Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Economia, Teoria

Confutazione della spirale prezzi-salari

"Sala monete e prezzi", Roma, Palazzo Massimo alle Terme

Con l’inflazione galop­pan­te e gli aumen­ti sfre­na­ti dei prez­zi dell’energia e dei beni di pri­ma neces­si­tà, il pote­re d’acquisto dei sala­ri dei lavo­ra­to­ri è in cadu­ta libe­ra, acce­le­ran­do una ten­den­za in atto già da mol­ti anni, ma che ha subi­to un ulte­rio­re for­te impul­so a par­ti­re dal­la cri­si eco­no­mi­ca del 2008‑2009.
Di fron­te a que­sta situa­zio­ne, l’ideologia eco­no­mi­ca domi­nan­te met­te subi­to in chia­ro che non può esser­ci alcun ade­gua­men­to dei sala­ri all’inflazione per non sca­te­na­re la “spi­ra­le prezzi‑salari”. E anche nell’attuale con­giun­tu­ra di cri­si mon­dia­le nel qua­dro del con­flit­to arma­to in Ucrai­na, da subi­to i capi­ta­li­sti han­no mes­so le mani avan­ti negan­do ogni pos­si­bi­li­tà di recu­pe­ro sala­ria­le. Pro­prio da ulti­mo, il gover­na­to­re del­la Ban­ca d’Italia, Igna­zio Visco, ha svol­to una rela­zio­ne sul tema (che con la con­sue­ta piag­ge­ria i media han­no defi­ni­to una “lec­tio magi­stra­lis”) in cui ha soste­nu­to che non c’è spa­zio per un ade­gua­men­to dei sala­ri all’inflazione.
L’argomento non è affat­to nuo­vo. Fu trat­ta­to nel 1865 da Karl Marx in un dibat­ti­to che si svol­se in seno all’Associazione Inter­na­zio­na­le dei Lavo­ra­to­ri (quel­la che defi­nia­mo “Pri­ma Inter­na­zio­na­le”). Il discor­so di Marx, che demo­lì irri­me­dia­bil­men­te il fetic­cio del­la “spi­ra­le prezzi‑salari” dimo­stran­do­ne il fal­so fon­da­men­to, con­fluì in un opu­sco­lo dal tito­lo “Sala­rio, prez­zo e pro­fit­to”, il qua­le costi­tui­sce un capo­sal­do del­la teo­ria mar­xia­na sot­to un dupli­ce aspet­to: innan­zi­tut­to, per­ché con­tie­ne un’esposizione del­la teo­ria del valo­re e del sag­gio di pro­fit­to di poco pre­ce­den­te alla pub­bli­ca­zio­ne del Libro pri­mo de Il Capi­ta­le (1867); e poi per­ché svi­lup­pa la posi­zio­ne di Marx riguar­do al ruo­lo dei sin­da­ca­ti nel­la socie­tà capi­ta­li­sta. Oltre a pre­sen­ta­re in manie­ra estre­ma­men­te sem­pli­ce e discor­si­va gli aspet­ti più com­ples­si del­la teo­ria eco­no­mi­ca mar­xia­na, lo scrit­to rap­pre­sen­ta uno degli esem­pi più riu­sci­ti del­la coniu­ga­zio­ne fra teo­ria e pratica.
Ben­ché, appun­to, l’argomento di chi pro­spet­ta la sud­det­ta “spi­ra­le” sia sta­to teo­ri­ca­men­te demo­li­to da Marx oltre centocinquant’anni fa, i capi­ta­li­sti lo ripro­pon­go­no ancor oggi come se nul­la fos­se e, anzi, come se fos­se sta­to inci­so nel­le “tavo­le del­la leg­ge”. Ciò è com­pren­si­bi­le: essi fan­no quel che è nel­la loro natu­ra. Difen­do­no cioè i loro pro­fit­ti. È mol­to meno com­pren­si­bi­le, inve­ce, che chi dovreb­be con­tra­sta­re sif­fat­to fal­so ragio­na­men­to – e cioè i sin­da­ca­ti in quan­to rap­pre­sen­tan­ti dei lavo­ra­to­ri – non si azzar­da a met­te­re in discus­sio­ne le paro­le di un Visco qual­sia­si e a con­vo­ca­re una mobi­li­ta­zio­ne gene­ra­le dei lavo­ra­to­ri che pun­ti al recu­pe­ro del pote­re d’acquisto dei sala­ri ade­guan­do­li all’inflazione: che, è bene ricor­dar­lo, è l’inflazione dei capi­ta­li­sti, cioè pro­dot­ta dal ciclo del­la loro eco­no­mia e dal­le loro politiche.
Il fat­to è che per con­fu­ta­re le paro­le di Visco – o di chi per lui – occor­re­reb­be con­trap­por­gli quel­le di Marx; ma que­sto diven­ta dif­fi­ci­le se chi dovreb­be far­lo non si fa scru­po­lo di con­fes­sa­re di non aver mai let­to Marx.
E allo­ra, a noi non resta che pre­sen­ta­re, tra­dot­to in ita­lia­no, que­sto bre­ve sag­gio del noto eco­no­mi­sta mar­xi­sta Michael Roberts – che in diver­se occa­sio­ni abbia­mo ospi­ta­to sul nostro sito – il qua­le dimo­stra, non solo facen­do ricor­so al sag­gio di Karl Marx, ma addi­rit­tu­ra a un recen­te stu­dio del tutt’altro che mar­xi­sta Fon­do Mone­ta­rio Inter­na­zio­na­le, che la famo­sa “spi­ra­le prezzi‑profitti” non solo è uno spau­rac­chio fon­da­to su fal­si argo­men­ti, ma è addi­rit­tu­ra uno stru­men­to for­gia­to dai padro­ni “per ridur­re la for­za del­le clas­si lavoratrici”.
Buo­na lettura.
La redazione

Confutazione della spirale prezzi‑salari

 

Michael Roberts [*]

Aumen­ti sala­ria­li “ecces­si­vi” por­ta­no a un aumen­to dell’inflazione e quin­di spin­go­no le eco­no­mie in una spi­ra­le salari‑prezzi? Nel 1865, in un dibat­ti­to in seno all’Associazione Inter­na­zio­na­le dei Lavo­ra­to­ri, Marx discus­se con un mem­bro del Con­si­glio gene­ra­le, Tho­mas Weston. Weston, un lea­der del sin­da­ca­to dei car­pen­tie­ri, soste­ne­va che chie­de­re un aumen­to dei sala­ri era inu­ti­le per­ché tut­to ciò non avreb­be fat­to altro che indur­re i dato­ri di lavo­ro ad aumen­ta­re i prez­zi per man­te­ne­re inal­te­ra­ti i loro pro­fit­ti, e quin­di l’inflazione avreb­be rapi­da­men­te assor­bi­to il pote­re d’acquisto: i sala­ri rea­li sareb­be­ro rista­gna­ti e i lavo­ra­to­ri sareb­be­ro tor­na­ti al pun­to di par­ten­za a cau­sa del­la spi­ra­le salari‑prezzi.
Marx con­te­stò con fer­mez­za l’argomentazione di Weston. La sua rispo­sta – che sareb­be poi pub­bli­ca­ta sot­to for­ma di opu­sco­lo, “Sala­rio, prez­zo e pro­fit­to” – fu fon­da­men­tal­men­te la seguen­te. In pri­mo luo­go, «una lot­ta per l’aumento dei sala­ri si veri­fi­ca sol­tan­to come con­se­guen­za di muta­men­ti pre­ce­den­ti ed è il risul­ta­to neces­sa­rio di pre­ce­den­ti varia­zio­ni … del­le oscil­la­zio­ni dei prez­zi di mer­ca­to»: si trat­ta di una rispo­sta di recu­pe­ro, non già dovu­ta a richie­ste “ecces­si­ve” e irrea­li­sti­che di sala­ri più alti da par­te dei lavo­ra­to­ri. In secon­do luo­go, non sono gli aumen­ti sala­ria­li a cau­sa­re l’aumento dell’inflazione. Mol­ti altri fat­to­ri influen­za­no le varia­zio­ni dei prez­zi, soste­ne­va Marx: vale a dire, «la quan­ti­tà del­la pro­du­zio­ne» (cioè i tas­si di cre­sci­ta), «le for­ze pro­dut­ti­ve del lavo­ro» (cioè la cre­sci­ta del­la pro­dut­ti­vi­tà), «il valo­re del dena­ro» (cioè la cre­sci­ta dell’offerta di mone­ta), «le oscil­la­zio­ni dei prez­zi di mer­ca­to» (cioè la deter­mi­na­zio­ne dei prez­zi), e «le diver­se fasi del ciclo indu­stria­le» (cioè l’espansione o la recessione).
Inol­tre, «un aumen­to gene­ra­le del livel­lo dei sala­ri pro­vo­che­reb­be una cadu­ta gene­ra­le del sag­gio gene­ra­le del pro­fit­to, ma non toc­che­reb­be, in linea di mas­si­ma, i prez­zi del­le mer­ci». In altre paro­le, è mol­to più pro­ba­bi­le che gli aumen­ti sala­ria­li ridu­ca­no la quo­ta di red­di­to desti­na­ta ai pro­fit­ti e quin­di alla fine abbas­si­no la red­di­ti­vi­tà del capi­ta­le. È que­sta la ragio­ne per cui i capi­ta­li­sti e gli eco­no­mi­sti che sono al loro sol­do si oppon­go­no agli aumen­ti sala­ria­li. L’affermazione che esi­ste una spi­ra­le salari‑prezzi e che gli aumen­ti sala­ria­li cau­sa­no aumen­ti dei prez­zi è una cor­ti­na fumo­ge­na ideo­lo­gi­ca per pro­teg­ge­re la redditività.
Marx ave­va ragio­ne? Ebbe­ne, la moder­na eco­no­mia domi­nan­te ha con­ti­nua­to a soste­ne­re che gli aumen­ti sala­ria­li “ecces­si­vi” cau­se­ran­no un aumen­to dell’inflazione e cree­ran­no una spi­ra­le prezzi‑salari. Con­si­de­ria­mo le opi­nio­ni di segui­to ripor­ta­te, espres­se nell’attuale fase di aumen­to dell’inflazione. Innan­zi­tut­to, la recen­te dichia­ra­zio­ne di Andrew Bai­ley, gover­na­to­re del­la Ban­ca d’Inghilterra: «Non sto dicen­do che nes­su­no deve otte­ne­re un aumen­to di sti­pen­dio, non frain­ten­de­te­mi. Ma ciò che sto dicen­do è che dob­bia­mo vede­re mode­ra­zio­ne nel­la con­trat­ta­zio­ne sala­ria­le, altri­men­ti la situa­zio­ne andrà fuo­ri con­trol­lo».
Oppu­re – ancor più espli­ci­ta­men­te e sul­la scia dell’argomentazione di Tho­mas Weston di oltre 150 anni fa – pren­dia­mo la dichia­ra­zio­ne di Jason Fur­man, ex con­si­glie­re eco­no­mi­co del pre­si­den­te degli Sta­ti Uni­ti Oba­ma, che l’ha mes­sa in que­sti ter­mi­ni: «Quan­do i sala­ri sal­go­no, i prez­zi sal­go­no. Se il car­bu­ran­te del­le com­pa­gnie aeree o gli ali­men­ti aumen­ta­no di prez­zo, le com­pa­gnie aeree o i risto­ran­ti aumen­ta­no i loro prez­zi. Allo stes­so modo, se gli sti­pen­di degli assi­sten­ti di volo o dei came­rie­ri aumen­ta­no, aumen­ta­no anche i prez­zi. Ciò deri­va dal­la microe­co­no­mia di base e dal buon sen­so».
Bene, potreb­be deri­va­re da “dal­la microe­co­no­mia di base e dal buon sen­so” nell’economia domi­nan­te. Ma è sem­pli­ce­men­te sba­glia­to. E que­sta set­ti­ma­na, il Fmi ha redat­to un’analisi com­ple­ta dei dati sull’andamento degli aumen­ti sala­ria­li e dei prez­zi che con­fu­ta le opi­nio­ni di Bai­ley e Fur­man. Il Fmi «affron­ta que­ste que­stio­ni crean­do una defi­ni­zio­ne empi­ri­ca di una spi­ra­le salari‑prezzi e appli­can­do­la a un data­ba­se inte­re­co­no­mi­co di epi­so­di pas­sa­ti tra le eco­no­mie avan­za­te che risal­go­no fino agli anni 60». Quin­di oltre sessant’anni di dati e di mol­ti Paesi.
Che cosa ha sco­per­to il Fmi? «Le spi­ra­li sala­ri-prez­zi, alme­no defi­ni­te come un’accelerazione soste­nu­ta dei prez­zi e dei sala­ri, sono dif­fi­ci­li da tro­va­re nel recen­te record sto­ri­co. Dei 79 epi­so­di iden­ti­fi­ca­ti con l’accelerazione dei prez­zi e dei sala­ri risa­len­ti fino agli anni 60, solo una mino­ran­za di essi ha visto un’ulteriore acce­le­ra­zio­ne dopo otto tri­me­stri. Inol­tre, un’accelerazione soste­nu­ta dei prez­zi e dei sala­ri è anco­ra più dif­fi­ci­le da tro­va­re se si osser­va­no epi­so­di simi­li a quel­li odier­ni, in cui i sala­ri rea­li sono dimi­nui­ti in modo signi­fi­ca­ti­vo. In quei casi, i sala­ri nomi­na­li ten­de­va­no a recu­pe­ra­re sull’inflazione per recu­pe­ra­re par­zial­men­te le per­di­te sala­ria­li rea­li, e i tas­si di cre­sci­ta ten­de­va­no a sta­bi­liz­zar­si a un livel­lo più ele­va­to rispet­to a pri­ma che si veri­fi­cas­se l’accelerazione ini­zia­le. I tas­si di cre­sci­ta dei sala­ri sono infi­ne sta­ti coe­ren­ti con l’inflazione e la rigi­di­tà del mer­ca­to del lavo­ro rispet­ta­ta. Que­sto mec­ca­ni­smo non sem­bra por­ta­re a per­si­sten­ti dina­mi­che di acce­le­ra­zio­ne che pos­so­no esse­re carat­te­riz­za­te come una spi­ra­le salari‑prezzi».
E, come se non bastas­se: «Defi­nia­mo una spi­ra­le salari‑prezzi come un epi­so­dio in cui alme­no tre tri­me­stri con­se­cu­ti­vi su quat­tro han­no visto l’accelerazione dei prez­zi al con­su­mo e l’aumento dei sala­ri nomi­na­li». E il Fmi rile­va che «for­se sor­pren­den­te­men­te, solo una pic­co­la mino­ran­za di tali epi­so­di è sta­ta segui­ta da un’accelerazione soste­nu­ta dei sala­ri e dei prez­zi. Al con­tra­rio, l’inflazione e la cre­sci­ta dei sala­ri nomi­na­li ten­de­va­no a sta­bi­liz­zar­si, lascian­do sostan­zial­men­te inva­ria­ta la cre­sci­ta dei sala­ri rea­li. Una scom­po­si­zio­ne del­le dina­mi­che sala­ria­li uti­liz­zan­do una cur­va di Phil­lips sala­ria­le sug­ge­ri­sce che la cre­sci­ta dei sala­ri nomi­na­li nor­mal­men­te si sta­bi­liz­za a livel­li coe­ren­ti con l’inflazione osser­va­ta e la rigi­di­tà del mer­ca­to del lavo­ro. Quan­do ci si con­cen­tra su epi­so­di che imi­ta­no il recen­te model­lo di calo dei sala­ri rea­li e ina­spri­men­to dei mer­ca­ti del lavo­ro, il calo dell’inflazione e gli aumen­ti del­la cre­sci­ta dei sala­ri nomi­na­li ten­de­va­no a segui­re, con­sen­ten­do così ai sala­ri rea­li di recu­pe­ra­re il ritar­do».
Cosa con­clu­de il Fmi? «Con­clu­dia­mo che un’accelerazione dei sala­ri nomi­na­li non dovreb­be neces­sa­ria­men­te esse­re vista come un segna­le per cui sta pren­den­do pie­de una spi­ra­le salari‑prezzi». Negli epi­so­di infla­zio­ni­sti­ci, i sala­ri cer­ca­no solo di met­ter­si al pas­so con i prez­zi. Ma anche in que­sto caso, gli aumen­ti sala­ria­li non pro­vo­ca­no spi­ra­li dei prez­zi sala­ria­li, quin­di il pun­to di vista di Marx è confermato.
E per aver­ne una pro­va imme­dia­ta, con­si­de­ria­mo l’accordo sala­ria­le di que­sta set­ti­ma­na tra i dato­ri di lavo­ro tede­schi nel set­to­re mani­fat­tu­rie­ro e il sin­da­ca­to IG Metall, il più gran­de del­la Ger­ma­nia. I lavo­ra­to­ri otter­ran­no aumen­ti sala­ria­li ben al di sot­to del tas­so di infla­zio­ne del­la Ger­ma­nia – attual­men­te al 11,6%, l’indice più alto degli ulti­mi 70 anni – rice­ven­do il 5,2% l’anno pros­si­mo e il 3,3% nel 2024, più due paga­men­ti for­fet­ta­ri da 1.500 euro. Jörg Krä­mer, capo eco­no­mi­sta di Com­merz­bank, ha affer­ma­to che sin­da­ca­ti e dato­ri di lavo­ro «han­no tro­va­to un com­pro­mes­so su come affron­ta­re le per­di­te di red­di­to cau­sa­te dal for­te aumen­to dei costi del­le impor­ta­zio­ni di ener­gia». Ha aggiun­to: «Non la defi­ni­rei anco­ra una spi­ra­le salari‑prezzi». Anzi no, poi­ché anche i lavo­ra­to­ri meglio orga­niz­za­ti in Ger­ma­nia dovran­no accet­ta­re ridu­zio­ni del loro pote­re d’acquisto nei pros­si­mi due anni.
L’analisi del Fmi non fa altro che con­fer­ma­re mol­ti altri lavo­ri empi­ri­ci pre­ce­den­te­men­te svol­ti. In effet­ti, i sala­ri in per­cen­tua­le del Pil in tut­te le prin­ci­pa­li eco­no­mie sono in calo dagli anni 80. Al con­tra­rio, la quo­ta dei pro­fit­ti è aumen­ta­ta. E nel perio­do fino al 2019, i tas­si di infla­zio­ne non sono rima­sti supe­rio­ri al 2‑3% all’anno.

Inol­tre, non sem­bra esser­ci alcu­na cor­re­la­zio­ne inver­sa tra le varia­zio­ni di sala­ri, prez­zi e disoc­cu­pa­zio­ne: que­sta clas­si­ca cur­va di Phil­lips key­ne­sia­na che soste­ne­va que­sta rela­zio­ne si è dimo­stra­ta fal­sa. In effet­ti, que­sto è sta­to nota­to negli anni 70, quan­do disoc­cu­pa­zio­ne e prez­zi sono aumen­ta­ti insie­me. E le ulti­me sti­me empi­ri­che mostra­no che la cur­va di Phil­lips è sostan­zial­men­te piat­ta: in altre paro­le, non c’è cor­re­la­zio­ne tra sala­ri, prez­zi e disoc­cu­pa­zio­ne. Nes­su­na spi­ra­le salari‑prezzi.

Nono­stan­te que­ste pro­ve che con­fu­ta­no la spi­ra­le salari‑prezzi, l’economia domi­nan­te e le auto­ri­tà uffi­cia­li con­ti­nua­no a soste­ne­re che que­sto è il rischio prin­ci­pa­le per un’inflazione soste­nu­ta. La ragio­ne per far­lo non è in real­tà per­ché gli eco­no­mi­sti al ser­vi­zio del capi­ta­li­smo cre­do­no che gli aumen­ti sala­ria­li cau­si­no infla­zio­ne. È inve­ce per­ché voglio­no un “con­te­ni­men­to dei sala­ri” di fron­te alla spi­ra­le dell’inflazione per pro­teg­ge­re e soste­ne­re i pro­fit­ti. A tal fine sosten­go­no gli aumen­ti dei tas­si di inte­res­se del­la Ban­ca cen­tra­le che acce­le­re­ran­no le eco­no­mie ver­so un crol­lo, in arri­vo nel pros­si­mo anno.
Come ha affer­ma­to Jay Powell, capo del­la Fede­ral Reser­ve sta­tu­ni­ten­se, «in linea di prin­ci­pio …, mode­ran­do la doman­da, potrem­mo … abbas­sa­re i sala­ri e quin­di abbas­sa­re l’inflazione sen­za dover ral­len­ta­re l’economia e ave­re una reces­sio­ne e far aumen­ta­re mate­rial­men­te la disoc­cu­pa­zio­ne. Quin­di c’è un per­cor­so per que­sto». Ancor più sfac­cia­ta­men­te, il guru key­ne­sia­no ed edi­to­ria­li­sta del Finan­cial Times, Mar­tin riven­di­ca: «Ciò che [i ban­chie­ri cen­tra­li] devo­no fare è pre­ve­ni­re una spi­ra­le salari‑prezzi, che desta­bi­liz­ze­reb­be le aspet­ta­ti­ve infla­zio­ni­sti­che. La poli­ti­ca mone­ta­ria deve esse­re suf­fi­cien­te­men­te restrit­ti­va per rag­giun­ge­re que­sto obiet­ti­vo. In altre paro­le, deve creare/conservare una cer­ta debo­lez­za nel mer­ca­to del lavo­ro».
Quin­di il vero sco­po degli aumen­ti dei tas­si di inte­res­se non è fer­ma­re una spi­ra­le salari‑prezzi, ma aumen­ta­re la disoc­cu­pa­zio­ne e inde­bo­li­re il pote­re con­trat­tua­le del lavo­ro. Mi vie­ne in men­te il com­men­to di Alan Budd, all’epoca capo con­si­glie­re eco­no­mi­co del pri­mo mini­stro bri­tan­ni­co Mar­ga­ret That­cher negli anni 80: «Potreb­be­ro esser­ci sta­te per­so­ne che han­no pre­so le vere deci­sio­ni poli­ti­che … che non han­no mai cre­du­to per un momen­to che que­sto fos­se il modo cor­ret­to per abbat­te­re infla­zio­ne. Tut­ta­via, han­no visto che [il mone­ta­ri­smo] sareb­be sta­to un modo mol­to, mol­to buo­no per aumen­ta­re la disoc­cu­pa­zio­ne, e aumen­ta­re la disoc­cu­pa­zio­ne era un modo estre­ma­men­te desi­de­ra­bi­le per ridur­re la for­za del­le clas­si lavo­ra­tri­ci».


(Tra­du­zio­ne di Erne­sto Rus­so e Andrea Di Benedetto)


[*] Michael Roberts è un noto eco­no­mi­sta mar­xi­sta bri­tan­ni­co che ha lavo­ra­to per oltre quarant’anni come ana­li­sta finan­zia­rio nel­la City lon­di­ne­se. È auto­re, tra gli altri, dei libri The Great Reces­sion: A Mar­xi­st View (2009), The Long Depres­sion (2016) e Marx 200: a review of Marx’s eco­no­mics (2018).