Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Guerra in Ucraina, Imperialismo e guerre imperialiste, Polemica, Politica internazionale: Rapporti Est-Ovest, Teoria

La guerra in Ucraina e il social-sciovinismo dei giorni nostri

La copertina del 4 agosto 1914 del Vorwärts, organo del Spd tedesco, dal titolo “La socialdemocrazia e la guerra!”

La guerra in Ucraina e il social‑sciovinismo dei giorni nostri


Vale­rio Torre

 

Com’è noto, la guer­ra rap­pre­sen­ta uno spar­tiac­que per chi si pro­cla­ma mar­xi­sta. È pro­prio la guer­ra l’argomento rispet­to al qua­le la discus­sio­ne teo­ri­ca sepa­ra il gra­no dal loglio met­ten­do a nudo le debo­lez­ze, le con­trad­di­zio­ni e le man­can­ze teo­ri­che di colo­ro i qua­li que­sta discus­sio­ne affron­ta­no sul­la base di let­tu­re impres­sio­ni­ste ed eclet­ti­che del­la realtà.
Nei gior­ni scor­si ci sia­mo occu­pa­ti del­la deli­ran­te posi­zio­ne di una del­le pic­co­le orga­niz­za­zio­ni che in Ita­lia si richia­ma­no al mar­xi­smo rivo­lu­zio­na­rio. Oggi, inve­ce, esa­mi­ne­re­mo quel­la di un’altra “scheg­gia” del­la galas­sia tro­tski­sta: una posi­zio­ne che è solo appa­ren­te­men­te più arti­co­la­ta, ma sostan­zial­men­te con­trad­dit­to­ria e deci­sa­men­te erra­ta[1].

Che guer­ra è quel­la in cor­so in Ucraina?
L’invasione dell’Ucraina da par­te del­la Rus­sia e la guer­ra aper­ta che que­sta ha sca­te­na­to per sod­di­sfa­re i suoi dise­gni annes­sio­ni­sti­ci e di restau­ra­zio­ne impe­ria­le in fun­zio­ne di una più effi­ca­ce resi­sten­za alla pene­tra­zio­ne dell’imperialismo sta­tu­ni­ten­se e dei Pae­si dell’Ue in Euro­pa orien­ta­le; il posi­zio­na­men­to in un solo bloc­co degli Usa, del­la Nato e dell’Ue e la guer­ra sot­ter­ra­nea[2] che que­sta coa­li­zio­ne sta con­du­cen­do “per inter­po­sta nazio­ne” (e cioè la stes­sa Ucrai­na) con­tro Putin per poter dare una base alle pro­prie mire espan­sio­ni­sti­che ver­so est; le poli­ti­che che entram­bi i cam­pi han­no, sia pure con­trad­dit­to­ria­men­te, mes­so in cam­po da anni in fun­zio­ne degli obiet­ti­vi rispet­ti­va­men­te per­se­gui­ti; la cri­si eco­no­mi­ca che spin­ge sem­pre più le eco­no­mie capi­ta­li­sti­che a cer­ca­re nuo­vi sboc­chi in un mon­do di fat­to già ripar­ti­to e le fri­zio­ni che que­sta spa­smo­di­ca ricer­ca crea fra Sta­ti che rap­pre­sen­ta­no le pro­prie bor­ghe­sia nazio­na­li[3]: sono que­sti gli ele­men­ti deter­mi­nan­ti per dare una cor­ret­ta carat­te­riz­za­zio­ne del­la guer­ra in atto.
Non a caso, Tro­tsky scriveva:

«Il carat­te­re del­la guer­ra non è deter­mi­na­to dall’episodio ini­zia­le in sé (“vio­la­zio­ne del­la neu­tra­li­tà”, “inva­sio­ne nemi­ca”, ecc.), ben­sì dal­le prin­ci­pa­li for­ze motri­ci del­la guer­ra, da tut­to il suo svi­lup­po e dal­le con­se­guen­ze che essa alla fine com­por­ta. […] Il nostro atteg­gia­men­to nei con­fron­ti del­la guer­ra non è deter­mi­na­to dal­la for­mu­la lega­li­sti­ca dell’“aggressione”, ben­sì dal­la que­stio­ne di qua­le clas­se con­du­ce la guer­ra e per qua­li sco­pi. In un con­flit­to tra Sta­ti, pro­prio come nel­la lot­ta di clas­se, quel­le dell’“aggressione” e del­la “dife­sa” sono sol­tan­to que­stio­ni di oppor­tu­ni­tà pra­ti­ca e non di nor­ma giu­ri­di­ca o eti­ca. Il sem­pli­ce cri­te­rio di aggres­sio­ne rap­pre­sen­ta una pez­za d’appoggio per la poli­ti­ca social­pa­triot­ti­ca […]»[4].

Anco­ra più chia­ro il suo giu­di­zio al riguar­do in un altro testo, in cui specificava:

«Per defi­ni­re in ogni caso con­cre­to la natu­ra sto­ri­ca e socia­le di una guer­ra non biso­gna basar­si su impres­sio­ni e con­giun­tu­re, ma sull’analisi scien­ti­fi­ca del­la poli­ti­ca che ha pre­ce­du­to e con­di­zio­na­to il con­flit­to stes­so»[5].

E dun­que, alla luce degli ele­men­ti che abbia­mo in pre­ce­den­za sin­te­ti­ca­men­te elen­ca­to, la guer­ra in Ucrai­na può ben esse­re defi­ni­ta non solo e non tan­to “impe­ria­li­sta”, come se si trat­tas­se sol­tan­to di una guer­ra di rapi­na da par­te del­la Rus­sia ai dan­ni del Pae­se con­fi­nan­te, ma anzi “inte­rim­pe­ria­li­sta”[6], per­ché, al di là dell’apparenza dell’aggressione mili­ta­re da par­te del­le trup­pe di Putin, il pro­ces­so bel­li­co si svol­ge in real­tà fra i due cam­pi: la Rus­sia da una par­te e il bloc­co Usa/Nato/Ue dall’altro, con l’Ucraina che svol­ge il ruo­lo di pun­ta di lan­cia del­le poten­ze capi­ta­li­ste occi­den­ta­li nel­la “contro‑aggressione” (se ci è con­sen­ti­to così defi­nir­la)[7] alla Russia.

La con­trad­dit­to­ria (ed erra­ta) posi­zio­ne del Pcl
L’articolo del Pcl da cui abbia­mo pre­so le mos­se per cri­ti­car­ne la tesi par­te anch’esso dal­la con­si­de­ra­zio­ne che la guer­ra in Ucrai­na deli­nea uno scon­tro fra bloc­chi impe­ria­li­sti­ci con­trap­po­sti, sic­ché i rivo­lu­zio­na­ri deb­bo­no adot­ta­re la clas­si­ca paro­la d’ordine “il nemi­co prin­ci­pa­le è in casa nostra”. Eppu­re, dopo tale cor­ret­ta carat­te­riz­za­zio­ne, aggiun­ge un distin­guo: poi­ché nel con­flit­to è con­den­sa­ta anche una “spe­ci­fi­ci­tà nazio­na­le” che «con­trap­po­ne una poten­za impe­ria­li­sta alla nazio­ne ucrai­na, con l’obiettivo dichia­ra­to di negar­ne iden­ti­tà e auto­no­mia […], in que­sto qua­dro, di fron­te a que­sta guer­ra, non pos­sia­mo non pren­de­re posi­zio­ne a dife­sa dell’Ucraina e del suo dirit­to alla resi­sten­za con­tro l’invasione dell’imperialismo rus­so. Ciò in pie­na coe­ren­za con la dife­sa di ogni Pae­se aggre­di­to dall’imperialismo».
Per giu­sti­fi­ca­re sif­fat­to con­trad­dit­to­rio (e non cer­to dia­let­ti­co) distin­guo, il testo ci pro­pi­na una sfil­za di “esem­pi sto­ri­ci” che, a dire dei suoi auto­ri, spie­ghe­reb­be­ro e giu­sti­fi­che­reb­be­ro la pre­sa di posi­zio­ne: per resta­re ai tem­pi più recen­ti, l’Iraq del 1991 e del 2003, la Ser­bia del 1999, l’Argentina del 1982 nel­lo scon­tro con la Gran Bre­ta­gna sul­le Mal­vi­nas; fino a risa­li­re – per dare un peso “teo­ri­co” all’argomentazione – alla dife­sa, da par­te di Lenin, del­la Tur­chia di Kemal Ata­türk con­tro l’imperialismo bri­tan­ni­co e a quel­la, ad ope­ra di Tro­tsky, del­la Cina del Kuo­min­tang nel con­flit­to col Giap­po­ne e del Bra­si­le del rea­zio­na­rio Var­gas sem­pre rispet­to all’imperialismo britannico.
In tal modo, quel­la che si sta svol­gen­do in Ucrai­na non sareb­be più sol­tan­to una guer­ra impe­ria­li­sti­ca “pura”, ma sul ter­re­no del­lo scon­tro arma­to si sta­reb­be dipa­nan­do anche una “guer­ra di libe­ra­zio­ne nazio­na­le”. Anzi, nell’analisi del Pcl, a quest’ultima vie­ne attri­bui­ta una paten­te di “spe­ci­fi­ci­tà” e, addi­rit­tu­ra, di “cen­tra­li­tà”. Nien­te­di­me­no, a que­sto pun­to del testo, la con­clu­sio­ne è che sarem­mo in pre­sen­za di una guer­ra di libe­ra­zio­ne nazio­na­le che “acci­den­tal­men­te” si è incro­cia­ta con un’aggressione mili­ta­re impe­ria­li­sta, e che, lad­do­ve il tea­tro doves­se allar­gar­si fino alla diret­ta entra­ta in sce­na dal pun­to di vista mili­ta­re del­le poten­ze occi­den­ta­li e del­la Nato, solo in quel momen­to la “guer­ra di libe­ra­zio­ne nazio­na­le” si “dis­sol­ve­reb­be” in quel­la inte­rim­pe­ria­li­sti­ca ceden­do­le il posto. E solo allo­ra – e non oggi – i rivo­lu­zio­na­ri potreb­be­ro agi­ta­re la paro­la d’ordine del disfat­ti­smo. Al riguar­do, vie­ne invo­ca­ta una pre­te­sa “simi­li­tu­di­ne” con ana­lo­go atteg­gia­men­to che i bol­sce­vi­chi avreb­be­ro tenu­to di fron­te all’aggressione dell’impero austro‑ungarico ai dan­ni del­la Ser­bia nel 1914.

Arri­va­no i nostri!
Evi­den­te­men­te, l’articolo che stia­mo com­men­tan­do deve ave­re avu­to qual­che riper­cus­sio­ne nel cam­po lar­go del­la sini­stra. Anche da una rapi­da let­tu­ra dei com­men­ti sui social sono appar­se diver­se cri­ti­che a un simi­le atteggiamento.
For­se è per que­sto moti­vo che il Pcl si è sen­ti­to in dove­re di far scen­de­re in cam­po il suo prin­ci­pa­le diri­gen­te, il qua­le ha fir­ma­to per­so­nal­men­te, a sup­por­to del pre­ce­den­te, un lun­go testo[8] nel qua­le ven­go­no addot­ti nume­ro­si esem­pi sto­ri­ci in cui Lenin e i bol­sce­vi­chi han­no agi­ta­to la paro­la d’ordine del­la dife­sa nazio­na­le, del­la guer­ra di libe­ra­zio­ne nazio­na­le e del dirit­to di resi­sten­za: ven­go­no cita­ti i casi dell’Ucraina stes­sa, del­la Fin­lan­dia, del­la Polo­nia, dell’Irlanda (chia­man­do in cau­sa anche Marx), anco­ra una vol­ta del­la Ser­bia del 1914, del­la Cina e del­la Turchia.
E però, tut­ti que­sti esem­pi sono asso­lu­ta­men­te mal posti, in quan­to, come vedre­mo di segui­to, decon­te­stua­liz­za­ti dal­la spe­ci­fi­ca vicen­da storico‑politica che li riguar­da: per cui, a nostro avvi­so, la posi­zio­ne espres­sa nei due testi esa­mi­na­ti sci­vo­la, attra­ver­so la dife­sa di un sup­po­sto “dirit­to di auto­de­ter­mi­na­zio­ne” del­la nazio­ne ucrai­na (che vie­ne ele­va­ta a com­pi­to pri­ma­rio dei comu­ni­sti in que­sta fase), ver­so quel­lo che Lenin defi­ni­va “social­scio­vi­ni­smo”.

Guer­re pro­gres­si­ve e guer­re reazionarie
Dun­que, dal momen­to che le rifles­sio­ni di Lenin sono sta­te mala­men­te spar­se a pie­ne mani, ci per­met­tia­mo anche noi di fare qual­che rife­ri­men­to al pen­sie­ro del gran­de rivo­lu­zio­na­rio russo.
Par­tia­mo da un suo testo basi­la­re, non solo per l’importanza teo­ri­ca che rive­ste, ma per­ché scrit­to nel pie­no del pri­mo anno del­la Pri­ma guer­ra mon­dia­le: si trat­ta dell’opuscolo inti­to­la­to “Il socia­li­smo e la guer­ra”[9].
In esso Lenin distin­gue un tipo di guer­re, effet­ti­va­men­te nazio­na­li, «a carat­te­re bor­ghe­se pro­gres­si­vo, di libe­ra­zio­ne nazio­na­le»[10], che si svol­se­ro spe­cial­men­te fra il 1789 e il 1871 e che ave­va­no come base una lun­ga suc­ces­sio­ne di movi­men­ti nazio­na­li di mas­sa, di lot­te con­tro l’assolutismo e il feu­da­le­si­mo, per l’abbattimento del gio­go nazio­na­le e la crea­zio­ne di Sta­ti su base nazio­na­le, i qua­li costi­tui­va­no la pre­mes­sa del­lo svi­lup­po capi­ta­li­sti­co. Per Lenin, le guer­re «di tale epo­ca» era­no “guer­re difen­si­ve” e si pote­va­no defi­ni­re “guer­re giu­ste”. Solo le guer­re attra­ver­so le qua­li la clas­se ope­ra­ia deve «costi­tuir­si in nazio­ne»[11] sono, appun­to, “giu­ste” e devo­no esse­re patro­ci­na­te dai rivo­lu­zio­na­ri. È per que­sto che Lenin scrive:

«Sol­tan­to in que­sto sen­so i socia­li­sti han­no rico­no­sciu­to e rico­no­sco­no oggi la legit­ti­mi­tà, il carat­te­re pro­gres­si­vo e giu­sto del­la “dife­sa del­la patria” o del­la guer­ra “difen­si­va”. Per esem­pio, se doma­ni il Maroc­co dichia­ras­se guer­ra alla Fran­cia, l’India all’Inghilterra, la Per­sia o la Cina alla Rus­sia, ecc., que­ste sareb­be­ro del­le guer­re “giu­ste”, del­le guer­re “difen­si­ve” indi­pen­den­te­men­te da chi aves­se attac­ca­to per pri­mo, ed ogni socia­li­sta sim­pa­tiz­ze­reb­be per la vit­to­ria degli Sta­ti oppres­si, sog­get­ti e pri­vi di dirit­ti, con­tro le “gran­di” poten­ze schia­vi­ste che oppri­mo­no e depre­da­no. Ma imma­gi­na­te che un padro­ne di cen­to schia­vi guer­reg­gi con un altro che ne pos­sie­de due­cen­to per una più “giu­sta” ripar­ti­zio­ne degli schia­vi stes­si. È chia­ro che, in un simi­le caso, la qua­li­fi­ca di guer­ra “difen­si­va” o di “dife­sa del­la patria” costi­tui­reb­be una fal­si­fi­ca­zio­ne sto­ri­ca e, in pra­ti­ca, solo un ingan­no del popo­lo sem­pli­ce, del­la pic­co­la bor­ghe­sia, del­la gen­te igno­ran­te, da par­te degli astu­ti padro­ni di schia­vi. È pro­prio così che la bor­ghe­sia impe­ria­li­sta del nostro tem­po ingan­na i popo­li, ser­ven­do­si dell’ideologia “nazio­na­le” e del con­cet­to di dife­sa del­la patria nell’attuale guer­ra fra i padro­ni di schia­vi, per il con­so­li­da­men­to ed il raf­for­za­men­to del­la schia­vi­tù»[12].

Ed ecco per­ché subi­to dopo Lenin scri­ve che quel­la «attua­le» (si rife­ri­sce a quel­la scop­pia­ta nel 1914) «è una guer­ra impe­ria­li­sta»: la qua­le, per esse­re sca­te­na­ta dal capi­ta­li­smo mono­po­li­sta, che «da pro­gres­si­vo … è dive­nu­to rea­zio­na­rio»[13], è anch’essa rea­zio­na­ria e nient’affatto pro­gres­si­va come le guer­re del pre­ce­den­te perio­do sto­ri­co. E dun­que, «la que­stio­ne del­la patria […] non si può por­re igno­ran­do il carat­te­re sto­ri­co con­cre­to del­la guer­ra attua­le. È una guer­ra impe­ria­li­sti­ca, cioè una guer­ra dell’epoca del capi­ta­li­smo svi­lup­pa­to­si al mas­si­mo gra­do, dell’epoca del­la fine del capi­ta­li­smo»[14].
L’evoluzione sto­ri­ca, eco­no­mi­ca e socia­le impres­sa dal­la muta­zio­ne del capi­ta­li­smo dell’epoca del­la libe­ra con­cor­ren­za in capi­ta­li­smo mono­po­li­sta ren­de inat­tua­li, o estre­ma­men­te resi­dua­li per il solo caso di Pae­si o popo­li total­men­te oppres­si[15], le lot­te di libe­ra­zio­ne nazio­na­le. Pro­prio per­ché «tut­ta la sto­ria eco­no­mi­ca e diplo­ma­ti­ca degli ulti­mi decen­ni dimo­stra che i due grup­pi di nazio­ni bel­li­ge­ran­ti han­no … pre­pa­ra­to siste­ma­ti­ca­men­te una guer­ra di que­sto gene­re», allo­ra «la que­stio­ne: qua­le è sta­to il grup­po che ha sfer­ra­to il pri­mo col­po mili­ta­re o che ha dichia­ra­to per pri­mo la guer­ra, non ha nes­su­na impor­tan­za nel­la deter­mi­na­zio­ne del­la tat­ti­ca dei socia­li­sti. Le fra­si sul­la dife­sa del­la patria, sul­la resi­sten­za all’invasione nemi­ca, sul­la guer­ra di dife­sa, ecc., sono, da ambo le par­ti, tut­ti rag­gi­ri per ingan­na­re il popo­lo»[16].
Chia­ri­sce bene que­sto con­cet­to anche Trotsky:

«Lo Sta­to nazio­na­le crea­to dal capi­ta­li­smo nel­la sua lot­ta con­tro il regio­na­li­smo medie­va­le è diven­ta­to l’arena clas­si­ca del capi­ta­li­smo. Ma non appe­na ha pre­so for­ma, esso si è tra­sfor­ma­to in un fre­no per lo svi­lup­po eco­no­mi­co e cul­tu­ra­le. La con­trad­di­zio­ne esi­sten­te tra le for­ze pro­dut­ti­ve e la cor­ni­ce del­lo Sta­to nazio­na­le, uni­ta alla con­trad­di­zio­ne prin­ci­pa­le – tra le for­ze pro­dut­ti­ve e la pro­prie­tà pri­va­ta dei mez­zi di pro­du­zio­ne – ha fat­to del­la cri­si del capi­ta­li­smo la cri­si del siste­ma socia­le mon­dia­le. […] La dife­sa del­lo Sta­to nazio­na­le, innan­zi­tut­to nell’Europa bal­ca­niz­za­ta, cul­la del­lo sta­to nazio­na­le, è, nel pie­no sen­so del ter­mi­ne, un obiet­ti­vo rea­zio­na­rio. Lo Sta­to nazio­na­le, con le sue fron­tie­re, i suoi pas­sa­por­ti, il suo siste­ma mone­ta­rio, le sue doga­ne e i suoi doga­nie­ri, si è tra­sfor­ma­to in un ter­ri­bi­le osta­co­lo per lo svi­lup­po eco­no­mi­co e cul­tu­ra­le dell’umanità. Il com­pi­to del pro­le­ta­ria­to non con­si­ste nel­la dife­sa del­lo Sta­to nazio­na­le, ben­sì nel­la sua liqui­da­zio­ne com­ple­ta e defi­ni­ti­va. Se l’attuale Sta­to nazio­na­le costi­tuis­se un fat­to­re pro­gres­si­vo, esso dovreb­be esse­re dife­so indi­pen­den­te­men­te dal­la sua for­ma poli­ti­ca e, benin­te­so, sen­za bada­re a chi ha “inco­min­cia­to” la guer­ra per pri­mo. È assur­do con­fon­de­re la que­stio­ne del­la fun­zio­ne sto­ri­ca del­lo Sta­to nazio­na­le con quel­la del­la “col­pe­vo­lez­za” di un dato gover­no. Ci si può for­se rifiu­ta­re di sal­va­re una casa abi­ta­bi­le sol­tan­to per­ché il fuo­co vi ha attec­chi­to per l’incuria o per la mala inten­zio­ne del suo pro­prie­ta­rio? Ma nel nostro caso si trat­ta pre­ci­sa­men­te di una casa costrui­ta non per viver­ci, ben­sì sem­pli­ce­men­te per morir­vi. Affin­ché i popo­li pos­sa­no vive­re è neces­sa­rio rade­re al suo­lo la strut­tu­ra del­lo Sta­to nazio­na­le. Un “socia­li­sta” che pre­di­chi la dife­sa nazio­na­le è un piccolo‑borghese rea­zio­na­rio al ser­vi­zio del capi­ta­li­smo decli­nan­te. Non legar­si allo Sta­to nazio­na­le in tem­po di guer­ra, non segui­re la map­pa del­la guer­ra ma quel­la del­la lot­ta di clas­se è pos­si­bi­le sol­tan­to a quel par­ti­to che abbia già dichia­ra­to una guer­ra irre­con­ci­lia­bi­le allo Sta­to nazio­na­le in tem­po di pace. È sol­tan­to ren­den­do­si pie­na­men­te con­to del ruo­lo ogget­ti­va­men­te rea­zio­na­rio del­lo Sta­to impe­ria­li­sta che l’avanguardia pro­le­ta­ria può immu­niz­zar­si con­tro tut­ti i tipi di social­pa­triot­ti­smo. Que­sto signi­fi­ca che una rot­tu­ra effet­ti­va con l’ideologia e con la poli­ti­ca del­la “dife­sa nazio­na­le” è pos­si­bi­le sol­tan­to dal pun­to di vista del­la rivo­lu­zio­ne pro­le­ta­ria mon­dia­le»[17].

Esem­pi sto­ri­ci inappropriati
“E va bene” – ci potreb­be esse­re obiet­ta­to – “ma nei testi cri­ti­ca­ti ven­go­no ripor­ta­ti diver­si esem­pi in cui i mar­xi­sti han­no dife­so le lot­te di libe­ra­zio­ne nazio­na­le e la resi­sten­za con­tro un Pae­se aggressore”.
Il fat­to è che in tut­ti i casi ripor­ta­ti, dall’Iraq di Sad­dam Hus­sein, alla Ser­bia di Miloše­vić, dall’Argentina di Gual­tie­ri, alla Tur­chia di Ata­türk, dal­la Cina del Kuo­min­tang, al Bra­si­le di Var­gas (e pos­sia­mo aggiun­ge­re anche l’Etiopia di Hai­lé Selas­sié[18]), non era­va­mo in pre­sen­za di una guer­ra inte­rim­pe­ria­li­sta all’interno del­la qua­le l’aggressione iso­la­ta da par­te di una poten­za impe­ria­li­sta ad un Pae­se dipen­den­te rap­pre­sen­ta­va sol­tan­to un epi­so­dio. Al con­tra­rio, quell’aggressione costi­tui­va da sé sola l’unico e cen­tra­le ele­men­to carat­te­riz­zan­te del con­flit­to o dell’invasione. In que­sti casi – e solo in que­sti casi! – il soste­gno dei rivo­lu­zio­na­ri alla resi­sten­za dei popo­li aggre­di­ti era un atto dovu­to. Era pro­prio quel Lenin così mal­trat­ta­to dai testi che stia­mo qui con­te­stan­do a dir­lo. Rife­ren­do­si infat­ti all’aggressione alla Ser­bia che die­de il via alla Pri­ma guer­ra mon­dia­le, scriveva:

«L’elemento nazio­na­le, nel­la guer­ra attua­le, è rap­pre­sen­ta­to sola­men­te dal­la guer­ra del­la Ser­bia con­tro l’Austria […]. Se que­sta guer­ra fos­se iso­la­ta, vale a dire non col­le­ga­ta con la guer­ra euro­pea e con gli avi­di sco­pi di rapi­na dell’Inghilterra, del­la Rus­sia, ecc., tut­ti i socia­li­sti avreb­be­ro l’obbligo di desi­de­ra­re il suc­ces­so del­la bor­ghe­sia ser­ba. Que­sta è l’unica dedu­zio­ne giu­sta e asso­lu­ta­men­te indi­spen­sa­bi­le, deri­van­te dal fat­to­re nazio­na­le del­la guer­ra attua­le»[19].

Facen­do cor­ret­ta appli­ca­zio­ne di que­sto prin­ci­pio gene­ra­le, Rudolf Kle­ment, segre­ta­rio di Tro­tsky pri­ma in Tur­chia e poi in Fran­cia, e in segui­to diri­gen­te euro­peo del­la Lega comu­ni­sta inter­na­zio­na­le (nuo­va deno­mi­na­zio­ne dell’Opposizione di sini­stra inter­na­zio­na­le e ante­si­gna­na del­la Quar­ta inter­na­zio­na­le), spie­ga­va per­ciò che il soste­gno dei comu­ni­sti alla lot­ta di libe­ra­zio­ne nazio­na­le è un atto dovu­to sol­tan­to quan­do la guer­ra di aggres­sio­ne rap­pre­sen­ta un ele­men­to iso­la­to e non inve­ce quan­do costi­tui­sce un tas­sel­lo del­la più com­po­si­ta guer­ra inte­rim­pe­ria­li­sta: per­ché «solo quan­do la lot­ta è impe­ria­li­sta da un solo lato, e dall’altro lato è una guer­ra di libe­ra­zio­ne di nazio­ni non impe­ria­li­ste […] – così come nel­le guer­re civi­li tra le clas­si o tra la demo­cra­zia e il fasci­smo – il pro­le­ta­ria­to inter­na­zio­na­le non può e non deve appli­ca­re la stes­sa tat­ti­ca ver­so entram­be le par­ti in lot­ta[20]. Rico­no­scen­do il carat­te­re pro­gres­si­vo di que­sta guer­ra di libe­ra­zio­ne, il pro­le­ta­ria­to inter­na­zio­na­le deve com­bat­te­re con deci­sio­ne con­tro il nemi­co prin­ci­pa­le, l’imperialismo rea­zio­na­rio (o, nel caso di una guer­ra civi­le, con­tro il cam­po rea­zio­na­rio), deve cioè lot­ta­re per la vit­to­ria dei poli­ti­ca­men­te o social­men­te oppres­si […]. Anche in que­sti casi, tut­ta­via, esso è pro­fon­da­men­te con­sa­pe­vo­le del­la sua incon­ci­lia­bi­le oppo­si­zio­ne di clas­se alla “pro­pria” bor­ghe­sia […] e non rinun­cia a nes­su­na del­le sue posi­zio­ni indi­pen­den­ti […]»[21]. Gli esem­pi sto­ri­ci ripor­ta­ti fuo­ri con­te­sto dal Pcl e dal com­pa­gno Fer­ran­do, al con­tra­rio, depon­go­no ine­qui­vo­ca­bil­men­te con­tro la tesi da loro soste­nu­ta, per­ché l’odierna aggres­sio­ne all’Ucraina da par­te del­la Rus­sia non rap­pre­sen­ta affat­to un ele­men­to iso­la­to, ma è sol­tan­to una tes­se­ra – e nem­me­no la più impor­tan­te – del mosai­co del­la guer­ra inte­rim­pe­ria­li­sta che il bloc­co Usa/Nato/Ue sta com­bat­ten­do con­tro l’altro cam­po, quel­lo rus­so. Sic­ché, del­le due l’una: o il Pcl riaf­fer­ma il carat­te­re inte­rim­pe­ria­li­sta di que­sta guer­ra, e allo­ra deve pra­ti­ca­re il disfat­ti­smo rivo­lu­zio­na­rio get­tan­do alle orti­che la riven­di­ca­zio­ne del dirit­to alla resi­sten­za e la dife­sa del­lo Sta­to nazio­na­le ucrai­no così mala­men­te richia­ma­te; oppu­re con­fer­ma che si trat­ta di guer­ra di libe­ra­zio­ne e di indi­pen­den­za nazio­na­le da par­te dell’Ucraina, ma deve cam­bia­re la carat­te­riz­za­zio­ne gene­ra­le del­la guerra.
Stu­pi­sce, insom­ma, dover esse­re costret­ti a spie­ga­re una veri­tà così ele­men­ta­re, da ABC del mar­xi­smo. Ma tant’è. E non essen­do noi all’altezza di dir­lo con paro­le miglio­ri, non ci resta che ricor­re­re a quel­le, ine­qui­vo­ca­bi­li, di Trotsky:

«Ogni qual­vol­ta le for­ze con­tro­ri­vo­lu­zio­na­rie cer­che­ran­no di ritor­na­re indie­tro dal­lo Sta­to “demo­cra­ti­co” ver­so il par­ti­co­la­ri­smo pro­vin­cia­le, ver­so la monar­chia, la dit­ta­tu­ra mili­ta­re, il fasci­smo, il pro­le­ta­ria­to rivo­lu­zio­na­rio, sen­za assu­mer­si la ben­ché mini­ma respon­sa­bi­li­tà per la “dife­sa” del­la demo­cra­zia (che non è difen­di­bi­le), con­trap­por­rà a que­ste for­ze con­tro­ri­vo­lu­zio­na­rie una resi­sten­za arma­ta per diri­ge­re la pro­pria offen­si­va, in caso di suc­ces­so, con­tro la “demo­cra­zia” impe­ria­li­sti­ca. Que­sta poli­ti­ca, tut­ta­via, vale solo per i con­flit­ti inter­ni, cioè nei casi in cui la posta del­la lot­ta sia effet­ti­va­men­te il regi­me poli­ti­co: così, per esem­pio, si è pre­sen­ta­ta la que­stio­ne in Spa­gna. La par­te­ci­pa­zio­ne degli ope­rai spa­gno­li alla lot­ta con­tro Fran­co era un loro dove­re ele­men­ta­re. Ma appun­to per­ché gli ope­rai non sono riu­sci­ti a sosti­tui­re a tem­po il pote­re del­la demo­cra­zia bor­ghe­se con il loro pote­re, la “demo­cra­zia” ha cedu­to il posto al fasci­smo. È, però, sem­pli­ce­men­te ingan­ne­vo­le e ciar­la­ta­ne­sco esten­de­re le leg­gi e le rego­le del­la lot­ta tra le varie clas­si all’interno di un Pae­se alla guer­ra impe­ria­li­sta, cioè alla lot­ta di una stes­sa clas­se di diver­si Pae­si. Attual­men­te, a quan­to sem­bra, non c’è biso­gno di dimo­stra­re che gli impe­ria­li­sti lot­ta­no gli uni con­tro gli altri non per prin­ci­pi poli­ti­ci, ma per il domi­nio del mon­do, die­tro la coper­tu­ra di prin­ci­pi che con­si­de­ra­no con­ve­nien­ti»[22].

Una guer­ra “non pura­men­te” impe­ria­li­sta? Il caso del­la Serbia
Il fat­to è che la posi­zio­ne espres­sa dai com­pa­gni del Pcl non è sto­ri­ca­men­te nuova.
Lenin si tro­vò a con­te­sta­re effi­ca­ce­men­te una tesi asso­lu­ta­men­te simi­le espo­sta da Kau­tsky, il qua­le rite­ne­va che la guer­ra scop­pia­ta nel 1914 non fos­se “pura­men­te impe­ria­li­sta”: «Un nuo­vo sofi­sma e un nuo­vo ingan­no per gli ope­rai: vede­te – scri­ve Lenin – la guer­ra non è “pura­men­te” impe­ria­li­sta! […] Ma allo­ra che cosa dia­mi­ne è? Venia­mo a sape­re che essa è anche … nazio­na­le!». Per lui si trat­ta di «un altro esem­pio di pro­sti­tu­zio­ne del mar­xi­smo», dato che «la guer­ra attua­le … non libe­ra alcu­na nazio­ne e …, indi­pen­den­te­men­te dal suo esi­to, ne asser­vi­rà parec­chie […]. Il fat­to­re nazio­na­le del­la guer­ra serbo‑austriaca non ha e non può ave­re alcu­na seria impor­tan­za nel­la guer­ra euro­pea». Qua­lun­que risul­ta­to si fos­se potu­to ipo­tiz­za­re – vit­to­ria dell’uno o dell’altro cam­po, o un sostan­zia­le “pareg­gio”, dice Lenin – «per la Ser­bia, ossia per que­sta cen­te­si­ma par­te dei par­te­ci­pan­ti alla guer­ra odier­na, la guer­ra è la “con­ti­nua­zio­ne del­la poli­ti­ca” del movi­men­to di libe­ra­zio­ne bor­ghe­se. Per il resto (99 per cen­to) la guer­ra è la con­ti­nua­zio­ne del­la poli­ti­ca impe­ria­li­sta, ossia del­la poli­ti­ca di una bor­ghe­sia giun­ta allo sta­to di sene­scen­za, la qua­le è capa­ce di vio­len­ta­re le nazio­na­li­tà e non di libe­rar­le. […] Per­ciò, ram­men­ta­re che la guer­ra non è “pura­men­te” impe­ria­li­sta quan­do si trat­ta di un ver­go­gno­so ingan­no del­le “mas­se popo­la­ri” da par­te degli impe­ria­li­sti, i qua­li nascon­do­no deli­be­ra­ta­men­te i loro sco­pi di pura rapi­na con una fra­seo­lo­gia “nazio­na­le”, signi­fi­ca esse­re un pedan­te infi­ni­ta­men­te ottu­so oppu­re un fro­da­to­re e un imbro­glio­ne»[23].
E così pure, non è sto­ri­ca­men­te nuo­vo il ten­ta­ti­vo di “tira­re per la giac­chet­ta” il pove­ro Karl Marx e uti­liz­zar­ne l’autorità allo sco­po di sup­por­ta­re una tesi che altri­men­ti non sta in piedi.
Sem­pre Lenin sma­sche­rò que­sta mano­vra nel testo “Il socia­li­smo e la guer­ra” già cita­to (nota 9), un cui para­gra­fo signi­fi­ca­ti­va­men­te si inti­to­la “Fal­si richia­mi a Marx e a Engels”:

«Tut­te que­ste cita­zio­ni rap­pre­sen­ta­no di per sé una ripu­gnan­te defor­ma­zio­ne a pro­fit­to del­la bor­ghe­sia e degli oppor­tu­ni­sti, del­le teo­rie di Marx ed Engels […]. Chi si richia­ma ades­so all’atteggiamento di Marx ver­so le guer­re del perio­do pro­gres­si­vo del­la bor­ghe­sia e dimen­ti­ca le paro­le di Marx: “gli ope­rai non han­no patria” – paro­le che si rife­ri­sco­no pre­ci­sa­men­te all’epoca del­la bor­ghe­sia rea­zio­na­ria, supe­ra­ta, all’epoca del­la rivo­lu­zio­ne socia­li­sta – defor­ma spu­do­ra­ta­men­te Marx e sosti­tui­sce al pun­to di vista socia­li­sta il pun­to di vista bor­ghe­se»[24].

E anche un altro argo­men­to tira­to in bal­lo nei due testi che stia­mo com­men­tan­do è parec­chio “clau­di­can­te”: quel­lo per cui, quan­do la Ser­bia fu attac­ca­ta dall’Austria, i bol­sce­vi­chi dife­se­ro con­tro l’imperialismo austria­co i dirit­ti nazio­na­li del­la Ser­bia nono­stan­te i suoi for­ti lega­mi con la Rus­sia zarista.
Dob­bia­mo can­di­da­men­te con­fes­sa­re che non cono­scia­mo i testi dai qua­li gli auto­ri dei due arti­co­li han­no trat­to le ragio­ni fon­da­ti­ve di una simi­le affer­ma­zio­ne. Per quan­to ci con­sti, i dirit­ti nazio­na­li del­la Ser­bia era­no sta­ti dife­si dai bol­sce­vi­chi in tut­to il lun­go perio­do di incu­ba­zio­ne del­la guer­ra inte­rim­pe­ria­li­sti­ca[25], ma sem­pre e solo nei limi­ti espres­si da Lenin negli scrit­ti ai qua­li fino ad ora abbia­mo fat­to rife­ri­men­to. E però, voler far cre­de­re che i bol­sce­vi­chi sia­no sta­ti fau­to­ri del­la “dife­sa del­la patria” il 30 luglio 1914 (gior­no dell’ingresso del­le trup­pe austroun­ga­ri­che a Sara­je­vo), e che abbia­no poi abban­do­na­to que­sta riven­di­ca­zio­ne il 4 ago­sto suc­ces­si­vo abbrac­cian­do inve­ce la tesi del disfat­ti­smo rivo­lu­zio­na­rio, signi­fi­ca dipin­ger­li come ban­de­ruo­le al ven­to, eclet­ti­ci e impres­sio­ni­sti pri­vi di sal­di prin­ci­pi inter­na­zio­na­li­sti. E infat­ti sareb­be basta­to rife­rir­si alle paro­le con cui Lenin par­la­va del “Mani­fe­sto di Basi­lea” adot­ta­to nel 1912 dal­la Secon­da Inter­na­zio­na­le[26] per non soste­ne­re una simi­le amenità.
Per quan­to ci riguar­da, ci rifac­cia­mo inve­ce al “Mani­fe­sto dei socia­li­sti di Tur­chia e dei Bal­ca­ni” (14 otto­bre 1912) in cui i pic­co­li par­ti­ti bal­ca­ni­ci denun­cia­va­no aper­ta­men­te «l’ideale san­gui­no­so del­le nazio­na­li­tà»[27]. E se è vero che il 1° ago­sto 1914, votan­do nel par­la­men­to ser­bo con­tro i cre­di­ti di guer­ra, il depu­ta­to socia­li­sta Dra­giša Lapče­vić (che era addi­rit­tu­ra un anti­bol­sce­vi­co e segua­ce di Kau­tsky!) rila­sciò una dichia­ra­zio­ne nel­la qua­le rivol­ge­va al pro­prio gover­no l’accusa di «aver fat­to del­la Ser­bia un pon­te tra la Rus­sia e la Fran­cia e uno stru­men­to di cui que­sti Pae­si si ser­vo­no per i loro pro­pri inte­res­si»[28], allo­ra è dav­ve­ro pro­prio dif­fi­ci­le imma­gi­na­re che i bol­sce­vi­chi fos­se­ro – per come ci ven­go­no pre­sen­ta­ti nei due testi che stia­mo com­men­tan­do – alla retro­guar­dia di que­sti socia­li­sti serbi.
Né pos­sia­mo fare a meno di osser­va­re come Tro­tsky abbia descrit­to la situa­zio­ne in Ser­bia, da lui vis­su­ta sul campo:

«I socia­li­sti era­no influen­za­ti nel­la loro con­dot­ta da diver­se ragio­ni. Innan­zi­tut­to, il pro­le­ta­ria­to, ben­ché non discu­tes­se il dirit­to sto­ri­co del­la Ser­bia di sfor­zar­si per otte­ne­re la sua unio­ne nazio­na­le, non pote­va affi­da­re la solu­zio­ne di que­sto pro­ble­ma ai pote­ri che allo­ra reg­ge­va­no i desti­ni del regno ser­bo. In secon­do luo­go (e que­sto era per noi un fat­to­re deci­si­vo), la social­de­mo­cra­zia inter­na­zio­na­le non pote­va sacri­fi­ca­re la pace in Euro­pa alla cau­sa nazio­na­le dei ser­bi […]. In altre paro­le, per noi socia­li­sti non c’era la mini­ma ragio­ne per iden­ti­fi­ca­re la nostra cau­sa con quel­la dell’esercito ser­bo. Que­sta era l’idea che ani­ma­va i socia­li­sti ser­bi Lapče­vić e Kacle­ro­vić quan­do deci­se­ro eroi­ca­men­te di vota­re con­tro i cre­di­ti di guer­ra».

E, di segui­to, spie­ga che, dopo l’attentato all’arciduca Fran­ce­sco Fer­di­nan­do e l’ultimatum che l’Austria‑Ungheria die­de alla Ser­bia, la guer­ra ven­ne lo stes­so dichia­ra­ta dall’impero asbur­gi­co nono­stan­te le straor­di­na­rie con­ces­sio­ni da par­te del gover­no serbo:

«Se l’idea di “guer­ra di dife­sa” – dice Tro­tsky – ha un qual­che signi­fi­ca­to, in que­sto caso avreb­be dovu­to esse­re appli­ca­ta alla Ser­bia. Tut­ta­via, i nostri ami­ci Lapče­vić e Kacle­ro­vić, fer­mi nel­la loro con­vin­zio­ne del­la linea di con­dot­ta che come socia­li­sti dove­va­no tene­re, nega­ro­no il voto di fidu­cia al gover­no. Chi scri­ve si tro­va­va in Ser­bia all’inizio del­la guer­ra. Nel­la Sku­p­chi­na (il par­la­men­to ser­bo: N.d.A.), in un’atmosfera di inde­scri­vi­bi­le entu­sia­smo, fu sol­le­ci­ta­to un voto per i cre­di­ti di guer­ra. La vota­zio­ne fu nomi­na­le. Due­cen­to mem­bri rispo­se­ro affer­ma­ti­va­men­te. Allo­ra, in un momen­to di gran­de silen­zio, si udì la voce del socia­li­sta Lapče­vić, che dis­se: “No!”. Tut­ti avver­ti­ro­no la for­za mora­le di que­sta pro­te­sta ed io ho con­ser­va­to, inci­so inde­le­bil­men­te nel­la mia memo­ria, il ricor­do di que­sta sce­na»[29].

Tra­sfor­ma­re la guer­ra impe­ria­li­sta in guer­ra civile
Insom­ma, al ter­mi­ne di que­sta lun­ga caval­ca­ta tra i testi dei gran­di pen­sa­to­ri mar­xi­sti che si sono tro­va­ti a fron­teg­gia­re una real­tà – la guer­ra inte­rim­pe­ria­li­sta che sfo­ciò poi nel­la Pri­ma guer­ra mon­dia­le – che ha diver­si pun­ti di con­tat­to con la situa­zio­ne che stia­mo viven­do in que­ste set­ti­ma­ne, pos­sia­mo con­clu­de­re che la posi­zio­ne espres­sa dal Pcl – dare cen­tra­li­tà a una pre­te­sa guer­ra di libe­ra­zio­ne nazio­na­le dell’Ucraina aggre­di­ta a sca­pi­to del neces­sa­rio disfat­ti­smo rivo­lu­zio­na­rio – è pro­fon­da­men­te erra­ta per le ragio­ni che infi­ni­ta­men­te meglio di noi han­no espo­sto quei gran­di pen­sa­to­ri. E l’errore di que­sta posi­zio­ne è reso in tut­ta la sua evi­den­za in ciò: che il Pcl con­si­de­ra che nel­la fase attua­le quel­la in esse­re sia «una guer­ra di dife­sa del­l’U­crai­na con­tro un’aggressione impe­ria­li­sta» e che se vi fos­se «un arre­tra­men­to del­la Rus­sia sul ter­re­no diplo­ma­ti­co in dire­zio­ne del­la dife­sa dei vec­chi accor­di di Min­sk, e […] il gover­no ucrai­no deci­des­se, in quel con­te­sto, la pro­se­cu­zio­ne del­la guer­ra con­tro la Rus­sia», allo­ra e solo allo­ra la pre­te­sa “guer­ra difen­si­va” dell’Ucraina si tra­sfor­me­reb­be in una guer­ra offen­si­va del Pae­se aggre­di­to, «col soste­gno NATO con­tro la Rus­sia». E solo in quel caso «si impor­reb­be una posi­zio­ne di disfat­ti­smo bila­te­ra­le»[30].
Si trat­ta di un pale­se esem­pio di mio­pia poli­ti­ca nel qua­dro di una let­tu­ra impres­sio­ni­sti­ca del­la vicen­da ucrai­na. Come si fa, infat­ti, a non vede­re che la guer­ra offen­si­va del bloc­co Usa/Nato/Ue con­tro la Rus­sia è già ini­zia­ta con l’Ucraina che assol­ve al ruo­lo di fan­te­ria d’assalto? Solo per­ché le poten­ze occi­den­ta­li non voglio­no dichia­ra­re la no‑fly zone, come gli stes­si testi del Pcl sosten­go­no? Come si fa a dichia­ra­re che «oggi resta all’ordine del gior­no la guer­ra del­la Rus­sia con­tro l’Ucraina e il dirit­to di resi­sten­za ucrai­na alla Rus­sia» quan­do inve­ce le poten­ze occi­den­ta­li – e l’Italia tra esse – stan­no rifor­nen­do l’Ucraina, e non da oggi, di armi leta­li e tec­no­lo­gi­ca­men­te avan­za­te per­ché com­bat­ta per loro con­to la guer­ra per la pene­tra­zio­ne dei loro capi­ta­li sem­pre più ad est? E no, cari com­pa­gni del Pcl! All’ordine del gior­no c’è pro­prio la guer­ra inte­rim­pe­ria­li­sta che vie­ne com­bat­tu­ta, come abbia­mo già det­to “per inter­po­sta nazione”.
Sia chia­ro: come affer­ma­va Tro­tsky, «la clas­se ope­ra­ia non è indif­fe­ren­te alla sua nazio­ne». Ma, aggiun­ge­va, «è pro­prio per­ché la sto­ria pone tra le sue mani il desti­no del­la nazio­ne che la clas­se ope­ra­ia rifiu­ta di affi­da­re l’obiettivo del­la liber­tà e dell’indipendenza nazio­na­li all’imperialismo, il qua­le “sal­va” la nazio­ne sol­tan­to per sot­to­por­la il gior­no dopo a nuo­vi peri­co­li mor­ta­li nell’interesse di un’insignificante mino­ran­za di sfrut­ta­to­ri»[31]. Ed è evi­den­te che una posi­zio­ne come quel­la che stia­mo qui cri­ti­can­do fini­sce per affi­da­re pro­prio al bloc­co impe­ria­li­sta Usa/Nato/Ue la “sal­vez­za” dell’Ucraina.
Cre­dia­mo per­ciò che il cri­te­rio che deve orien­ta­re i rivo­lu­zio­na­ri nell’attuale sce­na­rio di guer­ra non deb­ba esse­re un ridut­ti­vo “Né con la Rus­sia, né con la Nato”. È neces­sa­rio inve­ce impri­me­re a que­sto slo­gan poco effi­ca­ce una for­za diver­sa e poten­zial­men­te dirom­pen­te. E dun­que, per quan­to riguar­da l’Italia, “CONTRO la Rus­sia e CONTRO la Nato. E per­ciò, CONTRO l’Italia!”.
Noi dob­bia­mo pun­ta­re, appli­can­do il disfat­ti­smo rivo­lu­zio­na­rio, sul­la scon­fit­ta poli­ti­ca – e pos­si­bil­men­te mili­ta­re – del­la “nostra bor­ghe­sia”. Ana­lo­ga­men­te dovreb­be­ro com­por­tar­si i pro­le­ta­ri sta­tu­ni­ten­si, fran­ce­si, tede­schi, spa­gno­li e di ogni altro Pae­se euro­peo impli­ca­to (sia pure anco­ra non aper­ta­men­te) nel­la guer­ra in Ucrai­na. Ma soprat­tut­to il disfat­ti­smo rivo­lu­zio­na­rio è com­pi­to che incom­be prin­ci­pal­men­te sul pro­le­ta­ria­to del Pae­se inva­so­re uti­liz­zan­do i meto­di del­la lot­ta di clas­se (bloc­co del­la pro­du­zio­ne, soprat­tut­to mili­ta­re e di ogni altro bene o ser­vi­zio che sia fun­zio­na­le all’aggressione e alla sua pro­se­cu­zio­ne; boi­cot­tag­gio del tra­spor­to di armi ver­so il tea­tro di guer­ra; agi­ta­zio­ne in favo­re del Pae­se aggre­di­to e con­tro il pro­prio): a ben vede­re, è que­sta l’unica for­ma di con­cre­to e vali­do aiu­to che il pro­le­ta­ria­to rus­so può for­ni­re ai lavo­ra­to­ri e alle mas­se popo­la­ri ucraine.
E nep­pu­re sfug­go­no a quest’obbligazione i pro­le­ta­ri ucrai­ni, i qua­li dovreb­be­ro com­bi­na­re meto­di di guer­ra civi­le con­tro il pro­prio gover­no: inde­bo­len­do­lo sul ver­san­te poli­ti­co ed eco­no­mi­co e disar­ti­co­lan­do il pro­prio eser­ci­to con il disar­mo del­le ban­de para­mi­li­ta­ri nazi­ste in esso inte­gra­te, crean­do inve­ce distac­ca­men­ti ope­rai arma­ti per l’autodifesa. È que­sto, infat­ti, l’autentico sen­so del­la dife­sa nazio­na­le: la dife­sa, cioè, del­la pro­pria casa, del­la pro­pria fami­glia e del­la pro­pria vita; non inve­ce – per­ché è que­sto ciò che si sta dipa­nan­do sul ter­re­no del­lo scon­tro mili­ta­re – la dife­sa del­la poli­ti­ca del­la pro­pria bor­ghe­sia, quan­tun­que sia in que­sto momen­to attac­ca­ta da un’altra bor­ghe­sia meglio arma­ta e più aggressiva.
Quan­do Lenin soste­ne­va che “la scon­fit­ta è il male mino­re” non inten­de­va dire che la scon­fit­ta del pro­prio Pae­se è un male mino­re rispet­to alla scon­fit­ta del Pae­se inva­so­re, ma che una scon­fit­ta mili­ta­re risul­tan­te dal­lo svi­lup­po del movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio è infi­ni­ta­men­te più bene­fi­ca per il pro­le­ta­ria­to e per tut­to il popo­lo, rispet­to a una vit­to­ria mili­ta­re che però per­pe­tui la schia­vi­tù dei lavo­ra­to­ri ad ope­ra del­la pro­pria borghesia.
Insom­ma, è que­sto il signi­fi­ca­to del­la paro­la d’ordine del­la tra­sfor­ma­zio­ne del­la guer­ra impe­ria­li­sta in guer­ra civi­le. E rap­pre­sen­ta il nucleo del com­pi­to stra­te­gi­co dei rivo­lu­zio­na­ri duran­te la guerra.
Anche in questa.


Note

[1] Si trat­ta dell’articolo pub­bli­ca­to sul sito del Par­ti­to comu­ni­sta dei lavo­ra­to­ri (Pcl), inti­to­la­to “Guer­ra impe­ria­li­sta, guer­ra nazio­na­le e resi­sten­za in Ucrai­na”.
[2] Una guer­ra che è “sot­ter­ra­nea” sol per­ché le poten­ze occi­den­ta­li allo sta­to non pos­so­no e non voglio­no (anco­ra) inter­ve­ni­re diret­ta­men­te sul cam­po di bat­ta­glia e che per­ciò è basa­ta sull’armamento diret­to del gover­no Zelens’kyj – che non è solo di que­ste set­ti­ma­ne, ma dura da anni – e su un pac­chet­to di pesan­ti san­zio­ni eco­no­mi­che e finan­zia­rie le qua­li, pur river­be­ran­do­si con­trad­dit­to­ria­men­te sul­le eco­no­mie degli stes­si Pae­si euro­pei che le sosten­go­no (e non cer­ta­men­te, o solo in misu­ra dav­ve­ro resi­dua­le, degli Usa), appa­io­no par­ti­co­lar­men­te inci­si­ve ai dan­ni del­la Rus­sia, ben­ché per ora Putin dispon­ga del­le risor­se per far­vi fron­te in qual­che modo.
[3] «La vita del capi­ta­li­smo mono­po­li­sta del­la nostra epo­ca è una cate­na di cri­si. Ognu­na del­le cri­si è una cata­stro­fe. La neces­si­tà di sfug­gi­re a que­ste cata­stro­fi par­zia­li median­te bar­rie­re doga­na­li, l’inflazione, l’aumento del­le spe­se gover­na­ti­ve e del debi­to spia­na la stra­da ad altre cri­si più pro­fon­de e più este­se. La lot­ta per nuo­vi mer­ca­ti, mate­rie pri­me e colo­nie ren­de ine­vi­ta­bi­li le cata­stro­fi mili­ta­ri. E que­ste ulti­me pre­pa­ra­no ine­lut­ta­bil­men­te cata­stro­fi rivo­lu­zio­na­rie» (L. Tro­tsky, “Le mar­xi­sme et notre épo­que”, 26 feb­bra­io 1939, in Œuvres, vol. 20, Insti­tut Léon Tro­tsky, p. 166.
[4] L. Tro­tsky, “La guer­re et la IVe Inter­na­tio­na­le, 10 giu­gno 1934, in op. ult. cit., vol. 4, pp. 58‑59 e 65.
[5] L. Tro­tsky, “Une leçon tou­te fraî­che (Sur le carac­tè­re de la guer­re pro­chai­ne)”, 10 otto­bre 1938, in op. ult. cit., vol. 19, pp. 53 e segg. Estrat­ti di que­sto testo si tro­va­no, in ita­lia­no, nel volu­met­to L. Tro­tsky, Guer­ra e rivo­lu­zio­ne, Arnol­do Mon­da­do­ri Edi­to­re, 1973, pp. 24 e segg. con il tito­lo “Dopo la ‘pace’ impe­ria­li­sta di Monaco”.
[6] Per “inte­rim­pe­ria­li­sta” non inten­dia­mo il con­flit­to arma­to tra Rus­sia e Ucrai­na, dal momen­to che è del tut­to evi­den­te che quest’ultima non può esse­re sus­sun­ta nel­la cate­go­ria di “poten­za colo­nia­le” o di “poten­za del capi­ta­le finan­zia­rio”; né si può dire, per far­ve­la rien­tra­re, che essa sfrut­ti altri Pae­si attra­ver­so l’interscambio disu­gua­le, o il debi­to este­ro, o attra­ver­so gli inve­sti­men­ti este­ri. Si trat­ta inve­ce, in buo­na sostan­za, di un Pae­se capi­ta­li­sta dipen­den­te. In que­sto sen­so, la guer­ra, sul pia­no del­la rela­zio­ne bel­li­ca fra Rus­sia e Ucrai­na, non può esse­re defi­ni­ta “inte­rim­pe­ria­li­sta”, pro­prio per­ché, come appe­na det­to, l’Ucraina non è un Pae­se impe­ria­li­sta. Ma la guer­ra è sì inte­rim­pe­ria­li­sta sul diver­so pia­no del­lo scon­tro fra un cam­po (Rus­sia) e l’altro (bloc­co Usa/Nato/Ue), come imme­dia­ta­men­te spie­ghia­mo nel testo.
[7] Uti­liz­zia­mo que­sta espres­sio­ne solo per resta­re ai fat­ti del­le ulti­me set­ti­ma­ne: in real­tà, com’è noto, le mire espan­sio­ni­sti­che ver­so est del­le poten­ze occi­den­ta­li, che rap­pre­sen­ta­no uno degli ele­men­ti carat­te­riz­zan­ti la guer­ra in cor­so, era­no ini­zia­te già da mol­to tem­po, addi­rit­tu­ra da pri­ma del­le pro­te­ste di Piaz­za Mai­dan. Già nel 1997, nel suo libro The grand chessboard, Zbi­gniew Brze­zin­ski, con­si­glie­re per la sicu­rez­za degli Sta­ti Uni­ti, soste­ne­va che l’Ucraina sareb­be sta­ta l’ultima fron­tie­ra dell’Europa ver­so est e che la sua scel­ta fra Ue e Rus­sia avreb­be deter­mi­na­to una vol­ta per tut­te una redi­stri­bu­zio­ne glo­ba­le del­le for­ze nel­lo sce­na­rio mon­dia­le, aggiun­gen­do che l’Ucraina avreb­be dovu­to pre­pa­rar­si per una discus­sio­ne seria con la Nato. Non solo: nel dicem­bre 2013, al ter­mi­ne dell’incontro del­la Com­mis­sio­ne bila­te­ra­le Nato‑Ucraina, il gene­ra­le Ale­xan­der Ver­sh­bow, all’epoca nume­ro due del­la Nato, dichia­rò che il futu­ro dell’Ucraina sareb­be sta­to in Euro­pa; e il suo por­ta­vo­ce aggiun­se che un’Ucraina sta­bi­le e indi­pen­den­te sareb­be sta­ta fon­da­men­ta­le per la sicu­rez­za europea.
[8] M. Fer­ran­do, “Lenin e l’Ucraina. La que­stio­ne nazio­na­le e la guer­ra”, 20 mar­zo 2022.
[9] V.I. Lenin, “Il socia­li­smo e la guer­ra”, in Ope­re, vol. 21, Edi­zio­ni Lot­ta comu­ni­sta, pp. 269 e ss.
[10] Ivi, p. 274.
[11] K. Marx, F. Engels, Mani­fe­sto del par­ti­to comu­ni­sta, Edi­to­ri Riu­ni­ti, 1996, p. 31.
[12] V.I. Lenin, op. cit., pp. 274‑275.
[13] Ibi­dem.
[14] V.I. Lenin, “Situa­zio­ne e com­pi­ti dell’Internazionale, in Ope­re, cit., vol. 21., p. 30.
[15] Pos­sia­mo pen­sa­re, ad esem­pio, alla que­stio­ne pale­sti­ne­se, o a quel­le kur­da o sahrawi.
[16] V.I. Lenin, Con­fe­ren­za del­le sezio­ni este­re del Posdr, in Ope­re, cit., vol. 21., p. 142.
[17] L. Tro­tsky, “La guer­re et la IVe Inter­na­tio­na­le, cit., pp. 54‑55.
[18] L. Tro­tsky, “Le con­flit italo‑éthiopien”, 17 luglio 1935, in Œuvres, cit., vol. 6, p. 51.
[19] V.I. Lenin, “Il fal­li­men­to del­la II Inter­na­zio­na­le”, maggio‑giugno 1915, in Ope­re, cit., vol. 21, p. 210.
[20] Kle­ment si rife­ri­sce qui alla tat­ti­ca del disfat­ti­smo rivoluzionario.
[21] R. Kle­ment, “Prin­ci­ples and Tac­tics in War”, in The New Inter­na­tio­nal, vol. 4, n. 4, mag­gio 1938, pp.144 e ss. Que­sto testo fu pub­bli­ca­to dopo esse­re sta­to per­so­nal­men­te rivi­sto da Tro­tsky che sug­ge­rì alcu­ne modi­fi­che. Kle­ment fu assas­si­na­to da sica­ri del­la Nkvd sta­li­nia­na pre­su­mi­bil­men­te dopo il 12 luglio 1938, quan­do ven­ne rapi­to. Il suo cada­ve­re, smem­bra­to, fu ritro­va­to nel­la Sen­na ver­so la fine di agosto.
[22] L. Tro­tsky, “Une leçon tou­te fraî­che (Sur le carac­tè­re de la guer­re pro­chai­ne)”, cit., pp. 67‑68. Le evi­den­zia­zio­ni sono nostre.
[23] V.I. Lenin, “Il fal­li­men­to del­la II Inter­na­zio­na­le”, cit., pp. 210‑213.
[24] V.I. Lenin, “Il socia­li­smo e la guer­ra”, cit., pp. 281‑282.
[25] Come infat­ti sostie­ne G.D.H. Cole nel­la sua monu­men­ta­le Sto­ria del pen­sie­ro socia­li­sta (Edi­to­ri Later­za, vol. III, 1, pp. 120‑121), «nel con­si­de­ra­re la situa­zio­ne nel suo com­ples­so non biso­gna pen­sa­re che tut­to fos­se comin­cia­to con l’assassinio di Sara­je­vo; quel­la situa­zio­ne va vista inve­ce come la fase fina­le di una guer­ra fred­da inter­na­zio­na­le mol­to com­ples­sa, che si pro­trae­va ormai da parec­chi anni peg­gio­ran­do di gior­no in gior­no, e che da tem­po i diri­gen­ti socia­li­sti stu­dia­va­no con sem­pre mag­gio­re pre­oc­cu­pa­zio­ne. Die­tro la con­tro­ver­sia austro‑serba c’era la lun­ga sto­ria del­le riva­li­tà impe­ria­li­sti­che nei Bal­ca­ni, in cui era­no impli­ca­te non solo la Rus­sia e l’Austria‑Ungheria, ma anche la Ger­ma­nia e la Gran Bre­ta­gna […]».
[26] V.I. Lenin, op. ult. cit., p. 281.
[27] Cit. da M. Rébé­rioux, “Il dibat­ti­to sul­la guer­ra”, in E.J. Hob­sba­wn e altri, Sto­ria del mar­xi­smo, vol. II, p. 923. Dal can­to suo, l’autrice del sag­gio “La Fédé­ra­tion con­tre l’alliance mili­tai­re: les socia­li­stes bal­ka­ni­ques et les guer­res bal­ka­ni­ques” (Le Mou­ve­ment Social, n. 147, aprile‑giugno 1989, Les Édi­tions ouvriè­res, Pari­gi, pp. 69‑70), J. Damia­no­va, osser­va che «il Mani­fe­sto non fu un atto iso­la­to, né una dichia­ra­zio­ne for­ma­le. Alla vigi­lia del­lo scop­pio del­la guer­ra dei Bal­ca­ni, i socia­li­sti dei Pae­si bal­ca­ni­ci dispie­ga­ro­no una vasta atti­vi­tà con­tro la guer­ra. I con­gres­si del Par­ti­to social­de­mo­cra­ti­co ser­bo e del Par­ti­to social­de­mo­cra­ti­co ope­ra­io bul­ga­ro (i cosid­det­ti “socia­li­sti stret­ti”) si svol­se­ro nel 1912 sot­to il segno del­la lot­ta con­tro la guer­ra e si pro­nun­cia­ro­no per il rego­la­men­to paci­fi­co dei pro­ble­mi nazio­na­li, per una fede­ra­zio­ne bal­ca­ni­ca demo­cra­ti­ca. Nel set­tem­bre del­lo stes­so anno, nel cor­so del­la mobi­li­ta­zio­ne, i socia­li­sti orga­niz­za­ro­no del­le assem­blee e del­le riu­nio­ni di mas­sa con­tro la guer­ra a Bel­gra­do, Sofia, Buca­re­st e Salo­nic­co. […] Al par­la­men­to ser­bo, i due depu­ta­ti socia­li­sti Lapče­vić e Kacle­ro­vić vota­ro­no con­tro i cre­di­ti di guer­ra e lascia­ro­no agli atti una dichia­ra­zio­ne spe­cia­le nel­la qua­le con­dan­na­va­no la poli­ti­ca mili­ta­re ser­ba e l’alleanza mili­ta­re bal­ca­ni­ca. In Bul­ga­ria, l’unico depu­ta­to socia­li­sta dell’epoca, Yan­ko Saka­zov, diri­gen­te del Psdob (det­to dei “socia­li­sti lar­ghi”), fu anch’egli l’unico depu­ta­to a vota­re con­tro la mobi­li­ta­zio­ne e con­tro la poli­ti­ca mili­ta­re».
[28] J. Destréès, Les socia­li­stes et la guer­re euro­péen­ne. 1914‑1915, G. Van Oest et Cie Édi­teurs (1916), p. 71.
[29] L. Tro­tsky, La guer­ra y la Inter­na­cio­nal (1914), Edi­cions Inter­na­cio­nals Sedov, pp. 14‑15 e nt. 3.
[30] Testo a fir­ma Fer­ran­do (v. nt. 8).
[31] L. Tro­tsky, “La guer­re et la IVe Inter­na­tio­na­le, cit., p. 55.