Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Cuba e Rivoluzione cubana, Politica internazionale: America Latina

Cuba: dalla rivoluzione alla restaurazione

Poche set­ti­ma­ne orso­no, la stam­pa inter­na­zio­na­le ha dato noti­zia del pro­ces­so di revi­sio­ne costi­tu­zio­na­le in cor­so a Cuba met­ten­do in risal­to quel­le che veni­va­no pre­sen­ta­te come “novi­tà”, e cioè l’introduzione nel­la nuo­va Costi­tu­zio­ne dei con­cet­ti di “pro­prie­tà pri­va­ta” e “mer­ca­to”.
A par­te una “dife­sa d’ufficio” del gover­no cuba­no da par­te dei grup­pi sta­li­ni­sti, in Ita­lia non si è aper­to nes­sun dibat­ti­to all’interno del­la sini­stra (soprat­tut­to quel­la rivo­lu­zio­na­ria) sul­le sor­ti dell’isola che, a tor­to o a ragio­ne, rap­pre­sen­ta anco­ra oggi un simbolo.
Per­tan­to, pub­bli­chia­mo un con­tri­bu­to di Vale­rio Tor­re che inten­de siste­ma­tiz­za­re l’importante que­stio­ne del carat­te­re di clas­se che occor­re rico­no­sce­re a Cuba e, sul­la base dell’analisi svol­ta, rispon­de all’altrettanto impor­tan­te que­si­to se quel­lo carai­bi­co sia tut­to­ra uno Sta­to socialista.
Ovvia­men­te, il tema è pole­mi­co. Ma pro­prio per que­sto lo rite­nia­mo di par­ti­co­la­re rile­van­za, soprat­tut­to per­ché invol­ve aspet­ti teo­ri­ci di note­vo­le spessore.
Buo­na lettura.
La redazione

Cuba: dalla rivoluzione alla restaurazione

Cuba è anco­ra uno Sta­to socialista?

Vale­rio Torre

Nel­lo scor­so mese di luglio, ha avu­to ampio risal­to la noti­zia del­la rifor­ma costi­tu­zio­na­le appro­va­ta a Cuba[1]. Un par­ti­co­la­re accen­to è sta­to posto su quel­la che vie­ne dipin­ta come la novi­tà del­la rimo­zio­ne del con­cet­to di “avan­za­men­to ver­so il comu­ni­smo” e dell’introduzione del­le nozio­ni di “pro­prie­tà pri­va­ta” e di “mer­ca­to”.
Com’era faci­le pre­ve­de­re, l’annuncio ha susci­ta­to due sim­me­tri­che e con­trap­po­ste rea­zio­ni. Da una par­te, abbia­mo regi­stra­to la cau­ta[2] – e tal­vol­ta mal­ce­la­ta[3] – sod­di­sfa­zio­ne dei media bor­ghe­si. Dall’altra, inve­ce, la noti­zia ha get­ta­to nel pani­co quel­le orga­niz­za­zio­ni che ora­mai non rap­pre­sen­ta­no altro che i casca­mi del­lo sta­li­ni­smo: le qua­li, per ras­si­cu­ra­re i pro­pri adep­ti, han­no dovu­to far ricor­so ad argo­men­ti ormai tri­ti (“è fal­so”; “è un com­plot­to dei gusa­nos di Mia­mi”; “si trat­ta solo di una neces­sa­ria moder­niz­za­zio­ne del socia­li­smo”)[4].
Ma entram­be le let­tu­re sono desti­tui­te di fon­da­men­to e lon­ta­ne anni luce dal­la real­tà. Per­ché, come abbia­mo già avu­to modo di soste­ne­re[5], il capi­ta­li­smo a Cuba non vie­ne intro­dot­to oggi da que­sta revi­sio­ne costi­tu­zio­na­le, ma è sta­to com­ple­ta­men­te restau­ra­to già da mol­to tem­po, con buo­na pace sia del­la stam­pa bor­ghe­se che di quel­la sta­li­ni­sta, e a dispet­to del­la per­ma­nen­za al gover­no del­la Isla di un par­ti­to uni­co che si pro­cla­ma “comu­ni­sta”.
Pro­prio per que­sta ragio­ne, non esa­mi­ne­re­mo det­ta­glia­ta­men­te il testo del­la rifor­ma costi­tu­zio­na­le appe­na appro­va­to[6], ma ana­liz­ze­re­mo le modi­fi­che politico‑istituzionali e giu­ri­di­che che nel cor­so del tem­po sono sta­te rea­liz­za­te a Cuba e che han­no per­mes­so un muta­men­to com­ple­to del regi­me: da Sta­to ope­ra­io (ben­ché buro­cra­tiz­za­to) a Sta­to capi­ta­li­sta. Un muta­men­to, rimar­chia­mo, che non è di oggi, non affon­da le sue radi­ci nel­la nuo­va Costi­tu­zio­ne, come “cele­bra­no”, e rispet­ti­va­men­te “temo­no”, i fau­to­ri del­le due con­trap­po­ste ten­den­ze di cui abbia­mo det­to, ma rimon­ta a parec­chi anni addietro.

La rivo­lu­zio­ne del 1959
Quel­la che cono­scia­mo come “Rivo­lu­zio­ne cuba­na” non fu por­ta­ta avan­ti da un par­ti­to pro­le­ta­rio, né era un pro­gram­ma socia­li­sta a gui­da­re i “bar­bu­dos” che rove­scia­ro­no la dit­ta­tu­ra di Ful­gen­cio Bati­sta. Il movi­men­to gui­da­to da Fidel Castro e Che Gue­va­ra era sostan­zial­men­te piccolo‑borghese e ave­va come stel­la pola­re sol­tan­to la libe­ra­zio­ne di Cuba da un odia­to regi­me e l’indipendenza del Pae­se. I pri­mi pas­si dopo la pre­sa del pote­re ven­ne­ro mos­si rap­por­tan­do­si costan­te­men­te, ben­ché ambi­gua­men­te, con gli Sta­ti Uni­ti[7]. Le fri­zio­ni con l’imperialismo nor­da­me­ri­ca­no si svi­lup­pa­ro­no sul­la rifor­ma agra­ria, e a par­ti­re da essa si esa­cer­ba­ro­no; fin­ché, sol­tan­to due anni dopo, nel 1961, Castro pro­cla­mò il “carat­te­re socia­li­sta” del­la rivo­lu­zio­ne cuba­na, nazio­na­liz­zan­do le impre­se del­la bor­ghe­sia autoc­to­na e quel­le del poten­te “vici­no di casa”.
Insom­ma, si veri­fi­cò quan­to pre­vi­sto da León Tro­tsky mol­ti anni prima:

«Non si può … esclu­de­re cate­go­ri­ca­men­te la pos­si­bi­li­tà teo­ri­ca che, in caso di cir­co­stan­ze asso­lu­ta­men­te ecce­zio­na­li (la guer­ra, una scon­fit­ta, un crol­lo finan­zia­rio, la mobi­li­ta­zio­ne del­le mas­se rivo­lu­zio­na­rie, ecc.), i par­ti­ti piccolo‑borghesi, inclu­si quel­li sta­li­ni­sti, pos­sa­no esse­re tra­sci­na­ti, più di quan­to voglia­no, ver­so una rot­tu­ra con la bor­ghe­sia. In ogni caso, una cosa è fuo­ri dub­bio: anche se que­sta even­tua­li­tà alta­men­te impro­ba­bi­le dive­nis­se, in qual­che luo­go e in qual­che tem­po, una real­tà, e il gover­no ope­ra­io e con­ta­di­no nel sen­so soprad­det­to si rea­liz­zas­se nei fat­ti, esso rap­pre­sen­te­reb­be solo qual­co­sa di epi­so­di­co lun­go la stra­da che por­ta alla vera dit­ta­tu­ra del pro­le­ta­ria­to»[8].

Accan­to­nan­do per ora la secon­da par­te del­la pro­po­si­zio­ne appe­na cita­ta[9], quel­la che nel 1938 per Tro­tsky era, ben­ché non potes­se a prio­ri esse­re scar­ta­ta, una “even­tua­li­tà alta­men­te impro­ba­bi­le”, si rea­liz­zò, appun­to, più di vent’anni dopo. Nac­que, con la Revo­lu­ción, uno Sta­to ope­ra­io defor­ma­to[10].

Un’economia non capitalista
Come fac­cia­mo a defi­ni­re il carat­te­re di clas­se di uno Sta­to? Qua­li pecu­lia­ri­tà deve rive­sti­re un’economia per esse­re rap­pre­sen­ta­ta come “non capi­ta­li­sta”? Quand’è che uno Sta­to può esse­re qua­li­fi­ca­to “ope­ra­io”?
È del tut­to evi­den­te che a que­sto sco­po è neces­sa­rio riscon­tra­re gli ele­men­ti sul­la base dei qua­li pos­so­no esi­ste­re rap­por­ti socia­li di pro­du­zio­ne com­ple­ta­men­te diver­si da quel­li su cui si fon­da un’economia capi­ta­li­sta. In altri ter­mi­ni, è neces­sa­rio che con­cor­ra­no i seguen­ti fon­da­men­ti: pro­prie­tà sta­ta­le dei gran­di mez­zi di pro­du­zio­ne e del siste­ma ban­ca­rio; pia­ni­fi­ca­zio­ne eco­no­mi­ca cen­tra­liz­za­ta a cui tut­ta la pro­du­zio­ne deve esse­re subor­di­na­ta; mono­po­lio del com­mer­cio este­ro. Sono que­sti gli ele­men­ti in pre­sen­za dei qua­li pos­sia­mo par­la­re di Sta­to ope­ra­io e di eco­no­mia non capitalista.

«Le clas­si sono defi­ni­te dal­la loro posi­zio­ne nell’economia socia­le e, anzi­tut­to, rispet­to ai mez­zi di pro­du­zio­ne. Nel­le socie­tà civi­li, la leg­ge fis­sa i rap­por­ti di pro­prie­tà. La nazio­na­liz­za­zio­ne del suo­lo, dei mez­zi di pro­du­zio­ne, dei tra­spor­ti e degli scam­bi, come pure il mono­po­lio del com­mer­cio este­ro, costi­tui­sce la base del­la socie­tà sovie­ti­ca»[11].

Fu gra­zie a que­ste misu­re – che egli rite­ne­va “con­qui­ste del­la rivo­lu­zio­ne pro­le­ta­ria” – che León Tro­tsky poté defi­ni­re l’Unione Sovie­ti­ca uno Sta­to pro­le­ta­rio[12]. E ciò perché

«la nazio­na­liz­za­zio­ne dei mez­zi di pro­du­zio­ne e del cre­di­to, il con­trol­lo del­le coo­pe­ra­ti­ve e del­lo Sta­to sul com­mer­cio inter­no, il mono­po­lio del com­mer­cio este­ro, la col­let­ti­viz­za­zio­ne dell’agricoltura … sta­bi­li­sco­no limi­ti ristret­ti all’accumulazione per­so­na­le di dena­ro e distur­ba­no e ren­do­no dif­fi­ci­le la tra­sfor­ma­zio­ne del dena­ro in capi­ta­le pri­va­to (usu­ra­rio, com­mer­cia­le e indu­stria­le)»[13].

D’altronde, in mol­te­pli­ci suoi scrit­ti eco­no­mi­ci pre­ce­den­ti a La rivo­lu­zio­ne tra­di­ta Tro­tsky si era sof­fer­ma­to sugli ele­men­ti carat­te­riz­zan­ti un’economia non capi­ta­li­sta. Ad esem­pio, nel testo “Ver­so il capi­ta­li­smo o ver­so il socia­li­smo?”, scrit­to nell’agosto del 1925 per espor­re le sue posi­zio­ni sul­la pia­ni­fi­ca­zio­ne, egli afferma:

«Uno Sta­to che abbia nel­le sue mani l’industria nazio­na­liz­za­ta, il mono­po­lio del com­mer­cio este­ro e il mono­po­lio dell’importazione di capi­ta­le stra­nie­ro per que­sto o quel set­to­re eco­no­mi­co dispo­ne per que­sto solo fat­to di un gran­de arse­na­le di risor­se che pos­so­no com­bi­nar­si per acce­le­ra­re la mar­cia del­lo svi­lup­po eco­no­mi­co. […] I pro­gres­si eco­no­mi­ci del perio­do del­la rico­stru­zio­ne sono sta­ti otte­nu­ti pro­prio gra­zie ai meto­di socia­li­sti di orga­niz­za­zio­ne del­la pro­du­zio­ne, cioè gra­zie ai meto­di pia­ni­fi­ca­ti o semi­pia­ni­fi­ca­ti per for­ni­re dei mez­zi neces­sa­ri i diver­si set­to­ri dell’economia socia­le»[14].

E dun­que, è chia­ro a que­sto pun­to che sono que­sti gli ele­men­ti che deb­bo­no ricor­re­re per­ché uno Sta­to e l’economia che esso svi­lup­pa pos­sa­no non esse­re con­si­de­ra­ti capitalisti.

Cuba dopo la rivoluzione
È inne­ga­bi­le che, in pre­sen­za degli ele­men­ti che abbia­mo fino­ra bre­ve­men­te illu­stra­to, l’economia cuba­na suc­ces­si­va alla Revo­lu­ción (e più pre­ci­sa­men­te dopo che ne fu pro­cla­ma­to il “carat­te­re socia­li­sta”) si carat­te­riz­zò come “non capi­ta­li­sta”, dal momen­to che la strut­tu­ra giuridico‑istituzionale ven­ne costrui­ta pro­prio per­ché fos­se fun­zio­na­le allo svi­lup­po di quel tipo di eco­no­mia[15].
Lo affer­ma­va chia­ra­men­te l’art. 9 del­la Costi­tu­zio­ne cuba­na del 1976:

«La Costi­tu­zio­ne e le leg­gi del­lo Sta­to socia­li­sta sono espres­sio­ne giu­ri­di­ca dei rap­por­ti socia­li­sti di pro­du­zio­ne …»[16].

La stes­sa Car­ta costi­tu­zio­na­le, al suc­ces­si­vo art. 14 sta­bi­li­va il prin­ci­pio del­la socia­liz­za­zio­ne dei mez­zi di produzione:

«Nel­la repub­bli­ca di Cuba vige il siste­ma socia­li­sta di eco­no­mia basa­ta sul­la pro­prie­tà socia­li­sta di tut­to il popo­lo sui mez­zi di pro­du­zio­ne …»,

spe­ci­fi­can­do poi, nell’art. 15, cosa si inten­des­se per “pro­prie­tà sta­ta­le socialista”:

«La pro­prie­tà sta­ta­le socia­li­sta, che è la pro­prie­tà di tut­to il popo­lo, è irre­ver­si­bil­men­te sta­bi­li­ta sul­le ter­re che non appar­ten­ga­no ai pic­co­li agri­col­to­ri o a coo­pe­ra­ti­ve da essi stes­si com­po­ste; sul sot­to­suo­lo, le minie­re, le risor­se mari­ne natu­ra­li e viven­ti entro la zona del­la sua sovra­ni­tà, i boschi, le acque, le vie di comu­ni­ca­zio­ne; sugli impian­ti di pro­du­zio­ne del­lo zuc­che­ro, le fab­bri­che, i mez­zi fon­da­men­ta­li di tra­spor­to, e su tut­te le impre­se, ban­che, instal­la­zio­ni e beni già nazio­na­liz­za­ti ed espro­pria­ti agli impe­ria­li­sti, lati­fon­di­sti e bor­ghe­si, così come sul­le fat­to­rie del popo­lo, fab­bri­che e instal­la­zio­ni eco­no­mi­che, socia­li, cul­tu­ra­li e spor­ti­ve costrui­te, pro­mos­se o acqui­si­te dal­lo Sta­to e quel­le che in futu­ro costrui­rà, pro­muo­ve­rà o acqui­si­rà».

Con la leg­ge n. 851 del 6 luglio 1960, il pre­si­den­te del­la repub­bli­ca e il pri­mo mini­stro veni­va­no auto­riz­za­ti a pro­ce­de­re alla nazio­na­liz­za­zio­ne median­te espro­pria­zio­ne for­za­ta dei beni e del­le impre­se sta­tu­ni­ten­si su ter­ri­to­rio cuba­no: e infat­ti, in osse­quio a tale nor­ma­ti­va, con riso­lu­zio­ne n. 1 del 6 ago­sto, fir­ma­ta dal pre­si­den­te Osval­do Dor­ti­cós Tor­ra­do e dal pre­mier Fidel Castro Ruz, veni­va dispo­sta la nazio­na­liz­za­zio­ne median­te espro­pria­zio­ne di ben ven­ti­sei com­pa­gnie di pro­prie­tà nor­da­me­ri­ca­na, tra cui le impre­se elet­tri­che, di tele­co­mu­ni­ca­zio­ni, petro­li­fe­re e di pro­du­zio­ne del­lo zucchero.
Inol­tre, con la suc­ces­si­va riso­lu­zio­ne n. 2 del 17 set­tem­bre 1960, si pro­ce­de­va alla nazio­na­liz­za­zio­ne median­te espro­prio di tre ban­che sta­tu­ni­ten­si, la Fir­st Natio­nal City Bank di New York e quel­la di Boston, oltre alla Cha­se Man­hat­tan Bank.
A segui­re, con la leg­ge n. 890 del 13 otto­bre 1960 si pro­ce­de­va alla nazio­na­liz­za­zio­ne di oltre cen­to impre­se zuc­che­rie­re, ven­ti­quat­tro del­la distil­la­zio­ne e pro­du­zio­ne di bevan­de alco­li­che, e poi nume­ro­se altre dei set­to­ri: cosme­ti­co, dol­cia­rio, ali­men­ta­re, chi­mi­co, tes­si­le, car­ta­ceo, metal­lur­gi­co, del caf­fè, fer­ro­via­rio, edi­le, tipo­gra­fi­co, marittimo.
E anco­ra: la leg­ge n. 891 (nel­la stes­sa data) fis­sa­va il prin­ci­pio del­la nazio­na­liz­za­zio­ne dell’esercizio del cre­di­to e di tut­te le atti­vi­tà ban­ca­rie, con il con­se­guen­te espro­prio di tut­te le ban­che di depo­si­to, di svi­lup­po, di cre­di­to e cre­di­to ipo­te­ca­rio, con l’assegnazione di tut­te le loro fun­zio­ni al “Ban­co Nacio­nal de Cuba” in regi­me di monopolio.

Coper­ti­na del perio­di­co del Movi­men­to 26 Luglio con cui si annun­cia­no le nazionalizzazioni

In defi­ni­ti­va, nel solo mese di otto­bre del 1960, ven­ne­ro nazio­na­liz­za­te 382 gran­di impre­se. Il valo­re del­le atti­vi­tà sta­tu­ni­ten­si nazio­na­liz­za­te ammon­ta­va a cir­ca otto miliar­di di dollari.
Quan­to inve­ce all’elemento del­la pia­ni­fi­ca­zio­ne, la Costi­tu­zio­ne del 1976 pre­ve­de­va all’art. 16:

«Lo Sta­to orga­niz­za, diri­ge e con­trol­la l’attività eco­no­mi­ca nazio­na­le in accor­do con il Pia­no uni­co di Svi­lup­po Economico‑Sociale …».

E infat­ti, già pri­ma dell’approvazione del­la Costi­tu­zio­ne, e cioè l’11 mar­zo 1960, era sta­ta crea­ta, con la leg­ge n. 757, la Jun­ta Cen­tral de Pla­ni­fi­ca­ción (Giun­ta cen­tra­le di pia­ni­fi­ca­zio­ne), con il com­pi­to di «fis­sa­re gli obiet­ti­vi gene­ra­li dell’azione del­lo Sta­to in mate­ria eco­no­mi­ca, for­mu­la­re pia­ni di svi­lup­po, cen­tra­liz­za­re l’indagine eco­no­mi­ca, sta­ti­sti­ca e tec­no­lo­gi­ca, for­ni­re con­su­len­za agli orga­ni­smi ese­cu­to­ri dei pia­ni e vigi­la­re sul­la loro ade­gua­ta rea­liz­za­zio­ne, vigi­la­re sull’assistenza tec­ni­ca pre­sta­ta da orga­ni­smi inter­na­zio­na­li e coor­di­na­re le atti­vi­tà dei distin­ti orga­ni­smi inca­ri­ca­ti del­la poli­ti­ca eco­no­mi­ca». Oltre a tali attri­bu­zio­ni di carat­te­re più gene­ra­le, alla Giun­ta veni­va­no asse­gna­te anche le fun­zio­ni di con­ce­de­re le auto­riz­za­zio­ni per avvia­re nuo­ve fon­ti di pro­du­zio­ne e per amplia­re o ridur­re la capa­ci­tà pro­dut­ti­va di quel­le esi­sten­ti; orien­ta­re la poli­ti­ca eco­no­mi­ca este­ra di Cuba, com­pre­sa la poli­ti­ca doga­na­le, dei cam­bi, quel­la rela­ti­va a trat­ta­ti com­mer­cia­li, nego­zia­ti per pre­sti­ti e aiu­ti tec­ni­ci stra­nie­ri; indi­riz­za­re la par­te­ci­pa­zio­ne del­lo Sta­to e di orga­ni­smi para­sta­ta­li nel com­mer­cio este­ro; mobi­li­ta­re i fat­to­ri del­la pro­du­zio­ne per uti­liz­za­re al mas­si­mo la capa­ci­tà pro­dut­ti­va del Pae­se a bene­fi­cio del­la socie­tà (art. 3)[17].
Intan­to, la leg­ge n. 793 del 25 apri­le 1960 ave­va dato vita al “Ban­co para el Comer­cio Exte­rior de Cuba” (Ban­cec), cioè all’organismo nazio­na­le di cre­di­to cui veni­va­no asse­gna­te tut­te le fun­zio­ni rela­ti­ve al finan­zia­men­to del com­mer­cio este­ro, come ausi­lio alla poli­ti­ca mono­po­li­sti­ca del gover­no ine­ren­te al com­mer­cio inter­na­zio­na­le. Lo sco­po del­la crea­zio­ne di tale orga­ni­smo era la diver­si­fi­ca­zio­ne e l’ampliamento del com­mer­cio este­ro, dato che fino ad allo­ra le rela­zio­ni com­mer­cia­li este­re di Cuba era­no di tipo colo­nia­le subor­di­na­te agli Usa. Infat­ti, nel­le paro­le di Erne­sto “Che” Gue­va­ra, all’epoca pre­si­den­te del Ban­co Nacio­nal, il Ban­cec è

«l’importatore uni­co di tut­ti i pro­dot­ti neces­sa­ri per Cuba, non­ché l’orientatore, orga­niz­za­to­re e diret­to­re di tut­te que­ste impor­ta­zio­ni. […] tra i suoi com­pi­ti c’è quel­lo di cam­bia­re la strut­tu­ra del com­mer­cio este­ro del Pae­se, fare nuo­vi con­trat­ti, cer­ca­re nuo­vi mer­ca­ti e, al con­tem­po, man­te­ne­re i vec­chi mer­ca­ti suscet­ti­bi­li di esse­re con­ser­va­ti»[18].

Il 23 feb­bra­io 1961 veni­va costi­tui­to, con la leg­ge n. 934, il Mini­ste­ro del Com­mer­cio Este­ro di Cuba (Min­cex). Tale orga­ni­smo rap­pre­sen­ta­va un ele­men­to cen­tra­le per la poli­ti­ca eco­no­mi­ca del Pae­se, poi­ché ad esso era­no attri­bui­te in regi­me mono­po­li­sti­co le fun­zio­ni di gestio­ne e con­trol­lo del­le impor­ta­zio­ni e del­le espor­ta­zio­ni del Paese.

Il crol­lo del socia­li­smo rea­le e la cri­si cubana
Come abbia­mo appe­na visto, dun­que, il pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio cuba­no ven­ne con­sa­cra­to in un’architettura giuridico‑istituzionale fun­zio­na­le alla costru­zio­ne di un’economia in tran­si­zio­ne ver­so il socia­li­smo. Cuba, insom­ma, si carat­te­riz­zò come uno Sta­to ope­ra­io, ben­ché deformato.
Per­ché “defor­ma­to”? Per­ché – lo abbia­mo già evi­den­zia­to – la rivo­lu­zio­ne che lo pro­dus­se non fu il frut­to dell’azione coscien­te del pro­le­ta­ria­to, ma fu diret­ta da un “partito‑esercito” guer­ri­glie­ro piccolo‑borghese; e per­ché, nono­stan­te la Cuba rivo­lu­zio­na­ria sia sta­ta costrui­ta sul­le basi di un’economia non capi­ta­li­sta, in essa non era­no pre­sen­ti que­gli orga­ni­smi di auten­ti­ca demo­cra­zia ope­ra­ia che carat­te­riz­za­ro­no i pri­mi anni del­lo Sta­to ope­ra­io sor­to dal­la rivo­lu­zio­ne rus­sa del 1917 e che, uni­ci, rap­pre­sen­ta­no il con­cre­to pote­re poli­ti­co del pro­le­ta­ria­to. La rivo­lu­zio­ne cuba­na, inve­ce, si rife­ce al model­lo dell’Urss di c.d. “socia­li­smo reale”.
Ciò det­to mol­to sin­te­ti­ca­men­te, occor­re osser­va­re che la rot­tu­ra del­le rela­zio­ni diplo­ma­ti­che e com­mer­cia­li con gli Sta­ti Uni­ti spin­se Cuba ad allac­cia­re rap­por­ti con l’Unione Sovie­ti­ca e i Pae­si del bloc­co orien­ta­le. L’Urss offrì a Cuba gene­ro­si sus­si­di e accor­di com­mer­cia­li per la for­ni­tu­ra di mac­chi­ne agri­co­le, greg­gio e istru­zio­ne tec­no­lo­gi­ca in cam­bio del­lo zuc­che­ro cuba­no per com­pen­sa­re il com­mer­cio per­du­to con gli Sta­ti Uni­ti. Dopo la pro­cla­ma­zio­ne del carat­te­re socia­li­sta del­la rivo­lu­zio­ne, Cuba diven­tò uno dei più stret­ti allea­ti dell’Unione Sovie­ti­ca e, nel 1972, entrò come mem­bro nel Con­si­glio per l’assistenza eco­no­mi­ca reci­pro­ca (Come­con), l’alleanza eco­no­mi­ca dei Pae­si comunisti.

Castro nel­la Piaz­za Ros­sa in occa­sio­ne del­la sua pri­ma visi­ta in Urss (1963)

Per soste­ne­re l’economia cuba­na, l’Urss paga­va lo zuc­che­ro cuba­no a un prez­zo supe­rio­re a quel­lo fis­sa­to dal mer­ca­to mon­dia­le, rifor­ni­va Cuba di petro­lio e le con­do­nò il debi­to. Sti­pu­lò inol­tre accor­di com­mer­cia­li favo­re­vo­li in vir­tù dei qua­li il Pae­se carai­bi­co rice­ve­va mer­ci per un valo­re annuo di cin­que miliar­di di dol­la­ri supe­rio­re rispet­to a quel­lo dei beni espor­ta­ti da Cuba ver­so l’Urss. Nel 1970 oltre il 70% del com­mer­cio cuba­no era ver­so l’Unione Sovie­ti­ca e un altro 15% era ver­so i suoi allea­ti dell’Europa orien­ta­le. Que­sta rela­zio­ne con l’Urss per­mi­se a Castro di for­ni­re istru­zio­ne, salu­te, lavo­ro e cibo alla stra­gran­de mag­gio­ran­za del­la popo­la­zio­ne[19].
Tut­ta­via, ben­ché que­sti accor­di aves­se­ro por­ta­to a una cer­ta sta­bi­liz­za­zio­ne, l’economia cuba­na sof­fri­va comun­que dei pro­ble­mi lega­ti a una scar­sa pro­dut­ti­vi­tà e a una scar­sa diver­si­fi­ca­zio­ne del­la pro­du­zio­ne: pro­ble­mi che diven­ne­ro più gra­vi a par­ti­re dal 1989, con il col­las­so degli Sta­ti dell’Europa orien­ta­le. L’Urss si vide costret­ta a ridur­re gli aiu­ti a Cuba e il com­mer­cio con la Isla, il cui pro­dot­to inter­no lor­do cad­de di alme­no il 35% tra il 1983 e il 1993, con il calo più pro­nun­cia­to tra il 1990 e il 1993. Dal 1989 al 1992 le impor­ta­zio­ni dimi­nui­ro­no da 8 miliar­di di dol­la­ri a 2,2 miliardi.
Fu que­sta disa­stro­sa situa­zio­ne a indur­re la dire­zio­ne buro­cra­ti­ca castri­sta ad avvia­re, a par­ti­re dall’inizio/metà degli anni 90, un gra­dua­le – ma al con­tem­po mar­ca­to – pro­ces­so di sman­tel­la­men­to dei pila­stri su cui si fon­da­va l’economia non capi­ta­li­sta di Cuba, fino alla com­ple­ta restau­ra­zio­ne del capi­ta­li­smo nel Paese.

Gli stru­men­ti per una … “tran­si­zio­ne al contrario”
La rifor­ma costi­tu­zio­na­le del 1992[20] intro­dus­se alcu­ni appa­ren­te­men­te pic­co­li, ma signi­fi­ca­ti­vi cam­bia­men­ti rispet­to a quel­la del 1976. In par­ti­co­la­re, ven­ne­ro eliminati:

  • il rife­ri­men­to alla Costi­tu­zio­ne e alle leg­gi come “espres­sio­ne giu­ri­di­ca dei rap­por­ti socia­li­sti di pro­du­zio­ne” (art. 10);
  • il rife­ri­men­to ai “prin­ci­pi dell’internazionalismo pro­le­ta­rio e del­la soli­da­rie­tà com­bat­ti­va dei popo­li (art. 12);
  • il rico­no­sci­men­to del “dirit­to dei popo­li a com­bat­te­re la vio­len­za impe­ria­li­sta e rea­zio­na­ria con la vio­len­za rivo­lu­zio­na­ria” (art. 12);
  • il carat­te­re “irre­ver­si­bi­le” del­la pro­prie­tà di mez­zi di pro­du­zio­ne, che ven­ne limi­ta­ta solo a quel­li “fon­da­men­ta­li” (art. 14);
  • ven­ne intro­dot­ta la pos­si­bi­li­tà del­la ces­sio­ne “in pro­prie­tà a per­so­ne natu­ra­li o giu­ri­di­che” dei beni con­si­de­ra­ti mez­zi di pro­du­zio­ne, quan­tun­que con­si­de­ra­ti “di pro­prie­tà sta­ta­le socia­li­sta di tut­to il popo­lo” (art. 15)[21];
  • l’attività eco­no­mi­ca nazio­na­le ven­ne svin­co­la­ta dal “Pia­no uni­co di Svi­lup­po Economico‑Sociale” e ven­ne eli­mi­na­to per l’economia il rife­ri­men­to alla fina­li­tà di “osser­va­re i dove­ri inter­na­zio­na­li­sti del … popo­lo” (art. 16);
  • ven­ne­ro intro­dot­ti il prin­ci­pio del­la respon­sa­bi­li­tà per le pro­prie obbli­ga­zio­ni e l’obbligo di fun­zio­na­men­to in regi­me di auto­fi­nan­zia­men­to per le impre­se o enti­tà inca­ri­ca­te di ammi­ni­stra­re i beni di pro­prie­tà sta­ta­le, non­ché il prin­ci­pio di sepa­ra­tez­za con­ta­bi­le e di bilan­cio fra que­sti orga­ni­smi e lo Sta­to (art. 17);
  • ven­ne eli­mi­na­to il regi­me mono­po­li­sti­co del com­mer­cio este­ro in favo­re del­lo Sta­to e con­te­stual­men­te intro­dot­ta la pos­si­bi­li­tà per “per­so­ne natu­ra­li o giu­ri­di­che con capa­ci­tà lega­le di rea­liz­za­re … ope­ra­zio­ni di espor­ta­zio­ne e impor­ta­zio­ne e sti­pu­la­re con­trat­ti com­mer­cia­li” (art. 18);
  • ven­ne intro­dot­to il rico­no­sci­men­to del­la “pro­prie­tà del­le impre­se miste, socie­tà e asso­cia­zio­ni eco­no­mi­che” (art. 23);
  • ven­ne­ro eli­mi­na­ti tut­ti i rife­ri­men­ti alle fun­zio­ni asse­gna­te ai tri­bu­na­li, che nel­la Costi­tu­zio­ne abro­ga­ta era­no pre­vi­sti all’art. 123, e cioè, tra le altre: “man­te­ne­re e raf­for­za­re la lega­li­tà socia­li­sta; sal­va­guar­da­re il regi­me eco­no­mi­co, socia­le e poli­ti­co sta­bi­li­to in que­sta Costi­tu­zio­ne; pro­teg­ge­re la pro­prie­tà socialista […]”.

Ma ancor pri­ma del­le modi­fi­che alla cor­ni­ce gene­ra­le costi­tu­zio­na­le appor­ta­te nel 1992, già a par­ti­re dal­la metà degli anni 70 era­no sta­ti avvia­ti in alcu­ni set­to­ri dell’economia impor­tan­ti e con­cre­ti cam­bia­men­ti – carat­te­riz­za­ti dal­la decen­tra­liz­za­zio­ne del pro­ces­so deci­sio­na­le e dall’introduzione di mec­ca­ni­smi di mer­ca­to – che impli­ca­ro­no signi­fi­ca­ti­ve con­ces­sio­ni al capi­ta­li­smo e l’avvio del pro­ces­so di restau­ra­zio­ne. In par­ti­co­la­re, l’apertura del Mer­ca­do Libre Cam­pe­si­no (Mer­ca­to libe­ro con­ta­di­no) rap­pre­sen­tò il ten­ta­ti­vo più auda­ce in que­sta dire­zio­ne. La rifor­ma con­si­ste­va nel per­met­te­re ai con­ta­di­ni, una vol­ta sod­di­sfat­te le con­se­gne obbli­ga­to­rie allo Sta­to, la ven­di­ta dei pro­dot­ti sul mer­ca­to libe­ro a prez­zi deter­mi­na­ti dal­la doman­da e dall’offerta. Altre misu­re di “libe­ra­liz­za­zio­ne” era­no sta­te: l’apertura del lavo­ro auto­no­mo (Decre­to Ley n. 14 del 1978) in 48 set­to­ri di atti­vi­tà (tra cui ope­re edi­li, fale­gna­me­ria, idrau­li­ca ed elet­tri­ci­tà), il per­mes­so di assu­me­re dipen­den­ti da par­te di pic­co­li agri­col­to­ri e l’autorizzazione alla costru­zio­ne di abi­ta­zio­ni da par­te di impre­se edi­li private.
Ma fu nel 1982 che ven­ne asse­sta­to un pri­mo signi­fi­ca­ti­vo col­po alla strut­tu­ra dell’economia non capi­ta­li­sta, con l’approvazione del Decre­to Ley n. 50 del 15 feb­bra­io, inti­to­la­to “Sobre aso­cia­ción eco­nó­mi­ca entre enti­da­des cuba­nas y extra­n­je­ras” (“Dell’associazione eco­no­mi­ca tra enti­tà cuba­ne e stra­nie­re”), che aprì le fron­tie­re di Cuba ren­den­do pos­si­bi­le un’iniziale pene­tra­zio­ne nel­la Isla di capi­ta­li stra­nie­ri attra­ver­so le impre­se miste[22]. Tale decre­to fu l’antecedente giu­ri­di­co del­la suc­ces­si­va Leg­ge sugli Inve­sti­men­ti Este­ri n. 77 del 1995[23] e segnò un rile­van­te rico­no­sci­men­to dell’attività d’impresa, con l’evidente obiet­ti­vo di amplia­re e diver­si­fi­ca­re i mer­ca­ti este­ri e favo­ri­re l’assimilazione di capi­ta­le stra­nie­ro con l’adozione di diver­se for­me impren­di­to­ria­li: pro­ces­so – que­sto – che ini­ziò nel set­to­re del turi­smo, per esten­der­si poi ad altri set­to­ri[24]. Que­ste nuo­ve neces­si­tà eco­no­mi­che veni­va­no accom­pa­gna­te da cam­bia­men­ti legi­sla­ti­vi tali da costrui­re una cor­ni­ce giu­ri­di­ca in gra­do di dare loro un’adeguata coper­tu­ra. E, infat­ti, dopo il decre­to leg­ge n. 50/1982 ven­ne pro­mul­ga­to, nel 1987, il pri­mo Codi­ce civi­le cuba­no, che appor­tò l’importante novi­tà del rico­no­sci­men­to di deter­mi­na­te per­so­ne giu­ri­di­che auto­riz­za­te a svol­ge­re atti­vi­tà d’impresa[25].
In vir­tù di que­sti signi­fi­ca­ti­vi cam­bia­men­ti, gli inve­sti­men­ti este­ri – che fino al 1991 era­no, come abbia­mo appe­na segna­la­to, sostan­zial­men­te limi­ta­ti al set­to­re del turi­smo – si este­se­ro nel 1992 a quel­li fino ad allo­ra con­si­de­ra­ti stra­te­gi­ci (pro­dot­ti far­ma­ceu­ti­ci e bio­tec­no­lo­gi­ci); nel 1993 il regi­me aprì alla pos­si­bi­li­tà dell’apertura di rap­pre­sen­tan­ze di ban­che stra­nie­re in ter­ri­to­rio cuba­no «per amplia­re l’infrastruttura di ser­vi­zi finan­zia­ri al resto degli inve­sti­to­ri este­ri che ope­ra­no nel Pae­se»[26]; alla fine di otto­bre del 1994, Car­los Lage – all’epoca segre­ta­rio del Con­si­glio dei mini­stri e del Comi­ta­to ese­cu­ti­vo, e dun­que un auto­re­vo­le espo­nen­te del gover­no – dichia­rò che «nes­sun set­to­re pro­dut­ti­vo dell’economia nazio­na­le sareb­be sta­to chiu­so all’investimento este­ro e che anche il set­to­re immo­bi­lia­re, deter­mi­na­ti ser­vi­zi e spa­zi del mer­ca­to inter­no desti­na­ti al ricam­bio di impor­ta­zio­ni, avreb­be­ro dato spa­zio al capi­ta­le stra­nie­ro»[27].
Nel loro stu­dio pub­bli­ca­to nel 1995 e cita­to nel­le note del pre­sen­te testo, gli eco­no­mi­sti Car­ran­za Val­dés, Gutiér­rez Urda­ne­ta e Mon­real Gon­zá­lez evi­den­zia­no (pp. 39 e ss.), oltre all’esponenziale aumen­to del­le socie­tà ano­ni­me e all’autofinanziamento in valu­ta este­ra da par­te degli ope­ra­to­ri eco­no­mi­ci, «la fine del mono­po­lio del com­mer­cio este­ro […], pri­ma con­trol­la­to total­men­te dal Mini­ste­ro del Com­mer­cio Este­ro (Min­cex) [e ora] assun­to diret­ta­men­te da un nume­ro cre­scen­te di impre­se». E dun­que, come ave­va­mo in pre­ce­den­za anti­ci­pa­to, già dai pri­mi anni 90 a Cuba era venu­to meno uno dei pila­stri fon­da­men­ta­li di un’economia non capi­ta­li­sta. E con le con­se­guen­ze indi­vi­dua­te da Tro­tsky settant’anni prima:

«Il mono­po­lio del com­mer­cio este­ro non deve esse­re mes­so in discus­sio­ne. Se doves­si­mo spie­ga­re in cosa si basa­no le nostre spe­ran­ze di un futu­ro socia­li­sta per la Rus­sia, dovrem­mo rispon­de­re: 1) sul pote­re poli­ti­co del par­ti­to, appog­gia­to dall’Armata Ros­sa; 2) sul­la nazio­na­liz­za­zio­ne del­la pro­du­zio­ne; 3) sul mono­po­lio del com­mer­cio este­ro. Sareb­be suf­fi­cien­te far veni­re giù uno di que­sti pila­stri per­ché crol­li tut­to l’edificio»[28].

E anco­ra: dispo­si­zio­ni vara­te nel 1993 (Decre­to Ley n. 141 e Reso­lu­ción n. 1 del Comi­té Esta­tal de Finan­zas) rego­la­ro­no e amplia­ro­no le auto­riz­za­zio­ni per il lavo­ro auto­no­mo, pre­ve­den­do che il prez­zo dei ser­vi­zi offer­ti venis­se sta­bi­li­to dal­la rela­zio­ne domanda‑offerta e fos­se rego­la­to nel tipo di valu­ta fis­sa­to dal­le par­ti che inter­ve­ni­va­no nel­la tran­sa­zio­ne; fra il set­tem­bre 1993 e l’ottobre 1994 ven­ne­ro isti­tui­te le Uni­da­des Bási­cas de Pro­duc­ción Coo­pe­ra­ti­va (Ubpc) e isti­tui­to il Mer­ca­to agri­co­lo: i pro­dut­to­ri asso­cia­ti nel­le Ubpc, pur non essen­do pro­prie­ta­ri del­le ter­re, si appro­pria­va­no dei pro­dot­ti, riven­den­do­li e ripar­ten­do­si i pro­fit­ti. I prez­zi del­le ven­di­te nel mer­ca­to agri­co­lo era­no deter­mi­na­ti dal­la doman­da e dall’offerta; a par­ti­re dal dicem­bre 1994, poi, ven­ne isti­tui­to anche il mer­ca­to dei pro­dot­ti indu­stria­li e arti­gia­na­li, e anche in que­sto caso era la rela­zio­ne domanda‑offerta a fis­sa­re i prez­zi[29].

Una “Nep in sal­sa cubana”?
Natu­ral­men­te, c’è chi, a sini­stra, pur di difen­de­re l’idea roman­ti­ca di una Cuba socia­li­sta, non si fa scru­po­lo di richia­ma­re l’esperienza sovie­ti­ca suc­ces­si­va al comu­ni­smo di guer­ra, e cioè la Nuo­va Poli­ti­ca Eco­no­mi­ca (Nep: Nova­ja Ėko­no­miče­ska­ja Poli­ti­ka). Secon­do costo­ro, Fidel Castro non fece altro che intro­dur­re, a fron­te del­la gra­ve cri­si eco­no­mi­ca che afflig­ge­va il Pae­se, que­gli ele­men­ti di capi­ta­li­smo neces­sa­ri a con­tra­star­la … né più e né meno di quan­to avreb­be­ro fat­to Lenin e Tro­tsky a par­ti­re dal 1921.
Il richia­mo è asso­lu­ta­men­te erro­neo, dal momen­to che i bol­sce­vi­chi ave­va­no intro­dot­to nell’economia sovie­ti­ca mar­gi­na­li ele­men­ti per un par­zia­le ritor­no al mer­ca­to, ma con­ser­van­do stret­ta­men­te nel­le mani del­lo Sta­to il mono­po­lio del cre­di­to e del siste­ma ban­ca­rio, oltre che – soprat­tut­to – del com­mer­cio este­ro. Inve­ce a Cuba, come abbia­mo visto, non è sta­to così; e andre­mo ora ad esaminarlo.
La “Ley de Inver­sión Extra­n­je­ra” (Leg­ge sugli inve­sti­men­ti este­ri) n. 77 del 5 set­tem­bre 1995[30] rap­pre­sen­tò un appro­fon­di­men­to del già cita­to decre­to leg­ge n. 50 del 1982. Se quest’ultimo prov­ve­di­men­to ave­va segna­to il cam­mi­no per l’abolizione del mono­po­lio del com­mer­cio este­ro, quel­lo che ci accin­gia­mo ad ana­liz­za­re asfal­tò un’autostrada (ci si pas­si l’iperbole) per la defi­ni­ti­va pene­tra­zio­ne a Cuba del capi­ta­le inter­na­zio­na­le[31].

Fie­ra Inter­na­zio­na­le dell’Avana: un’occasione per attrar­re sem­pre più capi­ta­li stranieri

La fina­li­tà del­la nuo­va nor­ma­ti­va era espres­sa a chia­re let­te­re già nel pre­am­bo­lo: «[…] la Costi­tu­zio­ne del­la repub­bli­ca, come modi­fi­ca­ta nel 1992, rico­no­sce, tra le altre for­me di pro­prie­tà, quel­la del­le impre­se miste, socie­tà e asso­cia­zio­ni eco­no­mi­che che si costi­tui­sca­no secon­do la leg­ge e pre­ve­de, in rela­zio­ne alla pro­prie­tà sta­ta­le […] la ces­sio­ne in pro­prie­tà, par­zia­le o tota­le di obiet­ti­vi eco­no­mi­ci […]», men­tre «i muta­men­ti che han­no luo­go nell’economia nazio­na­le, diret­ti a pro­muo­ve­re e soste­ne­re atti­va­men­te l’investimento del capi­ta­le stra­nie­ro a Cuba e ad amplia­re le pos­si­bi­li­tà rela­ti­ve a for­me e aree di inve­sti­men­to, […] oltre­pas­sa­no le pos­si­bi­li­tà offer­te ad oggi dal­la cor­ni­ce lega­le del decre­to leg­ge n. 50 […] del 15 feb­bra­io 1982», sic­ché si ren­de neces­sa­rio «per amplia­re e faci­li­ta­re il pro­ces­so di par­te­ci­pa­zio­ne dell’investimento stra­nie­ro nell’economia nazio­na­le, […] adot­ta­re una nuo­va legi­sla­zio­ne che offra mag­gio­re sicu­rez­za e garan­zia all’investitore este­ro».
Ma era l’articolato a spie­ga­re nei mini­mi det­ta­gli qua­li era­no gli obiet­ti­vi che il gover­no cuba­no si era posto:

  • «Que­sta leg­ge ha come sco­po pro­muo­ve­re e incen­ti­va­re l’investimento este­ro nel ter­ri­to­rio del­la Repub­bli­ca di Cuba, per rea­liz­za­re atti­vi­tà lucra­ti­ve […]» (art. 1).
  • «Gli inve­sti­men­ti este­ri nel ter­ri­to­rio nazio­na­le godo­no di pie­na pro­te­zio­ne e sicu­rez­za, e non pos­so­no esse­re espro­pria­ti, sal­vo che per moti­vi di uti­li­tà pub­bli­ca o inte­res­se socia­le […], pre­vio inden­niz­zo in valu­ta libe­ra­men­te con­ver­ti­bi­le del suo valo­re com­mer­cia­le sta­bi­li­ti con­sen­sual­men­te. In caso di man­ca­to accor­do, il prez­zo sarà sta­bi­li­to da un’organizzazione di rico­no­sciu­to pre­sti­gio inter­na­zio­na­le nel­la sti­ma degli affa­ri […]» (art. 3).
  • «L’investitore stra­nie­ro in un’associazione eco­no­mi­ca inter­na­zio­na­le può, in qual­sia­si momen­to, […] ven­de­re o tra­smet­te­re in qual­sia­si altra for­ma allo Sta­to, o a un ter­zo […], la sua par­te­ci­pa­zio­ne tota­le o par­zia­le in essa, rice­ven­do il prez­zo cor­ri­spon­den­te in valu­ta libe­ra­men­te con­ver­ti­bi­le […] (art. 6, 1° com­ma. Il com­ma suc­ces­si­vo pre­ve­de la stes­sa iden­ti­ca pos­si­bi­li­tà anche per l’investitore stra­nie­ro «in una impre­sa di ca­pitale total­men­te stra­nie­ro»).
  • «Lo Sta­to garan­ti­sce all’investitore stra­nie­ro il libe­ro tra­sfe­ri­men­to all’estero, in valu­ta libe­ra­men­te con­ver­ti­bi­le, non assog­get­ta­bi­le ad impo­ste o altre esa­zio­ni rela­ti­ve a tale tra­sfe­ri­men­to di: a) gli uti­li net­ti o divi­den­di otte­nu­ti dall’investimento […]. I cit­ta­di­ni stra­nie­ri che for­ni­sco­no ser­vi­zi a un’impresa mista, alle par­ti in qual­sia­si altra for­ma di asso­cia­zio­ne eco­no­mi­ca inter­na­zio­na­le, o a un’impresa di capi­ta­le total­men­te stra­nie­ro, sem­pre che non sia­no resi­den­ti per­ma­nen­ti a Cuba, han­no dirit­to a tra­sfe­ri­re all’estero i beni rice­vu­ti […] (art. 8).
  • «Pos­so­no esse­re auto­riz­za­ti inve­sti­men­ti este­ri in tut­ti i set­to­ri, ad ecce­zio­ne dei ser­vi­zi sani­ta­ri e dell’istruzione popo­la­re e del­le for­ze arma­te, sal­vo nel loro siste­ma impren­di­to­ria­le» (art. 10)[32].
  • «Nell’impresa di capi­ta­le total­men­te stra­nie­ro, l’investitore este­ro ne eser­ci­ta la dire­zio­ne, gode di tut­ti i dirit­ti […]. L’investitore este­ro in impre­se di capi­ta­le total­men­te stra­nie­ro può agi­re come per­so­na fisi­ca o giu­ri­di­ca entro il ter­ri­to­rio nazio­na­le cuba­no: a) crean­do una filia­le cuba­na dell’entità stra­nie­ra di cui è pro­prie­ta­rio, in for­ma di una com­pa­gnia ano­ni­ma per azio­ni nomi­na­ti­ve; b) iscri­ven­do­si nel Regi­stro del­la Came­ra di Com­mer­cio del­la Repub­bli­ca di Cuba e agen­do per se stes­so» (art. 15).
  • Gli artt. 16, 17 e 18, poi, spe­ci­fi­ca­no che si pos­so­no rea­liz­za­re inve­sti­men­ti este­ri in beni immo­bi­li e acqui­star­ne la pro­prie­tà, in par­ti­co­la­re costruen­do abi­ta­zio­ni (atti­vi­tà fino ad allo­ra riser­va­ta in esclu­si­va allo Sta­to) desti­na­te a resi­den­ze civi­li o turi­sti­che, sia pure solo per non resi­den­ti sull’isola. L’art. 19 con­fer­ma il prin­ci­pio san­ci­to dal­la Costi­tu­zio­ne del 1992 del­la tra­smis­si­bi­li­tà del­la pro­prie­tà o di altri dirit­ti rea­li di beni statali.
  • E anco­ra, l’art. 29 chia­ri­sce defi­ni­ti­va­men­te che non esi­ste più a Cuba il mono­po­lio del com­mer­cio este­ro: «Le impre­se miste, gli inve­sti­to­ri nazio­na­li e stra­nie­ri che sia­no par­ti in con­trat­ti di asso­cia­zio­ne eco­no­mi­ca inter­na­zio­na­le e le impre­se di capi­ta­le total­men­te stra­nie­ro han­no dirit­to, […] ad espor­ta­re diret­ta­men­te la loro pro­du­zio­ne e ad impor­ta­re, sem­pre diret­ta­men­te, quan­to neces­sa­rio per i loro sco­pi» (art. 29).
  • Infi­ne, un ulte­rio­re tas­sel­lo che dimo­stra ine­qui­vo­ca­bil­men­te quan­to pro­fon­da sia sta­ta con la Leg­ge n. 77 del 1995 la pene­tra­zio­ne del capi­ta­le e del­le sue rego­le a Cuba, è dato dal­la sezio­ne che disci­pli­na il regi­me giu­ri­di­co dei lavo­ra­to­ri. L’art. 33 spe­ci­fi­ca che la for­za lavo­ro (ope­rai cuba­ni) vie­ne som­mi­ni­stra­ta da appo­si­ti uffi­ci di col­lo­ca­men­to (“Enti­dad emplea­do­ra”), isti­tui­ta dal Mini­ste­ro del Com­mer­cio Este­ro e auto­riz­za­ta dal Mini­ste­ro del Lavo­ro e del­la Sicu­rez­za Socia­le. Il rap­por­to di lavo­ro, però, non si svol­ge diret­ta­men­te tra lavo­ra­to­ri e impre­se, ma è scis­so in due dif­fe­ren­ti obbli­ga­zio­ni: da una par­te, la pre­sta­zio­ne dell’attività lavo­ra­ti­va dell’operaio ver­so il dato­re di lavo­ro; dall’altra, il paga­men­to del sala­rio dall’ufficio di col­lo­ca­men­to al lavo­ra­to­re. E pare addi­rit­tu­ra super­fluo evi­den­zia­re che, come pre­scri­ve l’art. 34 al 1° com­ma, il paga­men­to è pre­vi­sto nel­la sva­lu­ta­ta mone­ta nazio­na­le, e non cer­to nel­la divi­sa stra­nie­ra (dol­la­ri). Come se tut­to ciò non bastas­se, il com­ma suc­ces­si­vo pre­ve­de addi­rit­tu­ra un mec­ca­ni­smo asso­lu­ta­men­te sfa­vo­re­vo­le per i lavo­ra­to­ri nei rap­por­ti con l’impresa: lad­do­ve le impre­se doves­se­ro «con­si­de­ra­re che un deter­mi­na­to lavo­ra­to­re non sod­di­sfi le loro richie­ste sul lavo­ro pos­so­no chie­de­re all’ufficio di col­lo­ca­men­to che lo sosti­tui­sca con un altro. Qual­sia­si riven­di­ca­zio­ne lavo­ra­ti­va vie­ne risol­ta dall’ufficio di col­lo­ca­men­to, che paga a sue spe­se al lavo­ra­to­re l’indennizzo cui doves­se ave­re dirit­to, fis­sa­to dal­le auto­ri­tà com­pe­ten­ti; in que­sti casi, l’impresa […] rim­bor­sa all’ufficio di col­lo­ca­men­to quan­to anti­ci­pa­to, […] e tut­to deve con­for­mar­si alla legi­sla­zio­ne vigen­te».
    Si com­pren­de, allo­ra, che una simi­le posi­zio­ne di subor­di­na­zio­ne di uno Sta­to che si con­si­de­ra “socia­li­sta” agli agen­ti del capi­ta­li­smo impe­ria­li­sti­co, tale addi­rit­tu­ra da sacri­fi­ca­re i dirit­ti dei pro­pri cittadini‑lavoratori alle esi­gen­ze del capi­ta­le, non può che depor­re in favo­re del­la tesi che in que­sto testo stia­mo soste­nen­do: e cioè che, già dall’epoca di appli­ca­zio­ne di simi­li nor­ma­ti­ve, a Cuba il capi­ta­li­smo era sta­to restaurato.
    E si com­pren­de anche per­ché Ian W. Dela­ney, ammi­ni­stra­to­re dele­ga­to del­la mul­ti­na­zio­na­le cana­de­se del nichel, Sher­ritt Inter­na­tio­nal, in un’intervista con­ces­sa alla rivi­sta eco­no­mi­ca Busi­ness Week del 17 mar­zo 1997, abbia dichia­ra­to: «Que­sto Pae­se è la miglio­re oppor­tu­ni­tà di inve­sti­men­to al mon­do». Che que­ste non fos­se­ro paro­le al ven­to lo dimo­stra il fat­to che, a par­ti­re dal­la joint ven­tu­re pari­ta­ria costi­tui­ta nel 1994 tra la Sher­ritt Inter­na­tio­nal e la cuba­na Com­pañía Gene­ral de Niquel, la mul­ti­na­zio­na­le è tal­men­te pene­tra­ta a Cuba da diven­ta­re pro­ta­go­ni­sta asso­lu­ta di mol­ti altri set­to­ri del­l’e­co­no­mia, dall’energia elet­tri­ca al petro­lio e gas, dall’agricoltura al turi­smo, dai tra­spor­ti alle tele­co­mu­ni­ca­zio­ni, fino agli immo­bi­li. Sarà sta­to for­se per que­sto che Dela­ney veni­va defi­ni­to “il capi­ta­li­sta pre­fe­ri­to di Castro”[33].
  • L’art. 51, inol­tre, pre­ve­de­va l’istituzione di “Zone fran­che”, cioè regio­ni in cui «si può appli­ca­re […] un regi­me spe­cia­le in mate­ria di doga­na, cam­bia­ria, tri­bu­ta­ria, lavo­ra­ti­va, migra­to­ria, di ordi­ne pub­bli­co, di inve­sti­men­to di capi­ta­li e di com­mer­cio este­ro, e nel­le qua­li gli inve­sti­to­ri este­ri pos­so­no ope­ra­re per rea­liz­za­re ope­ra­zio­ni finan­zia­rie di impor­ta­zio­ne, espor­ta­zio­ne, approv­vi­gio­na­men­to, atti­vi­tà pro­dut­ti­ve o rie­spor­ta­zio­ne».

Suc­ces­si­va­men­te, è entra­ta in vigo­re la nuo­va “Ley de la Inver­sión Extra­n­je­ra”, la n. 118 del 29 mar­zo 2014[34], che ha modi­fi­ca­to, amplian­do­la, la leg­ge n. 77 del 1995. Lo con­fer­ma già il pre­am­bo­lo, che reci­ta: «La pre­sen­te leg­ge […] sta­bi­li­sce un regi­me di faci­li­ta­zio­ni, garan­zie e sicu­rez­za giu­ri­di­ca all’investitore che pro­pi­zia l’attrazione e l’utilizzo del capi­ta­le stra­nie­ro. L’investimento este­ro nel Pae­se si orien­ta ver­so la diver­si­fi­ca­zio­ne e l’ampliamento dei mer­ca­ti di espor­ta­zio­ne». Ha inol­tre con­fer­ma­to, esten­den­do­lo, il prin­ci­pio del­la libe­ra tra­sfe­ri­bi­li­tà all’estero per l’investitore, in esen­zio­ne di qual­sia­si tas­sa­zio­ne, dei divi­den­di e degli uti­li rica­va­ti dall’investimento e di qual­sia­si altro impor­to doves­se ricevere.
La nuo­va leg­ge sugli inve­sti­men­ti este­ri con­fer­ma il regi­me fisca­le di favo­re di cui abbia­mo già det­to, ma lo amplia. I soci inve­sti­to­ri stra­nie­ri sono esen­ta­ti dal paga­men­to di impo­ste sul­le entra­te per­so­na­li che deri­vi­no dal ripar­to degli uti­li otte­nu­ti dall’affare. Alle impre­se miste e agli inve­sti­to­ri che sia­no par­te di con­trat­ti di asso­cia­zio­ne inter­na­zio­na­le vie­ne appli­ca­ta un’imposta fis­sa del 15% sugli uti­li impo­ni­bi­li[35], ma det­ta impo­si­zio­ne vie­ne sospe­sa per i pri­mi otto anni dal­la costi­tu­zio­ne dell’impresa. Il ter­mi­ne può esse­re pro­ro­ga­to dal Con­si­glio dei mini­stri. Per il pri­mo anno non si appli­ca l’imposta sul­le ven­di­te (l’equivalente del­la nostra Iva), suc­ces­si­va­men­te l’imposta sarà dovu­ta in ragio­ne del 50%.

Mono­po­lio del com­mer­cio este­ro e pia­ni­fi­ca­zio­ne: for­ma­liz­za­zio­ne di un addio
Tut­ti gli ele­men­ti che abbia­mo indi­ca­to ed esa­mi­na­to sino­ra depon­go­no ine­qui­vo­ca­bil­men­te nel sen­so di una com­piu­ta restau­ra­zio­ne del capi­ta­li­smo a Cuba: e non da ora (né sicu­ra­men­te dal nuo­vo pro­get­to di Costi­tu­zio­ne, spun­to dal qua­le sia­mo par­ti­ti per que­sto arti­co­lo), ma da decen­ni addie­tro. Ciò per­ché, come dovreb­be esse­re ormai chia­ro, non può esi­ste­re un’economia in tran­si­zio­ne ver­so il socia­li­smo se non ne esi­sto­no i pila­stri fon­da­men­ta­li che abbia­mo descrit­to. Ma voglia­mo aggiun­ge­re qual­che altro argo­men­to a con­fer­ma del­la nostra tesi.
Abbia­mo già visto come non esi­sta più il mono­po­lio del com­mer­cio este­ro gra­zie alla pene­tra­zio­ne di impre­se capi­ta­li­sti­che cui è garan­ti­to di poter impor­ta­re ed espor­ta­re ciò che più aggra­da loro, oltre a poter tra­sfe­ri­re all’estero i pro­fit­ti rea­liz­za­ti, sen­za alcun obbli­go di rein­ve­stir­li a Cuba. E anche in que­sto caso, il gover­no cuba­no ha appre­sta­to un qua­dro giu­ri­di­co entro cui inscri­ve­re la nuo­va real­tà allo sco­po di dis­si­pa­re, per­si­no for­mal­men­te, ogni dub­bio al riguar­do: per­ciò, con il Decre­to Ley n. 264 del 2 mar­zo 2009, ven­ne estin­to il Mini­ste­ro del Com­mer­cio Este­ro, cui era­no attri­bui­te in regi­me mono­po­li­sti­co le fun­zio­ni di gestio­ne e con­trol­lo del­le impor­ta­zio­ni e del­le espor­ta­zio­ni del Pae­se, e al suo posto è sta­to crea­to il Mini­ste­ro del Com­mer­cio Este­ro e degli Inve­sti­men­ti Este­ri che, al di là dell’assonanza pura­men­te nomi­na­li­sti­ca, non per­se­gue gli obiet­ti­vi dell’organismo estin­to, ma ha il ben diver­so com­pi­to di pre­pa­ra­re e pro­por­re al gover­no la poli­ti­ca rela­ti­va all’attività com­mer­cia­le con l’estero, crea­re le impre­se miste (che, come abbia­mo visto, han­no pie­na liber­tà – così come quel­le a capi­ta­le inte­gral­men­te stra­nie­ro – di impor­ta­re ed espor­ta­re ciò che voglio­no) e “col­la­bo­ra­re eco­no­mi­ca­men­te con altri Paesi”.
E così pure, in epo­ca di mol­to pre­ce­den­te, era già venu­to meno l’altro gran­de pila­stro su cui si deve fon­da­re un’economia non capi­ta­li­sta. Con il Decre­to Ley n. 147 del 21 apri­le 1994, infat­ti, era sta­ta disciol­ta la Jun­ta Cen­tral de Pla­ni­fi­ca­ción. In altri ter­mi­ni, da quel perio­do, non esi­ste­va più l’organismo che deve ela­bo­ra­re un pia­no cen­tra­le del­la pro­du­zio­ne, e cioè l’elemento che carat­te­riz­za un’economia non di mer­ca­to: la pia­ni­fi­ca­zio­ne cen­tra­liz­za­ta dell’economia, infat­ti, non è (solo) il con­trol­lo da par­te del­lo Sta­to dei pro­ces­si eco­no­mi­ci, ben­sì la dire­zio­ne che si vuo­le impri­me­re allo svi­lup­po eco­no­mi­co. Ossia, la pia­ni­fi­ca­zio­ne non è (solo) lo svi­lup­po del­le for­ze pro­dut­ti­ve, ma deve ave­re come obiet­ti­vo fina­le la crea­zio­ne di un ordi­ne socia­li­sta[36]. Sen­za lo stru­men­to del­la pia­ni­fi­ca­zio­ne cen­tra­liz­za­ta si pos­so­no anche pre­di­spor­re dei pia­ni di approv­vi­gio­na­men­to del­la tale o tal altra mer­ce, di estra­zio­ne del­la tale o tal altra risor­sa mine­ra­ria, o anco­ra del­la ven­di­ta del tale o tal altro pro­dot­to, ma non si sarà mos­so un solo pas­so in dire­zio­ne del socia­li­smo, e l’economia che sor­ti­rà da quei pia­ni sarà sol­tan­to e uni­ca­men­te un’economia di mercato.
Il fat­to è che esi­ste un’intima e indis­so­lu­bi­le cor­re­la­zio­ne tra mono­po­lio del com­mer­cio este­ro e pia­ni­fi­ca­zio­ne cen­tra­liz­za­ta. Se, per rifar­ci a Cuba, le impre­se, sia miste che di capi­ta­le inte­ra­men­te stra­nie­ro, pos­so­no libe­ra­men­te impor­ta­re ed espor­ta­re ciò che è più fun­zio­na­le ai loro obiet­ti­vi, e cioè ai loro pro­fit­ti; se, in altri ter­mi­ni, pos­so­no sen­za restri­zio­ni gesti­re il com­mer­cio este­ro, che dun­que non è più mono­po­lio del­lo Sta­to; se addi­rit­tu­ra i soci stra­nie­ri di quel­le miste e i pro­prie­ta­ri di quel­le a tota­le capi­ta­le stra­nie­ro pos­so­no “libe­ra­men­te tra­sfe­ri­re all’estero, in valu­ta libe­ra­men­te con­ver­ti­bi­le, non assog­get­ta­bi­le ad impo­ste o altre esa­zio­ni rela­ti­ve a tale tra­sfe­ri­men­to, gli uti­li net­ti o divi­den­di otte­nu­ti dall’investimento” (v. sopra, art. 8 del­la Leg­ge sugli Inve­sti­men­ti Este­ri n. 77 del 1995. Lo stes­so prin­ci­pio è con­fer­ma­to dall’art. 9 del­la vigen­te Leg­ge n. 118 del 2014); allo­ra è evi­den­te che la pro­du­zio­ne – e, più in gene­ra­le, l’economia – non è in fun­zio­ne di un pia­no cen­tra­le, e dun­que nell’interesse del­la socie­tà, ma inve­ce in fun­zio­ne degli inte­res­si dell’investitore, e dun­que del pro­fit­to: e il pro­fit­to è il ful­cro di un’economia capitalista.
Allo­ra, non può esse­re mes­so in discus­sio­ne il fat­to che Cuba non sia più – da un pez­zo – uno Sta­to ope­ra­io (quan­tun­que defor­ma­to), ma uno Sta­to capi­ta­li­sta. Ciò potrà rin­cre­sce­re ai mili­tan­ti sen­ti­men­ta­li, ai sin­ce­ri atti­vi­sti che han­no negli occhi e nel cuo­re l’effigie del “Che”, ma a un’analisi mar­xi­sta del­la real­tà la rap­pre­sen­ta­zio­ne roman­ti­ca del­la Cuba come ulti­mo bastio­ne del comu­ni­smo non regge.

Le cri­ti­che: l’embargo …
Potrem­mo, a que­sto pun­to, ter­mi­na­re qui la nostra disa­mi­na, rite­nen­do con­clu­so con suc­ces­so il com­pi­to che ci era­va­mo pre­fis­so all’inizio del testo. Ma già sap­pia­mo che altre cri­ti­che stan­no per esse­re rivol­te alla nostra rico­stru­zio­ne. E allo­ra con­vie­ne affron­tar­le subito.
Uno degli argo­men­ti che vie­ne usa­to è quel­lo dell’embargo. Si sostie­ne che il fero­ce embar­go che gli Usa stan­no attuan­do da oltre cinquant’anni avreb­be indot­to Cuba a del­le con­tro­mi­su­re eco­no­mi­che per una que­stio­ne di soprav­vi­ven­za. Anzi, pro­prio l’embargo sareb­be la pro­va che quel­lo cuba­no sareb­be uno Sta­to socia­li­sta per­ché con tale misu­ra gli Sta­ti Uni­ti lo sta­reb­be­ro stroz­zan­do per restau­ra­re final­men­te il capi­ta­li­smo sul­la Isla.
Pec­ca­to che que­sto ragio­na­men­to sia estre­ma­men­te debo­le e total­men­te fal­la­ce. Il blo­queo[37] risa­le al 1962, ma per tut­to il perio­do in cui è rima­sta lega­ta all’Urss e al Come­con, Cuba vi ha fat­to fron­te, sia pure con gran­di dif­fi­col­tà, gra­zie agli aiu­ti del bloc­co dei pae­si dell’Est. Il 24 novem­bre 1992, l’Assemblea gene­ra­le dell’Onu appro­vò per la pri­ma vol­ta una riso­lu­zio­ne di con­dan­na dell’embargo: i voti favo­re­vo­li alla riso­lu­zio­ne furo­no 59, 71 gli aste­nu­ti e solo 3 quel­li con­tra­ri (Usa, Israe­le e Roma­nia). A par­ti­re da quel­la data, ogni anno è sta­ta adot­ta­ta la stes­sa riso­lu­zio­ne, e con un nume­ro di voti favo­re­vo­li sem­pre cre­scen­ti (179 nel 2004, 182 nel 2005, 184 nel 2007, 185 nel 2008, 187 nel 2009, fino ad arri­va­re a 191 nel 2017, con i soli voti con­tra­ri di Usa e Israele).

È un caso che solo a par­ti­re dal 1992 l’Onu abbia pre­so una simi­le posi­zio­ne? No, non è un caso. E la ragio­ne ce la spie­ga Tro­tsky a pro­po­si­to dell’Unione Sovietica:

«L’evoluzione del­la buro­cra­zia sovie­ti­ca inte­res­sa in ulti­ma ana­li­si la bor­ghe­sia mon­dia­le dal pun­to di vista del­la modi­fi­ca­zio­ne del­le for­me di pro­prie­tà. […] Fin­ché il mono­po­lio del com­mer­cio este­ro non è abo­li­to, fin­ché non sono rista­bi­li­ti i dirit­ti del capi­ta­le, l’Urss, mal­gra­do tut­ti i meri­ti dei suoi gover­nan­ti, resta agli occhi del­la bor­ghe­sia del mon­do inte­ro un nemi­co irri­du­ci­bi­le […]»[38].

Nel luglio 1992 Cuba adot­ta­va una Costi­tu­zio­ne che, come abbia­mo visto, modi­fi­ca­va radi­cal­men­te gli ele­men­ti costi­tu­ti­vi del­la pro­pria eco­no­mia, eli­mi­nan­do quei pila­stri che ne face­va­no un’economia non capi­ta­li­sta (mono­po­lio del com­mer­cio este­ro, pro­prie­tà esclu­si­va dei mez­zi di pro­du­zio­ne; la Giun­ta per la pia­ni­fi­ca­zio­ne sareb­be sta­ta abo­li­ta di lì a due anni). E solo pochi mesi dopo (novem­bre), la bor­ghe­sia mon­dia­le rico­no­sce­va for­mal­men­te, attra­ver­so la riso­lu­zio­ne dell’Onu, que­sta nuo­va real­tà, e cioè la tran­si­zio­ne di Cuba da un’economia non di mer­ca­to a una capi­ta­li­sta. Il blo­queo era in vigo­re anche l’anno pri­ma, due, cin­que, tren­ta anni pri­ma. Per­ché dun­que arri­va­re al 1992 per con­dan­nar­lo? Per­ché fu solo allo­ra che Cuba die­de una altret­tan­to for­ma­le garan­zia di radi­ca­le cam­bia­men­to di siste­ma: abo­len­do cioè il mono­po­lio del com­mer­cio este­ro, “rista­bi­lì – per dir­la con Tro­tsky – i dirit­ti del capi­ta­le”, e per­ciò non fu più per la bor­ghe­sia del mon­do inte­ro un “nemi­co irriducibile”.
Sap­pia­mo che uno degli ulti­mi atti del­la pre­si­den­za Oba­ma fu il fra­gi­le rista­bi­li­men­to del­le rela­zio­ni Usa‑Cuba, pur restan­do in vigo­re la leg­ge Helms‑Burton[39]. Sap­pia­mo anche che l’attuale pre­si­den­te Usa, Trump, ha pre­an­nun­cia­to un ina­spri­men­to del­le san­zio­ni. In real­tà, l’embargo è il prez­zo che il gover­no sta­tu­ni­ten­se deve paga­re alla poten­te lob­by dei cubano‑americani di Mia­mi, costi­tui­ta dal­la bor­ghe­sia cuba­na esi­lia­ta dai tem­pi del­la Revo­lu­ción: una bor­ghe­sia che ven­ne espro­pria­ta e vor­reb­be rien­tra­re in pos­ses­so dei beni per­du­ti. Ma è un prez­zo sala­to per l’imperialismo nor­da­me­ri­ca­no, che per decen­ni si è autoe­sclu­so dai lucro­si affa­ri con Cuba, con­clu­si inve­ce da altri gover­ni capi­ta­li­sti: che han­no, così, rea­liz­za­to pro­fit­ti da favo­la appro­prian­do­si di fat­to di un mer­ca­to ver­gi­ne ai dan­ni degli Sta­ti Uni­ti. Ecco per­ché all’interno degli Usa da anni si sta dipa­nan­do sot­to­trac­cia un con­flit­to inter­bor­ghe­se tra quei set­to­ri che vor­reb­be­ro toglie­re l’embargo a Cuba per rigua­da­gna­re quo­te di mer­ca­to per­du­te a tut­to van­tag­gio dei Pae­si impe­ria­li­sti con­cor­ren­ti[40] e altri che inve­ce appog­gia­no la lob­by di Mia­mi[41].
In fun­zio­ne di que­sto con­flit­to, a dispet­to del­la vigen­za del blo­queo, gli Usa non han­no rinun­cia­to a fare affa­ri con Cuba, sia pure da una posi­zio­ne defi­la­ta, tan­to che nel 2004 figu­ra­va­no come il suo sesto part­ner com­mer­cia­le[42]. Oggi, «gli Sta­ti Uni­ti han­no svol­to e con­ti­nua­no a svol­ge­re un ruo­lo impor­tan­te nell’economia cuba­na nono­stan­te le restri­zio­ni impo­ste dall’embargo e dal­le nuo­ve rego­le det­ta­te dal gover­no di Donald Trump nel novem­bre scor­so. In que­sto sce­na­rio, ci sono alme­no cin­que aree chia­ve in cui i lega­mi eco­no­mi­ci degli Usa con Cuba sono signi­fi­ca­ti­vi: i viag­gi turi­sti­ci, le rimes­se, i ser­vi­zi di tele­co­mu­ni­ca­zio­ni, le ven­di­te di pro­dot­ti agri­co­li (TSRA), e gli inve­sti­men­ti indi­ret­ti»[43].
È evi­den­te, quin­di, che quel­lo dell’embargo non è un argo­men­to che pos­sa vali­da­men­te con­tra­sta­re le con­clu­sio­ni cui sia­mo fino­ra giunti.

… la pro­prie­tà dei mez­zi di produzione …
Si dice allo­ra, e pas­sia­mo a un’altra cri­ti­ca: “Sì, ma i mez­zi di pro­du­zio­ne sono rima­sti pre­va­len­te­men­te nel­le mani del­lo Sta­to. In mol­tis­si­mi casi, poi, le socie­tà miste vedo­no una quo­ta mag­gio­ri­ta­ria pub­bli­ca a sca­pi­to di quel­la degli inve­sti­to­ri pri­va­ti, e comun­que la gran par­te del­le impre­se è statale”.
In real­tà, abbia­mo visto che la cor­ni­ce lega­le appron­ta­ta negli anni da Cuba pre­ve­de la pos­si­bi­li­tà che i mez­zi di pro­du­zio­ne vada­no in pro­prie­tà agli inve­sti­to­ri[44]. E le impre­se a capi­ta­le total­men­te stra­nie­ro ne sono un esem­pio lam­pan­te. Ciò smen­ti­sce cate­go­ri­ca­men­te la pri­ma par­te dell’obiezione mossa.
Tut­ta­via, a non dis­si­mi­le con­clu­sio­ne si giun­ge anche rispet­to alla sua secon­da par­te, e cioè quan­do – si dice – nel­le impre­se miste la quo­ta pro­prie­ta­ria del­lo Sta­to è mag­gio­ri­ta­ria e quan­do tan­te sono sta­ta­li al 100%.
Il fat­to è che il carat­te­re di clas­se di uno Sta­to non è neces­sa­ria­men­te deter­mi­na­to dal­le for­me di pro­prie­tà. In uno Sta­to pos­so­no coe­si­ste­re diver­se for­me di pro­prie­tà (pub­bli­ca, pri­va­ta), ma non è que­sto solo ele­men­to a deter­mi­nar­ne il carat­te­re di clas­se. Nell’Unione Sovie­ti­ca all’epoca del­la Nep esi­ste­va­no nume­ro­se impre­se pri­va­te[45]; nell’Italia fasci­sta ai tem­pi di Mus­so­li­ni la mag­gio­ran­za del­le impre­se era sot­to il con­trol­lo del­lo Sta­to cor­po­ra­ti­vo[46]. Ma tut­to que­sto non face­va, né dell’Urss uno Sta­to capi­ta­li­sta, né dell’Italia uno Sta­to socia­li­sta. Le diver­se for­me di pro­prie­tà deb­bo­no in altri ter­mi­ni esse­re accom­pa­gna­te e qua­li­fi­ca­te da un ulte­rio­re ele­men­to. E cioè dai rap­por­ti di pro­du­zio­ne sot­te­si all’economia:

«La natu­ra di clas­se del­lo Sta­to non vie­ne deter­mi­na­ta dal­le sue for­me poli­ti­che, ma dal suo con­te­nu­to socia­le, cioè dal carat­te­re del­le for­me di pro­prie­tà e dei rap­por­ti di pro­du­zio­ne che un dato Sta­to fa pro­pri e difen­de»[47].

A Cuba non è la per­cen­tua­le di pro­prie­tà sta­ta­le dei mez­zi di pro­du­zio­ne a deter­mi­na­re il carat­te­re di clas­se del­lo Sta­to, ma il fat­to che la pro­du­zio­ne effet­tua­ta attra­ver­so quei mez­zi non si svol­ge in fun­zio­ne di un’economia cen­tral­men­te pia­ni­fi­ca­ta carat­te­riz­za­ta dal mono­po­lio del com­mer­cio este­ro[48]: e dun­que, non nell’interesse del­la socie­tà, ma del­le leg­gi del mer­ca­to e del pro­fit­to. Ciò per­ché Cuba ha “fat­to pro­pri e difen­de” rap­por­ti di pro­du­zio­ne capi­ta­li­sti­ci, come abbia­mo visto.

… e la borghesia?
Vale la pena a que­sto pun­to affron­ta­re un’ultima obie­zio­ne. “Ma se il capi­ta­li­smo è sta­to restau­ra­to, dov’è la bor­ghe­sia che avreb­be con­dot­to que­sto pro­ces­so? I ten­ta­ti­vi di col­po di sta­to sono fal­li­ti. I gusa­nos[49] con­ti­nua­no a vive­re agia­ta­men­te in Flo­ri­da e con­ti­nua­no a recla­ma­re la resti­tu­zio­ne del­le pro­prie­tà che ven­ne­ro loro espro­pria­te. E intan­to, a Cuba vige un regi­me di par­ti­to uni­co e quel par­ti­to è comunista”.
I pro­ces­si di restau­ra­zio­ne del capi­ta­li­smo nell’ex Unio­ne Sovie­ti­ca, così come in Cina e poi a Cuba, han­no indub­bia­men­te avu­to dei trat­ti comu­ni: non v’è sta­to un even­to ester­no, come ad esem­pio un gol­pe orche­stra­to dall’imperialismo, non v’è sta­to spar­gi­men­to di san­gue e instau­ra­zio­ne di regi­mi dit­ta­to­ria­li. Al con­tra­rio, la restau­ra­zio­ne s’è data “dall’interno” ad ope­ra del­la stes­sa buro­cra­zia che diri­ge­va que­gli Sta­ti quan­do era­no ope­rai. In que­sto sen­so, anco­ra una vol­ta, il pro­no­sti­co di Tro­tsky ha tro­va­to conferma:

«La pro­gno­si poli­ti­ca impli­ca un’alternativa: o la buro­cra­zia, dive­nen­do sem­pre più l’organo del­la bor­ghe­sia mon­dia­le nel­lo Sta­to ope­ra­io, rove­sce­rà le nuo­ve for­me di pro­prie­tà[50] e tra­sci­ne­rà di nuo­vo il Pae­se nel capi­ta­li­smo; oppu­re la clas­se ope­ra­ia distrug­ge­rà la buro­cra­zia e apri­rà la stra­da al socia­li­smo»[51].

Con for­me, moda­li­tà e rit­mi del­le rispet­ti­ve dina­mi­che diver­si, in Urss, Cina e Cuba si è veri­fi­ca­ta la pri­ma del­le due ipo­te­si alter­na­ti­ve: è sta­ta la buro­cra­zia alla testa del­lo Sta­to a restau­ra­re il capi­ta­li­smo, non già la vec­chia bor­ghe­sia che era sta­ta a suo tem­po espro­pria­ta. E per far­lo ha dovu­to tra­sfor­ma­re se stes­sa da casta buro­cra­ti­ca e paras­si­ta­ria in nuo­va borghesia.
È anco­ra una vol­ta Tro­tsky a spie­gar­ci il fenomeno:

«Ammet­tia­mo […] che né il par­ti­to rivo­lu­zio­na­rio, né il par­ti­to con­tro­ri­vo­lu­zio­na­rio si impa­dro­ni­sca­no del pote­re. La buro­cra­zia resta alla testa del­lo Sta­to. Anche in que­ste con­di­zio­ni l’evoluzione dei rap­por­ti socia­li non si fer­ma. Non si può cer­to imma­gi­na­re che la buro­cra­zia abdi­chi in favo­re dell’eguaglianza socia­li­sta. Se essa ha … rite­nu­to pos­si­bi­le […] rista­bi­li­re i gra­di e le deco­ra­zio­ni, in segui­to dovrà ine­vi­ta­bil­men­te cer­ca­re un appog­gio nei rap­por­ti di pro­prie­tà. Si potreb­be obiet­ta­re che poco impor­ta­no ai gros­si fun­zio­na­ri le for­me di pro­prie­tà da cui rica­va­no i loro red­di­ti, ma sareb­be igno­ra­re il fat­to­re del­la pre­ca­rie­tà dei dirit­ti del­la buro­cra­zia e il pro­ble­ma del­la sua discen­den­za. Il recen­te cul­to del­la fami­glia sovie­ti­ca non cade dal cie­lo. I pri­vi­le­gi che non si pos­so­no tra­man­da­re ai figli per­do­no la metà del loro valo­re. Ma il dirit­to di lascia­re in ere­di­tà è inse­pa­ra­bi­le da quel­lo di pro­prie­tà. Non basta esse­re diret­to­re di un tru­st, biso­gna esser­ne azio­ni­sta. La vit­to­ria del­la buro­cra­zia in que­sto set­to­re deci­si­vo ne fareb­be una nuo­va clas­se pos­si­den­te»[52].

Tro­tsky ci dice, in altri ter­mi­ni, che i pri­vi­le­gi del­la casta buro­cra­ti­ca sono per loro natu­ra pre­ca­ri e che, per con­so­li­dar­si, deb­bo­no tra­sfor­mar­si in pri­vi­le­gi pro­prie­ta­ri. Così pure, chi li eser­ci­ta non può limi­tar­si ad esser­ne il gesto­re, ma deve diven­tar­ne il titolare.
Ecco come, in man­can­za di una rivo­lu­zio­ne poli­ti­ca che la rove­scias­se, la buro­cra­zia si è muta­ta in bor­ghe­sia: e ciò è val­so in tut­ti gli Sta­ti ex ope­rai. In tut­ti e tre i casi cita­ti, le (contro)riforme sono sta­te vara­te “in nome” del socia­li­smo, sban­die­ran­do una pre­sun­ta “con­ti­nui­tà” o “moder­niz­za­zio­ne” del socia­li­smo; ma in Cina e a Cuba è resta­to al pote­re un par­ti­to che con­ti­nua a defi­nir­si comu­ni­sta. E sol­tan­to a Cuba alla testa del­lo Sta­to è rima­sta pro­prio – fisi­ca­men­te – la dire­zio­ne che ave­va fat­to la rivo­lu­zio­ne ed espro­pria­to la bor­ghe­sia: ciò che le ha con­ces­so un’autorevolezza che non è sta­to dato riscon­tra­re negli altri casi.
Ora, per resta­re a Cuba, la casta buro­cra­ti­ca che ha diret­to lo Sta­to ope­ra­io si è, come det­to, tra­sfor­ma­ta nel­la bor­ghe­sia ora al pote­re di uno Sta­to bor­ghe­se: la cui colon­na ver­te­bra­le, come in tut­ti gli Sta­ti bor­ghe­si, è rap­pre­sen­ta­ta dal­le for­ze arma­te. Un’istituzione che gesti­sce diret­ta­men­te una enor­me par­te dell’economia del­la Isla.

Luis Alber­to Rodrí­guez López-Callejas

Le Fuer­zas Arma­das Revo­lu­cio­na­rias diri­go­no il grup­po impren­di­to­ria­le Gae­sa (Gru­po de Admi­ni­stra­ción Empre­sa­rial S.A.), che è la più gran­de hol­ding cuba­na, un con­glo­me­ra­to di oltre cin­quan­ta gran­di impre­se, tut­te ope­ran­ti sot­to le leg­gi del mer­ca­to e diret­te dal gene­ra­le di bri­ga­ta Luis Alber­to Rodrí­guez López‑Callejas, ex gene­ro di Raúl Castro. Attual­men­te Gae­sa è lea­der in mol­ti set­to­ri stra­te­gi­ci dell’economia del pae­se, come il com­mer­cio al det­ta­glio, il set­to­re del turi­smo, la zona di svi­lup­po spe­cia­le Mariel (Zedm), le tele­co­mu­ni­ca­zio­ni, la finan­za, la logi­sti­ca, il mer­ca­to auto­mo­bi­li­sti­co e il set­to­re immo­bi­lia­re, tra gli altri. Tut­te le socie­tà che com­pon­go­no la sua strut­tu­ra azien­da­le ope­ra­no sul mer­ca­to dollarizzato.
Nel­la sto­ria del­la rivo­lu­zio­ne cuba­na, mai le for­ze arma­te ave­va­no con­cen­tra­to tan­to pote­re eco­no­mi­co nel­le loro mani quan­to oggi. In un pri­mo tem­po, Gae­sa ave­va un ruo­lo mar­gi­na­le nell’economia cuba­na. Il suo model­lo di busi­ness era orien­ta­to a rac­co­glie­re fon­di per finan­zia­re le atti­vi­tà dell’esercito e ridur­ne l’onere finan­zia­rio a cari­co del­lo Sta­to. Oggi la situa­zio­ne è diver­sa: Gae­sa è diven­ta­ta una pio­vra impren­di­to­ria­le che ha gra­dual­men­te rac­col­to i set­to­ri più red­di­ti­zi dell’economia del Pae­se. Si sti­ma che la sua atti­vi­tà nel 2016 sia sta­ta di cir­ca 3,8 miliar­di di dol­la­ri e che il com­ples­so del­le sue ope­ra­zio­ni com­mer­cia­li abbia gene­ra­to il 21% del red­di­to lor­do dell’economia cuba­na. Tra le sue acqui­si­zio­ni più impor­tan­ti negli ulti­mi anni ci sono Cimex Cor­po­ra­tion, Haba­gua­nex S.A. e Ban­co Finan­cie­ro Inter­na­cio­nal (Bfi), che han­no reso Gae­sa una del­le com­pa­gnie più red­di­ti­zie e poten­ti non solo sull’isola, ma nel­la regio­ne dei Caraibi.

Strut­tu­ra azien­da­le del Gru­po Gae­sa, 2016 (The Hava­na Con­sul­ting Group)

Le rifor­me che han­no intro­dot­to a Cuba l’economia di mer­ca­to han­no fat­to sì che GAESA si sia posi­zio­na­ta rapi­da­men­te nei set­to­ri in cui era­no pre­vi­sti inve­sti­men­ti este­ri. Esem­pi sono la zona di svi­lup­po spe­cia­le Mariel (Zedm), il luo­go pro­get­ta­to per diven­ta­re la loco­mo­ti­va indu­stria­le e tec­no­lo­gi­ca del pae­se; il mega pro­get­to turi­sti­co del por­to dell’Avana e lo svi­lup­po del cen­tro sto­ri­co del­la capi­ta­le del pae­se, la zona più carat­te­ri­sti­ca e visi­ta­ta dell’isola da turi­sti stra­nie­ri, popo­la­ta da musei e luo­ghi storico‑culturali, hotel, bar e nego­zi; l’85% del mer­ca­to al det­ta­glio dol­la­riz­za­to, che domi­na le più gran­di reti di nego­zi di ali­men­ta­ri, sta­zio­ni di ser­vi­zio, cate­ne di fast food, che rap­pre­sen­ta­no i prin­ci­pa­li eser­ci­zi in cui vie­ne spe­sa gran par­te del­le rimes­se invia­te dagli esi­lia­ti cuba­ni; il 27% del­le quo­te di Etec­sa, il mono­po­lio del­le tele­co­mu­ni­ca­zio­ni del Pae­se, che con­trol­la un mer­ca­to in cre­sci­ta per gli uten­ti di tele­fo­nia cel­lu­la­re (4,3 milio­ni di uten­ti) e la distri­bu­zio­ne dell’accesso a Inter­net; il set­to­re turi­sti­co con due poten­ti cate­ne alber­ghie­re (Gavio­ta S.A. e Haba­gua­nex S.A.) che han­no la mag­gio­ran­za degli hotel a 4 e 5 stel­le nei poli turi­sti­ci più stra­te­gi­ci del pae­se; e par­te del set­to­re finanziario.
Que­sta ampia pre­sen­za di Gae­sa nell’economia cuba­na dimo­stra ine­qui­vo­ca­bil­men­te che buo­na par­te del­le impre­se che costi­tui­sco­no le mag­gio­ri oppor­tu­ni­tà di inve­sti­men­to sono nel­le mani del­le for­ze arma­te cubane.
A ciò va aggiun­to che lo Sta­to ha spez­za­to il vin­co­lo lavo­ra­ti­vo che lo lega­va a cen­ti­na­ia di miglia­ia di lavo­ra­to­ri[53], che oggi svol­go­no un lavo­ro auto­no­mo (i cuen­ta­pro­pri­stas)[54] e che nel 2016 han­no pro­dot­to il 17,81% del red­di­to lor­do dell’economia. Que­sto pro­ces­so ha pro­dot­to, all’interno di que­sto set­to­re, la for­ma­zio­ne di una pic­co­la bor­ghe­sia con livel­li di red­di­to parec­chio più alti di quan­to inve­ce per­ce­pi­sce la mag­gio­ran­za del­la popo­la­zio­ne, in par­ti­co­la­re lavo­ra­to­ri pub­bli­ci e pen­sio­na­ti[55].
In linea gene­ra­le, per­tan­to, oltre a regi­stra­re la for­ma­zio­ne di una nuo­va clas­se bor­ghe­se nata nel seno del­la casta buro­cra­ti­ca al pote­re, si può dire, pur in man­can­za di dati uffi­cia­li (che il gover­no si guar­da bene dal dif­fon­de­re), che a Cuba si è incre­men­ta­ta la dise­gua­glian­za socia­le, è aumen­ta­ta la con­cen­tra­zio­ne di ric­chez­za ed è cre­sciu­ta la pover­tà. Anche que­sta pola­riz­za­zio­ne socia­le non depo­ne in favo­re di un’economia non di mercato.

Chi difen­de dav­ve­ro l’idea del­la rivoluzione?
In con­clu­sio­ne di que­sto lun­go scrit­to, non ci sof­fer­me­re­mo su quan­to resta del­le con­qui­ste socia­li del­la Revo­lu­ción. Indub­bia­men­te, con l’avanzare del capi­ta­li­smo e del­le sue leg­gi nel­la Isla, la ten­den­za è alla pro­gres­si­va per­di­ta di quel­le con­qui­ste[56].
Ci si chie­de­rà, allo­ra, la ragio­ne che ci ha mos­si a que­sta pun­ti­glio­sa analisi.
Ebbe­ne, con­tra­ria­men­te a quan­to pos­sa­no pen­sa­re i nostal­gi­ci del­la Rivo­lu­zio­ne cuba­na; o colo­ro che resta­no abbar­bi­ca­ti all’immagine del “Che” in ricor­do dei loro anni gio­va­ni­li e come com­pren­si­bi­le rea­zio­ne rispet­to a quel­la che appa­re loro come una “scon­fit­ta” degli idea­li di quell’epoca; o anco­ra colo­ro che difen­do­no l’idea di una Cuba come ulti­mo bastio­ne del socia­li­smo, come un Davi­de che da decen­ni si bat­te con­tro il Golia nor­da­me­ri­ca­no; con­tra­ria­men­te a tut­ti costo­ro, noi soste­nia­mo che non sono loro i difen­so­ri di quel­la rivo­lu­zio­ne. Al con­tra­rio: sono i difen­so­ri di una casta buro­cra­ti­ca e paras­si­ta­ria che ne ha tra­di­to gli idea­li con­se­gnan­do Cuba al capi­ta­li­smo e tra­sfor­man­do se stes­sa nel­la nuo­va bor­ghe­sia sfrut­ta­tri­ce dei lavo­ra­to­ri e del popo­lo cubano.
E inve­ce, la nostra cri­ti­ca vuo­le esse­re pro­prio la dife­sa di quel­la rivoluzione.
Nel 1959, Cuba era uno dei Pae­si più pove­ri dell’area, afflit­to dai pro­ble­mi del­la mise­ria, del­la disoc­cu­pa­zio­ne, del­le malat­tie, dell’analfabetismo. La rivo­lu­zio­ne mostrò che quei pro­ble­mi pote­va­no esse­re risol­ti con un’economia cen­tral­men­te pia­ni­fi­ca­ta. Quel­lo che era con­si­de­ra­to il bor­del­lo degli Sta­ti Uni­ti dimo­strò, fra enor­mi dif­fi­col­tà, che l’unico modo per por­re fine al degra­do pro­dot­to dall’ordine capi­ta­li­sta era pro­prio sov­ver­tir­ne l’anarchia. Per i pro­gres­si fat­ti gra­zie a un siste­ma economico‑sociale nuo­vo, Cuba si col­lo­cò fra i pri­mi Pae­si del mon­do per il pro­prio siste­ma sani­ta­rio e per quel­lo edu­ca­ti­vo, il pie­no impie­go fu una con­qui­sta che nes­sun Pae­se del­la regio­ne pote­va van­ta­re, pri­meg­giò per­si­no nel­lo sport.
Non solo! Rom­pen­do il gio­go impe­ria­li­sta, la rivo­lu­zio­ne cuba­na ebbe un enor­me impat­to su tut­to il con­ti­nen­te lati­noa­me­ri­ca­no, spri­gio­nan­do nel resto del mon­do un entu­sia­smo rivo­lu­zio­na­rio secon­do solo a quel­lo che si era svi­lup­pa­to con l’Ottobre russo.
Con­tro chi sostie­ne che fare una rivo­lu­zio­ne socia­li­sta è un’utopia, Cuba dimo­strò che i veri rea­li­sti sono i rivo­lu­zio­na­ri, men­tre è pro­prio chi difen­de il capi­ta­li­smo ad esse­re por­ta­to­re di un’utopia: quel­la di pen­sa­re che “demo­cra­tiz­zan­do­lo” si pos­sa ave­re un capi­ta­li­smo “buo­no”, “pro­gres­si­vo”, “inclu­si­vo”.
Ora, dopo alcu­ni anni dall’aver otte­nu­to quei suc­ces­si, i diri­gen­ti del­la rivo­lu­zio­ne, per le ragio­ni che abbia­mo visto, han­no ria­per­to le por­te di Cuba al capi­ta­li­smo, e subi­to se ne sono comin­cia­ti a vede­re gli effet­ti: ad una ad una, tut­te le con­qui­ste, che era­no sta­te otte­nu­te espro­prian­do il capi­ta­li­smo e che ave­va­no fat­to pro­gre­di­re il popo­lo cuba­no, sono sta­te per­se e si stan­no anco­ra per­den­do. Per­ché è pro­prio que­sto il pro­ble­ma: una vol­ta che si sia con­se­gna­ta l’economia al capi­ta­li­smo e alle sue leg­gi, inve­ce di fare limi­ta­te con­ces­sio­ni come fu nel perio­do del­la Nep, quel­le con­qui­ste socia­li andran­no via via a perdersi.
E la ragio­ne per cui riven­di­chia­mo che, attra­ver­so un’analisi scien­ti­fi­ca del cor­so del­la Rivo­lu­zio­ne cuba­na, sia­mo noi i veri difen­so­ri di quel­la rivo­lu­zio­ne sta in quel­la par­te del­la cita­zio­ne di Tro­tsky che abbia­mo ripor­ta­to all’inizio di que­sto testo, anti­ci­pan­do lì che avrem­mo lascia­to in sospe­so l’esame del­la sua secon­da parte.
Ricor­dia­mo­la. Dopo aver ipo­tiz­za­to che in pre­sen­za di “cir­co­stan­ze asso­lu­ta­men­te ecce­zio­na­li” par­ti­ti piccolo‑borghesi avreb­be­ro potu­to esse­re spin­ti al di là dei limi­ti del loro stes­so pro­gram­ma espro­prian­do la bor­ghe­sia, Tro­tsky aggiungeva:

«In ogni caso, una cosa è fuo­ri dub­bio: anche se que­sta even­tua­li­tà alta­men­te impro­ba­bi­le dive­nis­se, in qual­che luo­go e in qual­che tem­po, una real­tà, e il gover­no ope­ra­io e con­ta­di­no nel sen­so soprad­det­to si rea­liz­zas­se nei fat­ti, esso rap­pre­sen­te­reb­be solo qual­co­sa di epi­so­di­co lun­go la stra­da che por­ta alla vera dit­ta­tu­ra del pro­le­ta­ria­to»[57].

Ecco, a Cuba si rea­liz­zò – come det­to – quel­la “even­tua­li­tà alta­men­te impro­ba­bi­le”, e il gover­no che ne sca­tu­rì è sta­to, appun­to, “qual­co­sa di epi­so­di­co” sul­la stra­da del­la dit­ta­tu­ra del proletariato.
Ciò non vuol dire affat­to che quest’esito era “scrit­to nel desti­no”: Tro­tsky non vole­va asso­lu­ta­men­te affer­ma­re que­sto, com’è reso evi­den­te da altri scrit­ti che abbia­mo cita­to (v., ad es., quel­lo indi­ca­to in nota 51). Se il par­ti­to al pote­re aves­se costrui­to lo Sta­to ope­ra­io cuba­no sul­le basi dell’autentica demo­cra­zia ope­ra­ia, e cioè svi­lup­pan­do appie­no gli orga­ni­smi con­si­lia­ri che dovreb­be­ro esse­re pre­sen­ti in una rivo­lu­zio­ne pro­le­ta­ria; se aves­se appro­fon­di­to gli ele­men­ti dell’economia non capi­ta­li­sta che ave­va inse­dia­to; o anco­ra: se la clas­se ope­ra­ia aves­se rove­scia­to la buro­cra­zia e rea­liz­za­to una rivo­lu­zio­ne poli­ti­ca con­tro di essa, pri­ma anco­ra che si tra­sfor­mas­se nel­la nuo­va bor­ghe­sia, e l’avesse scal­za­ta dal pote­re inse­dian­do inve­ce il pro­prio pote­re; allo­ra sì, come ipo­tiz­zò Tro­tsky, a Cuba si sareb­be “aper­ta la stra­da al socialismo”.
Ma tut­to ciò non è acca­du­to. Quel­la buro­cra­zia si è man­te­nu­ta al pote­re sen­za che si rea­liz­zas­se nes­su­na del­le alter­na­ti­ve che abbia­mo appe­na deli­nea­to, e, pro­prio per que­sto, la con­ti­nui­tà del regi­me buro­cra­ti­co si è risol­ta nel­la restau­ra­zio­ne del capitalismo.

Fidel (sedu­to) e Raúl Castro (a sini­stra) con Cri­sti­na Fer­nán­dez, pre­si­den­te dell’Argentina

È sem­pre Tro­tsky, ana­liz­zan­do la real­tà dell’Urss a pochi gior­ni dal­lo scop­pio del­la Secon­da guer­ra mon­dia­le, a dirlo:

«È vero che ci aspet­ta­va­mo più il crol­lo del­lo Sta­to sovie­ti­co che la sua dege­ne­ra­zio­ne; per dir­la più esat­ta­men­te, non face­va­mo gran dif­fe­ren­za fra le due pos­si­bi­li­tà. Ma esse non si con­trad­di­co­no l’una con l’altra. La dege­ne­ra­zio­ne deve ine­lut­ta­bil­men­te fini­re, a un cer­to pun­to, in un crol­lo»[58].

In altri ter­mi­ni, l’indefinita per­ma­nen­za al pote­re del­la buro­cra­zia tra­sfor­ma “ine­lut­ta­bil­men­te” – come dice Tro­tsky – lo Sta­to ope­ra­io in Sta­to capitalista.
Per que­ste ragio­ni riven­di­chia­mo – con­tro chi difen­de la buro­cra­zia cuba­na schie­ran­do­si atti­va­men­te nel suo cam­po, ma anche con­tro chi di fat­to non si dislo­ca aper­ta­men­te con­tro di essa non volen­do rico­no­sce­re la com­piu­ta restau­ra­zio­ne del capi­ta­li­smo a Cuba – di esse­re gli auten­ti­ci difen­so­ri del­la Revo­lu­ción e degli idea­li da essa incarnati.
Ed è appun­to que­sto il sen­so di que­sto scrit­to: non quel­lo di get­ta­re discre­di­to sul­la Rivo­lu­zio­ne cuba­na, ma, al con­tra­rio, di difen­der­ne lo spi­ri­to ori­gi­na­rio. Non voler vede­re gli erro­ri che sono sta­ti com­mes­si e non voler­li adde­bi­ta­re ai respon­sa­bi­li por­ta ad un erro­re ancor più gran­de, e cioè a rinun­cia­re a fare teso­ro dell’esperienza sto­ri­ca per pote­re in futu­ro imboc­ca­re la stra­da giu­sta nell’interesse del movi­men­to operaio.
Ecco per­ché ci paio­no par­ti­co­lar­men­te appro­pria­te, per ter­mi­na­re que­sta lun­ga ana­li­si, le paro­le di Rosa Luxem­burg scrit­te all’indomani del­la capi­to­la­zio­ne del­le orga­niz­za­zio­ni dei lavo­ra­to­ri di fron­te allo scop­pio del­la Pri­ma guer­ra mondiale:

«L’esperienza sto­ri­ca è la … sola mae­stra [del pro­le­ta­ria­to], la stra­da di spi­ne del­la sua auto­li­be­ra­zio­ne non è lastri­ca­ta sol­tan­to di infi­ni­te sof­fe­ren­ze, ma anche di innu­me­re­vo­li erro­ri. La meta del suo viag­gio, la sua eman­ci­pa­zio­ne dipen­de dal pro­ble­ma se il pro­le­ta­ria­to è in gra­do di appren­de­re dai pro­pri erro­ri. L’auto­critica, un’autocritica spie­ta­ta, cru­de­le, capa­ce di pene­tra­re fino al fon­do del­le cose, costi­tui­sce l’aria e la luce del movi­men­to pro­le­ta­rio. […] Ma il socia­li­smo sareb­be per­du­to sol­tan­to se il pro­le­ta­ria­to inter­na­zio­na­le non potes­se misu­ra­re la pro­fon­di­tà [del­la sua] cadu­ta e non voles­se appren­de­re qual­che cosa da tut­to ciò»[59].


Note

[1] Il pro­get­to di rifor­ma, licen­zia­to dall’Assemblea nazio­na­le (il par­la­men­to cuba­no), ver­rà nei pros­si­mi mesi sot­to­po­sto a refe­ren­dum popolare.
[2] “A Cuba tor­na la pro­prie­tà pri­va­ta Appro­va­ta la nuo­va Costi­tu­zio­ne”, Il Cor­rie­re del­la Sera, 23/7/2018 (https://tinyurl.com/ya6zluvv).
[3] “L’ultima revo­lu­ción. Cuba sul­la Car­ta non è più comu­ni­sta”, la Repub­bli­ca, 23/7/2018 (https://tinyurl.com/ybzxowvn).
[4] Si veda, ad esem­pio, “La fake news ‘a Cuba è arri­va­to il capi­ta­li­smo’, smon­ta­ta dal Prof. Vasa­pol­lo”, Con­tro­pia­no, 24/7/2018 (https://tinyurl.com/ycjc9doz).
[5] “Cuba non è … ‘un’isola’” (https://tinyurl.com/y9zog8lj).
[6] Eser­ci­zio, que­sto, com­ple­ta­men­te inu­ti­le – per le ragio­ni appe­na accen­na­te e per quan­to vedre­mo nel pro­sie­guo del testo – e che volen­tie­ri lascia­mo ai fau­to­ri del­le due con­trap­po­ste let­tu­re di cui abbia­mo appe­na detto.
[7] Nell’aprile del 1959, Castro si recò negli Sta­ti Uni­ti e si incon­trò con l’allora vice­pre­si­den­te Richard Nixon. In pro­po­si­to, il rivo­lu­zio­na­rio peru­via­no Ricar­do Napu­rí, mol­to vici­no a Che Gue­va­ra, insie­me alla cui madre viag­giò alla vol­ta di Cuba nel gen­na­io del 1959, rac­con­ta: «Mi tro­va­vo a Cuba insie­me al Che nel momen­to in cui Fidel deci­se di anda­re a discu­te­re con le auto­ri­tà nor­da­me­ri­ca­ne il tipo di rela­zio­ne da instau­ra­re con la Cuba post­ba­ti­stia­na. Il Che mi rac­con­tò che lui, Raúl Castro e altri non era­no d’accordo con que­sta visi­ta. […] Giun­to negli Usa, il 17 apri­le 1959, a New York, Fidel Castro dichia­rò: “L’ho det­to in manie­ra chia­ra e defi­ni­ti­va che non sia­mo comu­ni­sti. Le por­te sono aper­te agli inve­sti­men­ti pri­va­ti che pos­sa­no con­tri­bui­re allo svi­lup­po dell’industria a Cuba”. E il 22 apri­le, nel suo discor­so a Cen­tral Park: “La vit­to­ria è sta­ta pos­si­bi­le sol­tan­to per­ché si sono riu­ni­ti i cuba­ni di tut­te le clas­si e di tut­ti i set­to­ri intor­no alla mede­si­ma aspi­ra­zio­ne”» (E. Gon­zá­lez, El tro­tski­smo obre­ro e inter­na­cio­na­li­sta en la Argen­ti­na, Edi­to­rial Antí­do­to, 1999, tomo III, vol. 1, pp. 29‑30).
[8] L. Tro­tsky, Pro­gram­ma di tran­si­zio­ne, Mas­sa­ri edi­to­re, 2008, p. 106.
[9] La appro­fon­di­re­mo più avan­ti nel testo.
[10] Non ci dilun­ghe­re­mo qui su tale carat­te­riz­za­zio­ne, che non è ogget­to di quest’articolo e che ha rap­pre­sen­ta­to moti­vo di pole­mi­ca in seno alla sini­stra mon­dia­le. Più oltre, nel testo, ne dare­mo una suc­cin­ta definizione.
[11] L. Tro­tsky, La rivo­lu­zio­ne tra­di­ta, A.C. Edi­to­ria­le, 2000, p. 293.
[12] «Il carat­te­re di clas­se del­lo Sta­to vie­ne deter­mi­na­to dal suo rap­por­to con le for­me di pro­prie­tà dei mez­zi di pro­du­zio­ne»: L. Tro­tsky, “Un État non ouvrier et non bour­geois?”, Œuvres, vol. 15, Insti­tut León Tro­tsky, 1983, p. 310.
[13] L. Tro­tsky, La rivo­lu­zio­ne tra­di­ta, cit., p. 138.
[14] L. Tro­tsky, “¿Hacia el capi­ta­li­smo o hacia el socia­li­smo?”, 25 ago­sto 1925, Ceip León Tro­tsky (https://tinyurl.com/ydg597r6).
[15] Sareb­be sen­za dub­bio più cor­ret­to par­la­re di una “eco­no­mia in tran­si­zio­ne ver­so il socia­li­smo”, dal momen­to che la sola archi­tet­tu­ra giuridico‑istituzionale non capi­ta­li­sta non impor­ta, di per sé sola, la tra­sfor­ma­zio­ne illi­co et imme­dia­te dell’economia di uno Sta­to in socia­li­sta (cfr., al riguar­do, L. Tro­tsky, La rivo­lu­zio­ne tra­di­ta, cit., p. 121. D’altronde, già Marx soste­ne­va, in “Cri­ti­ca del pro­gram­ma di Gotha”, che nel pri­mo perio­do di esi­sten­za di uno Sta­to ope­ra­io, le nor­me bor­ghe­si di distri­bu­zio­ne ven­go­no man­te­nu­te). Non­di­me­no, per sem­pli­ci­tà del discor­so, con­ti­nue­re­mo nel testo a far rife­ri­men­to all’espressione “eco­no­mia non capitalista”.
[16] Costi­tu­zio­ne del­la Repub­bli­ca di Cuba (https://tinyurl.com/y92c5b3y). Il gras­set­to è nostro.
[17] J. Bell Lara e altri, Docu­men­tos de la Revo­lu­ción Cuba­na 1960, Nue­vo Mile­nio, 2017, pp. 132 e ss.
[18] Con­fe­ren­za del 20 otto­bre 1960 sul tema “El Ban­co Nacio­nal y la eco­no­mía”, in op. ult. cit., p. 215 e ss.
[19] Come segna­la lo stu­dio di tre eco­no­mi­sti cuba­ni mol­to vici­ni al gover­no castri­sta (tan­to che il loro lavo­ro si sostan­zia­va in pro­po­ste per l’adozione di rifor­me), «la for­te inte­gra­zio­ne eco­no­mi­ca di Cuba al bloc­co del Con­si­glio di Mutuo Aiu­to Eco­no­mi­co (Come­con) non fu solo … il risul­ta­to di coin­ci­den­ze ideo­lo­gi­che, ben­sì l’unica alter­na­ti­va alla poli­ti­ca di embar­go che i gover­ni Usa impo­se­ro dai pri­mi anni del­la Rivo­lu­zio­ne. Pro­gres­si­va­men­te, quest’integrazione, non sen­za ten­sio­ni e con­trad­di­zio­ni, pro­dus­se per qua­si tre decen­ni un tipo di rela­zio­ne eco­no­mi­ca che in gran misu­ra per­mi­se di libe­rar­si dal­le dif­fi­ci­li con­di­zio­ni impo­ste dal mer­ca­to mon­dia­le ai Pae­si sot­to­svi­lup­pa­ti. Prez­zi pre­fe­ren­zia­li, cre­di­ti allo svi­lup­po, com­pen­sa­zio­ni agli squi­li­bri com­mer­cia­li, aiu­ti tec­ni­ci e mili­ta­ri, pro­cu­ra­ro­no all’economia nazio­na­le le risor­se suf­fi­cien­ti per soste­ne­re un alto livel­lo di inve­sti­men­ti e una spe­sa socia­le in espan­sio­ne» (J. Car­ran­za Val­dés, L. Gutiér­rez Urda­ne­ta, P. Mon­real Gon­zá­lez, Cuba: la ree­struc­tu­ra­ción de la eco­no­mía (Una pro­pue­sta para el deba­te), Iepa­la Edi­to­rial, 1995, pp. 13 e s.).
[20] La Costi­tu­zio­ne del 1992 è con­sul­ta­bi­le alla pagi­na https://tinyurl.com/yc8fjm7o.
[21] Una vera e pro­pria con­trad­di­zio­ne in termini!
[22] La giu­sti­fi­ca­zio­ne la for­ni­sce la pre­mes­sa del prov­ve­di­men­to: «Lo svi­lup­po eco­no­mi­co del Pae­se richie­de que­sto tipo di asso­cia­zio­ne in deter­mi­na­te atti­vi­tà in cui le risor­se finan­zia­rie, mate­rie pri­me, tec­no­lo­gie e mer­ca­ti, che non sono alla nostra por­ta­ta, sono indi­spen­sa­bi­li per l’impiego del­le nostre risor­se natu­ra­li e uma­ne. Que­ste asso­cia­zio­ni [sono] pro­mos­se o accet­ta­te in manie­ra asso­lu­ta­men­te libe­ra dal­lo Sta­to socia­li­sta […]]» (il gras­set­to è nostro).
[23] Di cui par­le­re­mo più dif­fu­sa­men­te nel prosieguo.
[24] In que­sto sen­so, il Decre­to Ley n. 50 «per­mi­se la pos­si­bi­li­tà di costi­tui­re, nel­la for­ma giu­ri­di­ca di socie­tà ano­ni­ma, impre­se di capi­ta­le esclu­si­va­men­te stra­nie­ro (impre­se di capi­ta­le stra­nie­ro) e impre­se di capi­ta­le stra­nie­ro e nazio­na­le (impre­se miste), così come altre asso­cia­zio­ni con capi­ta­le stra­nie­ro e loca­le non impli­can­ti la crea­zio­ne di una per­so­na giu­ri­di­ca, ma sem­pli­ce­men­te una joint ven­tu­re, o, se si vuo­le, un con­trat­to di col­la­bo­ra­zio­ne (asso­cia­zio­ne eco­no­mi­ca inter­na­zio­na­le). Allo stes­so modo, in que­sta stes­sa nor­ma­ti­va ven­ne con­sa­cra­ta una serie di dispo­si­zio­ni rela­ti­ve […] al modo in cui dove­va­no esse­re distri­bui­ti i loro pro­fit­ti o uti­li» (A. Gur­rea Mar­tí­nez, N. Mesa Teja­da, Una apro­xi­ma­ción al régi­men jurí­di­co de las empre­sas cuba­nas: regu­la­ción actual y per­spec­ti­vas de refor­ma, Insti­tu­to Ibe­roa­me­ri­ca­no de Dere­cho y Finan­zas [IIDF], ago­sto 2016, p. 6: le evi­den­zia­zio­ni sono nel testo ori­gi­na­le). Da nota­re che l’art. 25 del D.L. 50/1982 sta­bi­li­va un regi­me fisca­le di favo­re per gli ammi­ni­stra­to­ri, diri­gen­ti e soci del­le impre­se con inve­sti­to­ri este­ri, che pre­ve­de­va una par­zia­le (ma signi­fi­ca­ti­va) esen­zio­ne dal paga­men­to di impo­ste: det­to regi­me è sta­to pro­ro­ga­to nel tem­po da tut­te le leg­gi succedutesi.
[25] L’art. 39.2 del codi­ce defi­ni­va la nozio­ne di per­so­ne giu­ri­di­che, pre­ve­den­do, oltre alle impre­se e coo­pe­ra­ti­ve sta­ta­li, «[…] d) le socie­tà e asso­cia­zio­ni costi­tui­te in con­for­mi­tà ai requi­si­ti pre­vi­sti dal­la leg­ge, […] f) le impre­se non sta­ta­li auto­riz­za­te a rea­liz­za­re le loro atti­vi­tà, g) le altre enti­tà a cui la leg­ge con­fe­ri­sce per­so­na­li­tà giu­ri­di­ca».
[26] J. Car­ran­za Val­dés e altri, op. cit., p. 39.
[27] Ibi­dem.
[28] L. Tro­tsky, “Pro­du­zio­ne e rivo­lu­zio­ne”, discor­so pro­nun­cia­to al XII con­gres­so del Par­ti­to comu­ni­sta rus­so (B), pub­bli­ca­to sul­la Pra­v­da il 22 apri­le 1923, Ceip León Tro­tsky (https://tinyurl.com/y7fx5fxy). A pro­po­si­to dell’importanza che il mono­po­lio del com­mer­cio este­ro rive­sti­va per l’economia non capi­ta­li­sta del­la Rus­sia sovie­ti­ca, gio­va rife­rir­si a M. Lewin, L’ultima bat­ta­glia di Lenin, Later­za, 1969, pp. 46 e ss., dove è det­ta­glia­ta­men­te descrit­ta, appun­to, la bat­ta­glia che Lenin, insie­me a Tro­tsky, con­dus­se con­tro una par­te del gover­no e del Comi­ta­to cen­tra­le – e in par­ti­co­la­re con­tro Sta­lin – che vole­va­no eli­mi­na­re det­to mono­po­lio: ciò che Lenin con­si­de­ra­va «un erro­re capi­ta­le, un atten­ta­to inam­mis­si­bi­le agli inte­res­si del Pae­se» (ivi, p. 47). Si veda­no anche: V.I. Lenin, “Let­te­ra sul mono­po­lio del com­mer­cio este­ro” e “Sul mono­po­lio del com­mer­cio este­ro”, entram­bi i testi in Ope­re, vol. 33, Edi­zio­ni Lot­ta comu­ni­sta, 2002, rispet­ti­va­men­te pp. 342 e ss. e 418 e ss.; P. Broué, La rivo­lu­zio­ne per­du­ta, Bol­la­ti Borin­ghie­ri, 1991, pp. 300‑302. Inve­ce, sull’instaurazione del mono­po­lio del com­mer­cio este­ro subi­to dopo l’insediamento del pote­re sovie­ti­co, E.H. Carr, La rivo­lu­zio­ne bol­sce­vi­ca. 1917‑1923, Einau­di edi­to­re, 1964, pp. 537 e ss.
[29] J. Car­ran­za Val­dés e altri, op. cit., pp. 46 e ss.
[30] Con­sul­ta­bi­le all’indirizzo https://tinyurl.com/ybwm89kq.
[31] Secon­do J.M. Viñas Camal­lon­ga e R.A. Lan­dei­ra, La com­pra­ven­ta da accio­nes de empre­sa mix­ta cuba­na por inver­sor extra­n­je­ro (https://tinyurl.com/y8oawv2x), «pri­ma dell’entrata in vigo­re di det­to decre­to [il D.L. 50 del 1982: NdA] non può par­lar­si pro­pria­men­te dell’esistenza di un qua­dro giu­ri­di­co sugli inve­sti­men­ti este­ri a Cuba, esi­sten­do sol­tan­to accor­di bila­te­ra­li tra i Pae­si mem­bri del Con­si­glio di Aiu­to Mutuo Eco­no­mi­co (Come­con, in ingle­se), […]. Una vol­ta fis­sa­ti i prin­ci­pi sull’ingresso di capi­ta­li stra­nie­ri a Cuba, si rese neces­sa­ria la crea­zio­ne di un cor­po di leg­gi che offris­se garan­zie e sicu­rez­za giu­ri­di­ca all’investitore este­ro. Tale obiet­ti­vo si sareb­be mate­ria­liz­za­to con l’entrata in vigo­re del­la Leg­ge 77/1995 del 5 set­tem­bre, “Sugli Inve­sti­men­ti Este­ri” […]».
[32] L’art. 11 del­la Leg­ge sugli Inve­sti­men­ti Este­ri n. 118 del 2014, che ha sosti­tui­to quel­la in esa­me e di cui par­le­re­mo in segui­to, ha con­fer­ma­to il prin­ci­pio dell’esclusione degli inve­sti­men­ti este­ri nel set­to­re del­la sani­tà. Gio­va tut­ta­via evi­den­zia­re che, a dispet­to del­la vigen­za di tale divie­to, duran­te il 3° Con­gres­so inter­na­zio­na­le “Cuba Salu­te” 2018, nell’ambito dell’Esposizione “Salud para todos 2018”, espo­nen­ti del­le isti­tu­zio­ni sani­ta­rie e gover­na­ti­ve di Cuba han­no pre­sen­ta­to la “car­te­ra de nego­cios” (por­ta­fo­glio di atti­vi­tà) per attrar­re capi­ta­li stra­nie­ri anche nel set­to­re del­la salu­te, che com­pren­de quin­di­ci pro­po­ste nei cam­pi del­la far­ma­ceu­ti­ca e del­la bio­tec­no­lo­gia, per l’insediamento di un impian­to di emo­de­ri­va­ti e un altro di bio­ma­te­ria­li, oltre che per la pro­du­zio­ne di vac­ci­ni per il trat­ta­men­to del tumo­re e di anti­cor­pi tera­peu­ti­ci, non­ché per la crea­zio­ne di un cen­tro esclu­si­vo di Qua­li­tà del­la Vita e di una cli­ni­ca inter­na­zio­na­le di medi­ci­na del­lo sport e scien­ze appli­ca­te (https://tinyurl.com/yb9zvubt).
[33] “Castro’s Favou­ri­te Capi­ta­li­st”, The Wal­rus, 12 dicem­bre 2009 (https://tinyurl.com/yapw6dba).
[34] Con­sul­ta­bi­le all’indirizzo https://tinyurl.com/ycal27f8.
[35] Da evi­den­zia­re che l’aliquota nor­ma­le impo­si­ti­va è del 35%.
[36] Per un uti­lis­si­mo stu­dio su que­sta pro­ble­ma­ti­ca, che ven­ne svi­sce­ra­ta da un lun­go, acce­so e appro­fon­di­to dibat­ti­to degli eco­no­mi­sti bol­sce­vi­chi in seno al Gosplan (Gosu­darst­ven­na­ja pla­no­va­ja komis­si­ja: Com­mis­sio­ne sta­ta­le per la pia­ni­fi­ca­zio­ne), rin­via­mo a E.H. Carr e R.W. Davies, Le ori­gi­ni del­la pia­ni­fi­ca­zio­ne sovie­ti­ca, Einau­di edi­to­re, 1974, e, in par­ti­co­la­re, al t. II, pp. 335 e ss.
[37] Così vie­ne deno­mi­na­to in lin­gua ispa­ni­ca l’embargo.
[38] L. Tro­tsky, La rivo­lu­zio­ne tra­di­ta, cit., p. 249.
[39] Cioè quel­la che aggra­va l’embargo.
[40] “Hil­la­ry Clin­ton calls for end to Cuba embar­go in attack on ‘out­da­ted’ poli­cy”, The Guar­dian, 31 luglio 2015 (https://tinyurl.com/y9ef7ejt).
[41] “Rubio con­ti­nues fight again­st Cuba deal”, CNN Poli­tics, 21 dicem­bre 2014 (https://tinyurl.com/yat3dt2l).
[42] “Esta­dos Uni­dos es el sex­to socio comer­cial de Cuba” (https://tinyurl.com/yd8yd2oe).
[43] “El turi­smo y las rela­cio­nes comer­cia­les Cuba‑Estados Uni­dos”, Pro­gre­so sema­nal, 27 feb­bra­io 2018. V. anche “Los nego­cios entre Esta­dos Uni­dos y Cuba están al alza a pesar de Trump”, 14Ymedio, 18 ago­sto 2017 (https://tinyurl.com/yc6yrpfl).
[44] In que­sto sen­so, si regi­stra una cre­scen­te ten­den­za alla pri­va­tiz­za­zio­ne, con­si­de­ran­do che tut­ti i set­to­ri pro­dut­ti­vi sono sta­ti – come abbia­mo visto – mes­si a dispo­si­zio­ne del capi­ta­le straniero.
[45] Tro­tsky rife­ri­va in “¿Hacia el capi­ta­li­smo o hacia el socia­li­smo?”, cit., che duran­te la Nep ben il 38% del­la mas­sa tota­le dei mez­zi di pro­du­zio­ne era in mano ai pri­va­ti, men­tre, in agri­col­tu­ra, la per­cen­tua­le giun­ge­va al 96% e solo il 4% era statale!
[46] Non a caso, il dit­ta­to­re ita­lia­no si van­ta­va, come ripor­ta­va Tro­tsky: «“I tre quar­ti dell’economia ita­lia­na, indu­stria­le e agri­co­la, sono nel­le mani del­lo Sta­to” (24 mag­gio 1934)» (L. Tro­tsky, op. ult. cit., p. 292).
[47] L. Tro­tsky, “Un État non ouvrier et non bour­geois?”, cit., p. 305 (l’evidenziazione è nostra).
[48] «Il com­mer­cio este­ro è com­ple­ta­men­te socia­liz­za­to e il mono­po­lio sta­ta­le con­ti­nua ad esse­re un prin­ci­pio immu­ta­bi­le del­la nostra eco­no­mia poli­ti­ca»: L. Tro­tsky, “¿Hacia el capi­ta­li­smo o hacia el socia­li­smo?”, cit.
[49] Let­te­ral­men­te, “ver­mi”: è l’appellativo dispre­gia­ti­vo con cui i cubano‑americani esi­lia­ti a Mia­mi ven­go­no defi­ni­ti a Cuba.
[50] E cioè quel­le socialiste.
[51] L. Tro­tsky, Il pro­gram­ma di tran­si­zio­ne, cit., p. 118.
[52] L. Tro­tsky, La rivo­lu­zio­ne tra­di­ta, cit., p. 298 (l’evidenziazione è nostra).
[53] “Cuba se deshi­zo de 600.000 emplea­dos en cua­tro años”, La Nación, 26 feb­bra­io 2014 (https://tinyurl.com/ybaby27y).
[54] Nel 2016 si con­ta­no 535.000 lavo­ra­to­ri auto­no­mi, a fron­te dei 157.000 del 2010.
[55] “¿Com­pañe­ros ricos? Los gru­pos de altos ingre­sos en Cuba”, Nodal, 8 mag­gio 2018 (https://tinyurl.com/ya8e2qmp). Si veda anche P. Mon­real, “Con­tan­do “ricos” y “pobres” en Cuba: ¿qué dicen los datos dispo­ni­bles?” (https://tinyurl.com/yajqdv44).
[56] Basti pen­sa­re alla pia­ga del­la pro­sti­tu­zio­ne, che era sta­ta qua­si del tut­to eli­mi­na­ta e che oggi, inve­ce, com­pli­ci la risor­gen­te mise­ria e gli alti livel­li di ingres­si turi­sti­ci nell’isola, è enor­me­men­te aumen­ta­ta. Il pie­no impie­go non esi­ste più dal momen­to dell’annuncio dei licen­zia­men­ti di mas­sa (v. pre­ce­den­te nota 53). L’istruzione pub­bli­ca, che era il fio­re all’occhiello del­la rivo­lu­zio­ne cuba­na, ver­sa oggi in con­di­zio­ni pre­ca­rie a cau­sa del­la scar­si­tà di mae­stri e pro­fes­so­ri: «secon­do l’Istituto nazio­na­le di Sta­ti­sti­ca, duran­te gli ulti­mi otto anni più di 20.000 inse­gnan­ti han­no abban­do­na­to le scuo­le, alcu­ni per emi­gra­re e altri per ricol­lo­car­si in altre atti­vi­tà, ma tut­ti in cer­ca di miglio­ri entra­te eco­no­mi­che. Il mini­stro dell’Istruzione, Ena Elsa Velá­z­quez, ha dichia­ra­to che il defi­cit ver­rà coper­to con l’assunzione di 17.000 pen­sio­na­ti e l’ingresso di 1.000 stu­den­ti di peda­go­gia», Públi­co, 13 set­tem­bre 2017 (https://tinyurl.com/y7g8mm4s). Il feno­me­no del­la diser­zio­ne riguar­da anche – e per lo stes­so moti­vo degli inse­gnan­ti – il siste­ma sani­ta­rio, in cui i medi­ci soprav­vi­vo­no con sti­pen­di da fame, per cui, quan­do ven­go­no invia­ti all’estero in mis­sio­ne (quel­lo del­le mis­sio­ni sani­ta­rie all’estero costi­tui­sce uno dei set­to­ri di pun­ta dell’economia cuba­na, sot­to la voce “espor­ta­zio­ne di ser­vi­zi”, frut­tan­do a Cuba 11,5 miliar­di di dol­la­ri all’anno: nel 2015 i medi­ci cuba­ni all’estero era­no 50.000), spes­so “diser­ta­no”, sic­ché lo Sta­to cuba­no li puni­sce impe­den­do loro il rien­tro in patria per otto anni (El Nue­vo Herald, 11/5/2018).
[57] V. nota 8.
[58] L. Tro­tsky, “L’Urss in guer­ra”, 25 set­tem­bre 1939, in In dife­sa del mar­xi­smo, Gio­va­ne Tal­pa, 2004, p. 29.
[59] R. Luxem­burg, “La cri­si del­la social­de­mo­cra­zia (Junius‑Broschüre)”, in Scrit­ti poli­ti­ci, vol. 2, Edi­to­ri Inter­na­zio­na­li Riu­ni­ti, 2012, p. 68.