La morte di “Pepe” Mujica, ex presidente dell’Uruguay, ha trovato molto spazio sui media della “sinistra alternativa”, che hanno sottolineato e celebrato l’umiltà e la modestia di questa figura: doti che sicuramente spiccano in un mondo i cui leader politici sono la quintessenza della protervia del potere.
Ma sono qualità sufficienti a cambiare la vita delle classi subalterne e delle masse popolari quando i rapporti su cui si fonda il dominio capitalista restano intatti nella società? O non sono invece il classico “specchietto per le allodole” che la borghesia utilizza per illudere gli ultimi che “uno di loro” è andato al potere?
Ce ne parla Juan Ferro in quest’articolo tratto dalla pagina web Política Obrera.
Buona lettura.
La redazione
“Pepe” Mujica (1935–2025): dalla liberazione nazionale al “capitalismo sano”
Juan Ferro
“Pepe” Mujica è morto all’età di 89 anni. Fiumi d’inchiostro scorreranno sicuramente sulla sua morte e sulla sua eredità. Tra ciò che già appare sulla stampa mainstream ci sono la sua umiltà, la sua vita ben lontana dai privilegi di cui solitamente gode la maggior parte dei politici parlamentari e dei capi di Stato, la sua piccola fattoria, la sua vecchia motocicletta, il suo modo di parlare semplice e diretto e il suo “io non rubo”. Nel marciume capitalista, porre fine alla vita di un politico parlamentare senza “mettere le mani nel sacco” è già considerato una sorta di “simbolo”.
Ma né i politici né i papi possono essere caratterizzati esclusivamente dal loro comportamento morale nella vita, bensì dalle loro azioni politiche. Bergoglio ha concluso la sua vita da papa con 100 dollari sul conto in banca, e nessuno mette in dubbio la sua umiltà. Ma quando si tratta di analizzare il ruolo da lui svolto nella storia, dobbiamo giudicare il ruolo regressivo e sinistro della Chiesa cattolica nel mondo e il suo sostegno ai peggiori regimi politici, compresi i crimini contro l’umanità. L’aspetto principale su cui basare un giudizio su Mujica è quindi il ruolo politico da lui svolto dopo la sua liberazione, il suo ruolo di presidente e i suoi doveri post-presidenziali.
Mujica entrò in politica con i “Blancos”, uno dei partiti storici della borghesia uruguaiana, legato al latifondo del Paese. In seguito divenne un guerrigliero, in un periodo in cui una parte della gioventù uruguaiana si innamorò della ribellione armata nel pieno della trionfante Rivoluzione cubana. Non è mai stato un teorico del MLN (Tupamaros), ma piuttosto un uomo d’azione, sostenitore della strategia del fuoco guerrigliero [il “fochismo”: N.d.T.], fortemente diffusa negli anni 60 in diversi Paesi latinoamericani. Fu imprigionato dalle forze armate uruguaiane e divenne ostaggio della dittatura per più di 12 anni in una prigione uruguaiana chiamata paradossalmente “Libertad”, che era un baluardo delle torture che caratterizzavano la dittatura uruguaiana.
La sua liberazione avvenne nel marzo 1985, quando la legge 15.737 promulgò un’amnistia per i prigionieri politici. Con l’avvento della democrazia, Mujica divenne un’icona della riconversione della sinistra armata all’interno del Frente Amplio [Fronte Ampio] uruguaiano. A quel punto il fochismo aveva ormai esaurito le sue potenzialità come movimento politico. I “movimenti di liberazione nazionale” promossi da Che Guevara erano stati distrutti dalle forze armate, e sia in Argentina che in Uruguay erano stati trasformati in partiti che operavano esclusivamente negli ambienti parlamentari.
Mujica era il leader emergente di un Fronte Ampio che aveva cambiato le sue basi politiche. L’autorità acquisita attraverso anni di reclusione e tortura venne utilizzata per convincere la popolazione che il fochismo era un fatto del passato e che bisognava costruire uno spazio “di sinistra” per la coesistenza con il capitalismo, cercando di ottenere miglioramenti sociali che non alterassero il sistema di dominio capitalista.
Mujica dimostrò rapidamente una capacità camaleontica di adattamento ai tempi che cambiavano: una volta uscito dal carcere, divenne l’esponente che avrebbe portato avanti le posizioni più a destra del Fronte Ampio. Il suo partito, il MPP (Movimento di Partecipazione Popolare), ha svolto fin dall’inizio un ruolo assolutamente conservatore.
Le proposte difese da Mujica provenivano da intellettuali che cercavano miglioramenti “sociali” per i più bisognosi. Considerava una grande trovata il piano “Fame Zero” di un intellettuale brasiliano, adottato da Lula in Brasile. Ammirava l’istituzione di piani sociali e creò “Juntos” e “Fondes”, un programma simile ai piani sociali in Argentina.
Nella sua ascesa alla presidenza, Mujica ha dovuto superare il notevole ostacolo del suo passato da guerrigliero, che lo ha reso un candidato “rischioso”, attirando attacchi sia da parte dei “bianchi” che dei “colorados”. Ciò contrasta con la “stabilità e certezza” trasmessa dai politici della sinistra “colta e istruita” del Fronte Ampio, come Tabaré Vázquez e Danilo Astori. Mujica salì al potere dimostrando con insistenza che le sue politiche non erano dannose per i grandi capitalisti stranieri né avrebbero intaccato la ricchezza dei capitalisti uruguaiani. Quando assunse la presidenza dell’Uruguay, realizzò quanto aveva delineato durante la sua campagna: il capitale avrebbe avuto le garanzie “legali” che il Fronte Ampio avrebbe fornito nel suo governo.
Durante il governo Mujica (2010–2015), il paese ha aperto la strada alla più grande svendita all’estero di territori nella storia dell’Uruguay. Con l’ingresso dell’impresa [finlandese] Botnia, si aprì il mercato dei capitali belgi, finlandesi e cileni e si acquistarono indiscriminatamente terreni uruguaiani per le fabbriche di cellulosa, che godevano anche di enormi benefici in termini di tasse, forniture di energia e apertura di nuove rotte adatte a loro.
Questa politica inaugurata da Mujica fu poi seguita come “questione di stato” dal governo Lacalle Pou, che soppiantò il Fronte Ampio. È la stessa politica che l’attuale presidente del Fronte Ampio, Yamandú Orsi, porta avanti in un Paese in cui il servizio ferroviario nazionale non è più disponibile per gli uruguaiani ed è a servizio solo delle aziende produttrici di cellulosa che sono arrivate tardi in Uruguay e non hanno accesso diretto ai fiumi navigabili.
Oggi ci sono dipartimenti – Tacuarembó, Colonia, Rio Negro, Soriano – che sono terreni di proprietà di capitali stranieri destinati alla piantagione di eucalipti che alimentano le enormi caldaie delle fabbriche di cellulosa. Dal controllo privato dei porti delle fabbriche di cellulosa si è passati alla privatizzazione del porto di Montevideo a favore di operatori portuali stranieri secondo il modello menemista. Le multinazionali cominciarono a dominare, espandendo la fibra ottica e firmando contratti con le principali multinazionali per lo sfruttamento delle piattaforme offshore e dei minerali di ferro. Perfino alcuni settori del Fronte Ampio reagirono duramente all’intenzione di Mujica di accettare anche l’attività mineraria a cielo aperto.
Sotto il governo di Mujica, l’economia del Paese è diventata molto più dipendente dagli investimenti diretti esteri. Mujica ha sostenuto il suo programma all’insegna dello slogan “capitalismo sano”, che era la sua vera posizione su questa questione. Per quanto riguarda i settori agricolo, minerario e petrolifero, sostenne una strategia di chiaro appoggio agli investimenti esteri, che comprendeva il rafforzamento della politica delle zone di libero scambio, la firma di un accordo con la compagnia forestale Montes del Plata, la stipula di contratti con le compagnie petrolifere e il lancio della società anglo‑indiana Zamin Ferrous per lo sfruttamento del minerale di ferro.
Infine, in una delle sue ultime risoluzioni governative, promosse la legge per il controllo e la regolamentazione dell’importazione, produzione, acquisizione, stoccaggio, commercializzazione e distribuzione della marijuana e dei suoi derivati (Legge 19.172), che autorizzava l’uso medicinale e ricreativo di questa droga. L’iniziativa portò Mujica alla fama in tutto il mondo. È stato descritto come un “paladino” contro il paradigma proibizionista degli Stati Uniti. La legge non ha in alcun modo fermato la forte tendenza verso l’uso di altri tipi di droghe che affligge i giovani uruguaiani.
Al di fuori del governo e nel suo ruolo al Senato, Mujica si è schierato apertamente sulle posizioni più a destra del Fronte Ampio. E il suo punto più debole, fino alla morte, è stata la questione dei diritti umani, una ferita che, come in Argentina, resta aperta. Mujica ha costantemente invocato il perdono per la dittatura, la limitazione delle leggi che prevedono pene per i repressori che vi hanno partecipato e, negli ultimi giorni della sua vita, è andato oltre, attaccando le testimonianze dei militanti torturati e imprigionati dai militari. Samuel Blixen, noto giornalista, storico e autore di diversi libri sulla sinistra, ha risposto a Lucia Topolansky, moglie di Mujica, sottolineando che le sue dichiarazioni avevano oltrepassato i limiti della difesa dei diritti umani.
Il bilancio di Mujica è quello di un guerrigliero che si è trasformato in “uomo di Stato”, ovvero un sostenitore del mantenimento dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo. Il nostro bilancio non è morale, è politico.
(Traduzione dallo spagnolo di Ernesto Russo)