Come avevamo annunciato, torniamo ancora sul tema del Venezuela, dove è in corso una violenta polarizzazione sociale che abbiamo descritto negli articoli in precedenza pubblicati.
Oggi presentiamo un testo che fa luce sull’ennesimo episodio della politica economico‑finanziaria del governo Maduro, indice di una capitolazione completa all’imperialismo e al capitale finanziario internazionale.
Continueremo, in ogni caso, a seguire gli sviluppi in Venezuela e ne daremo prossimamente conto.
Buona lettura.
La redazione
Debito estero e liberazione nazionale del XXI secolo
Rolando Astarita [*]
Il 28 maggio scorso, il Wall Street Journal ha reso noto che recentemente Goldman Sachs ha comprato titoli obbligazionari della PDVSA – l’industria petrolifera statale venezuelana – del valore nominale di 2,8 miliardi di dollari con una cedola al tasso del 6%, pagando 865 milioni di dollari. Cioè, a 31 centesimi di dollaro. Le obbligazioni erano stati emesse dall’impresa nel 2014 e verranno a scadenza tra il 2020 e il 2022. Sicché, il governo venezuelano si impegna a pagare 2,8 miliardi di dollari alla scadenza, oltre a 765 milioni di dollari di interessi. In altri termini, riceve oggi 865 milioni di dollari e pagherà 3,65 miliardi di dollari entro il 2022. Con queste cifre, anche se si producesse una ristrutturazione del debito, ad esempio fino al 50%, Goldman Sachs otterrebbe notevoli guadagni. Non deve perciò suonare strano il fatto che il governo Maduro non abbia informato il popolo venezuelano dell’operazione.
Come c’era da attendersi, l’opposizione venezuelana ha accusato Goldman di aiutare il governo.
Julio Borges, capo dell’opposizione in parlamento, ha raccomandato a qualsiasi futuro governo democratico del Venezuela di non riconoscere, né pagare, queste obbligazioni (e Borges è accusato dal chavismo di essere un agente dell’imperialismo). Goldman si è difesa sostenendo di aver comprato i titoli sul mercato secondario. Tuttavia, specialisti finanziari asseriscono che non c’era sufficiente mercato secondario per un’operazione di questa grandezza, che le obbligazioni erano nelle casse della Banca centrale del Venezuela fino ad epoca recente e che Goldman le avrebbe comprate attraverso intermediari. Per questo motivo, subito dopo essere state vendute, le riserve internazionali della Banca centrale sono aumentate di 749 milioni di dollari, raggiungendo la cifra di 10,86 miliardi di dollari. Goldman ha anche argomentato che altri investitori posseggono titoli venezuelani e che ha fatto ciò che fa qualsiasi investitore capitalista. “Sono solo affari”. Secondo il Financial Times, grandi finanziarie che gestiscono attivi, come Fidelity, Pimco, BlackRock, T Rowe Price, Ashmore, GMO e PGIM, sono creditori del Venezuela e della PDVSA.
Il Venezuela ha sempre pagato
Benché analisti finanziari considerino rischiosa l’operazione di Goldman, la banca scommette su un miglioramento dell’economia venezuelana. Inoltre, fa affidamento sul fatto che il chavismo ha sempre anteposto il pagamento del debito rispetto a qualsiasi altro pagamento. Su questo non c’è dubbio: dal 2012 fino al marzo del 2017, il Venezuela ha pagato, per interessi sul debito estero, un totale di 30,243 miliardi di dollari (dati della Banca centrale). In aprile, tra la PDVSA e il debito del governo, sono stati pagati altri tre miliardi di dollari. La contropartita di questi pagamenti è stata la riduzione del 50% delle importazioni, con la conseguente mancanza di alimenti e farmaci essenziali per la popolazione. Nel contempo, le riserve della Banca centrale sono passate dai 30 miliardi di dollari del 2011 ai 10,5 miliardi di dollari di oggi, il livello più basso degli ultimi quindici anni. Nei prossimi mesi di ottobre e novembre, il Venezuela dovrà pagare altri 3,5 miliardi. A ciò si aggiunga che circa 7 miliardi di dollari delle riserve sono immobilizzati in lingotti d’oro, quindi di non facile liquidità, e una parte importante sarebbe impegnata come garanzie per i prestiti.
Per avere un panorama più ampio, precisiamo che il debito estero totale, al valore nominale, nel 2015 (ultimo dato disponibile sul sito della Banca centrale) era di 137,038 miliardi (e nel 1998 era di 39 miliardi di dollari). Nel gennaio del 2017, il Venezuela ha emesso titoli per la prima volta in cinque anni, per cinque miliardi di dollari. Secondo CNBC[1] e il New York Times, il governo venezuelano avrebbe impegnato quasi il 50% del pacchetto azionario di Citgo (la raffineria consociata con sede negli Stati Uniti) come garanzia di un prestito erogato dall’impresa statale russa Rosneft. Altre fonti, tra cui Bloomberg, sostengono che l’operazione vedrebbe partecipe anche la Cina. In ogni modo, e benché i dati del 2017 siano incerti, assumendo che il prodotto interno lordo sia di 149 miliardi di dollari (secondo calcoli del Fmi), il rapporto debito/Pil si aggirerebbe intorno al 100%.
Debito crescente in un’economia in rovina
Nell’aprile di quest’anno, cioè prima della vendita dei titoli a Goldman, la banca d’investimenti giapponese Nomura aveva avviato dei colloqui a Caracas per acquisire obbligazioni della PDVSA per tre miliardi di dollari in cambio di un miliardo cash alla Banca centrale, detentrice dei titoli. I colloqui si sono fermati quando la Corte suprema ha privato il parlamento di tutti i poteri. In ogni modo, Nomura ha comprato titoli obbligazionari per 100 milioni di dollari a un terzo del loro valore, in parallelo con l’acquisto fatto da Goldman Sachs. D’altra parte, e secondo il Wall Street Journal, attualmente il governo chavista starebbe tentando di collocare titoli per cinque miliardi attraverso intermediari cinesi. Tutto indicherebbe, allora, che il governo Maduro ha imboccato una politica di crescita del debito per realizzare valute a qualsiasi prezzo: valute che, a loro volta, sono in grande misura destinate a pagare il debito. Sicché, si acquisisce debito a tassi sempre più alti per pagare un debito che non smette di crescere. La situazione è, alla lunga, insostenibile.
Il problema di fondo, naturalmente, è la deindustrializzazione, la stagnazione e la caduta della produzione. Oggi, la PDVSA è praticamente l’unica fonte di valuta estera del Venezuela. Ma l’impresa petrolifera si trova in una pessima situazione. Non ha liquidità, i pozzi stanno perdendo pressione e le attrezzature nei suoi stabilimenti hanno bisogno di essere rinnovate o di riparazioni urgenti. La produzione giornaliera è di uno/due milioni di barili – mentre vent’anni fa era di tre milioni – e gli esperti pensano che la produzione di quest’anno cadrà di un altro 10%. In questo quadro, se PDVSA non paga, le verranno chiuse le linee di credito dalle banche internazionali: crediti che utilizza per finanziare una produzione sempre minore.
Domande sulla liberazione nazionale del XXI secolo
Ritorniamo da dove siamo partiti: il Venezuela riceve oggi 865 milioni di dollari, ed entro il 2022 ne pagherà 3,65 miliardi. Secondo i difensori del chavismo, negli ultimi vent’anni il Venezuela è stato l’incarnazione e l’avanguardia della liberazione nazionale latinoamericana (diciamo, “in marcia verso il socialismo del XXI secolo”). Ma, secondo questi stessi difensori, la liberazione economica passa, essenzialmente, dalla cessazione del pagamento del debito estero e dalla rottura delle catene che legano i governi dei Paesi arretrati al capitale finanziario internazionale. Com’è possibile mettere d’accordo queste caratterizzazioni con ciò che sta facendo il governo venezuelano in materia di debito? In un altro testo ho già evidenziato l’intreccio del chavismo col capitale finanziario. Ora abbiamo un’altra dimensione della questione.
D’altra parte, e considerato il precedente della straordinaria rendita petrolifera ottenuta dal Venezuela negli anni 2000, come si può giustificare l’attuale livello del debito? Come spiegare le operazioni fortemente rovinose per il Paese? Più in generale: come giustificare che le entrate della rendita non siano state utilizzate durante tutti questi anni per sviluppare le forze produttive? In definitiva: di che liberazione nazionale stiamo parlando? Oppure ci si vuole convincere che la liberazione nazionale del XXI secolo passa per le alleanze con Goldman Sachs e i suoi simili, pagando tassi usurari? E che per percorrere questo “tragitto di liberazione” bisogna reprimere a ferro e fuoco gli oppositori del chavismo? Non ci sono limiti per le sciocchezze “nazionali e popolari”?
[*] Rolando Astarita è uno studioso marxista di economia. Insegna all’Università di Quilmes (Argentina) e di Buenos Aires.
Note
[1] Canale televisivo che trasmette notizie di economia e finanza (Ndt).
(Traduzione di Ernesto Russo)