Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Fascismo, Storia del movimento operaio, Teoria

La posizione della piccola borghesia

Mussolini tiene un discorso (Roma, 1925)

Sia­mo al ter­zo appun­ta­men­to con la serie “Gram­sci e il fasci­smo”, del­lo sto­ri­co Gil­ber­to Calil, che in que­sto sag­gio descri­ve il ruo­lo del­la pic­co­la bor­ghe­sia in rela­zio­ne all’ascesa del fasci­smo, e in par­ti­co­la­re il suo rap­por­to con la gran­de bor­ghe­sia, evi­den­zian­do­ne soprat­tut­to, riguar­do a quest’ultima, la rela­zio­ne di subor­di­na­zio­ne e l’organica inca­pa­ci­tà di svi­lup­pa­re e por­ta­re avan­ti una poli­ti­ca indipendente.
Inci­den­tal­men­te, non pos­sia­mo esi­mer­ci dall’osservare come alcu­ne del­le cita­zio­ni degli scrit­ti di Gram­sci, ripre­se nell’articolo che oggi pre­sen­tia­mo, paio­no atta­gliar­si signi­fi­ca­ti­va­men­te alla situa­zio­ne che l’Italia del 2019 sta vivendo.
Buo­na lettura.
La redazione

Gramsci e il fascismo

La posizione della piccola borghesia

 

Gil­ber­to Calil [*]

 

«L’esperienza sto­ri­ca non vale per i pic­co­li borghesi
che non cono­sco­no la storia […]
L’illusione è la gra­mi­gna più tena­ce del­la coscien­za collettiva;
la sto­ria inse­gna, ma non ha sco­la­ri»[1].

 

Una del­le carat­te­ri­sti­che fon­da­men­ta­li del fasci­smo nel­le sue diver­se espe­rien­ze sto­ri­che è il fat­to che, quan­tun­que si costi­tui­sca come espres­sio­ne degli inte­res­si del gran­de capi­ta­le (come è abbon­dan­te­men­te dimo­stra­to dal­le poli­ti­che con­cre­te dei regi­mi fasci­sti), la sua asce­sa è sospin­ta fon­da­men­tal­men­te da set­to­ri inter­me­di, e in par­ti­co­la­re la pic­co­la bor­ghe­sia. Que­sta carat­te­ri­sti­ca, che si osser­va oggi in manie­ra così niti­da nei dati dei son­dag­gi elet­to­ra­li (sep­pu­re dilui­ti nei cri­te­ri per “fasce di red­di­to” uti­liz­za­ti dagli isti­tu­ti demo­sco­pi­ci), come pure nel­la for­ma­zio­ne di mili­zie e grup­pi di azio­ne vio­len­ta, ven­ne riscon­tra­ta duran­te l’ascesa del nazi­smo da Wilhelm Reich, il qua­le, esa­mi­nan­do i dati elet­to­ra­li, dimo­strò il soste­gno mag­gio­ri­ta­rio del­la pic­co­la bor­ghe­sia urba­na e rura­le al nazi­smo[2], men­tre i lavo­ra­to­ri resta­va­no per­lo­più fede­li alla social­de­mo­cra­zia e ai comu­ni­sti. Allo stes­so modo, que­sto feno­me­no non pas­sò inos­ser­va­to nell’analisi di Gram­sci, come vedre­mo più avanti.
Nel­la tra­di­zio­ne mar­xi­sta, il ter­mi­ne “pic­co­la bor­ghe­sia” non sta a signi­fi­ca­re una bor­ghe­sia su sca­la ridot­ta, come il nome par­reb­be erro­nea­men­te sug­ge­ri­re, ma uno stra­to socia­le con carat­te­ri­sti­che par­ti­co­la­ri che com­por­ta­no un’insanabile con­trad­di­zio­ne: que­sto vasto stra­to socia­le, che riu­ni­sce pic­co­li com­mer­cian­ti, arti­gia­ni e pic­co­li pro­prie­ta­ri rura­li, ha in comu­ne con la bor­ghe­sia il fat­to di esse­re pro­prie­ta­rio, e con la clas­se lavo­ra­tri­ce il fat­to di aver biso­gno di impie­ga­re il pro­prio stes­so lavo­ro per poter vive­re. Da un lato, que­sti set­to­ri si iden­ti­fi­ca­no con la con­di­zio­ne di pro­prie­ta­ri, dal momen­to che han­no il con­trol­lo del­le risor­se pro­dut­ti­ve dal­le qua­li dipen­de la loro atti­vi­tà (sia essa un nego­zio, un risto­ran­te, un’officina o una pic­co­la azien­da agri­co­la). Dall’altro, al con­tra­rio del­la gran­de bor­ghe­sia, essi pos­so­no soprav­vi­ve­re – al pari dei lavo­ra­to­ri – gra­zie al loro stes­so lavo­ro (e, nel­la mag­gior par­te dei casi, anche al lavo­ro del­la pro­pria fami­glia). La loro pic­co­la atti­vi­tà, quand’anche uti­liz­zi alcu­ni lavo­ra­to­ri sala­ria­ti, non si svol­ge su sca­la suf­fi­cien­te­men­te ampia da poter per­met­te­re loro di vive­re sol­tan­to estraen­do plu­sva­lo­re dal lavo­ro altrui. Que­sta con­trad­dit­to­ria con­di­zio­ne deter­mi­na l’impossibilità di soste­ne­re un pro­get­to di socie­tà pro­prio e auto­no­mo (una socie­tà di pic­co­li pro­prie­ta­ri è tan­to ana­cro­ni­sti­ca che per­fi­no ideo­lo­gi­ca­men­te la sua effi­ca­cia è limi­ta­tis­si­ma), e dun­que la loro azio­ne poli­ti­ca si svi­lup­pa neces­sa­ria­men­te a rimor­chio di una del­le clas­si fon­da­men­ta­li: la bor­ghe­sia e i lavo­ra­to­ri. Il fasci­smo è rile­van­te pro­prio per­ché per­met­te sto­ri­ca­men­te di por­re la pic­co­la bor­ghe­sia al ser­vi­zio del­la gran­de bor­ghe­sia e, soprat­tut­to, di for­ma­re trup­pe d’assalto in dife­sa dei pro­pri interessi.
È impres­sio­nan­te l’attualità del­la defi­ni­zio­ne gram­scia­na sul signi­fi­ca­to del fasci­smo in un con­te­sto di cri­si eco­no­mi­ca e del ruo­lo del­la pic­co­la bor­ghe­sia al riguardo:

«Cos’è il fasci­smo, osser­va­to su sca­la inter­na­zio­na­le? È il ten­ta­ti­vo di risol­ve­re i pro­ble­mi di pro­du­zio­ne e di scam­bio con le mitra­glia­tri­ci e le revol­ve­ra­te. […] Si è crea­ta un’unità e simul­ta­nei­tà di cri­si nazio­na­li che ren­de appun­to aspris­si­ma e irre­mo­vi­bi­le la cri­si gene­ra­le. Ma esi­ste uno stra­to del­la popo­la­zio­ne in tut­ti i Pae­si – la pic­co­la e media bor­ghe­sia – che ritie­ne di poter risol­ve­re que­sti pro­ble­mi gigan­te­schi con le mitra­glia­tri­ci e le revol­ve­ra­te, e que­sto stra­to ali­men­ta il fasci­smo, dà gli effet­ti­vi al fasci­smo»[3].

Nel gen­na­io del 1921, Gram­sci osser­va­va il feno­me­no all’epoca nuo­vo del­la rea­liz­za­zio­ne di gran­di mani­fe­sta­zio­ni di piaz­za rea­zio­na­rie, e lo col­le­ga­va alla “per­di­ta di impor­tan­za del­la pic­co­la bor­ghe­sia”, che, allon­ta­na­ta «da ogni fun­zio­ne vita­le nel cam­po del­la pro­du­zio­ne», ten­ta­va di rea­gi­re a que­sto pro­ces­so «cerca[ndo] in ogni modo di con­ser­va­re una posi­zio­ne di ini­zia­ti­va sto­ri­ca: essa scim­mieg­gia la clas­se ope­ra­ia, scen­de in piaz­za»[4].
Il rife­ri­men­to al “popo­lo del­le scim­mie”, di cui alla rac­col­ta di novel­le Il libro del­la giun­gla, di Rudyard Kipling[5], offre a Gram­sci lo spun­to per un’acida ana­lo­gia sul sen­so di supe­rio­ri­tà di clas­se e di bru­ta­le incoe­ren­za dei discor­si mora­li­sti­ci del­la pic­co­la bor­ghe­sia: come acca­de per il «popo­lo del­le scim­mie, il qua­le cre­de di esse­re supe­rio­re a tut­ti gli altri popo­li del­la giun­gla, di pos­se­de­re tut­ta l’intelligenza, tut­ta l’intuizione sto­ri­ca, tut­to lo spi­ri­to rivo­lu­zio­na­rio, tut­ta la sapien­za di gover­no, ecc., ecc. Era avve­nu­to que­sto: la pic­co­la bor­ghe­sia, che si era asser­vi­ta al pote­re gover­na­ti­vo attra­ver­so la cor­ru­zio­ne par­la­men­ta­re, muta la for­ma del­la sua pre­sta­zio­ne d’opera, diven­ta anti­par­la­men­ta­re e cer­ca di cor­rom­pe­re la piaz­za»[6]. Curio­sa­men­te, tut­ta l’aggressività, la vio­len­za e il mili­ta­ri­smo del­la sua azio­ne, che vor­reb­be­ro espri­me­re for­za e poten­za, in real­tà espri­mo­no inve­ce pro­prio la sua inca­pa­ci­tà organica:

«Dopo aver cor­rot­to e rovi­na­to l’istituto par­la­men­ta­re, la pic­co­la bor­ghe­sia cor­rom­pe e rovi­na anche gli altri isti­tu­ti, i fon­da­men­ta­li soste­gni del­lo Sta­to: l’esercito, la poli­zia, la magi­stra­tu­ra. Cor­ru­zio­ne e rovi­na con­dot­te in pura per­di­ta, sen­za alcun fine pre­ci­so (l’unico fine pre­ci­so avreb­be dovu­to esse­re la crea­zio­ne di un nuo­vo Sta­to: ma il “popo­lo del­le scim­mie” è carat­te­riz­za­to appun­to dall’incapacità orga­ni­ca a dar­si una leg­ge, a fon­da­re uno Sta­to[7].

Al con­tem­po, la gran­de bor­ghe­sia rinun­cia a qual­sia­si vel­lei­tà demo­cra­ti­ca e ade­ri­sce alle­gra­men­te alla bar­ba­rie intro­dot­ta dal­le trup­pe d’assalto che il fasci­smo met­te a sua dispo­si­zio­ne: «La clas­se pro­prie­ta­ria ripe­te, nei riguar­di del pote­re ese­cu­ti­vo, lo stes­so erro­re che ave­va com­mes­so nei con­fron­ti del Par­la­men­to: cre­de di poter­si meglio difen­de­re dagli assal­ti del­la clas­se rivo­lu­zio­na­ria, abban­do­nan­do gli isti­tu­ti del suo Sta­to ai capric­ci iste­ri­ci del “popo­lo del­le scim­mie”, del­la pic­co­la bor­ghe­sia»[8].

Mus­so­li­ni alla Mar­cia su Roma (1922)

L’articolo era sta­to scrit­to qua­si due anni pri­ma del­la Mar­cia su Roma, pie­tra milia­re dell’ascesa del fasci­smo al pote­re, e per­ciò è par­ti­co­lar­men­te inte­res­san­te osser­va­re quan­to Gram­sci aves­se chia­ra l’autentica impo­ten­za che carat­te­riz­za­va la pic­co­la bor­ghe­sia, cre­scen­te­men­te subor­di­na­ta sog­get­ti­va­men­te ed ogget­ti­va­men­te al gran­de capi­ta­le, a dispet­to del ten­ta­ti­vo di dis­si­mu­la­re que­sta subor­di­na­zio­ne die­tro le pisto­let­ta­te o i pro­cla­mi “con­tro l’ordine costi­tui­to”. Il suo bilan­cio è devastante:

«La pic­co­la bor­ghe­sia, anche in que­sta sua ulti­ma incar­na­zio­ne poli­ti­ca del “fasci­smo”, si è defi­ni­ti­va­men­te mostra­ta nel­la sua vera natu­ra di ser­va del capi­ta­li­smo e del­la pro­prie­tà ter­rie­ra, di agen­te del­la con­tro­ri­vo­lu­zio­ne. Ma ha anche dimo­stra­to di esse­re fon­da­men­tal­men­te inca­pa­ce a svol­ge­re un qual­sia­si com­pi­to sto­ri­co: il popo­lo del­le scim­mie riem­pie la cro­na­ca, non crea sto­ria, lascia trac­cia nel gior­na­le, non offre mate­ria­li per scri­ve­re libri. La pic­co­la bor­ghe­sia, dopo aver rovi­na­to il Par­la­men­to, sta rovi­nan­do lo Sta­to bor­ghe­se: essa sosti­tui­sce, in sem­pre più lar­ga sca­la, la vio­len­za pri­va­ta alla “auto­ri­tà” del­la leg­ge, eser­ci­ta (e non può fare altri­men­ti) que­sta vio­len­za cao­ti­ca­men­te, bru­tal­men­te, e fa sol­le­va­re con­tro lo Sta­to, con­tro il capi­ta­li­smo, sem­pre più lar­ghi stra­ti del­la popo­la­zio­ne»[9].

Se l’ultima fra­se espri­me­va “l’ottimismo del­la volon­tà” di Gram­sci rispet­to alla pos­si­bi­li­tà di scon­fig­ge­re il fasci­smo attra­ver­so la rea­liz­za­zio­ne del­la rivo­lu­zio­ne socia­li­sta, la restan­te par­te del­la cita­zio­ne asso­mi­glia ter­ri­bil­men­te al pro­ces­so che stia­mo viven­do in Bra­si­le. Fino a poco tem­po fa pote­va­mo evi­den­zia­re che anco­ra non appa­ri­va evi­den­te la costi­tu­zio­ne di una base mili­tan­te orga­niz­za­ta nel­la for­ma di trup­pa d’assalto e l’aumento del­la vio­len­za che la carat­te­riz­za. Non è più pos­si­bi­le ave­re la stes­sa cer­tez­za, sic­ché è urgen­te rico­no­sce­re il feno­me­no del fasci­smo, gli ele­men­ti che lo iden­ti­fi­ca­no e l’esigenza imme­dia­ta di affrontarlo.

 

[*] Gil­ber­to Calil è Dot­to­re di ricer­ca in Sto­ria all’Università Fede­ra­le Flu­mi­nen­se (Uff) ed è docen­te del cor­so di Sto­ria e del Pro­gram­ma di Dot­to­ra­to in Sto­ria dell’Università Sta­ta­le del Para­nà occi­den­ta­le (UniOe­ste). È com­po­nen­te del Grup­po di ricer­ca Sto­ria e Pote­re. È auto­re, tra gli altri libri, di Inte­gra­li­smo ed ege­mo­nia bor­ghe­se (EdU­niOe­ste, 2011) ed effet­tua ricer­che su Sta­to, Pote­re, Destra, Ege­mo­nia, Dit­ta­tu­ra e Fascismo.


Note

[1] Gram­sci, Anto­nio. “Itá­lia e Espa­n­ha”. In: Escri­tos Polí­ti­cos. Volu­me 2, 1921–1926. Rio de Janei­ro: Civi­li­zação Bra­si­lei­ra, p. 48.
[2] Reich, Wilhelm. Psi­co­lo­gia de mas­sas do fasci­smo. São Pau­lo: Mar­tins Fon­tes, 2001.
[3] Gram­sci, “Itá­lia e Espa­n­ha”. In: Escri­tos Polí­ti­cos, op. cit., pp. 46‑477 (il gras­set­to è mio).
[4] Gram­sci, “O Povo dos Maca­cos”. In: Escri­tos Polí­ti­cos, op. cit., p. 31.
[5] Kipling, Rudyard. O livro da sel­va: as histó­rias de Mow­gli. São Pau­lo: Sci­pio­ne, 2009. L’edizione ori­gi­na­le è del 1894.
[6] Gram­sci, Anto­nio. “O Povo dos Maca­cos”. In: Escri­tos Polí­ti­cos, op. cit., p. 31–32.
[7] Idem, p. 32 (il gras­set­to è mio).
[8] Idem, p. 33.
[9] Idem, p. 34.

(Tra­du­zio­ne di Vale­rio Torre)