Dopo l’aggressione israeliana all’Iran, la poderosa risposta militare di Teheran allo Stato sionista e la pantomima dell’intervento statunitense, il conflitto sembra essersi per ora fermato.
Ma, come sostiene Darrin Waller nell’articolo che presentiamo tradotto in italiano ai nostri lettori, non si tratta neanche di un cessate il fuoco, bensì di una pausa tattica dovuta alla “sorpresa” che l’inusitata resistenza iraniana ha provocato nel governo di Tel Aviv, incapace di proseguire una guerra di logoramento e sull’orlo di un crollo politico e sociale.
Non è immaginabile che Trump e Netanyahu rinuncino ai loro piani, ma per il momento hanno dovuto ripiegare, anche per l’incapacità di Washington di gestire più fronti sullo scenario internazionale.
Buona lettura.
La redazione
Stati Uniti e Israele contro l’Iran: pausa tattica, non cessate il fuoco
La guerra potrebbe interrompersi, ma i suoi obiettivi rimangono invariati: cambio di regime, contenimento e controllo dell’Eurasia
Darrin Waller
Ho capito male.
Il rinvio di due settimane annunciato da Trump per il bombardamento dell’Iran si è rivelato non un rinvio, bensì un altro stratagemma. Israele semplicemente non poteva resistere per altri 14 giorni sotto un incessante bombardamento di missili balistici. Trump non aveva scelta: Israele stava crollando.
Il bombardamento degli impianti nucleari iraniani – e gli attacchi di rappresaglia di Teheran contro la base aerea di Al Udeid in Qatar – sono stati in gran parte un’azione performativa. Stati Uniti e Iran hanno telegrafato le loro mosse, evacuato gli obiettivi in anticipo, e i danni sembrano molto inferiori a quanto dichiarato da entrambe le parti.
Israele ha chiesto un cessate il fuoco e Washington si è rivolta al Qatar per convincere Teheran ad accettarlo. L’Iran aveva chiarito fin dall’inizio che avrebbe cessato le ostilità quando Israele lo avesse fatto.
Trump ha annunciato la tregua a mezzanotte di lunedì, scatenando titoli che recitavano: “L’Iran esce vittorioso dall’aggressione israeliana al suo territorio”.
Gli obiettivi di guerra dichiarati e non dichiarati di Washington e Gerusalemme Ovest sono falliti. Il programma nucleare iraniano rimane intatto. L’Iran sta procedendo alla sospensione delle ispezioni dell’AIEA e fino a 400 chili di uranio altamente arricchito risultano ora scomparsi.
Le linee di produzione missilistica sono ancora operative e il governo iraniano non è crollato, nonostante l’assassinio mirato di molti alti funzionari. Anzi, gli iraniani si sono schierati a sostegno della loro leadership.
La realtà dei fatti? Israele stava esaurendo gli intercettori missilistici. La sua base industriale, le infrastrutture energetiche, i porti e le installazioni militari erano sempre più degradate. Mentre l’Iran è un grande stato autarchico con una capacità industriale avanzata – in grado di assorbire meglio un conflitto prolungato – Israele non ha quella profondità strategica. Detto senza mezzi termini, Israele ha esaurito le sue risorse: e aveva bisogno del cessate il fuoco più dell’Iran.
Trump ha dovuto inoltre affrontare un’enorme pressione da parte della sua stessa base MAGA affinché non iniziasse un’altra guerra senza fine. La prospettiva che l’Iran replicasse il modello yemenita a Hormuz – ricorrendo a un’interruzione selettiva anziché a una chiusura totale – rappresentava un serio rischio di instabilità del mercato globale. Aveva bisogno di una strategia di uscita. Come ho ipotizzato in un post precedente: «Può lanciare attacchi performativi, proclamare la vittoria e andarsene?».
Ebbene, l’ha fatto, facendo decisamente marcia indietro. Pochi minuti prima dell’inizio della tregua non ufficiale, l’Iran ha lanciato pesanti attacchi missilistici su Beersheba, Tel Aviv e Gerusalemme. Il messaggio era chiaro: «Avete iniziato voi. Lo finiremo noi. Se per voi va bene, abbiamo una tregua. Altrimenti, continuiamo».
Il presidente iraniano Masoud Pezeshkian ha affermato:
«Israele e i suoi sostenitori contavano di fomentare il malcontento tra il popolo iraniano … Gli israeliani non sono riusciti a raggiungere gli obiettivi della loro aggressione contro l’Iran … L’Iran non violerà il cessate il fuoco a meno che non lo faccia Israele … Teheran è pronta al dialogo e a difendere i diritti del popolo iraniano al tavolo delle trattative».
Questo cessate il fuoco dovrebbe essere visto per quello che probabilmente è: una pausa tattica, non una pace duratura. Le operazioni di cambio di regime contro l’Iran continueranno, apertamente o segretamente. Entrambe le parti impareranno da questo conflitto e si adatteranno di conseguenza.
Israele si è dimostrato agile, spietato, extragiudiziale: “il più prolifico praticante di omicidi come tecnica di governo nella storia”. Ma manca di profondità strategica e fa affidamento quasi esclusivamente sul sostegno americano per condurre la guerra. E Trump ha chiaramente respinto – per ora – l’appello di Netanyahu all’America di impegnarsi a fondo in una guerra su vasta scala con l’Iran.
E adesso?
Entrambe le parti si riorganizzeranno.
L’Iran si trova ad affrontare urgenti sfide per la sicurezza interna, tra cui reti estremiste sostenute dall’estero. Cina e Russia offrono non solo supporto politico, ma anche strumenti avanzati di controspionaggio e infrastrutture digitali per individuare, infiltrarsi e smantellare queste minacce per procura.
Teheran si trova anche ad affrontare una questione più ampia: se concordare un patto di difesa completo con la Russia. Putin ha recentemente rivelato di averne proposto uno, ma l’Iran ha esitato, temendo di compromettere la propria indipendenza e ricordando la sua storica cautela nei confronti delle intenzioni russe.
La vera posta in gioco geopolitica ricade su Pechino e Mosca. Posizionato nel cuore dell’Eurasia, l’Iran svolge un ruolo centrale nella transizione globale verso il multipolarismo. Le mosse che mirano a un cambio di regime contro l’Iran – abbinate a iniziative come il Corridoio di Zangezur – sono ampiamente interpretate come un espansionismo della NATO in atto, che sfida direttamente gli interessi strategici cinesi e russi.
Sebbene non sia formalmente sostenuto dalla NATO, il corridoio rientra in una più ampia strategia occidentale volta a estendere la propria influenza nel Caucaso e nell’Asia centrale, guidata da alleati come la Turchia e l’Azerbaigian e supportata da partner come Israele e gli Stati Uniti.
Quest’iniziativa minaccia la sovranità regionale invadendo il confine meridionale della Russia e la regione cinese dello Xinjiang, dove permangono forti timori di separatismo sostenuto dall’estero.
Per la Russia, il corridoio indebolisce la sua presa sul Caucaso, una regione che essa considera il suo “cortile di casa”. Per la Cina, solleva allarmi per l’instabilità e le interferenze lungo il suo confine occidentale.
La storia ci insegna che i cessate il fuoco raramente reggono. Spesso non sono conclusioni definitive, ma pause: come il respiro prima del colpo successivo. A meno che non ci sia un “grande patto” più ampio tra le “Grandi Potenze” – America, Cina e Russia – aspettatevi di più di quanto accaduto, con i civili che subiranno il peso delle future escalation.
Questo schema riecheggia ciò che Ibn Khaldun, il colto scienziato del XIV secolo, noto per il suo lavoro pionieristico sull’ascesa e il declino delle civiltà, descrisse secoli fa: la natura ciclica del potere, in cui gli Stati si elevano grazie all’unità e allo slancio, per poi indebolirsi dall’interno, attraverso l’eccesso, la stanchezza e l’erosione della volontà collettiva.
L’attuale tregua potrebbe offrire una pausa, ma non porterà la pace finché le grandi potenze non arriveranno alla resa dei conti o allo sfinimento: le due forze che Ibn Khaldun vedeva come gli inevitabili punti di svolta della storia.
L’Iran è il campo di battaglia prescelto, dove si combatte per il futuro, molto prima che arrivi.
(Traduzione dall’inglese di Ernesto Russo)