Chi segue il nostro sito ha potuto notare che ci siamo ripetutamente interessati alle vicende che sta vivendo il Venezuela in queste settimane. In particolare, gli ultimi due articoli pubblicati, entrambi a firma di Valerio Torre, hanno esaminato la posizione assunta a livello internazionale dalla sinistra che si richiama al marxismo rivoluzionario, criticandone l’oggettiva capitolazione al chavismo-madurismo. Va peraltro notato che tutti i testi e le dichiarazioni scritte da queste organizzazioni agitano scolasticamente un programma di rivendicazioni transitorie, che però pecca di astrattezza – ed ha quindi soltanto una funzione declamatoria – perché manca in Venezuela il destinatario di quel programma, e cioè la classe operaia in lotta con i suoi metodi.
E dunque, quale può essere una concreta ed efficace politica socialista che, nel quadro dato, i marxisti possono e debbono mettere in pratica in Venezuela? Si premura di rispondere a questa domanda l’articolo di Rolando Astarita che qui presentiamo.
Buona lettura.
La redazione
Venezuela e politica marxista
Rolando Astarita [*]
A partire dalle recenti note scritte sul Venezuela, alcuni lettori del Blog mi hanno chiesto se esiste una qualche politica sulla scorta della quale il marxismo possa guadagnare, più o meno rapidamente, la direzione dei lavoratori e delle masse popolari.
Penso che il punto di partenza per elaborare una politica socialista sia l’analisi della situazione in cui versano le classi sociali e l’economia. A tale riguardo, la cosa più importante da considerare è il tracollo economico e sociale venezuelano. Secondo la Cepal, alla fine del 2018 il prodotto interno lordo è stato del 44% inferiore a quello registrato nel 2013. In altri termini, c’è stato un gigantesco arretramento delle forze produttive, e, in particolare, della forza produttiva umana. Il che significa che una parte considerevole della classe operaia è socialmente disgregata. Un caso emblematico è quello occorso nella Pdvsa, la principale impresa del Paese. Insieme al crollo della sua produzione – produce approssimativamente un terzo dei barili di petrolio rispetto a quanti ne produceva nel 1998 – decine di migliaia di lavoratori hanno lasciato l’impresa (o sono stati licenziati) e sono emigrati in altri Paesi. E se c’è disgregazione sociale, non c’è verso di avere forza politica. Questo è il fattore materiale che soggiace all’assenza della classe lavoratrice, in quanto classe, nella presente crisi.
Il fatto è che, quando la depressione decima socialmente le file dei lavoratori, tendono a peggiorare le condizioni perché ci sia una risposta della classe operaia. E ciò può infinitamente aggravarsi quando persino la sopravvivenza quotidiana è diventata un calvario, e milioni di persone scelgono la strada dell’esilio per sfuggire al disastro. Tutta l’esperienza storica ci indica che il peggioramento estremo delle condizioni di vita non genera di per sé solo la forza rivoluzionaria che possa superare il capitalismo (o il capitalismo di Stato, o il regime burocratico‑militare esistente, ecc.).
Va aggiunto a quanto detto che una parte importante della classe operaia venezuelana è controllata dallo Stato. Milioni di impiegati statali sono minacciati di licenziamento per ragioni politiche. E molti altri (circa quindici milioni, secondo cifre ufficiali) sono controllati attraverso il “Carnet della Patria”, una sorta di tessera annonaria gestita dagli organismi statali.
Tuttavia, le difficoltà non finiscono qui. Il fatto è che tra le masse popolari esiste un esteso discredito dell’ideologia e del programma socialista. Nel comune sentire delle persone, ciò che è fallito è il sistema socialista. Volendo esprimerlo nella maniera più chiara, le masse a cui prima era stato promesso il “socialismo del XXI secolo” sono poi state condotte al disastro. Sicché, alla caduta dei “socialismi reali” verificatasi negli anni 90, si aggiunge ora questa nuova e gigantesca frustrazione del “XXI secolo”. Perciò, oggi milioni di venezuelani non considerano praticabile un’altra alternativa al madurismo se non quella offerta dall’opposizione borghese: tornare a un regime capitalista simile a quello che esiste in qualsiasi dei Paesi latinoamericani che stanno ricevendo gli emigrati. Oggi non ci sono indizi che la crisi abbia portato al sorgere di una qualche corrente di sinistra e rivoluzionaria con un’influenza di massa. Una situazione che inevitabilmente colpisce la classe lavoratrice nel suo insieme.
Come se non bastasse, questo rifiuto del socialismo è rafforzato dal fatto che la sinistra, nella sua enorme maggioranza, squalifica le proteste in atto come “filoimperialiste” e appoggia la repressione (o resta in silenzio rispetto ad essa). In questo quadro, e contribuendo alla confusione generale, settori della sinistra nazionalista invitano a “riprendere le bandiere e il legato di Chávez”, come se questo legato non fosse proprio il regime oggi in vigore.
Bisogna dire la verità: non ci saranno vittorie socialiste spontanee
Sulla base di questo panorama, non ritengo possibile il trionfo di qualsiasi alternativa socialista in un futuro più o meno prossimo. Non si possono inventare soluzioni se non esiste una base sociale e politica per esse. La sorte del socialismo è indissolubilmente legata alla classe operaia: intendendo per classe operaia l’insieme dei salariati sfruttati dal capitale e dal loro Stato (un impiegato di banca o dell’industria petrolifera che confida nell’opposizione borghese è parte della classe operaia; così come un dipendente statale o un disoccupato che confida in Maduro).
Alcuni marxisti pensano che possono sorgere più o meno spontaneamente consigli di lavoratori (e cioè, i soviet della Rivoluzione russa), e che il processo possa svilupparsi fino alla presa del potere da parte delle masse in armi. Ma si tratta di un’illusione spontaneista, che può alimentare un avventurismo estremista. Una rivoluzione di carattere socialista – ossia, diretta dalla classe operaia organizzata e armata – non si improvvisa dalla sera alla mattina. E neppure si supera la perdita di fiducia di massa nel socialismo agitando alcune “abili parole d’ordine”. Il socialismo non si ricostruirà politicamente e ideologicamente con qualche miracoloso colpo ad effetto. Oggi in Venezuela l’ideologia borghese – sia essa statalista borghese o liberal‑borghese – prevale assolutamente su qualsiasi idea di stampo socialista.
Pertanto, l’asse centrale dell’attività per i marxisti passa ad essere di critica, con l’obiettivo di riarmare politicamente e ideologicamente la sinistra e i settori più attivi (e cioè, l’avanguardia). Qualcosa di simile a quanto sosteneva Trotsky in una situazione che pure era di sconfitta e disorientamento: «[…] l’avanguardia proletaria dovrà orientarsi nuovamente, cioè dovrà comprendere quello che è accaduto, stabilire le responsabilità di questa grande sconfitta storica, tracciare una nuova via e così riprendere fiducia in se stessa» (“La tragedia del proletariato tedesco”, in I problemi della Rivoluzione cinese e altri scritti su questioni internazionali (1924‑1940), Einaudi, 1970, p. 406).
A questo riguardo, anche in un articolo precedente, del marzo 2017, ho sostenuto che l’attività di critica era il compito principale, e ho aggiunto:
«Alcuni dicono che è “pura propaganda”. Tuttavia, oggi, in Venezuela, e per usare un’espressione di Lenin, “è il lavoro pratico rivoluzionario di grado più alto”. È necessario spiegare pazientemente il carattere di classe delle forze borghesi egemoniche e dello Stato venezuelano. Spiegare, ad esempio, che un militare‑burocrate chavista che si è riempito le tasche con il saccheggio dei fondi pubblici (o che non ha fatto nulla per impedirlo quando ha visto altri suoi compagni farlo) non è un “compagno confuso”, ma un nemico di qualsiasi forma d’azione indipendente degli sfruttati. […] E che il canto delle sirene dell’opposizione borghese non è un’alternativa valida per la classe operaia. Tutto questo esige educare, istruire, criticare, per dar luogo all’organizzazione».
Avanzare verso l’indipendenza di classe, cominciando dall’avanguardia, dalla militanza di sinistra e dall’attivismo significa rompere, ideologicamente e politicamente, sia con il chavismo (in tutte le sue espressioni) che con l’opposizione borghese o piccolo‑borghese (in qualsiasi delle sue forme). È un compito assolutamente necessario.
[*] Rolando Astarita è uno studioso marxista di economia. Insegna all’Università di Quilmes e di Buenos Aires, in Argentina.
(Traduzione di Ernesto Russo)