Presentiamo ai nostri lettori un’acuta analisi del quadro economico‑politico entro il quale si sta dipanando lo scenario della guerra in Ucraina, scatenata dall’invasione da parte della Russia di Putin.
Ringraziamo i compagni del Collettivo Marxpedia che ci hanno autorizzato a riproporre il loro testo, che condividiamo totalmente.
Buona lettura.
La redazione
La guerra del gas
Marxpedia
L’esercito russo è ormai alle porte di Kiev. La guerra impazza sul piano militare e propagandistico. Le truppe russe denunciano gli ucraini per usare i civili come scudi umani, quelle ucraine replicano le stesse accuse[1]. Poiché la guerra è la più complessa delle equazioni, non è possibile prevedere in anticipo quali saranno gli esiti militari di questa invasione. È d’altronde un aspetto importante ma non necessariamente quello decisivo. Il governo Zelensky potrebbe sopravvivere o cadere “sotto il fuoco del combattimento”. I russi potrebbero permanere in Ucraina o dividerla.
Il Donbass potrebbe essere annesso fino a Mariupol. Certamente Putin si è spinto troppo in là per fare marcia indietro senza portare a casa nulla per la propria politica patriottica. La stessa ondata repressiva che sta interessando il fronte interno non lo consentirebbe. Le stesse sanzioni, che sono disegnate per non colpire l’esportazione di gas verso l’occidente, puntano chiaramente però a portare la Russia sull’orlo del default. La svalutazione del rublo avrà un pesante impatto sui titoli di stato russi. E questi ultimi sono la sola garanzia formale, dal punto di vista del mercato, della tenuta finanziaria del Paese.
Vista dall’alto, questa guerra è destinata a scombinare l’assetto del capitalismo nella regione e a influire profondamente su quello mondiale. La Cina è interessata ad avviare consultazioni sulla pace proprio per evitare che questo assetto venga eccessivamente sconvolto. Ha dato garanzie al capitalismo russo di tamponare commercialmente l’effetto delle sanzioni. In un certo senso Xi Jinping è grato a Putin di avere fatto il lavoro sporco anti-NATO per loro. Ma anche questo ha un limite per il fragile equilibrio del capitalismo mondiale[2].
Dopo i paesi dell’est Europa, Italia e Germania sono i paesi più dipendenti dal gas russo. Ne importano rispettivamente il 40% e il 51%[3]. Né il primo ministro italiano Draghi né il cancelliere tedesco Scholz sono nelle condizioni di ovviare a questa dipendenza con uno schiocco di dita. Un capitalismo debole, dipendente dai combustibili fossili, svela ora tutta la propria fragilità. Questo spiega perché la Germania sia contraria a qualsiasi sanzione colpisca l’export di gas russo.
La guerra in Ucraina è dunque anche una guerra per il controllo dei mercati del gas. Le potenze imperialiste di tutto il mondo hanno sbudellato il pianeta per estrarre energia fossile. Uno scontro geopolitico globale è in corso per l’accaparramento dei mercati. Semplicemente quanto non è più regolabile attraverso le ritorsioni economiche e il protezionismo, si esprime ora sotto forma di scontro armato.
L’Ucraina è afflitta da una guerra imperialista non solo perché è invasa dai carri armati ma anche perché sulla sua integrità si gioca uno scontro per il dominio dei mercati delle materie prime, in particolare del gas. Da tempo la Casa Bianca ha avviato un programma di indipendenza energetica. Si è costruita una posizione come terzo paese esportatore di gas liquido[4] attraverso il devastante metodo del fracking. Il suo obiettivo naturale è il mercato europeo. L’espansione della NATO ad est ha preparato questa conquista e dialetticamente se ne pone a difesa.
Viceversa, il capitalismo russo non è stato a guardare. Come ha subìto rivoluzioni colorate e l’espansione dell’alleanza atlantica alle sue porte, così ha acquisito, affare dopo affare, il controllo di un settore della socialdemocrazia tedesca per la propria espansione in Europa. E questo è uno degli aspetti chiave per una maturazione del movimento per la pace da movimento d’opinione a mobilitazione di classe.
Una socialdemocrazia in contanti[5]
Gerard Schroeder è stato cancelliere tedesco dal 1998 al 2005. Nel dicembre 2005 è diventato Presidente del consiglio di sorveglianza della Rosfnet, il colosso russo del petrolio guidato da Igor Secin, tra i consiglieri di Putin. La Rosfnet ha la maggioranza delle azioni di Gazprom. Nel 2006 è diventato anche presidente del Comitato degli azionisti della North Stream Ag, azienda con sede in Svizzera che ha costruito il North Stream 1, il primo gasdotto Russia-Germania che passa per il Mar Baltico. L’azionista di maggioranza di North Stream Ag è la Gazprom.Nel 2014 il ministro dell’economia socialdemocratico Sigmar Gabriel ha autorizzato la vendita a Gazprom della più grande centrale di stoccaggio di gas naturale tedesco. Nel gennaio 2020 Dieter Haller, ambasciatore tedesco in pensione, fedelissimo di Schroeder, voleva diventare Presidente del consiglio di sorveglianza della North Stream 2 Ag, l’azienda titolata alla costruzione dell’omonimo gasdotto.
Con Gazprom collabora direttamente la E.On, azienda tedesca che concentra i principali fornitori di gas ed energia elettrica. La E.On è stata creata dal ministero dell’economia tedesca su pressione di Alfred Tacke, sottosegretario della Spd durante la presidenza Schroeder e tra i suoi fedelissimi. Lo stesso ministro socialdemocratico dell’economia Wolgang Clement è diventato direttamente Presidente del consiglio di sorveglianza di RWE, azienda di gestione delle forniture elettriche in Germania.
Nel 2017 gli Stati Uniti hanno votato delle sanzioni che colpissero finanziariamente tutte le aziende implicate nella costruzione di questo gasdotto. La North Stream 2 Ag, società controllata direttamente da Gazprom che gestisce la costruzione e la gestione dell’omonimo gasdotto, ha proposto, finanziato e concluso la formazione di una fondazione che aggirasse gli effetti di queste sanzioni. Gazprom ha fornito inizialmente 20 milioni di euro, ma l’esborso arriverà ai 60 milioni. È come se il capitalismo russo avesse detto alle aziende implicate nella costruzione del gasdotto: ripagheremo noi ciò che vi toglieranno gli Stati Uniti.
Nel gennaio 2021 il land del Meclemburgo Pomerania Anteriore, dove terminano le condutture di entrambi i gasdotti, ha votato l’approvazione della fondazione all’unanimità. Erwin Sellering, capo dei consiglieri di Schroeder quando era cancelliere, è stato eletto presidente della fondazione incaricata.
È dello stesso periodo il tentativo del cancelliere tedesco Olaf Scholz di avviare una trattativa con gli Stati Uniti per investire un miliardo di euro nella costruzione di un rigassificatore per il metano liquido ottenuto dal fracking. In cambio chiedeva la fine delle sanzioni contro il North Stream 2. Dopo il Qatar, gli Stati Uniti sono il secondo paese esportatore di metano liquido sul pianeta. Sono il diretto concorrente della Russia per la fornitura di gas in Europa.
Il ruolo dell’SPD tedesco nello sviluppo del capitalismo russo non stupisce. La socialdemocrazia è il cavallo di Troia della borghesia nel movimento operaio. I loro dirigenti, Schroeder ne è solo un esempio, sono sul libro-paga dei padroni dopo averne rappresentato gli interessi al governo. Il fatto che commercino in rubli e non in dollari riflette solo la scelta di chi paghi di più.
D’altronde, la socialdemocrazia si esprime attraverso un paradosso: si basa storicamente sui lavoratori, ma non vede la società dal loro punto di vista. È stata creata dalla pressione del movimento operaio per organizzarsi, ma il riformismo delle sue direzioni è il riflesso nel regno delle idee di una corruzione in denaro contante. Dalla caduta del muro di Berlino, la parabola della socialdemocrazia europea ha avuto un decorso lineare: PDS italiano, Partito laburista, inglese, PSOE spagnolo, PSF francese, SPD tedesca sono state pacifiste quando dovevano essere pacifiste e guerrafondaie quando conveniva agli interessi imperialistici dei propri paesi. Così l’SPD tedesco poteva rivendicare la scissione criminale della Slovenia nel 1991 negli interessi dell’imperialismo di Berlino tanto quanto i DS italiani potevano bombardare Belgrado nel 1999 negli interessi del nostro imperialismo.
È evidente che l’imperialismo americano accarezza l’idea di triplicare le forniture di gas liquido all’Europa. Questa è l’altra metà di questa guerra e per certi aspetti la sua essenza più pura. Il panico dei governi del continente li sta spingendo a cercare alternative alla fornitura russa, sebbene le sanzioni siano state formulate per risparmiare ipocritamente Gazprombank. Il ministro Di Maio è volato in Qatar, Draghi e Cingolani stanno pianificando il raddoppio dei rigassificatori e della TAP, che porta il gas in Puglia dall’Azerbaijan. La borghesia tedesca ha riavviato un dibattito sul nucleare.
Il ritorno al carbone e la costruzione di rigassificatori per sfruttare il gas liquido estratto col fracking, una tecnica distruttiva e molto nociva per l’ambiente, ci dicono che esiste una terza vittima di questa guerra: non solo i lavoratori russi e ucraini, ma il pianeta stesso. Come ha dichiarato al Corriere della sera del 7 marzo il presidente di Confindustria Bonomi “bisogna rinviare gli obiettivi della transizione ecologica”.
Quale pace?
Per Putin sarà sempre più difficile vincere la resistenza ucraina senza “danni collaterali”. L’esercito russo deve ora stringere su Kiev e fa intervenire l’aviazione, finora rimasta inerte per permettere all’esercito di terra di posizionarsi e limitare il più possibile la pressione sulla popolazione civile. Al netto della propaganda, è abbastanza evidente che finora il Cremlino ha cercato di evitare un eccidio.
Finora c’è stata una sproporzione tra i mezzi impiegati e la conta più o meno ufficiale dei morti. Ma questa è destinata inevitabilmente a salire, in parte perché non è possibile conquistare militarmente un paese senza spargimento di sangue, in parte perché le formazioni di estrema destra che compongono parte della resistenza ucraina opporranno una resistenza disperata. D’altronde, per ovvie ragioni di propaganda, Putin dovrà dimostrare di averle annullate. Dovrà portare qualche testa in pasto alla propria opinione pubblica.
L’appello di Zelensky a raggiungere l’Ucraina per combattere è stato raccolto prevalentemente da milizie nazionaliste. Perfino il Corriere ammette che il paese potrebbe essere stato raggiunto da più di 15mila mercenari, molti dei quali affiliati a bande fasciste[6].
Se lo stallo diplomatico raggiungesse un livello parossistico, il cinismo dell’imperialismo americano ed europeo potrebbe essere tale da spingere Zelensky alle dimissioni per permettere a Putin di portare a casa questa conquista insieme a quelle militari. Ma è tutto da vedere che questo basti all’imperialismo russo e che i fanatici di destra ucraini lo accettino.
Questa guerra trasuda marcio da qualsiasi angolazione la si guardi. La Polonia, che ha fatto morire di freddo uomini, donne e bambini dall’Afghanistan e dalla Siria, ora accoglie opportunisticamente i profughi ucraini da usare come merce di scambio nel dibattito interno all’Unione Europea sulla copertura NATO. Gli Stati Uniti continuano ad ammassare militari in Romania e Polonia ma non hanno alcuna intenzione di intervenire: la Russia non è certo il povero Iraq.
Il nostro pianeta pagherà le conseguenze di questa febbrile corsa al gas, al carbone, al nucleare. Le principali potenze imperialiste hanno squartato il pianeta per estrarre quanta più energia fossile possibile. Oggi il governo Draghi dibatte il ritorno al carbone pur di non investire nelle energie rinnovabili. Sono tutti responsabili dell’abisso di miseria in cui il capitalismo ci sta facendo sprofondare.
Vanno fermati tutti, la NATO, Putin, i nostri governi, come unica possibilità per continuare ad avere un futuro. Ma perché questo sia possibile, il movimento per la pace deve abbandonare le preghiere e cominciare a lottare per avere una piattaforma rivendicativa che metta al centro il blocco produttivo contro la guerra, lo sciopero dei trasporti logistici, il blocco delle esportazioni degli armamenti, una pianificazione statale di transizione energetica verso le energie rinnovabili. Tali rivendicazioni porrebbero il movimento frontalmente contro la permanenza dell’Italia nella NATO insieme ad un percorso che porti allo sciopero generale fino alla caduta del governo Draghi.
È tempo di maturare. È la guerra che ci mette alla prova.
Note
[1] “Tank, aerei, camion e soldati: tutti nascondono le perdite”, Corriere della sera, 8 marzo 2022.
[2] “La Cina media per fermare la guerra. L’occidente costretto a fidarsi di Xi”, Domani, 8 marzo 2022.
[3] “Gas dalla Russia. Come faranno Italia ed Europa a sostituirlo”, M. Gabanelli, Dataroom 7 marzo 2022.
[4] Ibidem.
[5] I dati contenuti in questo paragrafo sono presi dall’inchiesta “Un paese ricattabile”, pubblicata sul periodico tedesco Die Zeit il 17 febbraio 2022.
[6] “Tank, aerei, camion e soldati: tutti nascondono le perdite”, Corriere della sera, 8 marzo 2022.