Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Economia, Politica internazionale: Cina

Il prossimo decennio della Cina

Nel­lo scor­so mese di otto­bre, nel pre­sen­ta­re un note­vo­le testo dell’economista mar­xi­sta Michael Roberts, avver­ti­va­mo che mol­te ana­li­si svi­lup­pa­te da alcu­ne ten­den­ze di sini­stra a pro­po­si­to dell’economia del­la Cina si lascia­va­no gui­da­re dall’impressionismo, suben­do la pres­sio­ne del­la “auto­ri­tà” degli eco­no­mi­sti bor­ghe­si nel­la let­tu­ra dei dati. E ancor oggi ci toc­ca imbat­ter­ci in arti­co­li dal sapo­re “cata­stro­fi­sta” rispet­to al capi­ta­li­smo cine­se. Ecco per­ché, come in quell’occasione, anche ades­so riba­dia­mo che «le ana­li­si dei mar­xi­sti deb­bo­no esse­re impron­ta­te alla cau­te­la e allo stu­dio appro­fon­di­to del­le linee di ten­den­za dei pro­ces­si, rifug­gen­do dal­la fret­ta di “dire qual­co­sa di sini­stra”, se non addi­rit­tu­ra di “dire qual­co­sa” (para­fra­san­do il regi­sta Nan­ni Moret­ti): mal­co­stu­me che con­du­ce ine­vi­ta­bil­men­te all’approssimazione e all’eclettismo».
Pro­prio per que­sta ragio­ne, pub­bli­chia­mo un altro impor­tan­te scrit­to di Michael Roberts, il qua­le, par­ten­do dal­le riso­lu­zio­ni adot­ta­te dall’Assemblea nazio­na­le del popo­lo cine­se, fa il pun­to sul­lo sta­to dell’economia del­la Cina, con­te­stan­do mol­to effi­ca­ce­men­te le opi­nio­ni dei sedi­cen­ti “esper­ti” occi­den­ta­li al riguardo.
Buo­na lettura.
La redazione

Il prossimo decennio della Cina

 

Michael Roberts[*]

 

È in cor­so la riu­nio­ne annua­le dell’Assemblea nazio­na­le del popo­lo cine­se (NPC: Natio­nal People’s Con­gress), uffi­cial­men­te il più alto orga­no deli­be­ra­ti­vo del­la Cina, che appa­ren­te­men­te deci­de ogni anno le poli­ti­che eco­no­mi­che e socia­li. In real­tà, tali poli­ti­che sono sta­te ela­bo­ra­te in anti­ci­po dai lea­der del Par­ti­to comu­ni­sta cine­se e poi pre­sen­ta­te all’NPC per esse­re vota­te (all’unanimità). Tut­ta­via, la riu­nio­ne dell’NPC offre ai lea­der del PC l’opportunità di illu­stra­re le loro rispo­ste poli­ti­che per affron­ta­re gli attua­li pro­ble­mi eco­no­mi­ci e socia­li del Paese.
Come di con­sue­to, spet­ta­va al pre­mier cine­se pre­sen­tar­le all’NPC. Quest’anno è toc­ca­to al nuo­vo pre­mier, Li Qiang, ma il suo discor­so è sta­to mol­to simi­le a quel­lo tenu­to l’anno scor­so dal pre­ce­den­te pre­mier Li Keqiang. Come l’anno scor­so, Li Qiang ha fis­sa­to un obiet­ti­vo di cre­sci­ta del PIL rea­le nel 2024 di «cir­ca il 5%» e ha affer­ma­to che la Cina sta cer­can­do di «tra­sfor­ma­re» il model­lo di cre­sci­ta eco­no­mi­ca del Paese.
La NPC esa­mi­na anche il bilan­cio annua­le. La spe­sa per la dife­sa dovreb­be aumen­ta­re del 7,2%, men­tre la spe­sa per la sicu­rez­za pub­bli­ca dovreb­be aumen­ta­re dell’1,4%, sen­za dub­bio neces­sa­rio visto l’accerchiamento mili­ta­re del­la Cina da par­te del­le poten­ze occi­den­ta­li. Le spe­se del gover­no cen­tra­le dovreb­be­ro aumen­ta­re dell’8,6% per ridur­re l’onere dei gover­ni loca­li, for­te­men­te inde­bi­ta­ti. Altri obiet­ti­vi annun­cia­ti da Li sono la crea­zio­ne di 12 milio­ni di nuo­vi posti di lavo­ro nel­le cit­tà e l’aumento dei prez­zi al con­su­mo di cir­ca il 3% (appa­ren­te­men­te per evi­ta­re la defla­zio­ne — vedi sot­to). Li ha det­to che que­sti obiet­ti­vi «non saran­no faci­li», ma che la prio­ri­tà resta lo «svi­lup­po di alta qua­li­tà».
Tut­to ciò è pra­ti­ca­men­te in linea con gli obiet­ti­vi fis­sa­ti nell’ultimo pia­no quin­quen­na­le del­la Cina. Il 14° pia­no appro­va­to nel 2021 era un docu­men­to onni­com­pren­si­vo che copri­va nel det­ta­glio tut­ti gli aspet­ti dell’economia cine­se, ma ave­va alcu­ni obiet­ti­vi chia­ve. In par­ti­co­la­re, la Cina mira­va a diven­ta­re un’economia «mode­ra­ta­men­te svi­lup­pa­ta» entro il 2035 e a ridur­re la disu­gua­glian­za tra aree urba­ne e rura­li. Il pia­no si basa­va sul model­lo di dop­pia cir­co­la­zio­ne, in cui l’espansione del­le espor­ta­zio­ni mani­fat­tu­rie­re – in pas­sa­to la chia­ve del­la cre­sci­ta mira­co­lo­sa del­la Cina – si com­bi­na­va con lo svi­lup­po dell’economia inter­na e la ridu­zio­ne del­la dipen­den­za dal­le impor­ta­zio­ni e dagli inve­sti­men­ti este­ri. L’obiettivo è che la Cina pos­sa con­ti­nua­re a cre­sce­re e ad aumen­ta­re il teno­re di vita nono­stan­te i ten­ta­ti­vi dei gover­ni occi­den­ta­li di fre­na­re o bloc­ca­re tale crescita.
Riu­sci­rà la Cina a rag­giun­ge­re l’obiettivo di cre­sci­ta per quest’anno e gli obiet­ti­vi a lun­go ter­mi­ne per i pros­si­mi die­ci anni cir­ca, por­tan­do qua­si 1,4 miliar­di di per­so­ne al livel­lo di vita di cui gode solo un pic­co­lo grup­po di nazio­ni in Euro­pa, Nord Ame­ri­ca e Asia orientale?
A voler­si basa­re sul­la stam­pa occi­den­ta­le e sui suoi eco­no­mi­sti, le pos­si­bi­li­tà che la Cina ci rie­sca non sono miglio­ri di quel­le di una pal­la di neve lan­cia­ta ver­so il sole. Secon­do il pare­re qua­si una­ni­me degli eco­no­mi­sti occi­den­ta­li, in par­ti­co­la­re degli “esper­ti di Cina”, il “mira­co­lo” cine­se è fini­to e, peg­gio anco­ra, la Cina si sta diri­gen­do ver­so una spi­ra­le di defla­zio­ne del debi­to: il che signi­fi­ca che nel­la miglio­re del­le ipo­te­si gli obiet­ti­vi di cre­sci­ta non saran­no rag­giun­ti e, più pro­ba­bil­men­te, ci sarà un rile­van­te crol­lo. E ciò, nono­stan­te il fat­to che nel 2023 la Cina abbia regi­stra­to un tas­so di cre­sci­ta uffi­cia­le del 5,2%, più del dop­pio di quel­lo del “boom” dell’economia sta­tu­ni­ten­se e cin­que vol­te il tas­so di cre­sci­ta del resto del­le prin­ci­pa­li eco­no­mie capi­ta­li­sti­che del G7 (non mi si ven­ga a dire che i dati sul­la cre­sci­ta del­la Cina sono fal­si e che la cre­sci­ta è mol­to più bas­sa. Chi lo sostie­ne ha ben poche pro­ve a soste­gno).
Ah, però il set­to­re mani­fat­tu­rie­ro è in reces­sio­ne (secon­do i dati dei rilie­vi uffi­cia­li), i con­su­mi sono debo­li (anco­ra al di sot­to dei livel­li pre‑pandemici) e gli inve­sti­men­ti este­ri, visti come lin­fa vita­le per l’economia cine­se, si sono pro­sciu­ga­ti.

E, ciò che è peg­gio, i prez­zi di beni e ser­vi­zi stan­no scen­den­do. I let­to­ri potreb­be­ro esse­re sor­pre­si di sape­re che gli eco­no­mi­sti occi­den­ta­li, che pas­sa­no gran par­te del loro tem­po a chie­de­re che i tas­si di infla­zio­ne nei loro Pae­si sia­no ridot­ti a non più del 2% all’anno dopo la spi­ra­le infla­zio­ni­sti­ca post-COVID degli ulti­mi tre anni, non vedo­no alcun meri­to nel­la man­can­za di un aumen­to dei prez­zi (e quin­di dei sala­ri rea­li) nell’economia cine­se: “l’inflazione è un male per gli Sta­ti Uni­ti, ma l’assenza di infla­zio­ne è un male per la Cina”.
In un recen­te arti­co­lo, John Ross ha dimo­stra­to che per rag­giun­ge­re l’obiettivo per il 2025 del PIL del Pia­no Cine­se, e cioè il rad­dop­pio del PIL dal 2021, occor­re­reb­be una cre­sci­ta media annua del 4,7%. Attual­men­te, la Cina è al di sopra di que­sto obiet­ti­vo, con una cre­sci­ta media annua nel perio­do 2020‑2023 di cir­ca il 5%. In effet­ti, dall’inizio del­la pan­de­mia, l’economia cine­se è cre­sciu­ta del 20,1% e quel­la sta­tu­ni­ten­se dell’8,1%, vale a dire che la cre­sci­ta tota­le del PIL cine­se dall’inizio del­la pan­de­mia è sta­ta due vol­te e mez­zo supe­rio­re a quel­la degli Sta­ti Uniti.

Cer­to, i tas­si di cre­sci­ta annua­li del­la Cina sono ral­len­ta­ti rispet­to al rit­mo ver­ti­gi­no­so degli anni 90 e la for­za lavo­ro cine­se è in calo. Ma basta guar­da­re l’aumento del PIL pro capi­te che la Cina ha otte­nu­to dal 2019 rispet­to alle eco­no­mie del G7, alcu­ne del­le qua­li han­no addi­rit­tu­ra subi­to una con­tra­zio­ne (dati del FMI). L’aumento su base pro capi­te è anco­ra più ele­va­to rispet­to agli Sta­ti Uni­ti (qua­si quat­tro volte).

Sì, sem­pre più spes­so la Cina non può con­ta­re su un’espansione del­la for­za lavo­ro a bas­so costo dal­le aree rura­li per otte­ne­re una mag­gio­re pro­du­zio­ne, ma deve inve­ce aumen­ta­re la pro­dut­ti­vi­tà del­la for­za lavo­ro esi­sten­te, soprat­tut­to attra­ver­so inve­sti­men­ti nell’innovazione tec­ni­ca. E lo sta facen­do. La Fede­ral Reser­ve Bank di Dal­las mostra che la “pro­dut­ti­vi­tà tota­le dei fat­to­ri” (che è una misu­ra grez­za dell’innovazione) sta cre­scen­do del 6% all’anno, men­tre è in calo negli Sta­ti Uniti.

Nono­stan­te que­ste evi­den­ze, ogni anno gli esper­ti occi­den­ta­li di “Cina” (e anche mol­ti nel­la Cina stes­sa) pre­ve­do­no la sta­gna­zio­ne, visti gli enor­mi livel­li di debi­to in tut­ti i set­to­ri. L’unico modo per evi­ta­re la “giap­po­ne­siz­za­zio­ne”, dico­no que­sti esper­ti, è quel­lo di “rie­qui­li­bra­re” l’economia da “inve­sti­men­ti ecces­si­vi”, “rispar­mi ecces­si­vi” ed espor­ta­zio­ni ver­so un’economia orien­ta­ta al con­su­mo, come in Occi­den­te, e ridur­re il con­trol­lo sta­ta­le dell’economia in modo che il set­to­re pri­va­to pos­sa prosperare.
Quest’anno, in occa­sio­ne del­la riu­nio­ne dell’NPC, Mar­tin Wolf, il guru key­ne­sia­no del Finan­cial Times, è tor­na­to su que­sto tema, ripren­den­do le argo­men­ta­zio­ni di altri esper­ti key­ne­sia­ni del­la Cina, come Michael Pet­tis. Secon­do Wolf, la cre­sci­ta del­la Cina ral­len­te­rà fino a fer­mar­si, come quel­la del Giap­po­ne, per­ché è sovrac­ca­ri­ca di un debi­to ecces­si­vo e per­ché non ha rie­qui­li­bra­to l’economia ver­so “il con­su­mo”. La Cina dovreb­be por­ta­re la sua quo­ta di con­su­mi ai livel­li occi­den­ta­li, altri­men­ti non sarà in gra­do di cre­sce­re e rimar­rà bloc­ca­ta nel­la trap­po­la del “red­di­to medio”.
La Cina ha gene­ra­to il 28% del rispar­mio glo­ba­le tota­le nel 2023. Si trat­ta di una quo­ta di poco infe­rio­re a quel­la del 33% degli Sta­ti Uni­ti e dell’UE mes­si insie­me. Secon­do Wolf e Pet­tis, tut­to que­sto è sba­glia­to. Si dovreb­be pas­sa­re dal “rispar­mio in ecces­so” al con­su­mo. C’è un ecces­so di inve­sti­men­ti in immo­bi­li e infra­strut­tu­re, inve­ce di aiu­ti alle fami­glie. La Cina cre­sce­rà solo se a gui­da­re saran­no i con­su­mi e non gli investimenti.
Se vole­te leg­ge­re altre assur­di­tà sul fat­to che il con­su­mo è il fat­to­re trai­nan­te del­la cre­sci­ta, con­sul­ta­te la mia recen­sio­ne del­le teo­rie di Pet­tis qui.

Ma come si può affer­ma­re che le eco­no­mie matu­re “orien­ta­te al con­su­mo” del G7 sia­no riu­sci­te a rag­giun­ge­re una cre­sci­ta eco­no­mi­ca costan­te e rapi­da, o che i sala­ri rea­li e la cre­sci­ta dei con­su­mi sia­no sta­ti più ele­va­ti? In effet­ti, nel G7 i con­su­mi non sono riu­sci­ti a trai­na­re la cre­sci­ta eco­no­mi­ca e i sala­ri han­no rista­gna­to in ter­mi­ni rea­li negli ulti­mi die­ci anni, men­tre in Cina i sala­ri rea­li sono aumen­ta­ti a dismi­su­ra. Inol­tre, que­ste eco­no­mie orien­ta­te al con­su­mo sono sta­te col­pi­te da crol­li rego­la­ri e ricor­ren­ti del­la pro­du­zio­ne che han­no fat­to per­de­re tri­lio­ni di euro in ter­mi­ni di pro­du­zio­ne e di red­di­to alle loro popo­la­zio­ni. L’ironia del­la sor­te vuo­le che il tas­so di cre­sci­ta dei con­su­mi del­la Cina sia di gran lun­ga supe­rio­re a quel­lo del­le eco­no­mie del G7.

La Cina non ha avu­to una con­tra­zio­ne del red­di­to nazio­na­le in nes­sun anno dal 1976, men­tre le eco­no­mie del G7 gui­da­te dai con­su­ma­to­ri han­no avu­to crol­li nel 1980–2, 1991, 2001, 2008–9 e 2020. Si è par­la­to mol­to del­la “disa­stro­sa” poli­ti­ca cine­se di zero COVID. Ma oltre a sal­va­re milio­ni di vite, la Cina non è entra­ta in cri­si nel 2020, a dif­fe­ren­za di tut­te le eco­no­mie del G7.
Sì, la Cina ha il più alto rap­por­to tra inve­sti­men­ti lor­di e PIL tra le prin­ci­pa­li eco­no­mie. Ma que­sta eco­no­mia, che si sup­po­ne “sovrain­ve­sti­ta” e con “ecces­si­vo rispar­mio”, è cre­sciu­ta più di quat­tro vol­te più velo­ce­men­te del­le eco­no­mie OCSE orien­ta­te al con­su­mo e, addi­rit­tu­ra, il 40% più velo­ce­men­te dell’India. Ciò sug­ge­ri­sce che se la Cina doves­se “rie­qui­li­bra­re” la pro­pria eco­no­mia ver­so il con­su­mo ridu­cen­do gli inve­sti­men­ti, ridi­men­sio­nan­do il set­to­re pub­bli­co e “libe­ran­do” quel­lo pri­va­to (il set­to­re che for­ni­sce la mag­gior par­te dei beni di con­su­mo in Cina), i tas­si di cre­sci­ta si ridur­reb­be­ro anco­ra di più di quan­to non abbia­no fat­to negli ulti­mi anni.
Inol­tre, le argo­men­ta­zio­ni degli esper­ti occi­den­ta­li, secon­do cui la Cina è bloc­ca­ta in un vec­chio model­lo di pro­du­zio­ne per l’esportazione gui­da­ta dagli inve­sti­men­ti e deve “rie­qui­li­brar­si” ver­so un’economia inter­na orien­ta­ta al con­su­mo, in cui il set­to­re pri­va­to ha cam­po libe­ro, non sono empi­ri­ca­men­te vali­de. La debo­lez­za del set­to­re dei con­su­mi costrin­ge la Cina a ten­ta­re di espor­ta­re la pro­du­zio­ne mani­fat­tu­rie­ra “al di sopra del­le pro­prie capa­ci­tà”? Non secon­do un recen­te stu­dio di Richard Bald­win, il qua­le rile­va che il model­lo gui­da­to dal­le espor­ta­zio­ni ha fun­zio­na­to fino al 2006, ma da allo­ra le ven­di­te inter­ne han­no regi­stra­to un boom, tan­to che il rap­por­to esportazioni/PIL è effet­ti­va­men­te dimi­nui­to. «Il con­su­mo cine­se di manu­fat­ti cine­si è cre­sciu­to più velo­ce­men­te del­la pro­du­zio­ne cine­se per qua­si due decen­ni. Lun­gi dall’essere inca­pa­ce di assor­bi­re la pro­du­zio­ne, il con­su­mo inter­no cine­se di beni made-in-Chi­na è cre­sciu­to MOLTO più velo­ce­men­te del­la pro­du­zio­ne del set­to­re mani­fat­tu­rie­ro cine­se».

Gli esper­ti occi­den­ta­li con­ti­nua­no a par­la­re dell’entità del sur­plus del­le espor­ta­zio­ni cine­si, vale a dire del con­to cor­ren­te (il sal­do tra le entra­te dall’estero e i paga­men­ti), soste­nen­do che il sur­plus è pari al 4% del PIL cine­se. E le espor­ta­zio­ni cine­si rap­pre­sen­ta­no il 15% del tota­le mon­dia­le. E solo nell’ultimo mese le espor­ta­zio­ni sono aumen­ta­te di oltre il 7%, tan­to che la bilan­cia com­mer­cia­le del­la Cina con il resto del mon­do ha rag­giun­to a feb­bra­io il mas­si­mo sto­ri­co di 125 miliar­di di dollari.

Ma ciò dimo­stra che i pro­dut­to­ri cine­si riman­go­no alta­men­te com­pe­ti­ti­vi sui mer­ca­ti mon­dia­li, nono­stan­te tut­ti gli sfor­zi dell’Occidente per impor­re tarif­fe e altre misu­re pro­te­zio­ni­sti­che. La Cina sta facen­do par­ti­co­lar­men­te bene nel­la pro­du­zio­ne di vei­co­li elet­tri­ci, nell’energia sola­re e in altre tec­no­lo­gie ver­di. Ma come sot­to­li­nea Bald­win, que­sto suc­ces­so nel­le espor­ta­zio­ni non signi­fi­ca che la Cina dipen­da dal­le espor­ta­zio­ni per cre­sce­re. La Cina sta cre­scen­do soprat­tut­to gra­zie alla pro­du­zio­ne per l’economia nazio­na­le, come gli Sta­ti Uniti.

È vero che la cre­sci­ta degli inve­sti­men­ti “pro­dut­ti­vi” è dimi­nui­ta in Cina. A mio avvi­so, i gover­ni cine­si che si sono suc­ce­du­ti han­no com­mes­so un gros­so erro­re nel cer­ca­re di sod­di­sfa­re il fab­bi­so­gno abi­ta­ti­vo del­la popo­la­zio­ne urba­na in cre­sci­ta crean­do un mer­ca­to di allog­gi in ven­di­ta, lascian­do­lo in mano al cre­di­to ipo­te­ca­rio e ai costrut­to­ri pri­va­ti. Inve­ce di lan­cia­re essi stes­si pro­get­ti di edi­li­zia abi­ta­ti­va per ospi­ta­re le per­so­ne in affit­to, i gover­ni loca­li han­no ven­du­to beni sta­ta­li (ter­re­ni) a svi­lup­pa­to­ri capi­ta­li­sti che han­no con­ti­nua­to a con­trar­re ingen­ti pre­sti­ti per rea­liz­za­re i pro­get­ti. Ben pre­sto gli allog­gi non sono più sta­ti desti­na­ti all’abitazione, ma alla spe­cu­la­zio­ne (cita­zio­ne di Xi). L’indebitamento del set­to­re pri­va­to è sali­to alle stel­le, pro­prio come nel­la bol­la immo­bi­lia­re in Occi­den­te. Il tut­to è sfo­cia­to nel­la pan­de­mia COVID, quan­do i costrut­to­ri e i loro inve­sti­to­ri sono fal­li­ti.
Il gover­no cine­se deve ora rile­va­re que­sti gran­di com­ples­si immo­bi­lia­ri e ripor­tar­li alla pro­prie­tà pub­bli­ca, com­ple­ta­re i pro­get­ti e pas­sa­re all’edilizia in affit­to. Il gover­no dovreb­be annul­la­re il debi­to dei costrut­to­ri nei con­fron­ti degli inve­sti­to­ri stra­nie­ri e sod­di­sfa­re solo gli obbli­ghi nei con­fron­ti dei pic­co­li inve­sti­to­ri; inol­tre, dovreb­be por­re fine al siste­ma dei mutui e dei finan­zia­men­ti pri­va­ti in modo per­ma­nen­te. Il set­to­re immo­bi­lia­re impro­dut­ti­vo è diven­ta­to tal­men­te gran­de in Cina, in ter­mi­ni di quo­ta di inve­sti­men­ti e di pro­du­zio­ne, da aver seria­men­te com­pro­mes­so la cre­sci­ta. È sot­to que­sto aspet­to che l’economia ha biso­gno di esse­re rie­qui­li­bra­ta. È neces­sa­rio pas­sa­re agli inve­sti­men­ti pro­dut­ti­vi nel­le indu­strie tec­no­lo­gi­che e del­la cono­scen­za. Se le paro­le del Pia­no quin­quen­na­le han­no un signi­fi­ca­to, sem­bra che l’attuale lea­der­ship cine­se ne sia con­sa­pe­vo­le.
Anche i pre­ce­den­ti lea­der del PC face­va­no trop­po affi­da­men­to sugli inve­sti­men­ti este­ri e su un set­to­re capi­ta­li­sta in cre­sci­ta per far cre­sce­re l’economia. Ma il set­to­re capi­ta­li­sta cine­se ha regi­stra­to un calo di red­di­ti­vi­tà (pro­prio come in Occi­den­te) e ha quin­di ridot­to gli inve­sti­men­ti pro­dut­ti­vi. Il set­to­re sta­ta­le è dovu­to inter­ve­ni­re. Ciò che ne con­se­gue, con­tra­ria­men­te alle opi­nio­ni degli esper­ti occi­den­ta­li, è che la Cina non ha biso­gno di meno inve­sti­men­ti e più con­su­mi, non di meno inve­sti­men­ti pub­bli­ci e più inve­sti­men­ti pri­va­ti, non di più inve­sti­men­ti este­ri e meno inve­sti­men­ti sta­ta­li per soste­ne­re il suo pre­ce­den­te suc­ces­so eco­no­mi­co, ma il contrario.

 

[*] Michael Roberts è un noto eco­no­mi­sta mar­xi­sta bri­tan­ni­co che ha lavo­ra­to per oltre quarant’anni come ana­li­sta finan­zia­rio nel­la City lon­di­ne­se. È auto­re, tra gli altri, dei libri The Great Reces­sion: A Mar­xi­st View (2009), The Long Depres­sion (2016) e Marx 200: a review of Marx’s eco­no­mics (2018).