Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Rivoluzione russa del 1917

Gramsci e la rivoluzione russa

Pro­se­guia­mo nel­la pub­bli­ca­zio­ne, in col­la­bo­ra­zio­ne con la rivi­sta Jaco­bin Maga­zi­ne e in coo­pe­ra­zio­ne con il sito Paler­mo­Grad, del dos­sier sul­la rivo­lu­zio­ne rus­sa del 1917.
Que­sta vol­ta, pre­sen­tia­mo, nel­la tra­du­zio­ne dall’ori­gi­na­le in ingle­se di Pavlov Dogg, il sag­gio di Alva­ro Bian­chi e Danie­la Mus­si sull’impatto che la rivo­lu­zio­ne rus­sa ebbe su Anto­nio Gram­sci, del­la cui ope­ra i due auto­ri sono pro­fon­di conoscitori.
La reda­zio­ne del Blog

Gramsci e la rivoluzione russa

Le rifles­sio­ni del gio­va­ne Anto­nio Gram­sci sul­la rivo­lu­zio­ne russa


Alva­ro Bian­chi e Danie­la Mussi [*]

 

Ottant’anni fa, il 27 apri­le 1937, Anto­nio Gram­sci morì dopo aver tra­scor­so gli ulti­mi die­ci anni del­la sua vita in un car­ce­re fasci­sta. Rico­no­sciu­to a livel­lo inter­na­zio­na­le mol­to più tar­di per il lavo­ro teo­ri­co svol­to in quel­li che saran­no pub­bli­ca­ti come Qua­der­ni del Car­ce­re, Gram­sci ini­ziò a dare un con­tri­bu­to di rifles­sio­ne di taglio poli­ti­co duran­te la Gran­de Guer­ra, quan­do era un gio­va­ne stu­den­te di lin­gui­sti­ca pres­so l’Università di Tori­no. Già allo­ra, i suoi arti­co­li pub­bli­ca­ti sul­la stam­pa socia­li­sta costi­tui­va­no un atto di sfi­da non sol­tan­to alla guer­ra in cor­so, ma anche alla cul­tu­ra libe­ra­le, nazio­na­li­sta e cat­to­li­ca impe­ran­te in Italia.
All’inizio del 1917 Gram­sci lavo­ra­va come gior­na­li­sta in un quo­ti­dia­no socia­li­sta di Tori­no, Il Gri­do del Popo­lo, e col­la­bo­ra­va con l’edizione pie­mon­te­se dell’Avan­ti!. Nei pri­mi mesi dopo la Rivo­lu­zio­ne di Feb­bra­io in Rus­sia, le noti­zie al riguar­do era­no anco­ra scar­se in Ita­lia. In mas­si­ma par­te ci si limi­ta­va alla ripro­du­zio­ne di arti­co­li pro­ve­nien­ti dal­le agen­zie gior­na­li­sti­che di Lon­dra e Pari­gi. Sull’Avan­ti! gli even­ti rus­si veni­va­no segui­ti attra­ver­so gli arti­co­li fir­ma­ti da “Junior”, pseu­do­ni­mo di Vasi­lij Vasi­le­vich Suchom­lin, un Socia­li­sta rivo­lu­zio­na­rio in esilio.
Per for­ni­re ai socia­li­sti ita­lia­ni infor­ma­zio­ni affi­da­bi­li, la dire­zio­ne del Par­ti­to socia­li­sta ita­lia­no (Psi) inviò un tele­gram­ma al depu­ta­to Oddi­no Mor­ga­ri, che si tro­va­va a L’Aia, chie­den­do­gli di recar­si a Pie­tro­gra­do ed entra­re in con­tat­to con i rivo­lu­zio­na­ri. Ma la mis­sio­ne fal­lì e Mor­ga­ri fece ritor­no in Ita­lia nel mese di luglio. Il 20 apri­le, tut­ta­via, l’Avan­ti! ave­va pub­bli­ca­to una nota scrit­ta da Gram­sci sul ten­ta­ti­vo com­piu­to dal par­la­men­ta­re, chia­man­do­lo l’«amba­scia­to­re ros­so». L’entusiasmo di Gram­sci per gli even­ti rus­si era pal­pa­bi­le: in quel momen­to egli riten­ne che la poten­zia­le for­za del­la clas­se ope­ra­ia ita­lia­na per affron­ta­re la guer­ra fos­se diret­ta­men­te lega­ta a quel­la del pro­le­ta­ria­to rus­so. Pen­sa­va che con la rivo­lu­zio­ne in Rus­sia tut­te le rela­zio­ni inter­na­zio­na­li sareb­be­ro muta­te radicalmente.
Il con­flit­to mon­dia­le sta­va attra­ver­san­do la sua fase più inten­sa, e la mobi­li­ta­zio­ne mili­ta­re scon­vol­ge­va pro­fon­da­men­te la vita del popo­lo ita­lia­no. Ange­lo Tasca, Umber­to Ter­ra­ci­ni, e Pal­mi­ro Togliat­ti furo­no chia­ma­ti alle armi, men­tre Gram­sci, loro ami­co e com­pa­gno, ven­ne eso­ne­ra­to a moti­vo del­la sua cagio­ne­vo­le salu­te. Per­tan­to il gior­na­li­smo diven­ne il suo “fron­te”. Nell’articolo su Mor­ga­ri, Gram­sci cita­va favo­re­vol­men­te una dichia­ra­zio­ne dei Socia­li­sti rivo­lu­zio­na­ri rus­si, pub­bli­ca­ta in Ita­lia da Il Cor­rie­re del­la Sera, in cui si chie­de­va a tut­ti i gover­ni euro­pei di rinun­cia­re all’offensiva mili­ta­re, limi­tan­do­si all’azione difen­si­va con­tro l’attacco tede­sco. Era la posi­zio­ne det­ta del “difen­si­smo rivo­lu­zio­na­rio”, adot­ta­ta da una lar­ga mag­gio­ran­za del Con­gres­so pan­rus­so dei Soviet in quell’aprile. Pochi gior­ni dopo, l’Avan­ti!, pub­bli­cò la riso­lu­zio­ne con­clu­si­va appro­va­ta dal con­gres­so, tra­dot­ta da Junior.
Ma appe­na giun­se­ro noti­zie più aggior­na­te, Gram­sci comin­ciò a svi­lup­pa­re una pro­pria inter­pre­ta­zio­ne in meri­to a quan­to sta­va acca­den­do in Rus­sia. A fine apri­le pub­bli­cò su Il Gri­do del Popo­lo un arti­co­lo inti­to­la­to “Note sul­la rivo­lu­zio­ne rus­sa”. Con­tra­ria­men­te alla mag­gior par­te dei socia­li­sti dell’epoca – che ana­liz­za­va­no gli even­ti rus­si come una nuo­va rivo­lu­zio­ne fran­ce­se – Gram­sci ne par­la­va ades­so come di un «atto pro­le­ta­rio» che avreb­be por­ta­to al socialismo.
Per Gram­sci la rivo­lu­zio­ne rus­sa era qual­co­sa di mol­to diver­so dal model­lo gia­co­bi­no, visto come mera «rivo­lu­zio­ne bor­ghe­se». Inter­pre­tan­do gli even­ti di Pie­tro­gra­do, egli espo­ne­va un pro­gram­ma poli­ti­co vali­do per il futu­ro. Onde pro­se­gui­re il movi­men­to in dire­zio­ne di una rivo­lu­zio­ne dei lavo­ra­to­ri, i socia­li­sti rus­si avreb­be­ro dovu­to rom­pe­re defi­ni­ti­va­men­te con il model­lo gia­co­bi­no, iden­ti­fi­ca­to qui con l’uso siste­ma­ti­co del­la vio­len­za a fron­te di una limi­ta­ta atti­vi­tà culturale.
Duran­te i mesi seguen­ti Gram­sci si alli­neò rapi­da­men­te ai bol­sce­vi­chi: una posi­zio­ne che espri­me­va altre­sì la sua con­ver­gen­za con le cor­ren­ti più radi­ca­li e anti­bel­li­che all’interno del Psi. In un arti­co­lo del 28 luglio, inti­to­la­to “I mas­si­ma­li­sti rus­si”, Gram­sci dichia­rò il suo pie­no soste­gno a Lenin e a quel­la che defi­ni­va la poli­ti­ca «mas­si­ma­li­sta»: che rap­pre­sen­ta­va, a suo avvi­so, «la con­ti­nui­tà del­la rivo­lu­zio­ne, … il rit­mo del­la rivo­lu­zio­ne [e] per­ciò … la rivo­lu­zio­ne stes­sa». I mas­si­ma­li­sti era­no l’incarnazione del­la «idea‑limite del socia­li­smo», sce­vra di impe­gni vin­co­lan­ti nei con­fron­ti del passato.
Gram­sci insi­sté sul pun­to per cui la rivo­lu­zio­ne non dove­va esse­re inter­rot­ta, per scon­fig­ge­re inve­ce l’universo bor­ghe­se. Per il gior­na­li­sta de Il Gri­do del Popo­lo il rischio più gran­de di tut­te le rivo­lu­zio­ni, e di quel­la rus­sa nel­lo spe­ci­fi­co, è il dif­fon­der­si del­la per­ce­zio­ne che il pro­ces­so di tra­sfor­ma­zio­ne abbia rag­giun­to un pun­to con­clu­si­vo. I mas­si­ma­li­sti era­no la for­za che si oppo­ne­va a tale erro­re, e per­ciò stes­so costi­tui­va­no «l’ultimo anel­lo logi­co di que­sto dive­ni­re rivo­lu­zio­na­rio». Nel ragio­na­men­to di Gram­sci tut­ti i pas­sag­gi del pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio sono lega­ti l’un l’altro, con un movi­men­to nel­la dire­zio­ne in cui gli ele­men­ti più for­ti e deter­mi­na­ti sono in gra­do di spin­ge­re i più debo­li e confusi.
Il 5 ago­sto 1917 arri­vò a Tori­no una dele­ga­zio­ne dei soviet rus­si, del­la qua­le face­va­no par­te fra gli altri Josif Gol­dem­berg e Alek­san­dr Smir­nov. Il viag­gio era sta­to auto­riz­za­to dal gover­no ita­lia­no, che spe­ra­va che il nuo­vo gover­no rus­so pro­se­guis­se l’impegno bel­li­co con­tro la Ger­ma­nia. Dopo aver incon­tra­to i dele­ga­ti rus­si, i socia­li­sti ita­lia­ni espres­se­ro la pro­pria per­ples­si­tà rispet­to alle idee anco­ra pre­va­len­ti all’interno dei soviet rus­si. L’11 ago­sto il redat­to­re de Il Gri­do del Popo­lo si interrogava:

«Quan­do sen­tia­mo i dele­ga­ti del Soviet rus­so par­la­re di con­ti­nua­re la guer­ra per la dife­sa del­la rivo­lu­zio­ne, ci doman­dia­mo ansio­sa­men­te se inve­ce essi non accet­ti­no – sen­za saper­lo e sen­za voler­lo – di con­ti­nua­re la guer­ra per la dife­sa degli inte­res­si del­la soprav­ve­nu­ta bor­ghe­sia capi­ta­li­sti­ca Rus­sa, con­tro l’assalto pro­le­ta­rio per la enne­si­ma vit­to­ria del­la coa­li­zio­ne capi­ta­li­sti­ca, con­tro il peri­co­lo col­let­ti­vi­sta che si avan­za».

Non­di­me­no, la visi­ta dei dele­ga­ti sovie­ti­ci costi­tuì un’occasione per far pro­pa­gan­da alla rivo­lu­zio­ne, e i socia­li­sti ita­lia­ni sep­pe­ro sfrut­tar­la. Dopo esser pas­sa­ta per Roma, Firen­ze, Bolo­gna e Mila­no, la dele­ga­zio­ne fece ritor­no a Tori­no. Davan­ti alla Casa del Popo­lo, qua­ran­ta­mi­la per­so­ne inneg­gia­ro­no alla rivo­lu­zio­ne in Rus­sia nel­la pri­ma mani­fe­sta­zio­ne pub­bli­ca svol­ta­si in cit­tà dall’inizio del­la Gran­de Guer­ra. Dal bal­co­ne del­la Casa del Popo­lo Gia­cin­to Menot­ti Ser­ra­ti, allo­ra capo dell’ala mas­si­ma­li­sta all’interno del par­ti­to e fer­mo oppo­si­to­re del­la guer­ra, s’incaricò di tra­dur­re il discor­so di Gol­dem­berg. Dopo l’intervento del dele­ga­to, Ser­ra­ti affer­mò che i rus­si vole­va­no l’immediata fine del­le osti­li­tà, e con­clu­se la sua “tra­du­zio­ne” al gri­do di “Viva la rivo­lu­zio­ne ita­lia­na!”, a cui la fol­la rispo­se gri­dan­do: “Viva la rivo­lu­zio­ne rus­sa! Viva Lenin!”.
Gram­sci scris­se entu­sia­sti­ca­men­te di que­sta mani­fe­sta­zio­ne su Il Gri­do del Popo­lo. La mani­fe­sta­zio­ne ave­va pro­mos­so, secon­do lui, un vero «spet­ta­co­lo del­le for­ze pro­le­ta­rie e socia­li­ste soli­da­li con la Rus­sia rivo­lu­zio­na­ria». Pochi gior­ni dopo, quel­lo “spet­ta­co­lo” si sareb­be rivi­sto per le stra­de di Torino.
La mat­ti­na del 22 ago­sto a Tori­no man­ca­va il pane, a cau­sa di una lun­ga cri­si di approv­vi­gio­na­men­to pro­vo­ca­ta dal­la guer­ra. A mez­zo­gior­no gli ope­rai inter­rup­pe­ro il lavo­ro nel­le fab­bri­che del­la cit­tà. Alle 5 del pome­rig­gio, con qua­si tut­te le fab­bri­che fer­me, la fol­la comin­ciò ad attra­ver­sa­re la cit­tà sac­cheg­gian­do pani­fi­ci e magaz­zi­ni. L’insurrezione spon­ta­nea, non indet­ta da nes­su­no, si dif­fu­se per la cit­tà, che ne fu som­mer­sa. Il ripri­sti­no dell’approvvigionamento del pane non fer­mò il dila­ga­re del movi­men­to, che ave­va rapi­da­men­te assun­to un carat­te­re politico.

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Il pome­rig­gio seguen­te a Tori­no il pote­re ven­ne tra­sfe­ri­to all’esercito, che si assi­cu­rò il con­trol­lo del cen­tro cit­ta­di­no. I sac­cheg­gi e la costru­zio­ne di bar­ri­ca­te pro­se­gui­ro­no però in peri­fe­ria. A Bor­go San Pao­lo, una roc­ca­for­te socia­li­sta, i mani­fe­stan­ti sac­cheg­gia­ro­no la chie­sa di San Ber­nar­di­no per poi incen­diar­la. La poli­zia aprì il fuo­co sul­la fol­la. Gli scon­tri si inten­si­fi­ca­ro­no nel cor­so del 24 ago­sto. Al mat­ti­no i mani­fe­stan­ti ten­ta­ro­no sen­za suc­ces­so di rag­giun­ge­re il cen­tro del­la cit­tà. Poche ore dopo si tro­va­ro­no ad affron­ta­re il fuo­co del­le mitra­glia­tri­ci e dei blin­da­ti. Il bilan­cio fina­le farà con­ta­re 24 mor­ti e oltre 1.500 arre­sti. Lo scio­pe­ro con­ti­nue­rà la mat­ti­na suc­ces­si­va, ma sen­za le bar­ri­ca­te. Poi una ven­ti­na di diri­gen­ti socia­li­sti furo­no arre­sta­ti e la ribel­lio­ne spon­ta­nea giun­se a conclusione.
Il Gri­do del Popo­lo non ven­ne dif­fu­so duran­te quel­le gior­na­te. Ripren­de­rà in pie­no le sue atti­vi­tà il 1° set­tem­bre, ades­so sot­to la dire­zio­ne di Gram­sci, che sosti­tuì la diri­gen­te socia­li­sta Maria Giu­di­ce, fini­ta agli arre­sti. La cen­su­ra sta­ta­le non con­sen­ti­va peral­tro di pub­bli­ca­re alcun rife­ri­men­to all’insurrezione. Gram­sci col­se inve­ce l’occasione per fare un bre­ve cen­no a Lenin: «for­se Keren­ski rap­pre­sen­ta la fata­li­tà sto­ri­ca, cer­to Lenin rap­pre­sen­ta il dive­ni­re socia­li­sti­co; e noi sia­mo con lui, con tut­ta l’a­ni­ma». Il rife­ri­men­to è alle gior­na­te di luglio in Rus­sia e alla per­se­cu­zio­ne dei bol­sce­vi­chi che ne seguì, costrin­gen­do tra l’altro Lenin a rifu­giar­si in Finlandia.
Pochi gior­ni dopo, il 15 set­tem­bre, quan­do le trup­pe gui­da­te dal gene­ra­le Lavr Kor­ni­lov mar­cia­ro­no ver­so Pie­tro­gra­do per ripri­sti­na­re l’ordine con­tro la rivo­lu­zio­ne, Gram­sci anco­ra una vol­ta accen­na­va a quel­la «rivo­lu­zio­ne avve­nu­ta nel­le coscien­ze». E il 29 set­tem­bre Lenin veni­va defi­ni­to «l’a­gi­ta­to­re di coscien­ze, il risve­glia­to­re del­le ani­me dor­mien­ti». Sul­le infor­ma­zio­ni dispo­ni­bi­li in Ita­lia non si pote­va anco­ra fare pie­no affi­da­men­to, fil­tra­te com’erano dal­le tra­du­zio­ni di Junior per l’Avan­ti!. In quel momen­to Gram­sci anco­ra vede­va nel social­ri­vo­lu­zio­na­rio Vik­tor Cher­nov «il rea­liz­za­to­re, l’uo­mo che ha un pro­gram­ma con­cre­to da attua­re, un pro­gram­ma inte­ra­men­te socia­li­sta, che non ammet­te col­la­bo­ra­zio­ni, che non può esse­re accet­ta­to dai bor­ghe­si per­ché rove­scia il prin­ci­pio di pro­prie­tà pri­va­ta, per­ché ini­zia final­men­te la rivo­lu­zio­ne socia­le».
Nel frat­tem­po, la cri­si poli­ti­ca in Ita­lia con­ti­nua­va. Dopo la scon­fit­ta dell’esercito ita­lia­no nel­la bat­ta­glia di Capo­ret­to del 12 novem­bre, il grup­po par­la­men­ta­re socia­li­sta, gui­da­to da Filip­po Tura­ti e Clau­dio Tre­ves, assun­se una posi­zio­ne aper­ta­men­te nazio­na­li­sta e sosten­ne la dife­sa del­la “nazio­ne”, pren­den­do le distan­ze dal “neu­tra­li­smo” degli anni pre­ce­den­ti. Sul­le pagi­ne di Cri­ti­ca Socia­le, Tura­ti e Tre­ves pub­bli­ca­ro­no un arti­co­lo in cui si affer­ma­va che nell’ora del peri­co­lo al pro­le­ta­ria­to toc­ca difen­de­re la patria.
Anche la fra­zio­ne intran­si­gen­te rivo­lu­zio­na­ria del par­ti­to, dal can­to suo, si orga­niz­zò per affron­ta­re la nuo­va situa­zio­ne. A novem­bre, i diri­gen­ti di que­sto rag­grup­pa­men­to con­vo­ca­ro­no un incon­tro segre­to a Firen­ze per discu­te­re «il futu­ro orien­ta­men­to del nostro par­ti­to». Gram­sci, che ave­va ini­zia­to ad assu­me­re un ruo­lo impor­tan­te nel­la sezio­ne socia­li­sta tori­ne­se, par­te­ci­pò alla riu­nio­ne in sua rap­pre­sen­tan­za. In quell’incontro si alli­neò a chi, come Ama­deo Bor­di­ga, rite­ne­va neces­sa­ria l’azione mili­tan­te, lad­do­ve Ser­ra­ti e altri si pro­nun­cia­va­no per il man­te­ni­men­to del­la vec­chia tat­ti­ca neu­tra­li­sta. La riu­nio­ne si con­clu­se riaf­fer­man­do i prin­ci­pi dell’internazionalismo rivo­lu­zio­na­rio e dell’opposizione alla guer­ra, ma sen­za alcu­na indi­ca­zio­ne pra­ti­ca sul da farsi.
Gram­sci, inter­pre­tan­do gli even­ti di ago­sto a Tori­no alla luce del­la rivo­lu­zio­ne rus­sa, ritor­nò dall’incontro con­vin­to che il momen­to sto­ri­co richie­des­se l’azione. Ani­ma­to da que­sto otti­mi­smo e dagli echi del­la pre­sa del pote­re in Rus­sia da par­te dei bol­sce­vi­chi, scris­se a dicem­bre l’articolo “La rivo­lu­zio­ne con­tro «Il Capi­ta­le»”, in cui dichia­ra­va: «La rivo­lu­zio­ne dei bol­sce­vi­chi si è defi­ni­ti­va­men­te inne­sta­ta nel­la rivo­lu­zio­ne gene­ra­le del popo­lo rus­so».
Dopo aver impe­di­to alla rivo­lu­zio­ne di rista­gna­re, i com­pa­gni di par­ti­to di Lenin era­no giun­ti al pote­re ed era­no sta­ti in gra­do di sta­bi­li­re «la loro dit­ta­tu­ra» e di ela­bo­ra­re «le for­me socia­li­ste in cui la rivo­lu­zio­ne dovrà final­men­te ada­giar­si per con­ti­nua­re a svi­lup­par­si armo­ni­ca­men­te». Nel 1917 Gram­sci non ave­va com­ple­ta­men­te chia­re le dif­fe­ren­ze poli­ti­che in seno ai rivo­lu­zio­na­ri rus­si. E, oltre­tut­to, il nucleo del­le sue idee sul­la rivo­lu­zio­ne socia­li­sta era il pre­sup­po­sto di carat­te­re gene­ra­le per cui si sareb­be trat­ta­to di un movi­men­to con­ti­nuo, «sen­za trop­po gran­di urti».
Con la sua for­za cul­tu­ra­le inti­ma e irre­si­sti­bi­le, la rivo­lu­zio­ne dei bol­sce­vi­chi «è mate­ria­ta di ideo­lo­gie più che di fat­ti». Per que­sto moti­vo la rivo­lu­zio­ne non pote­va tro­va­re posto nell’interpretazione let­te­ra­le del testo di Marx. In Rus­sia, con­ti­nua­va Gram­sci, Il Capi­ta­le era «il libro dei bor­ghe­si, più che degli ope­rai». Gram­sci si rife­ri­va alla Pre­fa­zio­ne del 1867, in cui Marx affer­ma che le nazio­ni dal capi­ta­li­smo più svi­lup­pa­to mostra­no a quel­le sot­to­svi­lup­pa­te la stra­da, le “tap­pe natu­ra­li” del pro­gres­so che non pos­so­no esser saltate.

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Sul­la base di que­sto testo, i men­sce­vi­chi ave­va­no for­mu­la­to una let­tu­ra del­lo svi­lup­po socia­le in Rus­sia che affer­ma­va la neces­si­tà del­la for­ma­zio­ne di una bor­ghe­sia e del­la costi­tu­zio­ne di una socie­tà indu­stria­le pie­na­men­te svi­lup­pa­ta, pri­ma che il socia­li­smo diven­tas­se una pos­si­bi­li­tà. Ma i rivo­lu­zio­na­ri gui­da­ti da Lenin, secon­do Gram­sci, «non sono “mar­xi­sti”» in sen­so stret­to: vale a dire che, men­tre non rin­ne­ga­no «il pen­sie­ro imma­nen­te» di Marx, però «rin­ne­ga­no alcu­ne affer­ma­zio­ni del Capi­ta­le» e rifiu­ta­no di far­ne «una dot­tri­na este­rio­re, di affer­ma­zio­ni dog­ma­ti­che e indi­scu­ti­bi­li».
Secon­do Gram­sci, le pre­vi­sio­ni di Marx sul­lo svi­lup­po del capi­ta­li­smo espo­ste nel Capi­ta­le sareb­be­ro cor­ret­te per situa­zio­ni di svi­lup­po nor­ma­le, in cui la for­ma­zio­ne di una «volon­tà socia­le, col­let­ti­va» si veri­fi­ca attra­ver­so «una lar­ga serie di espe­rien­ze di clas­se». La guer­ra, tut­ta­via, ave­va acce­le­ra­to que­sta tem­po­ra­li­tà in modo impre­ve­di­bi­le, e nel giro di tre anni i lavo­ra­to­ri rus­si ave­va­no inten­sa­men­te pro­va­to quel­le espe­rien­ze: «La care­stia era immi­nen­te, la fame, la mor­te per fame pote­va coglie­re tut­ti, maciul­la­re di un col­po die­ci­ne di milio­ni di uomi­ni. [Di fron­te a ciò] le volon­tà si sono mes­se all’unisono, mec­ca­ni­ca­men­te pri­ma, atti­va­men­te, spi­ri­tual­men­te dopo la pri­ma rivo­lu­zio­ne».
Il for­mar­si que­sta volon­tà col­let­ti­va popo­la­re era sta­to favo­ri­to dal­la pro­pa­gan­da socia­li­sta. Essa ave­va con­sen­ti­to ai lavo­ra­to­ri rus­si, in una situa­zio­ne ecce­zio­na­le, di vive­re l’intera sto­ria del pro­le­ta­ria­to in un istan­te. I lavo­ra­to­ri ave­va­no rico­no­sciu­to gli sfor­zi dei pro­pri ante­na­ti per eman­ci­par­si dai «vin­co­li del ser­vi­li­smo» svi­lup­pan­do rapi­da­men­te una «nuo­va coscien­za», facen­do­si «testi­mo­nio attua­le di un mon­do da veni­re». Inol­tre, giun­gen­do a que­sta coscien­za in un momen­to in cui il capi­ta­li­smo inter­na­zio­na­le era pie­na­men­te svi­lup­pa­to in pae­si come l’Inghilterra, il pro­le­ta­ria­to rus­so pote­va rapi­da­men­te rag­giun­ge­re la sua matu­ri­tà eco­no­mi­ca, una del­le con­di­zio­ni neces­sa­rie per il collettivismo.
Pur aven­do nel 1917 una cono­scen­za anco­ra limi­ta­ta del­le idee dei bol­sce­vi­chi, il gio­va­ne redat­to­re de Il Gri­do del Popo­lo gra­vi­ta­va natu­ral­men­te vici­no alla for­mu­la del­la rivo­lu­zio­ne per­ma­nen­te di Tro­tsky. Gram­sci vide in Lenin e nei bol­sce­vi­chi l’incarnazione di un pro­gram­ma di rin­no­va­men­to del­la rivo­lu­zio­ne inin­ter­rot­ta. Una rivo­lu­zio­ne che egli vole­va dive­nis­se rea­le anche in Italia.
Vent’anni dopo, Gram­sci morì da pri­gio­nie­ro del fasci­smo ita­lia­no. Un tale sguar­do retro­spet­ti­vo potreb­be far­ci cre­de­re che que­sto desti­no tra­gi­co abbia por­ta­to Gram­sci a met­te­re in discus­sio­ne le gran­di spe­ran­ze che egli vide nell’Ottobre. O che i suoi Qua­der­ni del Car­ce­re costi­tui­sca­no un ten­ta­ti­vo di tro­va­re “nuo­ve stra­de”, for­me più mode­ra­te o “nego­zia­li” di lot­ta con­tro il capitalismo.
Ma una simi­le resa non ebbe effet­ti­va­men­te luo­go. Nei suoi scrit­ti dal car­ce­re, Gram­sci avan­zò una teo­ria del­la poli­ti­ca in cui la for­za e il con­sen­so non sono sepa­ra­ti, e lo Sta­to è con­ce­pi­to qua­le risul­ta­to sto­ri­co di for­ze inte­ra­gen­ti all’interno di pro­ces­si che di rado pro­du­co­no con­di­zio­ni van­tag­gio­se per i grup­pi socia­li subal­ter­ni. Scris­se del­la neces­si­tà di dar bat­ta­glia in tut­te le sfe­re dell’esistenza, non­ché dei rischi di una con­ci­lia­zio­ne ege­mo­ni­ca e del “tra­sfor­mi­smo” poli­ti­co. Si sof­fer­mò in par­ti­co­la­re sul ruo­lo – qua­si sem­pre dele­te­rio – degli intel­let­tua­li nell’ambito del­la vita del popo­lo, e dell’importanza di ren­de­re il mar­xi­smo una visio­ne del mon­do inte­gra­le: la filo­so­fia del­la pra­xis.
Nul­la di quan­to scrit­to negli anni di pri­gio­nia sta per­tan­to a indi­ca­re che Gram­sci aves­se abban­do­na­to la rivo­lu­zio­ne rus­sa qua­le pun­to di rife­ri­men­to pro­gram­ma­ti­co e sto­ri­co al fine dell’emancipazione del­la clas­se lavo­ra­tri­ce. La rivo­lu­zio­ne rus­sa rima­se viva nel cuo­re e nel­la men­te di Gram­sci fino al momen­to del­la sua mor­te, in quell’aprile del 1937.

(tra­du­zio­ne dall’originale in ingle­se di Pavlov Dogg)


[*] Alva­ro Bian­chi è Pro­fes­so­re asso­cia­to al Dipar­ti­men­to di Scien­ze poli­ti­che pres­so l’Università sta­ta­le di Cam­pi­nas (Uni­camp – Bra­zil), non­ché Diret­to­re dell’Archivio Edgard Leuen­roth – Cen­tro di ricer­ca e docu­men­ta­zio­ne sociale.
Danie­la Mus­si è Ricer­ca­tri­ce post‑Dottorato pres­so la Facol­tà di Filo­so­fia, Let­te­re e Scien­ze uma­ne (FFLCH) dell’Università di San Pao­lo del Brasile.