Dopo il “decreto sicurezza‑bis”
I “democratici” e la democrazia borghese
Mario Gangarossa
Non pretendo che il democratico faccia il rivoluzionario.
Pretendo che faccia il democratico. Che mantenga quello che ha promesso.
Ma, come sempre avviene tutte le volte che la reazione segna un punto a suo favore e incassa, sul piano giuridico, il restringimento di quei “diritti”, fiore all’occhiello di ogni costituzionalista che si rispetti, i democratici dimostrano tutta la loro inettitudine e l’inefficacia delle loro politiche.
La democrazia è incapace di difendersi.
Le sue promesse, le sue illusioni, le sue battaglie si rivelano un mero bluff. Le sue garanzie, le sue libertà, vuoti simulacri.
I suoi “eroi”, decorosamente, come è uso nelle famiglie educate al rispetto delle istituzioni, quando è il momento di combattere, lasciano il campo all’uomo in mutande cercando riparo fra le sottane dei giudici della Consulta.
Forte coi deboli, debole coi forti, questa democrazia e i suoi sacerdoti in gessato e cravatta, è destinata a essere calpestata dal “pagliaccio” di turno, da essa stessa partorito, che riporta lo scontro al suo livello naturale senza gli orpelli e le fanfaluche dei mediatori sociali.
In piazza non ci scenderanno loro, i rappresentanti della democrazia borghese, a difendere diritti e interessi che non hanno mai rappresentato.
Loro non perderanno la casa, né il lavoro. Le loro pensioni non li costringeranno a raccattare fra i cassonetti il pranzo e la cena. I loro pargoletti continueranno ad avere un brillante futuro in qualche prestigiosa università o in qualche clinica di lusso.
Lo Stato di polizia non è cosa che li riguardi.
Riguarda gli ultimi del mondo e chi, in questo paese, ha ancora voglia di scendere in piazza a combattere.
Riguarda l’opposizione sociale, quel poco che oggi c’è e quel molto (le contraddizioni non si possono nascondere a lungo sotto il tappeto) che ci sarà domani.
Riguarda gli sfruttati che prendono coscienza del proprio ruolo. Gli operai che si organizzano fuori dalle gabbie del sindacato di regime. I lavoratori in nero sottopagati e senza futuro. I ragazzi del sud che emigrano nelle periferie delle “ricche” città del nord. I migranti “volenterosi” che vendono la loro fatica e il loro sudore per una minestra calda e una baracca di cartone.
La repressione non ha mai fermato la lotta fra le classi.
Ha solo alzato il livello di scontro e costretto a scegliere da che parte stare.
Ha posto nuovi problemi e imposto soluzioni che nella palude democratica sembravano inattuabili e inimmaginabili.
Ha rotto l’apparenza della pace sociale e creato le condizioni dell’acutizzarsi proprio di quel conflitto che voleva combattere.
Chi ha filo tessa la tela.
Siamo sopravvissuti a Scelba. A Cossiga. A Dalla Chiesa.
Sopravviveremo a Salvini.