyurl.com/yd4wpzgn).
[2] Ricor­dia­mo che nel­la famo­sa “Let­te­ra al popo­lo bra­si­lia­no”, divul­ga­ta dal­la dire­zio­ne peti­sta pri­ma del­le ele­zio­ni del 2002, Lula si impe­gna­va a por­ta­re avan­ti le leg­gi sul­la respon­sa­bi­li­tà fisca­le e sull’avanzo pri­ma­rio, pro­met­ten­do di paga­re – cosa che poi farà duran­te tut­ti gli anni del suo man­da­to – il debi­to este­ro. Più che al “popo­lo bra­si­lia­no”, la let­te­ra dove­va inten­der­si indi­riz­za­ta al Fmi e agli inve­sti­to­ri inter­na­zio­na­li, allo sco­po di tran­quil­liz­zar­li sul fat­to che un gover­no del Pt avreb­be osser­va­to i limi­ti di com­pa­ti­bi­li­tà del capi­ta­li­smo. E, per offri­re un mar­gi­ne di garan­zia in più, Lula si pre­sen­tò in coa­li­zio­ne con i par­ti­ti del cen­tro e con set­to­ri con­ser­va­to­ri, cui offrì posti di rilie­vo nel­la com­pa­gi­ne governativa.
[3] Occor­re tut­ta­via segna­la­re che la qua­si tota­li­tà di que­sti nuo­vi posti di lavo­ro frut­ta­va ai lavo­ra­to­ri un sala­rio di una vol­ta e mez­za quel­lo mini­mo. Al con­tem­po si sono per­si 4.300.000 posti di lavo­ro con un sala­rio supe­rio­re a cin­que vol­te quel­lo mini­mo. In altri ter­mi­ni, la disu­gua­glian­za sala­ria­le si è ridot­ta ver­so il bas­so: i sala­ri di occu­pa­zio­ni di livel­lo supe­rio­re han­no avu­to un rit­mo di len­ta cadu­ta, tan­to che la dif­fe­ren­za fra il sala­rio medio di impie­ghi che richie­de­va­no un bas­so tas­so di sco­la­ri­tà e quel­li di sco­la­ri­tà media e supe­rio­re è signi­fi­ca­ti­va­men­te dimi­nui­ta negli anni.
[4] Let­te­ral­men­te, “Fame Zero”, “Casa mia, vita mia”, Bor­sa Fami­glia”. Par­ti­co­lar­men­te signi­fi­ca­ti­vo del carat­te­re tutt’altro che “rivo­lu­zio­na­rio” di quest’ultima misu­ra di inclu­sio­ne socia­le è il fat­to che, lun­gi dall’essere mal tol­le­ra­ta e respin­ta dal­le isti­tu­zio­ni finan­zia­rie inter­na­zio­na­li, essa era anzi addi­ta­ta a model­lo posi­ti­vo: sia Ban­ca Mon­dia­le che Fmi non si stan­ca­va­no di ripe­te­re, infat­ti, che il suo costo era estre­ma­men­te limi­ta­to (0,5% del Pil), e cio­no­no­stan­te favo­ri­va 50 milio­ni di persone.
[5] Cioè di colo­ro che ave­va­no entra­te per meno di 2,5 dol­la­ri al giorno.
[6] Si trat­ta di un indi­ce che misu­ra la disu­gua­glian­za nel­le entra­te eco­no­mi­che: l’uguaglianza asso­lu­ta è data dal­lo zero, la disu­gua­glian­za mas­si­ma dall’uno.
[7] Ci rife­ria­mo qui, in par­ti­co­la­re, al famo­sis­si­mo scan­da­lo del “men­sa­lão” (men­si­le). In pra­ti­ca, mem­bri del gover­no Lula paga­va­no som­me men­si­li ad alcu­ni depu­ta­ti per otte­ner­ne il voto favo­re­vo­le su dise­gni di leg­ge essen­zia­li per l’esecutivo. Lo scan­da­lo ebbe anche dei risvol­ti invo­lon­ta­ria­men­te comi­ci, con l’assistente di uno dei par­la­men­ta­ri del Pt arre­sta­to in aero­por­to men­tre por­ta­va 200.000 real in una vali­get­ta e altri 100.000 nasco­sti nel­le mutande.
[8] “Empre­sas nun­ca gan­ha­ram tan­to, diz Lula”, Folha de S. Pau­lo, 22/5/2009 (https://tinyurl.com/ycsxjqwe).
[9] Fon­te: Ban­co Cen­tral do Brasil.
[10] Uti­liz­zia­mo qui la sca­la in uso nei Pae­si anglo­sas­so­ni, adot­ta­ta anche dal Bra­si­le, per misu­ra­re le gran­dez­ze eco­no­mi­che: sic­ché, un tri­lio­ne è equi­va­len­te a mil­le miliar­di. Con­se­guen­te­men­te, la cifra indi­ca­ta nel testo è pari a 15.400 miliar­di di real.
[11] Non a caso, il pre­si­den­te del Fmi, Chri­sti­ne Lagar­de, si sper­ti­ca­va in com­pli­men­ti per le misu­re di rie­qui­li­brio dei con­ti adot­ta­te da Dil­ma Rous­seff. Va peral­tro evi­den­zia­to che, per acca­par­rar­si la fidu­cia dei cir­co­li finan­zia­ri inter­na­zio­na­li, nel novem­bre del 2014 la stes­sa Dil­ma – pur aven­do­lo, anni addie­tro, spre­gia­ti­va­men­te defi­ni­to “un buro­cra­te del Fmi” – ave­va nomi­na­to come mini­stro del­le Finan­ze Joa­quim Levy, un eco­no­mi­sta libe­ri­sta for­ma­to­si alla scuo­la di Chi­ca­go: una garan­zia, insom­ma, per i fau­to­ri di poli­ti­che eco­no­mi­che di segno conservatore.
[12] Dati for­ni­ti dal­la Ban­ca Mon­dia­le e repe­ri­bi­li all’indirizzo https://tinyurl.com/yajxs7jg.
[13] Nel mese di dicem­bre 2014, il flus­so di capi­ta­li in usci­ta dal Bra­si­le ammon­tò a 14,5 miliar­di di dollari.
[14] For­te del­la sua popo­la­ri­tà, Lula gira­va infat­ti tut­to il Pae­se per divul­ga­re un opu­sco­lo auto­ce­le­bra­ti­vo dei die­ci anni di gover­no del Pt (due man­da­ti suoi e metà del pri­mo man­da­to di Dil­ma Rous­seff), pre­sen­ta­ti come un’inversione di ten­den­za rispet­to al neo­li­be­ra­li­smo impo­sto dai pre­ce­den­ti gover­ni del Psdb.
[15] Equi­va­len­ti, al cam­bio dell’epoca, a cir­ca 6 cen­te­si­mi di euro.
[16] “Reto­mar a Pau­li­sta” (“Ricon­qui­sta­re la Pau­li­sta”, cioè la prin­ci­pa­le stra­da del cen­tro di San Pao­lo), Folha de S. Pau­lo, 13/6/2013 (https://tinyurl.com/lalq4j7).
[17] Si cal­co­la che le varie mobi­li­ta­zio­ni abbia­no rag­grup­pa­to nel­le stra­de del Bra­si­le tre milio­ni di mani­fe­stan­ti, con pro­te­ste che si sono dipa­na­te in oltre 400 cit­tà del Paese.
[18] È uti­le, per un appro­fon­di­men­to al riguar­do, rife­rir­si in par­ti­co­la­re a: M. Bada­ró Mat­tos, “A mul­ti­dão nas ruas: con­struir a saí­da de esquer­da para a cri­se polí­ti­ca, antes que a reação impri­ma sua direção”, Blog Esquer­da On Line, 26/6/2013 (https://tinyurl.com/yaatm8nt) e a F. Demier, “Nas ruas por direi­tos: uma aná­li­se das jor­na­das de jun­ho de 2013”, Blog Jun­ho, 28/6/2015 (https://tinyurl.com/y8g4powm).
[19] “Ser­gio Moro tra­ba­lha pelo impea­ch­ment via TSE”, Esquer­da Diá­rio, 24/2/2016 (https://tinyurl.com/ydy977jb).
[20] Par­ti­to del­la social demo­cra­zia brasiliana.
[21] Il 13 mar­zo 2015, si svol­se­ro 300 mani­fe­sta­zio­ni per l’impeachment di Dil­ma Rous­seff che tota­liz­za­ro­no 3,6 milio­ni di par­te­ci­pan­ti. Quel­la di San Pao­lo vide la pre­sen­za di mez­zo milio­ne di per­so­ne. Poi ci furo­no quel­le del 15 mar­zo, del 12 apri­le, del 16 ago­sto e del 13 dicem­bre, con la par­te­ci­pa­zio­ne in tut­to il Pae­se, rispet­ti­va­men­te, di due milio­ni, 660.000, 790.000 e 60.000. A San Pao­lo, 210.000, 100.000, 135.000 e 40.000. Que­ste mobi­li­ta­zio­ni si svol­se­ro all’insegna di slo­gan ine­qui­vo­ci: “Il popo­lo è sovra­no! L’intervento mili­ta­re non è un cri­mi­ne!”; oppu­re, “Per­ché non li han­no ucci­si tut­ti nel 1964?” (chia­ro rife­ri­men­to al gol­pe mili­ta­re di quell’anno).
[22] Potrem­mo cita­re il pare­re di nume­ro­sis­si­mi giu­ri­sti bra­si­lia­ni. Ci limi­tia­mo a rin­via­re al pon­de­ro­so testo di M. Laban­ca Cor­rêa de Araú­jo e F. José Roman, “Impea­ch­ment é Gol­pe de Esta­do?” (L’impeachment è un col­po di sta­to?), Jota.info, 1/4/2016 (https://tinyurl.com/ydhonsag) che, rite­nen­do che l’intero pro­ce­di­men­to sia sta­to vizia­to dal­la man­can­za di “tipi­ci­tà” del­la con­dot­ta adde­bi­ta­ta a Dil­ma (in base al prin­ci­pio uni­ver­sa­le per cui nes­su­no può esse­re rite­nu­to respon­sa­bi­le per un fat­to che non è con­si­de­ra­to dal­la leg­ge pro­dut­ti­vo di respon­sa­bi­li­tà), chiu­do­no il loro cor­po­so sag­gio con que­ste paro­le: «… è pos­si­bi­le con­clu­de­re che i due pun­ti ammes­si dal­la Pre­si­den­za del­la Came­ra dei Depu­ta­ti […] non costi­tui­sco­no nean­che in tesi un delit­to di respon­sa­bi­li­tà. Sono fat­ti ati­pi­ci. […] Det­to ciò, può anche con­clu­der­si che il sem­pli­ce uti­liz­zo di un pro­ce­di­men­to costi­tu­zio­nal­men­te pre­vi­sto (impea­ch­ment) non lo ren­de giu­ri­di­ca­men­te vali­do. Pen­sa­re il con­tra­rio signi­fi­che­reb­be attri­bui­re al pote­re legi­sla­ti­vo il dirit­to di pro­ces­sa­re il capo del pote­re ese­cu­ti­vo sen­za la neces­si­tà del­la carat­te­riz­za­zio­ne del delit­to di respon­sa­bi­li­tà, dicen­do che qual­co­sa rap­pre­sen­ta un delit­to sen­za che lo sia». Per i due auto­ri si trat­ta, in defi­ni­ti­va, di «un ten­ta­ti­vo giu­ri­di­ca­men­te ille­git­ti­mo di acces­so al pote­re». In altri ter­mi­ni, con­clu­dia­mo noi, di un gol­pe (vedre­mo poi, nel pro­sie­guo del testo, di che tipo).
[23] “O que é um gol­pe de esta­do?”, Blog Jun­ho, 26/3/2016 (https://tinyurl.com/y7d434xx).
[24] Non sono rari, infat­ti, i casi di c.d. “auto­gol­pe”: si pen­si a quel­lo posto in esse­re da Fuji­mo­ri in Perù nel 1992.
[25] Cfr. R. Peris­si­not­to, “Por que gol­pe?”, Aca­de­mia, (https://tinyurl.com/yageomcy) e gli auto­ri da lui citati.
[26] «Dal pun­to di vista for­ma­le, il pro­get­to di desti­tu­zio­ne di Dil­ma è un pic­co­lo capo­la­vo­ro di tec­ni­ca anti­de­mo­cra­ti­ca. Tut­ti gli atto­ri han­no ope­ra­to con una straor­di­na­ria sin­to­nia», scri­ve R. Vec­chi, “L’impeachment di Dil­ma e lo spia­ce­vo­le malin­te­so del­la demo­cra­zia in Bra­si­le”, Limes, 21/4/2016 (https://tinyurl.com/h4jsfaw).
[27] V. nota 8 che precede.
[28] A. Bian­chi, “Por que a Fie­sp apo­ia o impea­ch­ment?”, Blog Jun­ho, 18/12/2015 (https://tinyurl.com/y95mpqdv).
[29] Ricor­dia­mo che, nel momen­to in cui la Fie­sp (la fede­ra­zio­ne degli indu­stria­li di San Pao­lo) ha pub­bli­ca­men­te dichia­ra­to di soste­ne­re il pro­ce­di­men­to di impea­ch­ment, a capo del mini­ste­ro dell’economia c’era Joa­quim Levy (v. nota 11), cioè un uomo di fidu­cia del­la bor­ghe­sia finanziaria.
[30] Par­ti­do do Movi­men­to Demo­crá­ti­co Bra­si­lei­ro. Face­va par­te del­la mag­gio­ran­za che appog­gia­va l’esecutivo di Dil­ma Rous­seff fino alla rot­tu­ra che aprì la stra­da al pro­ce­di­men­to di impea­ch­ment. Espri­me l’attuale pre­si­den­te, Michel Temer.
[31] “Agro­ne­gó­cio mais per­to de Bol­so­na­ro”, Esquer­da onli­ne, 4/5/2018 (https://tinyurl.com/y86ttq9o).
[32] “Gene­ral fala em inter­ve­nção se Justiça não agir con­tra cor­ru­pção”, Folha de S. Pau­lo, 17/9/2017 (https://tinyurl.com/yck2uu9s).
[33] “Gene­ral Mou­rão diz que Temer faz ‘bal­cão de negó­cios’ para gover­nar”, Folha de S. Pau­lo, 8/12/2017 (https://tinyurl.com/ybfbpove).
[34] “Do gene­ral Vil­las Bôas à reser­va, a ofen­si­va dos mili­ta­res que que­rem voz na polí­ti­ca”, El País, ed. Bra­si­le, 4/4/2018 (https://tinyurl.com/y8fausua).
[35] E pos­sia­mo ben imma­gi­na­re a qua­le “mis­sio­ne isti­tu­zio­na­le” il gene­ra­le inten­des­se riferirsi!
[36] “Se Lula for elei­to, a alter­na­ti­va será uma inter­ve­nção mili­tar, diz gene­ral da reser­va”, Esta­dão, 3/4/2018 (https://tinyurl.com/ybl7u67h).
[37] Ne abbia­mo par­la­to nell’articolo “Mariel­le Fran­co: un delit­to poli­ti­co in pie­na rego­la”, Blog Assal­to al cie­lo, 16/3/2018 (https://tinyurl.com/yc2njas5).
[38] “«O Rio de Janei­ro é ago­ra um labo­ra­tó­rio para o Bra­sil», diz gene­ral”, Diá­rio de noti­cias, 27/2/2018 (https://tinyurl.com/ycnaaykn).
[39] V. nota 37.
[40] “Ôni­bus da cara­va­na de Lula é ata­ca­do a tiros no Para­ná”, Cor­reio do Povo, 27/3/2018 (https://tinyurl.com/y9doalnv).
[41] “Ata­que a tiros a cam­pa­men­to pro‑Lula deja heri­dos y ele­va ten­sión en Curi­ti­ba”, El Perió­di­co, 29/4/2018 (https://tinyurl.com/yd9spqcz).
[42] Come le gran­di mani­fe­sta­zio­ni in favo­re dell’impeachment del 2015 han­no dimostrato.
[43] La regio­ne indu­stria­le del­lo Sta­to di San Pao­lo, dove sono inse­dia­te le prin­ci­pa­li indu­strie (soprat­tut­to auto­mo­bi­li­sti­che) e che fu pro­ta­go­ni­sta di gran­di lot­te ope­ra­ie esplo­se sul fini­re degli anni 70 e all’inizio del decen­nio suc­ces­si­vo, dal­le qua­li emer­se­ro poi il Pt di Lula e la Cut, il più gran­de sin­da­ca­to brasiliano.
[44] Rin­via­mo al bell’articolo di F. Demier, “Il sen­so di un arre­sto: Lula, la demo­cra­zia e i com­men­sa­li nei salot­ti”, pub­bli­ca­to in ita­lia­no in que­sto stes­so sito.
[45] In veri­tà, que­sta del rifiu­to a mani­fe­sta­re con­tro l’arresto di Lula è una posi­zio­ne più sfu­ma­ta che una del­le orga­niz­za­zio­ni in que­stio­ne, il Pstu/Lit, ha adot­ta­to dopo ave­re inve­ce addi­rit­tu­ra recla­ma­to e riven­di­ca­to l’arresto. Ne abbia­mo par­la­to in quest’articolo.
[46] V. l’articolo indi­ca­to nel­la nota precedente.
[47] Let­te­ral­men­te: “cam­bia­re sei con una mez­za doz­zi­na”. L’italiano pre­ve­de, come espres­sio­ne equi­va­len­te, “se non è zup­pa, è pan bagnato”.
[48] È para­dos­sa­le che un’organizzazione che si richia­ma al tro­tski­smo abbia dimen­ti­ca­to che non tut­ti i gover­ni bor­ghe­si sono ugua­li, che fra quel­li di fron­te popo­la­re (come quel­lo di Dil­ma e, pri­ma, di Lula) e gli altri pura­men­te bor­ghe­si (come quel­lo di Temer) c’è un’importante dif­fe­ren­za qualitativa!
[49] “Gol­pe da direi­ta depõe pre­si­den­te do Para­guai”, Pstu, 23/6/2012 (https://tinyurl.com/yafh8y79).
[50] “Gol­pe de Esta­do no Para­guai: Der­ro­te­mos o gol­pe par­la­men­tar e o gover­no de Fran­co nas ruas!”, Pstu, 11/7/2012 (http://tinyurl.com/hngsm6r).
[51] “Gol­pe de Esta­do no Para­guai”, Lit, 11/7/2012 (http://tinyurl.com/h9wmly5).
[52] Arti­co­li 237 e 374 del­la Costi­tu­zio­ne honduregna.
[53] “La cri­sis del gobier­no Dil­ma y la far­sa del gol­pe”, Lit, 1/4/2016 (https://tinyurl.com/ya8u64ho).
[54] “Hon­du­ras: La resi­sten­cia en una encru­ci­ja­da”, Lit, 20/8/2009 (https://tinyurl.com/y9vod8ug).
[55] Nel testo inti­to­la­to “La heroi­ca resi­sten­cia con­tra el gol­pe y el nefa­sto papel de Zela­ya” (Mar­xi­smo Vivo n. 22, 2009, p. 8), la Lit segna­la infat­ti che colo­ro che depo­se­ro il pre­si­den­te «cer­ca­ro­no di dare una coper­tu­ra di lega­li­tà all’azione, accu­san­do Zela­ya di diver­si “cri­mi­ni” e desti­tuen­do­lo “costi­tu­zio­nal­men­te”» e «si pre­sen­ta­ro­no come una “tran­si­zio­ne” per una solu­zio­ne isti­tu­zio­na­le nel qua­dro del­la demo­cra­zia bor­ghe­se, pro­po­nen­do da subi­to di tene­re le ele­zio­ni in novem­bre col rico­no­sci­men­to di chiun­que le aves­se vin­te. In tal modo vole­va­no mostra­re alle isti­tu­zio­ni inter­na­zio­na­li che non era loro inten­zio­ne inse­dia­re un regi­me simi­le a quel­lo di Pino­chet in Cile».
[56] “O que pre­ten­de a bur­gue­sia e o gover­no Mora­les com o refe­ren­do revo­ga­tó­rio?”, Pstu, 9/8/2008 (https://tinyurl.com/ydebcobe).
[57] Un entri­smo tal­men­te pro­fon­do da scon­fi­na­re nel­la dis­so­lu­zio­ne del­la pro­pria cor­ren­te in quel­la pero­ni­sta. Non a caso, Pala­bra Obre­ra, il gior­na­le dell’omonima orga­niz­za­zio­ne more­ni­sta, sot­to i carat­te­ri del tito­lo por­ta­va la dida­sca­lia «agli ordi­ni del gene­ra­le Perón» e si auto­de­fi­ni­va “orga­no del pero­ni­smo ope­ra­io rivo­lu­zio­na­rio”. Un entri­smo, peral­tro, che face­va per­de­re di vista l’obiettivo del­la costru­zio­ne di un par­ti­to rivo­lu­zio­na­rio, visto che la paro­la d’ordine del more­ni­smo all’interno del pero­ni­smo era «costrui­re subi­to un par­ti­to cen­tri­sta di sini­stra lega­le» (al riguar­do, v. E. Gon­zá­lez, El tro­tski­smo obre­ro e inter­na­cio­na­li­sta en la Argen­ti­na, Edi­to­rial Antí­do­to, 1995, t. I, pp. 236 e s. Per l’analisi del perio­do sto­ri­co in que­stio­ne, oltre a op. ult. cit., t. II e t. III, v. anche O. Cog­gio­la, Histo­ria del tro­tski­smo en Argen­ti­na y Amé­ri­ca Lati­na, Edi­cio­nes ryr, 2006).
[58] V. nota 37.
[59] Recen­ti son­dag­gi indi­ca­no che, ben­ché il Pt abbia sof­fer­to un cer­to distan­zia­men­to del pro­prio elet­to­ra­to a cau­sa del­le vicen­de che han­no por­ta­to all’arresto di Lula, non­di­me­no è sal­da­men­te in testa nel­le inten­zio­ni di voto. La spie­ga­zio­ne sta nel fat­to che si trat­ta di un par­ti­to dal­la strut­tu­ra soli­da e che, soprat­tut­to nei quat­tor­di­ci anni di gover­no, si è mol­to radi­ca­to nel Paese.
[60] L’incredibile impres­sio­ni­smo di quest’analisi da par­te del Pstu è cla­mo­ro­sa­men­te smen­ti­ta dal­la real­tà: ben­ché quel­lo di Temer sia l’esecutivo pro­ba­bil­men­te più scre­di­ta­to del­la sto­ria del Bra­si­le, non­di­me­no è appog­gia­to dal­la stra­gran­de mag­gio­ran­za del capi­ta­li­smo nazio­na­le e inter­na­zio­na­le, non­ché da pra­ti­ca­men­te tut­ti i par­ti­ti del pano­ra­ma sta­ta­le. Per di più, è “blin­da­to” dall’azione del pote­re giu­di­zia­rio. Biz­zar­ro che un gover­no così “debo­le” sia riu­sci­to a far pas­sa­re la pro­pria rea­zio­na­ria agen­da di attac­chi ai lavo­ra­to­ri sen­za incon­tra­re una signi­fi­ca­ti­va resi­sten­za socia­le e sen­za mostra­re segni di con­trad­di­zio­ni inter­ne alla coa­li­zio­ne bor­ghe­se che lo sostiene!
[61] “As pro­po­stas socia­li­stas con­tra a cri­se”, Pstu, 10/5/2018 (https://tinyurl.com/yaxyuhva).
[62] Non è un caso che il giu­di­ce Ser­gio Moro, il gran­de inqui­si­to­re che ha fat­to del­la per­se­cu­zio­ne con­tro Lula il prin­ci­pa­le, se non l’unico, fine del­la pro­pria car­rie­ra, sia un fan dell’operazione che in Ita­lia por­tò alla deca­pi­ta­zio­ne del siste­ma poli­ti­co del­la c.d. Pri­ma repub­bli­ca: “Como a Lava Jato foi pen­sa­da como uma ope­ração de guer­ra”, Car­ta­Ca­pi­tal, 19/10/2015 (https://tinyurl.com/ycv4p7um). V. anche: “Il magi­stra­to bra­si­lia­no anti‑casta a lezio­ne da un mae­stro di Mani puli­te”, Il Foglio, 30/3/2016 (https://tinyurl.com/y7ecz5bw).
[63] Ci rife­ria­mo qui a quel pro­ces­so che si veri­fi­ca nel qua­dro del­la con­trof­fen­si­va del capi­ta­le sul lavo­ro, che ten­de a ren­de­re i regi­mi democratico‑borghesi immu­ni dal­le riven­di­ca­zio­ni popo­la­ri – o meno recet­ti­vi rispet­to ad esse – sgom­bran­do le isti­tu­zio­ni dagli “ecces­si” di demo­cra­zia in gra­do di para­liz­za­re la “vita­li­tà” dei mer­ca­ti: si ha quin­di un muta­men­to “qua­li­ta­ti­vo” dall’interno dei regi­mi libe­ra­li, ben­ché essi for­mal­men­te con­ser­vi­no la stes­sa “pel­le”, attra­ver­so una stret­ta sem­pre più auto­ri­ta­ria del­la demo­cra­zia par­la­men­ta­re bor­ghe­se. È uti­le, in que­sta pro­spet­ti­va, rifar­si alle fecon­de ana­li­si di F. Demier, “Depois do gol­pe: a força e a fra­que­za da demo­cra­cia blin­da­da bra­si­lei­ra”, Blog Jun­ho, 19/10/2016 (https://tinyurl.com/y9cb6b59). Del­lo stes­so auto­re, “A demo­cra­cia blin­da­da”, Blog Jun­ho, 25/8/2016 (https://tinyurl.com/y8ko264v) e “A for­mação da demo­cra­cia blin­da­da no Bra­sil”, Blog Jun­ho, 31/8/2016 (https://tinyurl.com/yb8taprh).
[64] Una posi­zio­ne del gene­re vie­ne spu­do­ra­ta­men­te adot­ta­ta in Ita­lia, tra gli altri, da Rifon­da­zio­ne comu­ni­sta, da Pote­re al popo­lo e dal­la Rete dei comunisti.
[65] Un esem­pio emble­ma­ti­co ci è for­ni­to dall’Ottobre astu­ria­no del 1934, su cui pub­bli­che­re­mo pros­si­ma­men­te un arti­co­lo su que­sto sito.