Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

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Stati Uniti e Israele contro l’Iran: pausa tattica, non cessate il fuoco

Il presidente iraniano Masoud Pezeshkian (Copyright 2025 The Associated Press)

Dopo l’ag­gres­sio­ne israe­lia­na all’I­ran, la pode­ro­sa rispo­sta mili­ta­re di Tehe­ran allo Sta­to sio­ni­sta e la pan­to­mi­ma del­l’in­ter­ven­to sta­tu­ni­ten­se, il con­flit­to sem­bra esser­si per ora fermato.
Ma, come sostie­ne Dar­rin Wal­ler nel­l’ar­ti­co­lo che pre­sen­tia­mo tra­dot­to in ita­lia­no ai nostri let­to­ri, non si trat­ta nean­che di un ces­sa­te il fuo­co, ben­sì di una pau­sa tat­ti­ca dovu­ta alla “sor­pre­sa” che l’i­nu­si­ta­ta resi­sten­za ira­nia­na ha pro­vo­ca­to nel gover­no di Tel Aviv, inca­pa­ce di pro­se­gui­re una guer­ra di logo­ra­men­to e sul­l’or­lo di un crol­lo poli­ti­co e sociale.
Non è imma­gi­na­bi­le che Trump e Neta­nya­hu rinun­ci­no ai loro pia­ni, ma per il momen­to han­no dovu­to ripie­ga­re, anche per l’in­ca­pa­ci­tà di Washing­ton di gesti­re più fron­ti sul­lo sce­na­rio internazionale.
Buo­na lettura.
La redazione

Stati Uniti e Israele contro l’Iran: pausa tattica, non cessate il fuoco


La guer­ra potreb­be inter­rom­per­si, ma i suoi obiet­ti­vi riman­go­no inva­ria­ti: cam­bio di regi­me, con­te­ni­men­to e con­trol­lo dell’Eurasia


Dar­rin Waller

 

Ho capi­to male.
Il rin­vio di due set­ti­ma­ne annun­cia­to da Trump per il bom­bar­da­men­to del­l’I­ran si è rive­la­to non un rin­vio, ben­sì un altro stra­ta­gem­ma. Israe­le sem­pli­ce­men­te non pote­va resi­ste­re per altri 14 gior­ni sot­to un inces­san­te bom­bar­da­men­to di mis­si­li bali­sti­ci. Trump non ave­va scel­ta: Israe­le sta­va crollando.
Il bom­bar­da­men­to degli impian­ti nuclea­ri ira­nia­ni – e gli attac­chi di rap­pre­sa­glia di Tehe­ran con­tro la base aerea di Al Udeid in Qatar – sono sta­ti in gran par­te un’a­zio­ne per­for­ma­ti­va. Sta­ti Uni­ti e Iran han­no tele­gra­fa­to le loro mos­se, eva­cua­to gli obiet­ti­vi in anti­ci­po, e i dan­ni sem­bra­no mol­to infe­rio­ri a quan­to dichia­ra­to da entram­be le parti.
Israe­le ha chie­sto un ces­sa­te il fuo­co e Washing­ton si è rivol­ta al Qatar per con­vin­ce­re Tehe­ran ad accet­tar­lo. L’I­ran ave­va chia­ri­to fin dal­l’i­ni­zio che avreb­be ces­sa­to le osti­li­tà quan­do Israe­le lo aves­se fatto.
Trump ha annun­cia­to la tre­gua a mez­za­not­te di lune­dì, sca­te­nan­do tito­li che reci­ta­va­no: “L’I­ran esce vit­to­rio­so dal­l’ag­gres­sio­ne israe­lia­na al suo territorio”.
Gli obiet­ti­vi di guer­ra dichia­ra­ti e non dichia­ra­ti di Washing­ton e Geru­sa­lem­me Ove­st sono fal­li­ti. Il pro­gram­ma nuclea­re ira­nia­no rima­ne intat­to. L’I­ran sta pro­ce­den­do alla sospen­sio­ne del­le ispe­zio­ni del­l’A­IEA e fino a 400 chi­li di ura­nio alta­men­te arric­chi­to risul­ta­no ora scom­par­si.
Le linee di pro­du­zio­ne mis­si­li­sti­ca sono anco­ra ope­ra­ti­ve e il gover­no ira­nia­no non è crol­la­to, nono­stan­te l’as­sas­si­nio mira­to di mol­ti alti fun­zio­na­ri. Anzi, gli ira­nia­ni si sono schie­ra­ti a soste­gno del­la loro leadership.
La real­tà dei fat­ti? Israe­le sta­va esau­ren­do gli inter­cet­to­ri mis­si­li­sti­ci. La sua base indu­stria­le, le infra­strut­tu­re ener­ge­ti­che, i por­ti e le instal­la­zio­ni mili­ta­ri era­no sem­pre più degra­da­te. Men­tre l’I­ran è un gran­de sta­to autar­chi­co con una capa­ci­tà indu­stria­le avan­za­ta – in gra­do di assor­bi­re meglio un con­flit­to pro­lun­ga­to – Israe­le non ha quel­la pro­fon­di­tà stra­te­gi­ca. Det­to sen­za mez­zi ter­mi­ni, Israe­le ha esau­ri­to le sue risor­se: e ave­va biso­gno del ces­sa­te il fuo­co più del­l’I­ran.
Trump ha dovu­to inol­tre affron­ta­re un’e­nor­me pres­sio­ne da par­te del­la sua stes­sa base MAGA affin­ché non ini­zias­se un’al­tra guer­ra sen­za fine. La pro­spet­ti­va che l’I­ran repli­cas­se il model­lo yeme­ni­ta a Hor­muz – ricor­ren­do a un’in­ter­ru­zio­ne selet­ti­va anzi­ché a una chiu­su­ra tota­le – rap­pre­sen­ta­va un serio rischio di insta­bi­li­tà del mer­ca­to glo­ba­le. Ave­va biso­gno di una stra­te­gia di usci­ta. Come ho ipo­tiz­za­to in un post pre­ce­den­te: «Può lan­cia­re attac­chi per­for­ma­ti­vi, pro­cla­ma­re la vit­to­ria e andar­se­ne?».
Ebbe­ne, l’ha fat­to, facen­do deci­sa­men­te mar­cia indie­tro. Pochi minu­ti pri­ma del­l’i­ni­zio del­la tre­gua non uffi­cia­le, l’I­ran ha lan­cia­to pesan­ti attac­chi mis­si­li­sti­ci su Beer­she­ba, Tel Aviv e Geru­sa­lem­me. Il mes­sag­gio era chia­ro: «Ave­te ini­zia­to voi. Lo fini­re­mo noi. Se per voi va bene, abbia­mo una tre­gua. Altri­men­ti, continuiamo».
Il pre­si­den­te ira­nia­no Masoud Peze­sh­kian ha affermato:

«Israe­le e i suoi soste­ni­to­ri con­ta­va­no di fomen­ta­re il mal­con­ten­to tra il popo­lo ira­nia­no … Gli israe­lia­ni non sono riu­sci­ti a rag­giun­ge­re gli obiet­ti­vi del­la loro aggres­sio­ne con­tro l’Iran … L’I­ran non vio­le­rà il ces­sa­te il fuo­co a meno che non lo fac­cia Israe­le … Tehe­ran è pron­ta al dia­lo­go e a difen­de­re i dirit­ti del popo­lo ira­nia­no al tavo­lo del­le trat­ta­ti­ve».

Que­sto ces­sa­te il fuo­co dovreb­be esse­re visto per quel­lo che pro­ba­bil­men­te è: una pau­sa tat­ti­ca, non una pace dura­tu­ra. Le ope­ra­zio­ni di cam­bio di regi­me con­tro l’I­ran con­ti­nue­ran­no, aper­ta­men­te o segre­ta­men­te. Entram­be le par­ti impa­re­ran­no da que­sto con­flit­to e si adat­te­ran­no di conseguenza.
Israe­le si è dimo­stra­to agi­le, spie­ta­to, extra­giu­di­zia­le: “il più pro­li­fi­co pra­ti­can­te di omi­ci­di come tec­ni­ca di gover­no nel­la sto­ria”. Ma man­ca di pro­fon­di­tà stra­te­gi­ca e fa affi­da­men­to qua­si esclu­si­va­men­te sul soste­gno ame­ri­ca­no per con­dur­re la guer­ra. E Trump ha chia­ra­men­te respin­to – per ora – l’ap­pel­lo di Neta­nya­hu all’A­me­ri­ca di impe­gnar­si a fon­do in una guer­ra su vasta sca­la con l’Iran.

E ades­so?
Entram­be le par­ti si riorganizzeranno.
L’I­ran si tro­va ad affron­ta­re urgen­ti sfi­de per la sicu­rez­za inter­na, tra cui reti estre­mi­ste soste­nu­te dal­l’e­ste­ro. Cina e Rus­sia offro­no non solo sup­por­to poli­ti­co, ma anche stru­men­ti avan­za­ti di con­tro­spio­nag­gio e infra­strut­tu­re digi­ta­li per indi­vi­dua­re, infil­trar­si e sman­tel­la­re que­ste minac­ce per pro­cu­ra.
Tehe­ran si tro­va anche ad affron­ta­re una que­stio­ne più ampia: se con­cor­da­re un pat­to di dife­sa com­ple­to con la Rus­sia. Putin ha recen­te­men­te rive­la­to di aver­ne pro­po­sto uno, ma l’I­ran ha esi­ta­to, temen­do di com­pro­met­te­re la pro­pria indi­pen­den­za e ricor­dan­do la sua sto­ri­ca cau­te­la nei con­fron­ti del­le inten­zio­ni russe.
La vera posta in gio­co geo­po­li­ti­ca rica­de su Pechi­no e Mosca. Posi­zio­na­to nel cuo­re del­l’Eu­ra­sia, l’I­ran svol­ge un ruo­lo cen­tra­le nel­la tran­si­zio­ne glo­ba­le ver­so il mul­ti­po­la­ri­smo. Le mos­se che mira­no a un cam­bio di regi­me con­tro l’I­ran – abbi­na­te a ini­zia­ti­ve come il Cor­ri­do­io di Zan­ge­zur – sono ampia­men­te inter­pre­ta­te come un espan­sio­ni­smo del­la NATO in atto, che sfi­da diret­ta­men­te gli inte­res­si stra­te­gi­ci cine­si e russi.
Seb­be­ne non sia for­mal­men­te soste­nu­to dal­la NATO, il cor­ri­do­io rien­tra in una più ampia stra­te­gia occi­den­ta­le vol­ta a esten­de­re la pro­pria influen­za nel Cau­ca­so e nel­l’A­sia cen­tra­le, gui­da­ta da allea­ti come la Tur­chia e l’A­zer­bai­gian e sup­por­ta­ta da part­ner come Israe­le e gli Sta­ti Uniti.
Quest’iniziativa minac­cia la sovra­ni­tà regio­na­le inva­den­do il con­fi­ne meri­dio­na­le del­la Rus­sia e la regio­ne cine­se del­lo Xin­jiang, dove per­man­go­no for­ti timo­ri di sepa­ra­ti­smo soste­nu­to dall’estero.
Per la Rus­sia, il cor­ri­do­io inde­bo­li­sce la sua pre­sa sul Cau­ca­so, una regio­ne che essa con­si­de­ra il suo “cor­ti­le di casa”. Per la Cina, sol­le­va allar­mi per l’in­sta­bi­li­tà e le inter­fe­ren­ze lun­go il suo con­fi­ne occidentale.
La sto­ria ci inse­gna che i ces­sa­te il fuo­co rara­men­te reg­go­no. Spes­so non sono con­clu­sio­ni defi­ni­ti­ve, ma pau­se: come il respi­ro pri­ma del col­po suc­ces­si­vo. A meno che non ci sia un “gran­de pat­to” più ampio tra le “Gran­di Poten­ze” – Ame­ri­ca, Cina e Rus­sia – aspet­ta­te­vi di più di quan­to acca­du­to, con i civi­li che subi­ran­no il peso del­le futu­re escalation.
Que­sto sche­ma rie­cheg­gia ciò che Ibn Khal­dun, il col­to scien­zia­to del XIV seco­lo, noto per il suo lavo­ro pio­nie­ri­sti­co sul­l’a­sce­sa e il decli­no del­le civil­tà, descris­se seco­li fa: la natu­ra cicli­ca del pote­re, in cui gli Sta­ti si ele­va­no gra­zie all’u­ni­tà e allo slan­cio, per poi inde­bo­lir­si dal­l’in­ter­no, attra­ver­so l’ec­ces­so, la stan­chez­za e l’e­ro­sio­ne del­la volon­tà collettiva.
L’at­tua­le tre­gua potreb­be offri­re una pau­sa, ma non por­te­rà la pace fin­ché le gran­di poten­ze non arri­ve­ran­no alla resa dei con­ti o allo sfi­ni­men­to: le due for­ze che Ibn Khal­dun vede­va come gli ine­vi­ta­bi­li pun­ti di svol­ta del­la storia.
L’I­ran è il cam­po di bat­ta­glia pre­scel­to, dove si com­bat­te per il futu­ro, mol­to pri­ma che arrivi.


(Tra­du­zio­ne dal­l’in­gle­se di Erne­sto Russo)