Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Rivoluzione russa del 1917

La storia della rivoluzione di febbraio

Nicola II, l'ultimo zar della Russia (Wikimedia Commons)

Pro­se­guia­mo nel­la pre­sen­ta­zio­ne, in col­la­bo­ra­zio­ne con la rivi­sta Jaco­bin Maga­zi­ne, del dos­sier sul­la rivo­lu­zio­ne rus­sa del 1917.
Pub­bli­chia­mo oggi, nel­la tra­du­zio­ne dall’inglese di Vale­rio Tor­re e Isa Pepe, la ver­sio­ne ita­lia­na dell’articolo di Kevin Mur­phy sul­la rivo­lu­zio­ne di feb­bra­io, che rove­sciò il regi­me zari­sta apren­do la stra­da al pote­re sovie­ti­co che si sareb­be affer­ma­to dopo pochi mesi.
La reda­zio­ne del Blog

La storia della rivoluzione di febbraio

I lavo­ra­to­ri rus­si sce­se­ro in scio­pe­ro duran­te la gior­na­ta inter­na­zio­na­le del­la don­na del 1917. Fini­ro­no per rove­scia­re lo zarismo

 

Kevin Mur­phy [*]

 

Che lo scio­pe­ro più impor­tan­te del­la sto­ria del mon­do abbia avu­to ini­zio a par­ti­re dal­le lavo­ra­tri­ci tes­si­li di Pie­tro­gra­do in occa­sio­ne del­la Gior­na­ta inter­na­zio­na­le del­la Don­na del 1917 (23 feb­bra­io del vec­chio calen­da­rio giu­lia­no) non fu una coin­ci­den­za. Lavo­ran­do fino a tre­di­ci ore al gior­no men­tre i loro mari­ti e figli era­no al fron­te, su que­ste don­ne, che atten­de­va­no in fila per ore e al gelo nel­la spe­ran­za di ave­re un po’ di pane, rica­de­va inte­ra­men­te il peso del soste­gno del­le loro fami­glie. Come rife­ri­sce Tsuyo­shi Hase­ga­wa nel suo deci­si­vo stu­dio sul­la rivo­lu­zio­ne di feb­bra­io, «non fu neces­sa­ria nes­su­na pro­pa­gan­da per inci­ta­re que­ste don­ne all’azione».
La pro­fon­da cri­si socia­le rus­sa affon­da­va le pro­prie radi­ci nel­la tota­le inca­pa­ci­tà del regi­me zari­sta di rea­liz­za­re qual­sia­si rifor­ma signi­fi­ca­ti­va, e nell’abissale diva­rio eco­no­mi­co tra i ric­chi e il resto del­la socie­tà rus­sa. La Rus­sia era gover­na­ta da un auto­cra­te, lo zar Nico­la II, che più vol­te ave­va sciol­to la Duma, un orga­no elet­ti­vo sen­za rea­le pote­re che era legal­men­te domi­na­to da mem­bri del­le clas­si possidenti.
Alla vigi­lia del­la guer­ra, gli scio­pe­ri giun­se­ro ai livel­li toc­ca­ti nel­la rivo­lu­zio­ne del 1905 e i lavo­ra­to­ri innal­za­ro­no bar­ri­ca­te nel­le stra­de del­la capi­ta­le. La guer­ra die­de allo zari­smo un tem­po­ra­neo sol­lie­vo, ma le ripe­tu­te scon­fit­te mili­ta­ri e cir­ca set­te milio­ni di mor­ti risve­glia­ro­no ine­di­te accu­se di cor­ru­zio­ne del regi­me da par­te di pra­ti­ca­men­te tut­ti i set­to­ri del­la socie­tà. Era tan­to pro­fon­do il mar­ciu­me che il futu­ro pri­mo mini­stro, il prin­ci­pe Lvov, orga­niz­zò una cospi­ra­zio­ne – pur non inter­ve­nen­do­vi per­so­nal­men­te – per depor­ta­re lo Zar e rin­chiu­de­re la zari­na in un mona­ste­ro. Raspu­tin, un mona­co ciar­la­ta­no che ave­va gua­da­gna­to un’enorme influen­za alla cor­te del­lo zar, ven­ne ucci­so, non da anar­chi­ci, ma da monar­chi­ci, nel dicem­bre del 1916.
A sini­stra, i bol­sce­vi­chi era­no la for­za domi­nan­te in un più ampio set­to­re di rivo­lu­zio­na­ri che ave­va­no diret­to la più gran­de onda­ta di scio­pe­ri del­la sto­ria mon­dia­le (i set­to­ri dei socia­li­sti mode­ra­ti favo­re­vo­li alla guer­ra fre­quen­te­men­te evi­ta­va­no gli scioperi).
Per anni ave­va­no com­bat­tu­to lo zari­smo. Tren­ta scio­pe­ri poli­ti­ci furo­no pro­cla­ma­ti in cin­que anni dal­la stra­ge del­le minie­re d’oro del fiu­me Lena nel 1912, in cui mori­ro­no 270 lavo­ra­to­ri. I rivo­lu­zio­na­ri ave­va­no sfi­da­to una dopo l’altra le onda­te di arre­sti da par­te del­la poli­zia segre­ta del­lo zar (l’Okhrana). Il nume­ro dei rivo­lu­zio­na­ri arre­sta­ti nel 1915 e nel 1916 mostra la for­za rela­ti­va dei diver­si rag­grup­pa­men­ti di sini­stra a Pie­tro­gra­do: 743 bol­sce­vi­chi, 553 sen­za par­ti­to, 98 socia­li­sti rivo­lu­zio­na­ri (SR), 79 men­sce­vi­chi, 51 Mež­ra­jonstsy[1], 39 anar­chi­ci. Cir­ca sei­cen­to bol­sce­vi­chi nel­le fab­bri­che metal­lur­gi­che, metal­mec­ca­ni­che e tes­si­li, face­va­no del distret­to di Vyborg di gran lun­ga il più mili­tan­te duran­te la guerra.
Il 9 gen­na­io 1917, il dodi­ce­si­mo anni­ver­sa­rio del mas­sa­cro del­la Dome­ni­ca di san­gue che die­de ini­zio alla rivo­lu­zio­ne del 1905, 142.000 lavo­ra­to­ri sce­se­ro in scio­pe­ro. Quan­do la Duma aprì i suoi lavo­ri il 14 feb­bra­io, altri 84.000 lavo­ra­to­ri sce­se­ro in piaz­za orga­niz­za­ti dai men­sce­vi­chi favo­re­vo­li alla guerra.
La cre­scen­te scar­si­tà di cibo indus­se il gover­no a requi­si­re il gra­no nel­le cam­pa­gne. Men­tre i pani­fi­ci di Pie­tro­gra­do resta­va­no chiu­si e le for­ni­tu­re era­no ormai ridot­te a livel­lo di riser­ve per alcu­ne set­ti­ma­ne, le auto­ri­tà zari­ste esa­cer­ba­ro­no la cri­si soste­nen­do che non vi era alcu­na penu­ria. L’Okhrana rife­rì di nume­ro­si scon­tri tra poli­zia e lavo­ra­to­ri in fila per il pane a Pie­tro­gra­do. Le madri, «che vedo­no i loro bam­bi­ni affa­ma­ti e mala­ti sono mol­to più pros­si­me alla rivo­lu­zio­ne che i signo­ri Miliu­kov, Rodi­chev e com­pa­gnia, e, natu­ral­men­te, sono mol­to più peri­co­lo­se».
Il 22 feb­bra­io, il bol­sce­vi­co Kaiu­rov si rivol­se a un’assemblea di don­ne di Vyborg, esor­tan­do­le a non scio­pe­ra­re in occa­sio­ne del­la Gior­na­ta inter­na­zio­na­le del­la Don­na e a segui­re «le istru­zio­ni del par­ti­to». Con suo som­mo rin­cre­sci­men­to – in segui­to avreb­be scrit­to che era “indi­gna­to” per­ché le don­ne bol­sce­vi­che ave­va­no igno­ra­to le diret­ti­ve del par­ti­to – cin­que fab­bri­che tes­si­li si fer­ma­ro­no il gior­no dopo.
Le ope­ra­ie che diri­ge­va­no lo scio­pe­ro nel­le offi­ci­ne tes­si­li Neva gri­da­ro­no: «In stra­da! Scio­pe­ra­te! Ne abbia­mo abba­stan­za!». Apri­ro­no le por­te e gui­da­ro­no cen­ti­na­ia di don­ne ver­so le vici­ne fab­bri­che metal­lur­gi­che. Lan­cian­do pal­le di neve con­tro le fine­stre del­la fab­bri­ca metal­lur­gi­ca Nobel, la fol­la di don­ne con­vin­se i lavo­ra­to­ri a unir­si a loro, agi­tan­do le brac­cia e gri­dan­do: «Fuo­ri! Smet­te­te di lavo­ra­re!». Le don­ne mar­cia­ro­no anche ver­so la fab­bri­ca Erik­son, dove Kaiu­rov e altri bol­sce­vi­chi si riu­ni­ro­no bre­ve­men­te con i socia­li­sti rivo­lu­zio­na­ri e i men­sce­vi­chi del­la fab­bri­ca e una­ni­me­men­te deci­se­ro di per­sua­de­re gli altri lavo­ra­to­ri a unir­si a loro.
La poli­zia rife­rì di fol­le di don­ne e gio­va­ni lavo­ra­to­ri che recla­ma­va­no “pane” e into­na­va­no inni rivo­lu­zio­na­ri. Duran­te il cor­teo, le don­ne pre­se­ro le ban­die­re ros­se dal­le mani degli uomi­ni, dicen­do: «È la nostra gior­na­ta. Por­te­re­mo noi le ban­die­re». Sul pon­te Litei­nyi, nono­stan­te le ripe­tu­te cari­che dei mani­fe­stan­ti, la poli­zia riu­scì a impe­di­re che rag­giun­ges­se­ro il cen­tro del­la cit­tà. Nel tar­do pome­rig­gio, cen­ti­na­ia di lavo­ra­to­ri che ave­va­no attra­ver­sa­to il ghiac­cio furo­no attac­ca­ti dal­la poli­zia. Nel cen­tro, «un miglia­io di per­so­ne, pre­va­len­te­men­te don­ne e gio­va­ni» rag­giun­se­ro la Pro­spet­ti­va Nev­sky, ma ven­ne­ro disper­si. L’Okhrana infor­mò che le mani­fe­sta­zio­ni era­no così acce­se che era «neces­sa­rio raf­for­za­re i distac­ca­men­ti di poli­zia dap­per­tut­to».
Ses­san­ta­mi­la dei 78.000 scio­pe­ran­ti era­no dal distret­to di Vyborg. Ben­ché into­nas­se­ro slo­gan con­tro la guer­ra e lo zari­smo, la riven­di­ca­zio­ne prin­ci­pa­le era per il pane. Sen­za dub­bio, le auto­ri­tà zari­ste rite­ne­va­no trat­tar­si solo di un’altra rivol­ta per il cibo, ma era­no allar­ma­te dal­le oscil­la­zio­ni del­le loro fede­li trup­pe cosac­che nell’attaccare i mani­fe­stan­ti. Quel­la not­te, i bol­sce­vi­chi di Vyborg si riu­ni­ro­no e deci­se­ro di orga­niz­za­re uno scio­pe­ro gene­ra­le di tre gior­ni con cor­tei ver­so la Pro­spet­ti­va Nevsky.
Il gior­no dopo, il movi­men­to degli scio­pe­ran­ti rad­dop­piò fino a rag­giun­ge­re i 158.000 par­te­ci­pan­ti, diven­tan­do il più gran­de scio­pe­ro poli­ti­co del­la guer­ra. Set­tan­ta­cin­que­mi­la lavo­ra­to­ri di Vyborg incro­cia­ro­no le brac­cia, così come fece­ro cir­ca ven­ti­mi­la in cia­scu­no dei distret­ti di Pie­tro­gra­do, Vas­si­le­v­ski e Mosca, e più di nove­mi­la nel distret­to di Nar­va. I gio­va­ni ope­rai dires­se­ro la lot­ta per le stra­de, com­bat­ten­do con­tro la poli­zia e le trup­pe sui pon­ti e lot­tan­do per il con­trol­lo del­la Pro­spet­ti­va Nev­skij nel cen­tro del­la città.

Mani­fe­sta­zio­ne del 23 febbraio

Nel­la fab­bri­ca Aviaz, gli ora­to­ri men­sce­vi­chi e socia­li­sti rivo­lu­zio­na­ri fece­ro appel­lo a rove­scia­re il gover­no, sol­le­ci­ta­ro­no i lavo­ra­to­ri a non par­te­ci­pa­re ad atti irre­spon­sa­bi­li e li esor­ta­ro­no a diri­ger­si ver­so il Palaz­zo di Tau­ri­de, dove i mem­bri del­la Duma dispe­ra­ta­men­te cer­ca­va­no di con­vin­ce­re lo zar a fare con­ces­sio­ni. I bol­sce­vi­chi del­la fab­bri­ca Erik­son chie­se­ro agli ope­rai di mar­cia­re ver­so la piaz­za Kazan arma­ti di col­tel­li, attrez­zi metal­li­ci e ghiac­cio per l’imminente scon­tro con la polizia.
Una fol­la di 40.000 mani­fe­stan­ti si scon­trò con poli­zia e sol­da­ti sul pon­te Litei­nyi, ma ven­ne anco­ra respin­ta. Due­mi­la­cin­que­cen­to ope­rai del­la fab­bri­ca Erik­son furo­no affron­ta­ti da cosac­chi sul­la via Samp­so­nie­v­sky. Gli uffi­cia­li cari­ca­ro­no la fol­la, ma i cosac­chi pro­se­gui­va­no con cau­te­la attra­ver­so il cor­ri­do­io aper­to dagli uffi­cia­li. «Alcu­ni di loro sor­ri­de­va­no – ricor­da Kaiu­rov – e uno fece l’occhiolino ai lavo­ra­to­ri». In mol­ti luo­ghi le don­ne pre­se­ro l’iniziativa: «Abbia­mo mari­ti, padri e fra­tel­li al fron­te … anche voi ave­te madri, mogli, sorel­le, figli. Noi chie­dia­mo il pane e la fine del­la guer­ra».
I mani­fe­stan­ti non ten­ta­ro­no mini­ma­men­te di fra­ter­niz­za­re con l’odiata poli­zia. I gio­va­ni fer­ma­ro­no i tram into­nan­do inni rivo­lu­zio­na­ri e sca­glian­do bloc­chi di ghiac­cio e bul­lo­ni con­tro la poli­zia. Dopo che diver­se miglia­ia di lavo­ra­to­ri ebbe­ro attra­ver­sa­to il ghiac­cio, furio­si com­bat­ti­men­ti scop­pia­ro­no tra mani­fe­stan­ti e poli­zia per il con­trol­lo del­la Pro­spet­ti­va Nev­sky. Nel frat­tem­po, i lavo­ra­to­ri riu­sci­ro­no ad orga­niz­za­re riu­nio­ni nei tra­di­zio­na­li siti rivo­lu­zio­na­ri di piaz­za Kazan e pres­so la famo­sa sta­tua “dell’ippopotamo” di Ales­san­dro III a piaz­za Zna­men­ska­ya. Le riven­di­ca­zio­ni diven­ne­ro più poli­ti­che dato che gli ora­to­ri non chie­de­va­no solo pane, ma denun­cia­va­no anche la guer­ra e l’autocrazia.

2017030000460

Mani­fe­stan­ti a piaz­za Zna­men­ska­ya, sot­to la sta­tua di Ales­san­dro III

Il gior­no 25, lo scio­pe­ro diven­ne gene­ra­le, con più di 240.000 ope­rai ai qua­li si aggiun­se­ro impie­ga­ti, inse­gnan­ti, came­rie­ri e came­rie­re, stu­den­ti uni­ver­si­ta­ri e per­si­no stu­den­ti del­le scuo­le supe­rio­ri. I tas­si­sti giu­ra­ro­no che avreb­be­ro tra­spor­ta­to solo i “diri­gen­ti” del­la rivolta.
Anco­ra una vol­ta, i lavo­ra­to­ri comin­cia­ro­no a tene­re assem­blee nel­le loro fab­bri­che. In una rumo­ro­sa riu­nio­ne nel­la fab­bri­ca Par­via­nen di Vyborg, ora­to­ri bol­sce­vi­chi, men­sce­vi­chi e socia­li­sti rivo­lu­zio­na­ri esor­ta­ro­no i lavo­ra­to­ri a mar­cia­re alla vol­ta del­la Pro­spet­ti­va Nev­sky. Un ora­to­re con­clu­se il pro­prio inter­ven­to con la fra­se rivo­lu­zio­na­ria: «Via, mon­do obso­le­to, mar­cio da cima a fon­do. La gio­va­ne Rus­sia sta arri­van­do!».
I mani­fe­stan­ti furo­no pro­ta­go­ni­sti di dicias­set­te vio­len­ti scon­tri con la poli­zia, men­tre sol­da­ti e ope­rai riu­sci­ro­no a libe­ra­re i com­pa­gni arre­sta­ti dal­la poli­zia. I ribel­li riu­sci­ro­no a pre­va­le­re, scon­fig­gen­do le for­ze zari­ste su mol­ti pon­ti o attra­ver­san­do il ghiac­cio ver­so il cen­tro. Pren­den­do il con­trol­lo del­la Pro­spet­ti­va Nev­skij, i mani­fe­stan­ti si riu­ni­ro­no di nuo­vo in piaz­za Zna­men­ska­ya. La poli­zia e i cosac­chi mena­va­no col­pi sul­la fol­la, ma quan­do il capo del­la poli­zia cari­cò i mani­fe­stan­ti fu ucci­so: da una scia­bo­la cosac­ca. Le lavo­ra­tri­ci ebbe­ro anco­ra una vol­ta un ruo­lo cru­cia­le: «Abbas­sa­te i fuci­li», chie­de­va­no alle trup­pe. «Uni­te­vi a noi».
In sera­ta, il lato di Vyborg era con­trol­la­to dai ribel­li. I mani­fe­stan­ti ave­va­no assal­ta­to la sta­zio­ne di poli­zia, impos­ses­san­do­si di pisto­le e scia­bo­le del­le guar­die zari­ste e costrin­gen­do la poli­zia e i gen­dar­mi alla fuga.
La ribel­lio­ne spin­se lo zar Nico­la II al limi­te. «Ordi­no di liqui­da­re per domat­ti­na i disor­di­ni nel­la capi­ta­le», pro­cla­mò, e ordi­nò al coman­dan­te Kha­ba­lov del­la guar­ni­gio­ne di Pie­tro­gra­do di disper­de­re la fol­la con armi da fuo­co. Kha­ba­lov era scet­ti­co («Come pote­va esse­re fer­ma­ta la pro­te­sta il gior­no dopo?»), ma accet­tò l’ordine. Nel muni­ci­pio, il mini­stro degli inter­ni Pro­to­po­pov, inci­tò i difen­so­ri dell’autocrazia a por­re fine ai disor­di­ni: «Pre­ga­te e spe­ra­te nel­la vit­to­ria», dis­se. Il gior­no suc­ces­si­vo, di buon ora, era­no sta­ti affis­si pro­cla­mi di divie­to del­le mani­fe­sta­zio­ni e di avvi­so che l’editto sareb­be sta­to fat­to rispet­ta­re con le armi.
Alle pri­me ore di dome­ni­ca 26, la poli­zia arre­stò il nucleo del Comi­ta­to bol­sce­vi­co di Pie­tro­gra­do e altri socia­li­sti. Le fab­bri­che ven­ne­ro chiu­se, i pon­ti sol­le­va­ti e il cen­tro del­la cit­tà si tra­sfor­mò in una piaz­za d’armi. Kha­ba­lov tele­gra­fò alla guar­ni­gio­ne: «Tut­to è tran­quil­lo in cit­tà fin dal mat­ti­no». Subi­to dopo que­sto rap­por­to, miglia­ia di lavo­ra­to­ri attra­ver­sa­ro­no il ghiac­cio e appar­ve­ro sul­la Pro­spet­ti­va Nev­sky can­tan­do inni rivo­lu­zio­na­ri e into­nan­do slo­gan, ma i sol­da­ti apri­ro­no il fuo­co su di loro in modo sistematico.
Uni­tà del reg­gi­men­to Volyn­sky furo­no inca­ri­ca­te di fare incur­sio­ni pre­ven­ti­ve in piaz­za Zna­men­ska­ya. Pat­tu­glie a caval­lo mena­va­no col­pi sul­la fol­la, ma non riu­sci­va­no a disper­der­la. Allo­ra, il coman­dan­te ordi­nò alle trup­pe di apri­re il fuo­co. Ben­ché alcu­ni sol­da­ti aves­se­ro spa­ra­to in aria, cin­quan­ta mani­fe­stan­ti rima­se­ro ucci­si in piaz­za Zna­men­ska­ya e nei din­tor­ni, men­tre i lavo­ra­to­ri si spar­pa­glia­ro­no per nascon­der­si nel­le case e nei caf­fè. Gran par­te del­la car­ne­fi­ci­na fu por­ta­ta a ter­mi­ne dal­le trup­pe d’élite uti­liz­za­te per for­ma­re sottufficiali.
Tut­ta­via, l’eccidio non schiac­ciò la ribellione.
Un rap­por­to del­la poli­zia descri­ve il sor­pren­den­te livel­lo di resi­sten­za e di sacri­fi­cio dei ribelli:

«Nel cor­so dei disor­di­ni è sta­to osser­va­to come un feno­me­no gene­ra­le che la fol­la ribel­le ha adot­ta­to un atteg­gia­men­to di estre­ma sfi­da ver­so le pat­tu­glie mili­ta­ri, nei cui con­fron­ti, quan­do fu inti­ma­to l’ordine di disper­der­si, ven­ne­ro lan­cia­te pie­tre e bloc­chi di ghiac­cio pre­le­va­ti dal­la stra­da. Agli spa­ri d’avvertimento in aria la fol­la non solo non si disper­se ma rispo­se alle sca­ri­che con risa­te di scher­no. Solo quan­do i col­pi sono sta­ti spa­ra­ti in mez­zo alla fol­la è sta­to pos­si­bi­le disper­der­la. I par­te­ci­pan­ti … si nascon­de­va­no nei cor­ti­li del­le case vici­ne e, non appe­na il fuo­co ces­sa­va, usci­va­no di nuo­vo per stra­da».

Gli ope­rai chie­se­ro ai sol­da­ti di depor­re le armi, cer­can­do di inta­vo­la­re con­ver­sa­zio­ni con loro per con­vin­cer­li con­qui­stan­do­ne i cuo­ri. Come ha osser­va­to Tro­tsky[2], nei con­tat­ti «tra i lavo­ra­to­ri, le lavo­ra­tri­ci e i sol­da­ti, sot­to il cre­pi­ta­re con­ti­nuo dei fuci­li e del­le mitra­glia­tri­ci, si deci­de­va­no le sor­ti del pote­re, del­la guer­ra e del Pae­se».
La sera del 26, i diri­gen­ti bol­sce­vi­chi di Vyborg si incon­tra­ro­no in un orto alla peri­fe­ria del­la cit­tà. Mol­ti sug­ge­ri­ro­no che era il momen­to di rece­de­re dal­la rivol­ta, ma la pro­po­sta ven­ne respin­ta. Il soste­ni­to­re più acca­ni­to del­la con­ti­nua­zio­ne del­la bat­ta­glia fu in segui­to sma­sche­ra­to come agen­te dell’Okhrana. Dal pun­to di vista mili­ta­re, la rivo­lu­zio­ne avreb­be dovu­to fer­mar­si dopo il 26. Ma la poli­zia non sareb­be riu­sci­ta a schiac­cia­re la rivol­ta sen­za il sup­por­to di miglia­ia di soldati.
Il pome­rig­gio pre­ce­den­te, i lavo­ra­to­ri si era avvi­ci­na­ti alla caser­ma Pavlo­v­sky: «Dite ai vostri com­mi­li­to­ni che anche il reg­gi­men­to Pavlo­v­sky sta spa­ran­do con­tro di noi – abbia­mo visto i sol­da­ti con la vostra uni­for­me lun­go la Pro­spet­ti­va Nev­sky». I sol­da­ti «sem­bra­va­no ango­scia­ti e pal­li­di». Appel­li simi­li si ascol­ta­va­no nel­le caser­me di altri reg­gi­men­ti. Quel pome­rig­gio, i sol­da­ti del reg­gi­men­to Pavlo­v­sky furo­no i pri­mi a unir­si ai ribel­li (tut­ta­via, ren­den­do­si con­to che era­no rima­sti iso­la­ti, tor­na­ro­no alle loro caser­me e tren­ta­no­ve lea­der dell’ammutinamento ven­ne­ro imme­dia­ta­men­te arrestati).
Alle pri­me ore del 27, la rivol­ta ave­va rag­giun­to il reg­gi­men­to Volyn­sky, i cui repar­ti adde­stra­ti ave­va­no spa­ra­to sui mani­fe­stan­ti in piaz­za Zna­men­ska­ya. Quat­tro­cen­to ammu­ti­na­ti dis­se­ro al tenen­te: «Non spa­re­re­mo più e non voglia­mo ver­sa­re il san­gue dei nostri fra­tel­li inva­no». Quan­do l’ufficiale rispo­se leg­gen­do l’ordine del­lo zar di sop­pri­me­re la rivol­ta, ven­ne som­ma­ria­men­te fuci­la­to. Altri sol­da­ti del reg­gi­men­to Volyn­sky si uni­ro­no ai ribel­li e poi avan­za­ro­no fino alla vici­na caser­ma del Reg­gi­men­to Pre­o­bražen­skij e del Reg­gi­men­to dei Litua­ni, che anch’essi si ammutinarono.
In segui­to, uno dei par­te­ci­pan­ti descris­se la sce­na: «Un camion cari­co di sol­da­ti con i fuci­li in mano si fece stra­da tra la fol­la per la Via Samp­so­nie­v­sky. Ban­die­re ros­se gar­ri­va­no dal­le baio­net­te dei fuci­li, una cosa mai vista pri­ma … le noti­zie por­ta­te dal camion – che le trup­pe si era­no ammu­ti­na­te – si dif­fu­se­ro a mac­chia d’olio». Men­tre un repar­to addet­to alla repres­sio­ne coman­da­to dal gene­ra­le Kute­pov mar­cia­va sen­za con­trol­lo per ore, spa­ran­do sui mani­fe­stan­ti e i camion cari­chi di lavo­ra­to­ri, in sera­ta Kute­pov scris­se: «Una gran par­te del­le mie trup­pe si è mesco­la­ta nel­la fol­la».
Quel­la mat­ti­na, il gene­ra­le Kha­ba­lov anda­va spa­val­do nel­le caser­me del­la cit­tà, minac­cian­do con la pena di mor­te i sol­da­ti che si fos­se­ro ribel­la­ti. Alla sera, il gene­ra­le Iva­nov, le cui trup­pe era­no in mar­cia per soste­ne­re i repar­ti fede­li allo zar, tele­gra­fò a Kha­ba­lov per valu­ta­re la situazione.

Iva­nov: In qua­li par­ti del­la cit­tà sta­te man­te­nen­do l’ordine?
Kha­ba­lov: Tut­ta la cit­tà è nel­le mani dei rivoluzionari.
Iva­nov: Tut­ti i mini­ste­ri fun­zio­na­no correttamente?
Kha­ba­lov: I mini­ste­ri sono sta­ti occu­pa­ti dai rivoluzionari.
Iva­nov: Qua­li for­ze di poli­zia sono a vostra dispo­si­zio­ne in que­sto momento?
Kha­ba­lov: Asso­lu­ta­men­te nessuna.
Iva­nov: Qua­li isti­tu­zio­ni tec­ni­che e di approv­vi­gio­na­men­to del Mini­ste­ro del­la Guer­ra sono ora sot­to il vostro controllo?
Kha­ba­lov: Nessuna.

Infor­ma­to del­la situa­zio­ne, il gene­ra­le Iva­nov deci­se di riti­rar­si. La fase mili­ta­re del­la rivo­lu­zio­ne era finita.

Un sol­da­to distrug­ge l’aquila bici­pi­te, sim­bo­lo dell’impero zarista

Il para­dos­so del­la rivo­lu­zio­ne di feb­bra­io è sta­to che, quan­tun­que aves­se rove­scia­to lo zari­smo, lo abbia poi sosti­tui­to con un gover­no di libe­ra­li non elet­ti che era­no ter­ro­riz­za­ti dal­la stes­sa rivo­lu­zio­ne che li innal­zò al pote­re. Il gior­no 27, un depu­ta­to libe­ra­le del­la Duma scris­se: «… Si udi­va­no sospi­ri … degli “ecco­ci qua” oppu­re chia­re espres­sio­ni di timo­re per le loro vite», inter­rot­te dal sol­lie­vo per noti­zie, rive­la­te­si ine­sat­te, secon­do cui «i disor­di­ni sareb­be­ro pre­sto sta­ti sof­fo­ca­ti». Un altro osser­va­to­re rife­rì che «era­no ter­ro­riz­za­ti, tre­ma­va­no, si sen­ti­va­no pri­gio­nie­ri nel­le mani di ele­men­ti osti­li che li tra­sci­na­va­no su un sen­tie­ro sco­no­sciu­to».
Duran­te la rivo­lu­zio­ne, «la posi­zio­ne del­la bor­ghe­sia era abba­stan­za chia­ra: da un lato, man­te­ner­si a distan­za dal­la rivo­lu­zio­ne e con­se­gnar­la allo zari­smo, e dall’altro sfrut­tar­la per i pro­pri sco­pi». Que­sta era la valu­ta­zio­ne di Sukha­nov, un diri­gen­te del Soviet di Pie­tro­gra­do, che sim­pa­tiz­za­va con i men­sce­vi­chi e avreb­be svol­to un ruo­lo cru­cia­le nel con­se­gna­re il pote­re ai liberali.
Sukha­nov otten­ne parec­chi aiu­ti da mol­ti socia­li­sti mode­ra­ti. Il lea­der men­sce­vi­co Sko­be­lev avvi­ci­nò Rod­zian­ko, pre­si­den­te del­la Quar­ta Duma, per otte­ne­re uno spa­zio nel Palaz­zo di Tau­ri­de. Il suo sco­po era quel­lo di orga­niz­za­re un Soviet dei depu­ta­ti degli ope­rai per man­te­ne­re l’ordine. Keren­sky dis­si­pò i timo­ri di Rod­zian­ko che il Soviet sareb­be potu­to diven­ta­re peri­co­lo­so, dicen­do­gli: «Qual­cu­no deve pren­de­re il con­trol­lo dei lavo­ra­to­ri».
A dif­fe­ren­za del Soviet degli ope­rai del 1905, sor­to come stru­men­to di lot­ta di clas­se, il soviet for­ma­to­si il 27 feb­bra­io ven­ne crea­to dopo la rivol­ta e i diri­gen­ti del suo comi­ta­to ese­cu­ti­vo era­no qua­si tut­ti intel­let­tua­li che non ave­va­no atti­va­men­te par­te­ci­pa­to alla rivoluzione.
C’erano anche altre caren­ze: i rap­pre­sen­tan­ti dei 150.000 sol­da­ti di stan­za a Pie­tro­gra­do ave­va­no un peso esa­ge­ra­ta­men­te spro­por­zio­na­to in que­sto soviet degli ope­rai e dei sol­da­ti. Era a schiac­cian­te mag­gio­ran­za maschi­le: c’era solo una man­cia­ta di don­ne dele­ga­te tra i 1.200 dele­ga­ti (fino qua­si a 3.000), sic­ché le lavo­ra­tri­ci era­no deplo­re­vol­men­te sot­to­rap­pre­sen­ta­te. Il soviet nean­che discus­se la mani­fe­sta­zio­ne del 19 mar­zo per il suf­fra­gio fem­mi­ni­le, in cui vi furo­no 25.000 par­te­ci­pan­ti, tra cui miglia­ia di don­ne del­la clas­se operaia.
Cer­to, il Soviet di Pie­tro­gra­do appro­vò il famo­so Ordi­ne nume­ro 1 – che invi­ta­va i sol­da­ti ad eleg­ge­re i pro­pri comi­ta­ti per orga­niz­za­re le loro uni­tà e obbe­di­re ai loro uffi­cia­li e al gover­no prov­vi­so­rio solo se gli ordi­ni non fos­se­ro sta­ti in con­trad­di­zio­ne con quel­li del Soviet – ma quel decre­to ven­ne appro­va­to solo per ini­zia­ti­va stes­sa dei sol­da­ti radicali.
Eppu­re, la for­ma­zio­ne del Soviet indus­se i libe­ra­li e l’alleato socia­li­sta rivo­lu­zio­na­rio, Keren­sky, ad agi­re. Rod­zian­ko sosten­ne che «se non pren­dia­mo il pote­re, saran­no altri a far­lo», per­ché già ave­va­no «scel­to alcu­ne cana­glie nel­le fab­bri­che». «Se non aves­si­mo for­ma­to imme­dia­ta­men­te un gover­no prov­vi­so­rio – scris­se Keren­sky – il soviet si sareb­be auto­pro­cla­ma­to l’autorità supre­ma del­la rivo­lu­zio­ne». Secon­do que­sto pia­no, un grup­po auto­no­mi­na­to, defi­ni­to­si Comi­ta­to prov­vi­so­rio, avreb­be agi­to come un con­trap­pe­so del soviet. Ma i cospi­ra­to­ri non ripo­ne­va­no mol­ta fidu­cia nel pro­prio pia­no; lascia­ro­no i diri­gen­ti men­sce­vi­chi e socia­li­sti rivo­lu­zio­na­ri nei soviet a fare il loro spor­co lavoro.

Il Comi­ta­to prov­vi­so­rio del­la Duma di Stato

La mec­ca­ni­ca men­sce­vi­ca del­la rivo­lu­zio­ne indi­ca­va che «il gover­no che pren­de­rà il posto degli zar dovrà esse­re esclu­si­va­men­te bor­ghe­se». Sukha­nov scris­se: «Tut­ta la mac­chi­na sta­ta­le … può obbe­di­re solo a Miliu­kov».
I nego­zia­ti tra l’esecutivo del Soviet e i diri­gen­ti libe­ra­li non elet­ti si svol­se­ro il pri­mo di mar­zo. «Miliu­kov ave­va pie­na­men­te com­pre­so che il Comi­ta­to Ese­cu­ti­vo era in una posi­zio­ne per­fet­ta per dare il pote­re al gover­no bor­ghe­se oppu­re no», scris­se Sukha­nov, aggiun­gen­do: «Il pote­re desti­na­to a sosti­tui­re lo zari­smo deve esse­re solo un pote­re bor­ghe­se … Dob­bia­mo con­for­mar­ci a que­sto prin­ci­pio. In caso con­tra­rio, la rivol­ta non avrà suc­ces­so e la rivo­lu­zio­ne fal­li­rà».
I diri­gen­ti del Soviet era­no per­si­no dispo­sti a lasciar cade­re il pro­gram­ma mini­mo dei “tre capi­sal­di” su cui tut­ti i grup­pi rivo­lu­zio­na­ri era­no d’accordo (la gior­na­ta di otto ore, la con­fi­sca dei lati­fon­di e la repub­bli­ca demo­cra­ti­ca), se solo i libe­ra­li aves­se­ro volu­to pren­de­re il pote­re. Spa­ven­ta­to dal­la pro­spet­ti­va di dover gover­na­re, Miliu­kov testar­da­men­te insi­sté per fare un ulti­mo dispe­ra­to ten­ta­ti­vo di sal­va­re la monarchia.
Incre­di­bil­men­te, i socia­li­sti accon­sen­ti­ro­no e per­mi­se­ro che il fra­tel­lo del­lo zar, Miche­le, deci­des­se da sé solo se gover­na­re. Non aven­do otte­nu­to alcu­na garan­zia sul­la sua sicu­rez­za per­so­na­le, il Gran­du­ca rifiu­tò cor­te­se­men­te. Tut­ti que­sti nego­zia­ti die­tro le quin­te ven­ne­ro, natu­ral­men­te, svol­ti sen­za che gli ope­rai e i sol­da­ti ne fos­se­ro a conoscenza.
Il siste­ma di dop­pio pote­re che emer­se da tali discus­sio­ni – il Soviet da un lato e il gover­no prov­vi­so­rio non elet­to dall’altro – sareb­be dura­to otto mesi.
Ziva Gali­li ha descrit­to que­sti nego­zia­ti come «il momen­to miglio­re dei men­sce­vi­chi». Tro­tsky li ha para­go­na­ti a una com­me­dia di vau­de­vil­le[3] divi­sa in due par­ti: «Da un lato i rivo­lu­zio­na­ri sup­pli­ca­va­no i libe­ra­li di sal­va­re la rivo­lu­zio­ne, dall’altro i libe­ra­li sup­pli­ca­va­no la monar­chia di sal­va­re il libe­ra­li­smo».

regnum_picture_1489735920313224_original_download

Giu­ra­men­to del gover­no prov­vi­so­rio a Pietrogrado

Per­ché gli ope­rai e i sol­da­ti, che ave­va­no com­bat­tu­to così valo­ro­sa­men­te per rove­scia­re lo zari­smo, per­mi­se­ro al Soviet di con­se­gna­re il pote­re a un nuo­vo gover­no che rap­pre­sen­ta­va le clas­si pos­si­den­ti? Innan­zi­tut­to, per­ché la mag­gior par­te dei lavo­ra­to­ri non ave­va anco­ra scel­to tra le poli­ti­che dei vari par­ti­ti socia­li­sti. Poi, gli stes­si bol­sce­vi­chi non ave­va­no mol­to chia­ro ciò per cui com­bat­te­va­no, in par­te per­ché con­ser­va­va­no una com­pren­sio­ne (rapi­da­men­te supe­ra­ta) del­la rivo­lu­zio­ne come democratico‑borghese, in cui avreb­be gover­na­to un gover­no rivo­lu­zio­na­rio prov­vi­so­rio. Ciò che que­sto signi­fi­cas­se in pra­ti­ca, soprat­tut­to dopo la for­ma­zio­ne del gover­no prov­vi­so­rio, era lascia­to alla libe­ra interpretazione.
Ben­ché i mili­tan­ti bol­sce­vi­chi abbia­no svol­to un ruo­lo chia­ve nel­le gior­na­te rivo­lu­zio­na­rie, spes­so lo han­no fat­to a dispet­to dei loro diri­gen­ti. Le ope­ra­ie tes­si­li scio­pe­ra­ro­no a feb­bra­io nono­stan­te le obie­zio­ni da par­te dei diri­gen­ti di par­ti­to, che con­si­de­ra­va­no “non anco­ra matu­ri” i tem­pi per l’azione militante.
L’ufficio poli­ti­co del par­ti­to bol­sce­vi­co a Pie­tro­gra­do (Shliap­ni­kov, Molo­tov e Zalu­tsky) era anche ina­de­gua­to. Per­si­no dopo lo scio­pe­ro del 23 feb­bra­io, Shliap­ni­kov sosten­ne che era pre­ma­tu­ro con­vo­ca­re uno scio­pe­ro gene­ra­le. E l’organismo nep­pu­re fu in gra­do di stam­pa­re un volan­ti­no da distri­bui­re alle trup­pe e respin­se le richie­ste di arma­men­to dei lavo­ra­to­ri in vista degli scon­tri imminenti.
Gran par­te dell’iniziativa par­tì, o dal comi­ta­to distret­tua­le di Vyborg, che assun­se un ruo­lo diri­gen­te di fat­to nell’organizzazione del par­ti­to in cit­tà, oppu­re dai mili­tan­ti di base, soprat­tut­to il pri­mo gior­no in cui le don­ne igno­ra­ro­no i diri­gen­ti del par­ti­to ed ebbe­ro un ruo­lo deci­si­vo nel­la pro­pa­ga­zio­ne del movi­men­to di sciopero.
Per tut­to il mese di mar­zo, i bol­sce­vi­chi furo­no pre­da del­la con­fu­sio­ne e del­la divi­sio­ne. Quan­do il Soviet di Pie­tro­gra­do con­se­gnò il pote­re alla bor­ghe­sia il 1° mar­zo, non uno degli undi­ci bol­sce­vi­chi nel comi­ta­to ese­cu­ti­vo del soviet si oppo­se. Quan­do i bol­sce­vi­chi di sini­stra dele­ga­ti nel Soviet pre­sen­ta­ro­no una mozio­ne per­ché il Soviet stes­so for­mas­se un gover­no, solo in dician­no­ve vota­ro­no a favo­re, men­tre mol­ti altri bol­sce­vi­chi vota­ro­no con­tro. Il 5 mar­zo, il Comi­ta­to bol­sce­vi­co di Pie­tro­bur­go sosten­ne l’appello lan­cia­to dal Soviet agli ope­rai per­ché ritor­nas­se­ro al lavo­ro, anche se la gior­na­ta lavo­ra­ti­va di otto ore – una del­le prin­ci­pa­li richie­ste del movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio – non era anco­ra sta­ta istituita.
L’Ufficio poli­ti­co del par­ti­to sot­to Shliap­ni­kov si avvi­ci­nò ai radi­ca­li di Vyborg, che chie­de­va­no al Soviet di assu­me­re il gover­no. Ma quan­do Kame­nev, Sta­lin e Mura­nov tor­na­ro­no dall’esilio del­la Sibe­ria e pre­se­ro il con­trol­lo dell’Ufficio poli­ti­co il 12 mar­zo, la poli­ti­ca del par­ti­to virò bru­sca­men­te a destra, per la gio­ia dei diri­gen­ti men­sce­vi­chi e socia­li­sti rivo­lu­zio­na­ri e sca­te­nan­do la rab­bia di mol­ti mili­tan­ti del par­ti­to nel­le fab­bri­che, alcu­ni dei qua­li chie­se­ro l’espulsione del nuo­vo triumvirato.
Lenin era tra i più arrab­bia­ti. Il 7 mar­zo, scris­se dal­la Sviz­ze­ra: «Que­sto nuo­vo gover­no è già lega­to mani e pie­di al capi­ta­le impe­ria­li­sta, alla poli­ti­ca impe­ria­li­sta di guer­ra e di rapi­na»[4]. Kame­nev, al con­tra­rio, sul­la Pra­v­da del 15 mar­zo sosten­ne che il «popo­lo libe­ro» sareb­be «rima­sto sal­da­men­te al suo posto, rispon­de­rà col­po su col­po, pro­iet­ti­le su pro­iet­ti­le». E, alla fine di mar­zo, Sta­lin si espres­se a favo­re dell’unificazione con i men­sce­vi­chi e sosten­ne che il gover­no prov­vi­so­rio ave­va «assun­to il ruo­lo di garan­ti­re le con­qui­ste del­la rivo­lu­zio­ne».
Lenin era così pre­oc­cu­pa­to del­la svol­ta a destra del­la dire­zio­ne bol­sce­vi­ca che il 30 mar­zo scris­se di pre­fe­ri­re «l’immediata scis­sio­ne con qual­cu­no del nostro par­ti­to, chiun­que sia, anzi­ché fare con­ces­sio­ni al social­pa­triot­ti­smo di Keren­sky e C.»[5]. Non era neces­sa­rio un avvo­ca­to per inter­pre­ta­re le paro­le di Lenin o capi­re a chi stes­se rife­ren­do: «Kame­nev deve ren­der­si con­to che por­ta una respon­sa­bi­li­tà sto­ri­ca mon­dia­le».
L’essenza del leni­ni­smo dal 1905 è sta­ta la sua enfa­si sul­la dif­fi­den­za com­ple­ta nei con­fron­ti del libe­ra­li­smo, rite­nu­to una for­za con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ria, e una cri­ti­ca taglien­te ver­so quei socia­li­sti impe­gna­ti nel­la ricer­ca di una con­ci­lia­zio­ne con i libe­ra­li. Eppu­re, la stes­sa for­mu­la­zio­ne di Lenin nel 1905, che invo­ca­va la crea­zio­ne di un gover­no rivo­lu­zio­na­rio prov­vi­so­rio per rea­liz­za­re una rivo­lu­zio­ne bor­ghe­se, con­tra­sta­va con quel­le che lui defi­ni­va le «idee assur­de e semia­nar­chi­che» di Tro­tsky, che riven­di­ca­va inve­ce una «rivo­lu­zio­ne socia­li­sta». Lo stes­so Lenin effet­tua­va ora una svol­ta ver­so que­sta “assur­da” idea di socia­li­smo, men­tre i vec­chi e con­ser­va­to­ri bol­sce­vi­chi com­pren­si­bil­men­te lo accu­sa­va­no di “tro­tski­smo”.
Sot­to mol­ti aspet­ti, il col­po di sta­to dei pri­mi di mar­zo ha segui­to il model­lo tipi­co di even­ti simi­li veri­fi­ca­ti­si duran­te l’ultimo seco­lo – una pic­co­la cric­ca non elet­ta da nes­su­no che usur­pa il pote­re per i suoi inte­res­si di cas­se a spe­se di un movi­men­to che l’ha por­ta­ta al pote­re. C’erano due gran­di dif­fe­ren­ze, però. Innan­zi­tut­to, che c’era un par­ti­to del­le mas­se lavo­ra­tri­ci che avreb­be lot­ta­to instan­ca­bil­men­te per i loro obiet­ti­vi. E, in secon­do luo­go, che c’erano i soviet.
La rivo­lu­zio­ne rus­sa era appe­na iniziata.

 

[*] Kevin Mur­phy inse­gna Sto­ria Rus­sa nell’University of Mas­sa­chu­setts di Boston. Il suo libro Revo­lu­tion and Coun­ter­re­vo­lu­tion: Class Strug­gle in a Moscow Metal Fac­to­ry ha vin­to nel 2005 il Deu­tscher Memo­rial Prize.


Note

[1] Inter­na­zio­na­li­sti dell’organizzazione Inter­di­stret­tua­le. V., in pro­po­si­to, V.I. Nev­skij, Sto­ria del par­ti­to bol­sce­vi­co dal­le ori­gi­ni al 1917, Edi­zio­ni Pan­ta­rei, p. 432 (Ndt).
[2] L. Tro­tsky, Sto­ria del­la Rivo­lu­zio­ne rus­sa, vol. I, Arnol­do Mon­da­do­ri edi­to­re, p. 136 (Ndt).
[3] L. Tro­tsky, op. cit., p. 202 (Ndt).
[4] V.I. Lenin, “Let­te­re da lon­ta­no: la pri­ma fase del­la pri­ma rivo­lu­zio­ne”, in Ope­re, Edi­zio­ni Lot­ta comu­ni­sta, vol. XXIII, p. 307 (Ndt).
[5] V.I. Lenin, “Car­teg­gio 1917. A Gane­tski”, in Ope­re, cit., vol. XXXV, p. 223 (Ndt).