Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Politica internazionale: America Latina

La rivolta delle masse in Cile ha aperto una situazione rivoluzionaria?

Quan­to sta acca­den­do in que­ste set­ti­ma­ne in Cile sol­le­va parec­chie que­stio­ni. Su una di que­ste – si è aper­ta in quel Pae­se una situa­zio­ne rivo­lu­zio­na­ria? – si inter­ro­ga Vale­rio Arca­ry in un arti­co­lo pub­bli­ca­to sul­la rivi­sta Bra­sil de Fato e che pre­sen­tia­mo tra­dot­to in ita­lia­no, vista l’importanza dell’argomento.
Buo­na lettura.
La redazione

La rivolta delle masse in Cile ha aperto una situazione rivoluzionaria?


Le mas­se pos­so­no esse­re all’altezza dei com­pi­ti oppu­re no, ma appren­do­no in fretta


Vale­rio Arca­ry[*]

 

Lo sguar­do del­la sini­stra mon­dia­le deve rivol­ger­si al Cile. Sia­mo di fron­te a un’esplosione di furia popo­la­re che ha tut­te le carat­te­ri­sti­che dell’apertura di una situa­zio­ne rivo­lu­zio­na­ria. Rivo­lu­zio­na­ria, per­ché il gover­no Piñe­ra sta tre­man­do den­tro al Palaz­zo del­la Mone­da, dove fu assas­si­na­to Allen­de. Oggi, la pau­ra ha cam­bia­to ver­san­te. Le imma­gi­ni incen­dia­rie che ci giun­go­no da San­tia­go rap­pre­sen­ta­no un con­trap­pas­so sto­ri­co, poi­ché oggi sono gli ere­di di Pino­chet ad aver paura.
L’elemento carat­te­riz­zan­te del gra­do di poli­ti­ciz­za­zio­ne di una rivol­ta è sem­pre sta­to l’irruzione di mas­sa del­le clas­si popo­la­ri, con il loro inter­ven­to atti­vo nell’arena poli­ti­ca. In altri ter­mi­ni, il bru­sco aumen­to dell’intensità del­la lot­ta di clas­se, quan­do milio­ni di per­so­ne si met­to­no in movi­men­to e sfi­da­no il gover­no di tur­no. L’innesco, la scin­til­la, sono sta­ti l’aumento del prez­zo dei tra­spor­ti. Ma lo scio­pe­ro gene­ra­le di oggi ha già posto all’ordine del gior­no la que­stio­ne cen­tra­le: Piñe­ra non deve più gover­na­re. La clas­se domi­nan­te si sta divi­den­do. Le clas­si medie, che costi­tui­sco­no il prin­ci­pa­le soste­gno del regi­me, sono paralizzate.
Le rivo­lu­zio­ni acca­do­no non per­ché alcu­ne socie­tà han­no più fret­ta di altre nel rea­liz­za­re tra­sfor­ma­zio­ni, o per­ché alcu­ni popo­li sono più agguer­ri­ti di altri. Le rivo­lu­zio­ni sono pro­vo­ca­te per­ché in alcu­ne cir­co­stan­ze rare, non inso­li­te, vi sono cri­si socia­li che si dimo­stra­no inso­lu­bi­li. Per risol­ve­re que­ste cri­si, le socie­tà pos­so­no ricor­re­re ai meto­di del­la rivo­lu­zio­ne, cioè alla rot­tu­ra dell’ordine, o a quel­li del­le rifor­me nego­zia­te, e dun­que alla pre­ser­va­zio­ne dell’ordine con alcu­ne concessioni.
Quan­do e per­ché pre­va­le un per­cor­so piut­to­sto che l’altro deve esse­re il ful­cro dell’indagine mar­xi­sta. In alcu­ne fasi sto­ri­che, ecce­zio­nal­men­te, tra­sfor­ma­zio­ni pro­gres­si­ve sono sta­te pos­si­bi­li attra­ver­so il gio­co di pres­sio­ni e nego­zia­zio­ni socia­li e poli­ti­che. Così è sta­to, ad esem­pio, alla fine del XIX seco­lo nell’Europa occi­den­ta­le, al momen­to del­la ripar­ti­zio­ne colo­nia­le del mon­do con­sa­cra­ta nel Trat­ta­to di Ber­li­no del 1885: ciò per­ché fu pos­si­bi­le una con­ces­sio­ne del­le bri­cio­le ai pro­le­ta­ria­ti euro­pei gra­zie all’aumento del sac­cheg­gio del mon­do colo­nia­le e semi­co­lo­nia­le, e per­ché v’era il timo­re di nuo­ve Comu­ni di Pari­gi come nel 1871. E così pure tra il 1945 e il 1975 nei tre Pae­si cen­tra­li, Sta­ti Uni­ti, Euro­pa e Giap­po­ne: una situa­zio­ne che può esse­re com­pre­sa nel con­te­sto del­la ter­ri­bi­le distru­zio­ne dovu­ta alla Secon­da guer­ra mon­dia­le, del­la strut­tu­ra­zio­ne del­la fase di pace arma­ta fra gli Usa e l’Urss per la pre­ser­va­zio­ne del domi­nio del mer­ca­to mon­dia­le anche dopo l’indipendenza dell’Asia e dell’Africa, e infi­ne – ma non per impor­tan­za – come misu­ra pre­ven­ti­va di fron­te alla pos­si­bi­li­tà di nuo­ve Rivo­lu­zio­ni d’ottobre alla stre­gua di quan­to acca­du­to nel­la Rus­sia del 1917. Ma oggi i muta­men­ti attra­ver­so rifor­me sono mol­to più difficili.

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Inve­ce, sol­le­va­zio­ni del tipo di quel­la che sta acca­den­do in Cile, mol­to più for­ti di sem­pli­ci pro­te­ste, sono sem­pre spon­ta­nee. Spon­ta­nee, in un pri­mo momen­to, per­ché non sono il frut­to dell’attività di una qual­che orga­niz­za­zio­ne: nes­sun par­ti­to ha la capa­ci­tà di indur­re la mobi­li­ta­zio­ne di cen­ti­na­ia di miglia­ia di per­so­ne sfi­dan­do lo sta­to d’assedio e col soste­gno di milio­ni. Sono un’autentica onda d’urto socia­le che spo­sta le plac­che tet­to­ni­che del­la domi­na­zio­ne. Spon­ta­nee, però, non vuol dire che non sia­no l’espressione di un movi­men­to coscien­te. Nel­la vita socia­le non ci sono azio­ni socia­li inco­scien­ti. Il livel­lo di coscien­za può esse­re, o meno, all’altezza dei com­pi­ti. Ma le mas­se in lot­ta appren­do­no rapi­da­men­te. Per­ciò recla­ma­no a gran voce: “Via Piñera!”.
Per quan­to acu­ta sia la cri­si eco­no­mi­ca, per quan­to seve­re le con­se­guen­ze del­le cata­stro­fi socia­li, per quan­to dram­ma­ti­ca sia l’agonia di un regi­me poli­ti­co, sen­za l’entrata in sce­na del­le mas­se non si apre una situa­zio­ne rivo­lu­zio­na­ria. Tut­te le rivo­lu­zio­ni ini­zia­no come rivo­lu­zio­ni poli­ti­che (la lot­ta per il rove­scia­men­to di gover­ni e regi­mi) e han­no una for­te ten­den­za alla radi­ca­liz­za­zio­ne in rivo­lu­zio­ni socia­li (la lot­ta per il cam­bia­men­to dei rap­por­ti di proprietà).
Il ter­re­no del­le tra­sfor­ma­zio­ni sto­ri­che è sem­pre un ter­re­no di con­flit­ti che, per un lun­go perio­do, sono più o meno dis­si­mu­la­ti fino a che non esplo­do­no con la for­za di un vul­ca­no. Si ingan­na­no colo­ro che, inna­mo­ra­ti del­le loro pre­fe­ren­ze, rico­no­sco­no come auten­ti­che rivo­lu­zio­ni solo quel­le che han­no alla testa dire­zio­ni che cor­ri­spon­do­no alle loro scel­te ideo­lo­gi­che. Le rivo­lu­zio­ni sono pro­ces­si mol­to com­ples­si che non si defi­ni­sco­no sol­tan­to a par­ti­re da una variabile.
L’eroico gigan­ti­smo del­la lot­ta con­ta­di­na indi­ge­na nell’Equador con­tro il gover­no di Lenín More­no non deve esse­re squa­li­fi­ca­ta per­ché la sua dire­zio­ne è la Cona­ie. La gran­dez­za del pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio in Alge­ria di que­sti ulti­mi sei mesi non meri­ta di esse­re smi­nui­ta per­ché i suoi diri­gen­ti non sono mar­xi­sti. La stes­sa cosa può dir­si del­le mobi­li­ta­zio­ni in Sudan di tre mesi fa.
Vedre­mo se la sini­stra cile­na sarà, o meno, capa­ce di legit­ti­mar­si davan­ti alle mas­se gio­va­ni­li e lavo­ra­tri­ci che sono oggi in pri­ma linea dei com­bat­ti­men­ti nel­le stra­de di San­tia­go del Cile. Un’enorme spe­ran­za mar­cia a fian­co ad esse.

[*] Vale­rio Arca­ry è pro­fes­so­re tito­la­re dell’Istituto Fede­ra­le di San Pao­lo del Bra­si­le (IFSP). Mili­ta nel­la cor­ren­te Resi­stên­cia all’interno del Psol ed è auto­re di diver­si libri, tra i qua­li O Mar­te­lo da Histó­ria e O encon­tro da revo­lução com a Histó­ria.

 

[Tra­du­zio­ne di Erne­sto Russo]