Di fronte alla completa capitolazione della maggior parte delle organizzazioni della sinistra alle politiche dell’imperialismo in occasione dell’attuale guerra in Ucraina (abbiamo in proposito pubblicato diversi materiali su questo sito), sono pochissime le voci che si sono levate manifestando una posizione coerentemente internazionalista.
Una di queste è stata espressa dal Collettivo Konflikt della Bulgaria con il testo che presentiamo qui di seguito tradotto in italiano.
Le note a piè di pagina sono dei traduttori.
Buona lettura.
La redazione
La vera fine della Storia è la fine della guerra
Collettivo Konflikt
Fine della Storia
«Ciò a cui stiamo assistendo
non è semplicemente la fine della Guerra Fredda
o il trascorrere di un certo periodo della storia del dopoguerra,
ma la fine della Storia in quanto tale:
cioè, il punto finale dell’evoluzione ideologica dell’umanità
e l’universalizzazione della democrazia liberale occidentale
come forma ultima di governo umano»
(Francis Fukuyama, 1898)
Ci hanno mentito. E non è una sorpresa. Lo hanno già fatto, lo stanno facendo ora, lo faranno in futuro. Nulla di nuovo sotto il sole. Eppure, ci hanno ingannati. Uno sconosciuto accademico americano dichiarò “la fine della Storia” e divenne il portavoce del Nuovo Ordine mondiale. “Il conflitto è finito”, annunciò. Ci è stato detto che era “la fine della guerra e degli orrori del vecchio mondo”. McDonald’s ha affermato che non c’era mai stata una guerra tra due Paesi in cui si vendono i suoi hamburger. Gli ideologi reclamavano a gran voce una “nuova era di prosperità occidentale”. Doveva essere la “fine della povertà”. Ma non era che un’altra bugia.
L’inchiostro del saggio propagandistico di Francis Fukuyama non aveva fatto in tempo ad asciugarsi che il mondo era stato precipitato di nuovo nella guerra. Nel 1991 l’America diede inizio alla prima della serie di “guerre contro il terrore” in Iraq e nel “mondo musulmano”. Intanto, la disintegrazione della Jugoslavia fece tornare la guerra in Europa per la prima volta dal 1945. Quella guerra durò quasi quindici anni. No, non ci aspettava la “pace mondiale”. Questa era un’altra menzogna.
E ancora un’altra bugia fu quella della “prosperità universale”. La restaurazione capitalista nell’Europa dell’est ha portato all’unificazione di milioni di persone, ma i suoi lavoratori ne hanno pagato il prezzo, mentre i ricchi dell’Occidente guadagnavano milioni. In Russia questo processo è stato assolutamente disastroso. L’aspettativa media di vita è diminuita di sei anni. Milioni di persone si sono ritrovati senza lavoro quando hanno raggiunto la “prosperità”.
Anche oggi, più di tre decenni dopo la conclamata “fine della Storia”, più di trent’anni dopo la “pace e la prosperità”, la guerra è tornata in Europa. A poche centinaia di chilometri dalla nostre coste i lavoratori si uccidono tra loro per i profitti dei capitalisti. Le azioni delle industrie di armamenti aumentano di valore, mentre vengono bombardati ospedali e ammazzati bambini. I milionari che chiamiamo oligarchi in Russia e gli oligarchi che chiamiamo milionari in Occidente festeggiano come vampiri col sangue dei lavoratori russi e ucraini.
E nel nostro Paese godiamo della “prosperità”. L’inflazione ha raggiunto livelli mai visti dal caos della ristrutturazione. I prezzi salgono e – poiché la guerra approfondisce la spirale inflazionistica – aumentano sempre di più. Oramai sono più gli operai bulgari che lavorano all’estero di quelli che lo fanno nel proprio Paese. L’economia è così a mal partito che le persone non possono nemmeno far quadrare i conti di casa. La disoccupazione viene esportata, ma questa non è una soluzione reale del problema, bensì un altro metodo di sfruttamento. Viviamo in un sistema che obbliga continuamente la gente ad abbandonare le proprie case, sia che fuggano dalla povertà, dalla repressione politica o dalla guerra. Adesso, milioni di rifugiati fuggono dalla guerra in Ucraina: la maggioranza va in Polonia, ma decine di migliaia ancora arrivano in Bulgaria. Certamente scampano agli orrori della guerra, ma oggi sono liberi di godere della nostra “prosperità”. Molti di loro lo saranno in quanto necessari per occupare i posti di lavoro più sfruttati nell’industria turistica sulla costa del Mar Nero. Anche tra rifugiati e migranti sembra esservi una gerarchia di sfruttamento. Ora i rifugiati ucraini sono tollerati, mentre per i rifugiati siriani è ancora estremamente difficile entrare in Europa.
Ci hanno mentito. Era tutta una bugia.
I socialisti e la guerra
«Federico Engels disse una volta:
“La società borghese si trova davanti a un dilemma,
o progresso verso il socialismo o regresso nella barbarie”.
Che cosa significa “regresso nella barbarie”
al grado ora raggiunto della nostra civiltà europea?
Finora tutti noi abbiamo letto e ripetuto senza pensarci queste parole,
senza sospettare la loro terribile gravità.
Uno sguardo intorno a noi in questo momento
ci dimostra che cosa significa un regresso
della società borghese nella barbarie.
Questa guerra mondiale: ecco un regresso nella barbarie.
Il trionfo dell’imperialismo porta all’annientamento della civiltà»
(Rosa Luxemburg, 1915)
Oggi, a più di cent’anni di distanza, alcune delle parole di Luxemburg risuonano ancora con forza. Altre sembrano strane, come fossero d’altri tempi. Chiunque presti attenzione alle notizie internazionali sa che oggi la barbarie è in corso. In questo momento, non è un orrore ripugnante ma sconosciuto e invisibile ciò che ci sconvolge. In Paesi lontani quel che oggi sta accadendo è da molto tempo un fatto all’ordine del giorno. La guerra in Siria sta entrando nel suo undicesimo anno. Più di metà della popolazione siriana è stata costretta a lasciare le proprie case e a rifugiarsi in altri Stati. Ciò che è scioccante oggi non è l’esistenza di una simile barbarie nel mondo, ma che sia tornata a vedersi in Europa, o – come i media americani vorrebbero farci credere – “quasi in Europa”. «Sapete, questa è una regione relativamente civilizzata, relativamente europea», ha detto CBS News. Non sta accadendo alle loro porte, il disprezzo è evidente.
Per gli europei, tuttavia, gli omicidi di massa, i crimini di guerra e le atrocità non sono più appannaggio di terre lontane. Per noi, qui, si stanno verificando solo a poche centinaia di chilometri. La parte della citazione in cui Rosa Luxemburg parla della barbarie è già attuale.
Il terrore è tornato in Europa. Dopo la Prima guerra mondiale (“La guerra per porre fine a tutte le guerre”, come si diceva allora), dopo gli orrori della Seconda guerra mondiale e dell’Olocausto, dopo le guerre in Jugoslavia che hanno portato alla fine della “fine della Storia”, la barbarie sta mostrando il suo mostruoso volto in Europa.
È l’altra parte della citazione di Rosa Luxemburg, quella in cui prefigura l’esistenza di un’alternativa, a sembrarci strana in questi giorni. Oggi nessuno immagina che possa esserci un’alternativa al sistema attuale. Benché molte persone riconoscano che l’ordine mondiale è fondamentalmente ingiusto e porta con sé guerra, sfruttamento e povertà, le persone non credono alla possibilità di una via d’uscita. Il capitalismo sembra eterno. Pare non esservi una via di scampo a quest’orrore.
Alla vigilia della Prima guerra mondiale molti immaginavano un sistema alternativo. Tutti sapevano dell’imminenza della guerra e i partiti operai di massa in Europa si erano impegnati a fermarla in tutti i Paesi belligeranti lanciando uno sciopero generale di massa e rifiutandosi di andare a combattere. Sembrava così semplice! Eppure, quando la guerra scoppiò quegli stessi partiti operai dimenticarono completamente la solidarietà internazionale contro di essa e si precipitarono a sostenere lo sforzo bellico dei rispettivi Stati; dopodiché, ebbe inizio la carneficina.
Tuttavia, piccoli gruppi di socialisti rifiutarono l’idea della guerra e cominciarono ad organizzarsi contro di essa. Nonostante i tentativi per impedirlo, nel settembre del 1915 quegli stessi gruppi riuscirono ad organizzare nella Svizzera neutrale, a Zimmerwald, una conferenza alla quale parteciparono delegati provenienti da Italia, Francia, Paesi Bassi, Norvegia, Svezia, Germania, Romania, Bulgaria e Russia. Delegati di altri Paesi vennero bloccati alle frontiere dai loro governi. La conferenza denunciò come imperialiste le ragioni sottese alla guerra e si impegnò a combatterla.
La guerra, però, si trascinò all’infinito. Ancor oggi è incerto il numero delle persone uccise. Gli storici continuano a dibattere il tema, ma si stima che i morti siano stati tra quindici e ventidue milioni. Dopo le affermazioni scioviniste delle prime settimane di conflitto secondo cui “entro Natale sarà tutto finito”, la guerra sembrò andare avanti all’infinito. Ma alla fine fu fermata dalla classe operaia con alla testa alcuni dei delegati della conferenza di Zimmerwald. Innanzitutto, gli operai e i soldati rovesciarono il governo zarista della Russia e insediarono un governo provvisorio che proseguì le operazioni militari fino ad ottobre. Ma gli operai, i contadini e i soldati erano stanchi e nell’ottobre del 1917 rovesciarono anche il governo provvisorio. Il nuovo governo bolscevico si era impegnato a porre fine alla guerra.
Nel frattempo, in occidente gli eserciti dell’Intesa si stavano disintegrando e la Germania era sull’orlo di una rivoluzione. Mentre gran parte degli eserciti di Francia e Gran Bretagna si dava alla diserzione, l’Intesa riuscì a colmare le lacune grazie alle nuove truppe statunitensi che avevano raggiunto il teatro del conflitto. Invece, la Germania non riuscì a trovare nuovi alleati e per essa la fine si avvicinava. La rivolta dei marinai del 3 novembre portò alla fine della guerra. La Marina tedesca aveva in programma di scatenare una battaglia finale mandando tutti i suoi uomini incontro a morte certa, ma per i marinai la misura era colma: disobbedirono agli ordini, si ammutinarono e iniziarono a diffondere il movimento in tutto il paese. Il 9 novembre il Kaiser abdicò e l’11 fu firmato l’armistizio. Dopo quattro anni di combattimenti gli operai erano riusciti a fermare la guerra.
Il movimento per la guerra
«LA GUERRA È PACE
LA LIBERTÀ È SCHIAVITÙ
L’IGNORANZA È FORZA»
(George Orwell, 1984, 8 giugno 1949)
Nel suo famoso romanzo, 1984, Orwell spiega gli slogan del partito al governo. Il primo, che recita “LA GUERRA È PACE”, sembra particolarmente appropriato per l’attuale situazione. In città europee e nordamericane vengono realizzate “manifestazioni per la pace”. Tuttavia, se le si osserva un po’ più da vicino, si vedrà che la “pace” è l’ultima cosa che viene reclamata. Insieme alle bandiere nazionali giallo‑azzurre dell’Ucraina e agli slogan “Pace subito”, ci sono tre rivendicazioni principali: sanzioni economiche contro la Russia, maggiore sostegno militare all’Ucraina e una no‑fly zone.
È ovvio che un maggiore sostegno militare e armamenti per l’Ucraina non sono nell’interesse della pace. Si tratta di sostenere una delle parti in guerra. Ma cosa significano le sanzioni?
Le sanzioni dovrebbero esercitare pressioni su uno Stato affinché si conformi ai desideri della “comunità internazionale”. Sembra ragionevole. Ma, purtroppo, è un’altra menzogna. Le sanzioni sono in realtà un’arma di terrore. Un rapporto della British Medical Association del 1995 afferma che mezzo milione di bambini iracheni è stato ucciso dalle sanzioni e molti altri versavano in condizioni di malnutrizione. Si stima che, poiché le sanzioni erano state prorogate per altri otto anni, in quel lasso di tempo almeno un milione e mezzo di persone sia stato ucciso. Le restrizioni rivendicate dalle “manifestazioni per la pace” sono in realtà armi di terrore. Oltre alle conseguenze per la stessa Russia, la guerra e l’interruzione della produzione di grano causeranno l’aumento dei prezzi e avranno enormi conseguenze per le masse più povere del pianeta. Peraltro, le sanzioni si rivelarono inefficaci per far cadere il dittatore iracheno Saddam Hussein, tanto che gli americani dovettero invadere di nuovo l’Iraq per sbarazzarsene, al prezzo della perdita di altre vite.
Come le sanzioni, anche una no‑fly zone sembra a prima vista una buona idea. L’aviazione russa ha un’enorme superiorità rispetto a quella ucraina e sta commettendo atrocità contro i civili. Il terribile bombardamento di un ospedale ne rappresenta solo l’esempio più noto. Cosa potrebbe esserci di sbagliato in una no‑fly zone per fermare quest’orrore? Ma la realtà è che non si può chiedere all’aviazione russa di smettere di bombardare i civili. Bisogna controllare le zone di esclusione dei voli. Una no‑fly zone significa che gli Stati Uniti e i loro alleati possono condurre missioni di combattimento contro gli aerei russi, e la Russia ovviamente risponderebbe. Ciò significherebbe estendere la guerra a livello europeo e dunque questo non è certo un appello per la pace. Anzi, è un appello affinché altri Paesi scendano in guerra.
Coloro che in Occidente marciano per la pace chiedono sanzioni per l’uccisione di bambini, sostegno militare per continuare ed estendere la guerra, e tutto in nome della “pace”. Questo movimento “contro la guerra” è in realtà un movimento a favore della guerra. Basta osservare il mare di bandiere giallo‑azzurre in queste manifestazioni. Non sono certo neutrali.
Naturalmente, non tutti coloro che invocano questa “pace” orwelliana sono pazzi, falchi e guerrafondai. Molti di loro credono davvero che stanno agendo nell’interesse della pace. Ma è stata detta loro un’altra menzogna.
Stavolta la menzogna è che l’obiettivo di questa guerra è la “libertà” di una piccola nazione. Naturalmente, nessuno vuole che i Paesi piccoli vengano invasi e conquistati da quelli più grandi. Questa narrazione presenta le potenze occidentali come attori benevoli e disinteressati che sostengono la libertà di un piccolo Paese attaccato dagli imperialisti. Un’altra menzogna.
No alla difesa nazionale
«Per noi era chiaro che nel conflitto tra Serbia e Austria‑Ungheria
il nostro Paese era chiaramente sulla difensiva.
La Serbia stava difendendo la sua vita e la sua indipendenza
che l’Austria aveva minacciato da prima dell’assassinio di Sarajevo.
E se mai la socialdemocrazia avesse avuto un legittimo diritto
di votare a favore della guerra in qualche parte,
questo era certamente il caso soprattutto della Serbia.
Per noi, invece, il fatto decisivo era che la guerra tra Serbia e Austria
era solo una piccola parte di una totalità,
solo il prologo di una guerra generale, europea,
e quest’ultima – ne eravamo profondamente convinti –
non poteva non avere un carattere chiaramente imperialista.
Di conseguenza, noi
– come parte della grande Internazionale socialista e proletaria –
abbiamo ritenuto nostro dovere opporci risolutamente alla guerra»
(Dušan Popović, 1915)
Tornando brevemente al 1914, la guerra iniziò quando la Serbia fu attaccata dall’impero austro‑ungarico. Era un caso eclatante di un piccolo Paese invaso da uno molto più grande, proprio come sta accadendo oggi. Ma i socialisti serbi non fecero appello alla difesa della nazione. Si schierarono contro la guerra[1]. Per comprendere perché dobbiamo opporci agli appelli in difesa dell’Ucraina oggi, è necessario capire perché essi si comportarono così allora.
I socialisti più lucidi nei primi anni del secolo scorso si resero conto che il mondo era dominato da una nuova realtà: l’imperialismo. Essi teorizzarono che il capitalismo era entrato in una nuova fase. Non c’erano nuove colonie che le potenze europee potessero spartirsi, sicché furono indotte a scatenare un conflitto diretto dettato dalla necessità di aumentare i profitti. Ciò portò alla formazione di blocchi di potenze. All’interno di un sistema del genere diventa difficile, se non addirittura impossibile, che le piccole nazioni possano essere davvero indipendenti. La Bulgaria rappresenta un caso emblematico: negli ultimi cent’anni quasi dell’era imperialista, la Bulgaria ha fatto parte di tre blocchi. Dapprima, è stata parte del blocco tedesco durante entrambe le guerre mondiali; poi del blocco russo durante la Guerra Fredda; infine, oggi è parte del blocco statunitense. Questo passaggio da un blocco all’altro non viene deciso dalla “volontà democratica del popolo”, ma dalla vittoria in guerra: dopo la vittoria della Russia nella Seconda guerra mondiale, la Bulgaria venne trasferita nel blocco sovietico; poi, dopo la vittoria dell’Occidente nella Guerra Fredda, fu incorporata in quello americano.
Benché il capitalismo moderno pretenda di mostrare una facciata civile, in realtà è un sistema basato sul terrore e la guerra. È la storia a mostrarci tutto il suo orrore. Mentre i leader mondiali si riempiono la bocca con la parola “pace”, gestiscono un sistema in cui la guerra è endemica. È il capitalismo, con la sua insaziabile ricerca del profitto, a produrre le guerre, e lo ha fatto in tutto il corso della sua storia. È la necessità di difendere i profitti a spingere gli Stati in guerra.
Ciò che sta avvenendo oggi in Ucraina va visto in questo contesto. Questa guerra non è la condotta di un qualche “attore irrazionale”. Putin non l’ha iniziata perché è “pazzo”. Questa guerra fa parte di una lunga lotta in corso tra America e Russia dal 1945. Dopo il 1989 sembrava che la Russia fosse stata storicamente sconfitta. Certamente ha subito un’enorme sconfitta. Il Patto di Varsavia e la stessa Unione Sovietica vennero smantellati. La Nato e l’Ue si sono rapidamente ampliate includendo molti dei nuovi Paesi “indipendenti”. Ora che il ruolo degli Stati Uniti come unica potenza mondiale sta diminuendo, la Russia vede l’opportunità di riaffermare il suo potere sull’Ucraina. Non è l’atto di un solo “pazzo”. È l’espressione degli interessi del capitalismo russo. Così funziona l’imperialismo.
E dunque, nel bel mezzo di questa contesa tra due colossi imperialisti, ai lavoratori ucraini viene chiesto di difendere il “loro” Paese. Le grandi potenze, va da sé, non si scontrano direttamente. Come sempre, questa lotta è combattuta attraverso una serie di piccole guerre, tra “delegati”, oppure con l’intervento diretto di una delle grandi potenze in un determinato Paese. Tutto ciò lo abbiamo già visto: in Corea, Vietnam, Afghanistan e in una serie di guerre per procura nel “terzo mondo”.
Nell’attuale massacro i lavoratori ucraini sono stati mobilitati con l’ausilio di tutti i possibili mezzi di propaganda. Molti slogan suonano “di sinistra”. Entrambe le parti si radunano dietro le bandiere dell’“antimperialismo”. Ma si tratta di un cinico stratagemma per incoraggiare i lavoratori a morire in nome di un imperialismo contro l’altro. L’“antifascismo” è diventato un grido di battaglia per i guerrafondai di entrambe le parti: gli americani accusano Putin di essere “peggio di Hitler” e i russi accusano gli ucraini di essere nazisti.
Un altro argomento utilizzato è il patriottismo. In tempo di guerra, gli Stati nazionali fanno sempre leva sul patriottismo. La Russia lo sta usando oggi, proprio come durante la “Grande guerra patriottica”. Anche l’Ucraina vi fa ricorso, invitando i lavoratori a difendere la nazione e la libertà. In realtà, si tratta di uno slogan dei ricchi. I ricchi sono quelli che possiedono il Paese. I ricchi si appropriano del prodotto dell’opera dei lavoratori, e i ricchi sono quelli che rischiano di perdere tutto se il loro Paese dovesse essere conquistato da un altro. Se l’Ucraina riuscirà a sopravvivere integra, i ricchi continueranno a fare profitti mentre centinaia di migliaia di lavoratori avranno perso la vita. Se la Russia in qualche modo vincerà la guerra e si approprierà di parte dell’Ucraina, in centinaia di migliaia saranno comunque morti e i lavoratori continueranno a lavorare per altri capi, forse un po’ più sfruttatori. Ma anche un’Ucraina vittoriosa pretenderà che i lavoratori si sacrifichino per la nazione. Vale davvero la pena morire per essa?
E quanto alla libertà, la guerra mostra sempre quanto illusorio sia questo concetto. Oggi in Ucraina agli uomini adulti è proibito lasciare il Paese. Sono stati banditi ben undici partiti politici, compreso un importante partito rappresentato in parlamento. Persone considerate poco patriottiche sono state torturate e uccise. Questa è la “libertà” che viene difesa. Ancora una volta ci chiediamo: vale la pena morire per essa? Affermiamo con chiarezza che i lavoratori non hanno alcun interesse a difendere la nazione. Come dissero i socialisti serbi nel 1914, è uno scontro tra imperialisti rivali. I lavoratori non hanno alcun interesse a morire per nessuno di loro.
Un vero movimento contro la guerra
«Il nemico principale è in casa nostra»
(Karl Liebknecht, maggio 1915)
Oggi, nel pieno fervore patriottico dei primi giorni di guerra, quasi nessuno si oppone ad essa. La maggior parte degli europei, pur desiderando sinceramente la pace, ripete a pappagallo la propaganda dei “propri” Paesi: i quali non esitano a sacrificare le loro vite se “necessario” e non si fanno scrupolo a chiedere che i lavoratori facciano sacrifici finanziari per il bene della nazione e dell’economia.
Contro questi patrioti troviamo coloro che rifiutano gli appelli dei “propri” Stati al sacrificio e sollecitano i lavoratori a sostenere la Russia. Sebbene siano relativamente pochi a livello internazionale, in Bulgaria le idee di queste persone trovano una certa eco. Le abbiamo viste sventolare bandiere russe nelle manifestazioni e in ricorrenze ufficiali. Questi settori percepiscono chiaramente la propaganda dell’alleanza occidentale e l’ipocrisia degli Stati Uniti, che condannano il terrore russo in Ucraina ignorando quotidianamente il terrore dei loro alleati in Palestina e in Yemen. In Bulgaria queste persone alludono agli antichi legami con la Russia e alla vicinanza culturale. Esse rifiutano le menzogne del loro blocco imperialista. Eppure, non si tratta di altro se non di “antimperialismo degli idioti”[2]. Benché identifichino chiaramente i pericoli dell’imperialismo occidentale, ignorano l’imperialismo russo. Nel migliore dei casi, queste persone sono solo questo: idioti. Nella pratica, tuttavia, sono apologeti del massacro.
Oggi, i gruppi politici che assumono posizioni chiare contro la guerra sono pochi. E quelli esistenti sono marginali. Ciò non deve sorprendere. Anche nel 1914 coloro che si pronunciarono contro la guerra costituivano piccoli gruppi. E non si scoraggiarono per questo. Lentamente e pazientemente si misero al lavoro. I gruppi di oggi sono ancor più piccoli, ma il loro lavoro non è meno importante. Il compito di costruire un movimento contro la guerra deve cominciare ora. In Bulgaria questo lavoro è appena iniziato. Nella capitale i gruppi LevFem e Diversia organizzano assemblee contro la guerra. A Varna i membri del nostro gruppo Konflikt stanno discutendo sulla guerra e distribuendo informazioni in lingua ucraina e russa con l’obiettivo di orientare i rifugiati che i capitalisti dell’industria turistica non vedono l’ora di sfruttare, mentre la Federazione degli anarco‑comunisti (Fakb) ha organizzato un incontro in occasione del Primo Maggio per coordinare l’opposizione alla guerra. Rispetto a tutto il fervore filo‑bellico, queste sono certamente piccole iniziative, benché rappresentino certamente un inizio. In altri Paesi si sta lavorando nella stessa direzione. Mentre qui dobbiamo lavorare per costruire un fronte contro la guerra, per aiutare i profughi e per rifiutarci di pagare il prezzo economico del massacro, l’attività principale contro la guerra si svolge in Ucraina e in Russia.
Tutti abbiamo visto le immagini di valorosi cittadini russi che inscenavano manifestazioni di opposizione alla guerra. Le manifestazioni di massa nelle strade di Mosca, San Pietroburgo e quasi tutte le città russe dimostrano che in Russia c’è un gran numero di persone che rifiutano l’orrore. Naturalmente costituiscono una minoranza, mentre la maggioranza dei russi appoggia ancora lo Stato. Tuttavia, anche nei primi giorni della Prima guerra mondiale non ci furono quasi manifestazioni di ripudio di massa. Ci sono segnalazioni di soldati russi che rifiutano di combattere o che si arrendono in massa, e queste sono solo quelle che ci sono pervenute. Tutte queste realtà sono sviluppi positivi che potrebbero moltiplicarsi con il protrarsi della guerra.
In Ucraina non abbiamo visto un’opposizione di massa[3]. Abbiamo invece visto un flusso massiccio di rifugiati che aumenta ogni giorno. Secondo l’Alto Commissariato per i Rifugiati dell’Onu (Unhcr), più di cinque milioni di ucraini sono ormai fuggiti dal Paese dall’inizio del conflitto e molti altri sono sfollati interni. Qualunque cosa queste persone possano pensare della guerra, resta il fatto che oggettivamente esse rifiutano di sacrificarsi alla macchina da guerra. Anche loro, con la loro condotta, stanno dicendo no alla guerra[4]. Man mano che questa progredisce, ci aspettiamo che sempre più persone si rifiutino di sacrificarsi.
Che tipo di nuovo ordine mondiale?
«La posta in gioco è molto più che un piccolo Paese,
è una grande idea: un nuovo ordine mondiale
in cui diverse nazioni si uniscano in una causa comune
per realizzare le aspirazioni universali dell’umanità:
pace e sicurezza, libertà e Stato di diritto.
Questo è il mondo degno della nostra lotta
e per il futuro dei nostri figli»
(George H.W. Bush, 28 gennaio 1991)
Nel 1991, quando si parlava di “fine della Storia”, George Bush [padre] parlava di un “Nuovo Ordine mondiale”. Era qualcosa che veniva percepito come un mondo migliore per i nostri figli. Sappiamo come si è sviluppato il loro “Nuovo Ordine mondiale”.
Era il “Nuovo Ordine mondiale” della “fine della Storia”. Ha portato orrore e guerra ai bambini del mondo. Bush parlava prima che la sua guerra al terrorismo portasse alla devastazione dell’Iraq. Più tardi, dopo che le sue pacifiche sanzioni ebbero ucciso centinaia di migliaia di bambini iracheni, suo figlio ha riportato il terrore americano in Iraq con una seconda guerra. In Europa abbiamo assistito al genocidio e ai massacri in Jugoslavia, proprio alle nostre porte. Dicevano che la guerra in Europa non sarebbe potuta scoppiare di nuovo, ma non è stato così. Ci hanno mentito.
Abbiamo visto l’America scatenarsi con rabbia dopo il massacro delle Torri Gemelle a New York. Il “mondo musulmano” ha sentito quella rabbia nella “guerra al terrore”. In Afghanistan, che ha sofferto per anni sotto l’occupazione americana, oggi c’è un regime teocratico in cui le ragazze non possono andare a scuola. In Libia, dove la Nato è intervenuta per sbarazzarsi di qualche dittatore “simile a Hitler”, abbiamo assistito a un decennio di guerra civile e al ritorno della tratta degli schiavi nel XXI secolo. In Siria la guerra prosegue ed è entrata nel secondo decennio. I siriani hanno visto i risultati del terrore di Stato, sia russo che americano, e ora il loro è un Paese in rovina. I russi, ovviamente, hanno commesso atrocità anche in altri Paesi. Questi crimini di guerra non sono limitati all’America. Grozny è stata distrutta. La Russia ha ucciso fino a centomila civili nelle atrocità in Cecenia.
In ambito economico abbiamo assistito a un collasso dopo l’altro. E ogni volta è stato chiesto ai lavoratori di stringere la cinghia. È sempre la classe operaia quella da cui si esigono sacrifici, dalla ristrutturazione dell’Europa dell’est fino all’attuale crisi inflazionistica galoppante. Sono sempre gli operai e i poveri a pagare il conto. Non c’è “prosperità”. Ci hanno mentito di nuovo.
Oggi la guerra è tornata in Europa. È questo il “mondo degno del futuro dei nostri figli?”. Pensiamo di no. Ci hanno ancora mentito.
E allora, dopo tutte queste menzogne, dopo tutti questi inganni, questi massacri, dopo tutto questo orrore, dobbiamo chiederci: quale futuro viene offerto ai nostri figli? Lo stato attuale del mondo non sembra indicare un futuro positivo. Ce lo ha descritto Rosa Luxemburg: è la barbarie.
Negoziati di pace sono stati avviati in Turchia. Non ci aspettiamo risultati: quasi certamente la guerra continuerà, la fine non è in vista, né alcuna soluzione pacifica. Anzi, si trascinerà, con le uccisioni di massa che continueranno, così come i rifugiati continueranno a lasciare l’Ucraina. Questo è il vero “Nuovo Ordine mondiale”.
Analizzando la situazione, non troviamo alcuna base su cui costruire la pace. Gli Stati Uniti sono una potenza in declino, ma che non possono permettersi di rinunciare a questa guerra. Se non possono proteggere questa “amica”, come possono gli altri “amici” fidarsi di loro per essere protetti? Stiamo già assistendo a crepe nel blocco americano. Oltre agli Usa e al Canada, all’Europa, al Giappone e all’Australasia, non c’è praticamente nessuno che ne sostenga le sanzioni e la guerra. I Paesi di questo blocco stanno vacillando. Il mondo non è convinto di accettare le sanzioni terroristiche statunitensi. Anche membri della Nato come la Turchia si rifiutano di sostenere il Paese capofila. L’America non può scendere a compromessi, deve proteggere la sua “amica”. Biden dice che Putin deve andarsene: non ci sono compromessi qui.
E anche quando guardiamo alla Russia, vediamo che neppure qui ci sono possibilità di compromesso. La Russia considera ciò che sta accadendo come una lotta per l’esistenza. Se si ritirasse ora, agli occhi dello Stato russo sarebbe come un invito per gli americani a farlo a pezzi. In una situazione in cui nessuna delle parti vede possibile una pace concordata, la guerra continuerà.
Gli analisti sembrano essere sorpresi per il fatto che la guerra si sia protratta per tanto tempo. Noi non ne siamo sorpresi, anzi ci aspettiamo che essa continui ulteriormente. Non è affatto un’esagerazione dire che l’orrore può durare anni. Naturalmente, entrambe le parti cercheranno di forzare una soluzione, ma possiamo immaginare che una sorta di conflitto si trascinerà per molto tempo. Questa è la nuova realtà. Questo è il loro “Nuovo Ordine mondiale”.
Dinanzi a noi, che immaginiamo un mondo diverso e veramente degno per i nostri figli, si profila una lunga battaglia. Presentare la visione di un’altra società suona molto strano. Eppure, è quello che facciamo. Man mano che la guerra si trascinerà, crescerà il malcontento per lo stato delle cose. Sempre più persone saranno coinvolte nelle proteste in Russia e in Ucraina. Come ci hanno ricordato i nostri amici della Jugoslavia, coloro che sono costretti a vivere nei rifugi antiaerei difficilmente sostengono i governi che li hanno messi lì. E nel resto del mondo aumenterà l’importanza delle azioni dei piccoli gruppi che ora lavorano contro la guerra. Questo è il nostro compito oggi: realizzare le piccole e apparentemente insignificanti azioni che sono il primo passo per costruire un mondo “degno del futuro dei nostri figli”.
Note
[1] Abbiamo già trattato tale argomento in quest’articolo, in polemica con una delle piccole sette che pretendono di richiamarsi al marxismo rivoluzionario, secondo la quale quando la Serbia fu attaccata dall’Austria i bolscevichi avrebbero difeso contro l’imperialismo austriaco i diritti nazionali della Serbia. E abbiamo dimostrato, richiamando i testi dei rivoluzionari dell’epoca, che quest’affermazione è totalmente falsa. La citazione di Dušan Popović (socialista rivoluzionario serbo, segretario del Partito socialdemocratico della Serbia), riportata all’inizio del paragrafo, conferma – ove mai ce ne fosse stato bisogno – questa conclusione.
[2] Secondo la felice espressione coniata dall’attivista siriana Leila Al‑Shami.
[3] In realtà, subito dopo l’invasione in Ucraina è stata promulgata la legge marziale, con la sospensione di gran parte dei diritti costituzionali, civili e sociali, la mobilitazione generale, la coscrizione obbligatoria e il divieto per i maschi fra 16 e 60 anni di abbandonare il Paese: ed è evidente che ciò rende difficile, se non addirittura impossibile qualsiasi forma di protesta di massa.
[4] La propaganda occidentale, ovviamente, non fa filtrare notizie del genere, ma anche fra le truppe ucraine si registrano – a causa della soverchiante forza della macchina militare russa – fenomeni di renitenza e diserzioni di massa. Uno degli ultimi episodi riguarda i residenti delle regioni occidentali mobilitati nell’esercito che, dopo le considerevoli perdite subite dalle forze armate nella regione orientale del Paese, si sono rifiutati di recarsi nel Donbas. Inoltre, tutti i militari della 100ª Brigata di difesa territoriale con sede a Lutsk (regione di Volyna) si sono rifiutati di essere coinvolti nelle operazioni. Il comando delle forze armate è stato costretto perciò a disarmare la brigata, arrestando gli organizzatori della protesta e riformando la formazione. Intanto, per far fronte alle innumerevoli perdite, le autorità ucraine stanno pensando di aumentare l’età per la coscrizione obbligatoria fino a 70 anni.
(Traduzione in italiano di Ernesto Russo e Andrea Di Benedetto)