Presentiamo oggi ai nostri lettori quest’articolo di analisi sulla crisi politica che si sta sviluppando da settimane in Nicaragua, dove il governo di Daniel Ortega — che, ricordiamolo, fu a capo della vittoriosa rivoluzione sandinista che nel 1979 rovesciò la sanguinaria dittatura di Anastasio Somoza — sta ferocemente reprimendo le proteste popolari partite da mobilitazioni contro la riforma pensionistica voluta dall’esecutivo. Il governo ha scatenato bande paramilitari e l’esercito contro le masse popolari in rivolta, e il saldo di vite umane è oggi di almeno 300 morti.
In realtà, quella che fu la direzione piccolo-borghese della rivoluzione, non ha mai dato un corso socialista al processo rivoluzionario; anzi, sin dal primo momento successivo alla cacciata di Somoza, la politica del sandinismo al potere fu di mantenere il capitalismo come sistema economico del Paese. D’altronde, non va dimenticato che fu lo stesso Fidel Castro, in visita ufficiale, a raccomandare ai sandinisti di “non fare del Nicaragua una nuova Cuba”: vale a dire, di non espropriare i capitalisti. La situazione odierna è, perciò, il necessario sviluppo di quarant’anni di una politica apertamente filocapitalista.
Ci ripromettiamo di sviluppare in un prossimo articolo questo tema, analizzando il processo rivoluzionario che portò i sandinisti al potere e gli eventi successivi. Frattanto, come di consueto, auguriamo a coloro che ci seguono, buona lettura.
La redazione.
Nicaragua: al fianco della rivolta popolare
Esattamente trentanove anni fa, il 19 luglio 1979, il sanguinario dittatore Anastasio Somoza veniva rovesciato da un’insurrezione popolare. La rivoluzione sandinista liberò il Nicaragua da un regime tirannico, sostenuto dagli Stati Uniti, cullando negli anni 80 l’America Latina intera con sogni di libertà e giustizia.
L’ironia della sorte è che oggi, giorno dell’anniversario della rivoluzione, il guerriero popolo nicaraguense, ancora una volta ribellatosi, si scontra nelle strade con la brutale repressione ordinata da colui che fu il principale dirigente dell’insurrezione del 1979, Daniel Ortega.
Alcuni fatti altamente simbolici rivelano l’essenziale di questo drammatico momento che il piccolo Paese sta attraversando. Martedì scorso, 17 luglio, il governo Ortega ha ordinato la presa dell’eroico quartiere indigeno di Monimbó, nell’indomita città di Masaya, fortezza della rivoluzione sandinista e storica roccaforte della resistenza popolare dall’epoca coloniale. Vale la pena di ricordare che su Monimbó e Masaya si scatenò un crudele bombardamento ordinato da Somoza prima del trionfo finale della rivoluzione sandinista.
Nel tentativo di schiacciare la ribellione popolare, Ortega ha dato il via a un’atroce violenza: bande di paramilitari, poliziotti e soldati dell’esercito armati fino ai denti torturano, arrestano e uccidono. Dall’inizio della rivolta, sono già morti più di trecento nicaraguensi per mano della feroce repressione scatenata dal governo.
La scintilla della rivolta, il 18 aprile di quest’anno, è stato il tentativo di riforma della previdenza di Ortega, formulata insieme al Fondo monetario internazionale (Fmi). Alla stessa stregua di analoghe proposte in Brasile e Argentina, la controriforma prevede la perdita di diritti sociali. Enormi manifestazioni nelle strade hanno rivendicato il ritiro del provvedimento. Ortega ha risposto con una barbara repressione. Il risultato è stato l’opposto di quanto il governo si attendeva: la mobilitazione contro la riforma si è trasformata nella ribellione per il rovesciamento del governo.
Quando, nel 2007, Ortega ha assunto l’incarico di presidente, si è apertamente alleato con settori dell’élite locale e dell’imperialismo, e ha preso ad applicare provvedimenti contro gli interessi della classe lavoratrice: tutto in nome della permanenza al governo del Fsln (Fronte sandinista di liberazione nazionale). In tal modo, Ortega si è alleato con i grandi imprenditori e con la cupola della Chiesa cattolica. Dopo lo scoppio dell’attuale rivolta, che ha guadagnato il sostegno popolare, gli alleati della classe dominante sono passati all’opposizione rispetto al governo, cercando così il modo migliore per controllare la crisi politica e sociale.
In questo momento, è fondamentale tutto l’appoggio e la solidarietà attiva alla ribellione popolare che attraversa il Nicaragua. Bisogna ripudiare, nella maniera più energica, la brutale repressione contro le classi popolari ordinata da Ortega. In questo senso, costituisce un autentico affronto al popolo nicaraguense la posizione di parte della sinistra latinoamericana[1], che ha dichiarato il proprio sostegno al governo del Nicaragua.
D’altro lato, allertiamo contro le manovre imperialiste e borghesi che cercano di sviare e controllare la rivolta popolare a fini reazionari. Di fronte alla crisi del governo, gruppi imprenditoriali, la cupola della Chiesa cattolica e gli Usa, vogliono preparare una soluzione regressiva per la crisi che vive il Paese, evitando uno sbocco rivoluzionario del processo.
Siamo al fianco della mobilitazione indipendente del popolo nicaraguense, in difesa delle sue parole d’ordine democratiche, sociali ed economiche. Bisogna fermare la sanguinaria repressione scatenata dal governo! Siamo al fianco della rivolta popolare, per il rovesciamento rivoluzionario di Ortega e per l’insediamento di un governo dei lavoratori, delle classi popolari povere, dei contadini e degli studenti, che possa riprendere il significato democratico e antimperialista della gloriosa rivoluzione sandinista. Un governo che, stavolta, riesca ad aprire definitivamente la strada in direzione di un Nicaragua socialista.
Note
[1] Ma lo stesso sta accadendo in Italia, con alcune organizzazioni della galassia stalinista e riformista (Ndt).
(Traduzione di L.F.)