Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Economia, Politica internazionale: Cina

Cina: consumi o investimenti?

Quan­do, agli ini­zi di ago­sto, sono sta­ti pub­bli­ca­ti i dati rela­ti­vi all’economia cine­se, subi­to sono par­ti­te gri­da di giu­bi­lo da par­te del­la stam­pa main­stream occi­den­ta­le (per inten­der­ci, quel­la filoa­tlan­ti­sta e filo­ca­pi­ta­li­sta): la qua­le, rite­nen­do – a tor­to, come san­no bene i let­to­ri di que­sto sito – che la Cina sia un Pae­se “socia­li­sta” (o, quan­to­me­no, che abbia un’economia non di mer­ca­to), ha subi­to espres­so sod­di­sfa­zio­ne per il ral­len­ta­men­to eco­no­mi­co – anche visto­so, se lo si con­fron­ta al perio­do in cui essa viag­gia­va con una cre­sci­ta a due cifre – del­la “Ter­ra del Dra­go­ne”. Una sod­di­sfa­zio­ne che lascia­va tra­pe­la­re un non così nasco­sto auspi­cio – sot­to­stan­te alla let­tu­ra dei dati – che l’economia cine­se potes­se in qual­che manie­ra avvi­ci­nar­si “al ribas­so” a quel­le degli Usa e dei Pae­si europei.
E così, si sono potu­ti leg­ge­re allar­mi sul­la “defla­zio­ne” del­la Cina, sul­lo scop­pio di una bol­la spe­cu­la­ti­va immo­bi­lia­re tal­men­te gran­de da com­pro­met­ter­ne l’intero siste­ma, sul fat­to che essa non potes­se più trai­na­re l’economia mon­dia­le, ecc.
Nul­la di cui mera­vi­gliar­si: nel­la com­pe­ti­zio­ne glo­ba­le che vede con­trap­po­sti – al momen­to non anco­ra mili­tar­men­te – l’Occidente col­let­ti­vo (con in pri­ma fila gli Usa) e la Cina, una nar­ra­zio­ne del gene­re è sicu­ra­men­te sem­bra­ta uti­le per “scre­di­ta­re” la poten­za asia­ti­ca agli occhi dell’opinione pub­bli­ca e, soprat­tut­to, dei “mer­ca­ti”. Insom­ma, il capi­ta­li­smo dei “Buo­ni” non pote­va soc­com­be­re rispet­to a quei “comu­ni­sti cat­ti­vi” cine­si (che in real­tà comu­ni­sti non sono): e dun­que, se cri­si eco­no­mi­ca dev’essere, che lo sia per loro (o, quan­to­me­no, anche per loro).
Ciò che inve­ce stu­pi­sce è che alcu­ne del­le pic­co­le for­ze dislo­ca­te nel cam­po del­la sini­stra rivo­lu­zio­na­ria o inter­na­zio­na­li­sta nel­le loro ana­li­si abbia­no fat­to pro­pria, con una buo­na dose di impres­sio­ni­smo, que­sta let­tu­ra, uti­liz­zan­do esat­ta­men­te gli stes­si argo­men­ti del­la stam­pa main­stream: per cui ci è capi­ta­to di leg­ge­re, così come era­no sta­ti mes­si in fila e con­fe­zio­na­ti da quest’ultima, iden­ti­ci assun­ti e con­clu­sio­ni. Non, ovvia­men­te, con le mede­si­me inten­zio­ni, ma per squa­der­na­re – ste­ril­men­te, secon­do noi – quel­la che è l’aspirazione di tut­ti i rivo­lu­zio­na­ri, e cioè, l’irruzione del­le mas­se sul­la sce­na in un qua­dro di cri­si tale da apri­re un pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio: se anche l’economia cine­se va in cri­si – è la tesi di fon­do – que­sto è il momen­to in cui le mas­se devo­no scen­de­re in cam­po; e se non pro­prio oggi, per­lo­me­no doma­ni o dopodomani.
Ma – atten­zio­ne! – mes­sa così quest’aspirazione è solo il frut­to di un ragio­na­men­to mec­ca­ni­ci­sti­co (cri­si eco­no­mi­ca → irru­zio­ne del­le mas­se sul­la sce­na → rivo­lu­zio­ne), dato che una cri­si eco­no­mi­ca, quan­tun­que di gran­di pro­por­zio­ni, non neces­sa­ria­men­te sboc­ca in un pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio. Sto­ri­ca­men­te, infat­ti, si sono date rivo­lu­zio­ni sen­za nes­su­na cri­si eco­no­mi­ca sul­lo sfon­do, così come gigan­te­sche cri­si eco­no­mi­che sen­za che si sia svi­lup­pa­to nes­sun movi­men­to di massa.
Gene­ral­men­te, tut­te le ana­li­si che han­no evi­den­zia­to un ral­len­ta­men­to dell’economia cine­se, e altre che giun­go­no fino ad ipo­tiz­za­re che que­sto potreb­be signi­fi­ca­re l’inizio di una reces­sio­ne del Pae­se asia­ti­co, ten­do­no a sot­to­li­nea­re che nel secon­do tri­me­stre 2023 la ric­chez­za pro­dot­ta dal­la Cina è cre­sciu­ta, rispet­to allo stes­so perio­do dell’anno pre­ce­den­te, solo del 6,3%. Cioè, si con­si­de­ra que­sta cre­sci­ta ridot­ta rispet­to a ciò cui la Cina ci ha abi­tua­ti – e la si valu­ta nega­ti­va­men­te – men­tre il Pil degli Usa è cre­sciu­to solo del 2%, quel­lo dell’Eurozona del­lo 0,3% (inu­ti­le sta­re a par­la­re di quel­lo ita­lia­no!) e la sta­gna­zio­ne del­la Ger­ma­nia è cer­ti­fi­ca­ta dal ter­zo tri­me­stre con­se­cu­ti­vo a zero (sic­ché si può dun­que par­la­re di un’estate in reces­sio­ne), e men­tre l’indice del­la pro­du­zio­ne indu­stria­le è nega­ti­vo nell’area euro (-2,2% di mag­gio 2023 rispet­to allo stes­so mese del 2022). Eppu­re, a fron­te di que­sti dati, il 6,3% del­la cre­sci­ta cine­se è moti­vo di noti­zie allar­mi­sti­che non solo sui prin­ci­pa­li media occi­den­ta­li, ma anche sugli orga­ni di stam­pa del­la sini­stra non riformista.
Ana­liz­zan­do i dati, effet­ti­va­men­te emer­ge che nel secon­do tri­me­stre 2023 la cre­sci­ta cine­se ha visto­sa­men­te ral­len­ta­to: nel pri­mo tri­me­stre, subi­to dopo la fine del­le misu­re restrit­ti­ve Covid, si era subi­to atte­sta­ta sul +2,2%. A que­sto rit­mo, la pro­ie­zio­ne l’avrebbe por­ta­ta a rag­giun­ge­re per la fine del 2023 qua­si il 9% (stes­so indi­ce degli anni pre‑crisi 2008).
E però non si tie­ne con­to che il gover­no di Pechi­no ave­va fis­sa­to come obiet­ti­vo per il 2023 una cre­sci­ta del 5%, aven­do evi­den­te­men­te pre­vi­sto il ral­len­ta­men­to poi veri­fi­ca­to­si nel secon­do tri­me­stre (+0,8%). Con que­sto solo dato, la pro­ie­zio­ne annua­le si atte­ste­reb­be al 3,2%; ma som­man­do­lo al dato del tri­me­stre pre­ce­den­te (+2,2%), si arri­ve­reb­be ad una cre­sci­ta seme­stra­le del 3%, con una pro­ie­zio­ne annua, quin­di, del 6%. In que­sto modo, l’obiettivo del gover­no del 5% con­ti­nue­reb­be ad esse­re realistico.
Non solo: se i dati si ana­liz­za­no su base annua, nel pri­mo tri­me­stre la cre­sci­ta è sta­ta del 4,5% rispet­to all’anno pre­ce­den­te, e nel secon­do del 6,3%: e dun­que del +5,5% nel pri­mo seme­stre. E la pro­du­zio­ne indu­stria­le cine­se è anche aumen­ta­ta (+4,4% su base annua a giugno).
In ogni caso, se di ral­len­ta­men­to com­ples­si­vo si vuo­le par­la­re, esso tro­va le sue basi sia nel­la dimi­nu­zio­ne del­le espor­ta­zio­ni (dovu­ta però alla mino­re doman­da este­ra, a sua vol­ta deter­mi­na­ta da mino­ri dispo­ni­bi­li­tà eco­no­mi­che dei Pae­si com­pra­to­ri) che in quel­la dei con­su­mi inter­ni (in par­ti­co­la­re, la com­po­nen­te del mer­ca­to inter­no che ha con­tri­bui­to a que­sto risul­ta­to è sta­to il prez­zo degli immo­bi­li, che da oltre quin­di­ci mesi nel­le prin­ci­pa­li set­tan­ta cit­tà è in calo), in un qua­dro segna­to dal crol­lo di Ever­gran­de ed altre socie­tà immobiliari.
La dina­mi­ca discen­den­te del mer­ca­to immo­bi­lia­re si è river­be­ra­ta sui pro­get­ti di svi­lup­po del­le ammi­ni­stra­zio­ni loca­li cine­si, che trag­go­no mol­te del­le loro entra­te dal­la ven­di­ta dei ter­re­ni pub­bli­ci edi­fi­ca­bi­li: il bloc­co del­le costru­zio­ni, insom­ma, influi­sce nega­ti­va­men­te sui loro bilanci.
In bre­ve, la spi­ra­le nega­ti­va impres­sa dal set­to­re immo­bi­lia­re ha inci­so in manie­ra rile­van­te sull’insieme dell’economia cinese.
La ten­den­za a subi­re in manie­ra impres­sio­ni­sti­ca la nar­ra­zio­ne del­la stam­pa e degli ana­li­sti filo­ca­pi­ta­li­sti ha fat­to sì che le cor­ren­ti del­la sini­stra a cui abbia­mo fat­to rife­ri­men­to abbia­no asso­lu­tiz­za­to dati tut­to som­ma­to con­giun­tu­ra­li (ben­ché rile­van­ti) attri­buen­do loro la spe­ci­fi­ca di “ten­den­za”. Cioè – si è sot­tin­te­so – il crol­lo del set­to­re immo­bi­lia­re deter­mi­ne­rà nel futu­ro la “ten­den­za” alla pro­gres­si­va e inar­re­sta­bi­le deca­den­za del siste­ma eco­no­mi­co cine­se nel suo insie­me. Qual­cu­no si è addi­rit­tu­ra spin­to a sot­tin­ten­de­re una for­te “somi­glian­za” fra le pesan­ti dif­fi­col­tà finan­zia­rie di Ever­gran­de e la vio­len­ta cri­si che nel 2008 por­tò al fal­li­men­to di Leh­man Bro­thers negli Sta­ti Uni­ti. Ma que­sta spe­ci­fi­ca let­tu­ra è cer­ta­men­te appros­si­ma­ti­va e com­ple­ta­men­te erra­ta.
Sta di fat­to, però, che dopo un solo mese, e gra­zie a qual­che cor­ret­ti­vo da par­te del­le auto­ri­tà finan­zia­rie di Pechi­no, la cri­si di Ever­gran­de è già pas­sa­ta in secon­do pia­no; improv­vi­sa­men­te intor­no alla Cina sta ali­tan­do una ven­ta­ta di otti­mi­smo; la “defla­zio­ne” annun­cia­ta a destra e a man­ca pare già esse­re alle spal­le.
Del­le ragio­ni che han­no spin­to gli ana­li­sti bor­ghe­si a con­fe­zio­na­re quel­la let­tu­ra abbia­mo già det­to e non ci ritor­nia­mo. Ci inte­res­sa inve­ce sot­to­li­nea­re l’approssimazione che ha spin­to cor­ren­ti del­la sini­stra non rifor­mi­sta a coo­ne­sta­re, sia pure per moti­vi diver­si, la mede­si­ma let­tu­ra lascian­do­si “impres­sio­na­re” – di qui l’accusa di impres­sio­ni­smo che muo­via­mo loro – dai sin­go­li dati, sen­za appro­fon­di­re una visio­ne d’insieme del siste­ma eco­no­mi­co cinese.
Quan­do furo­no pub­bli­ca­ti quei dati che han­no fat­to gri­da­re alla defla­zio­ne, per­fi­no la stes­sa Mor­gan Stan­ley non ha dato ecces­si­vo peso nel­le sue ana­li­si al ral­len­ta­men­to del­la cre­sci­ta nel secon­do tri­me­stre – che il Capo del Dipar­ti­men­to per l’economia cine­se, Robin Xing, ha defi­ni­to «un sin­ghioz­zo» – pre­ve­den­do inve­ce che la per­di­ta di 30 milio­ni di posti di lavo­ro nei ser­vi­zi sareb­be sta­ta par­zial­men­te com­pen­sa­ta (+16 milio­ni) dal rim­bal­zo del­le atti­vi­tà “ad alta inten­si­tà di con­tat­to” come la risto­ra­zio­ne, che faran­no lie­vi­ta­re i consumi.
Dal can­to suo, Wei Li, docen­te di eco­no­mia inter­na­zio­na­le pres­so la Uni­ver­si­ty of Syd­ney Busi­ness School, ha con­fer­ma­to che «la ripre­sa eco­no­mi­ca del­la Cina è sul­la buo­na stra­da», poi­ché «altri set­to­ri com­pen­sa­no la debo­lez­za del­le espor­ta­zio­ni e del set­to­re immo­bi­lia­re», dal momen­to che, nono­stan­te il pro­ble­ma deri­van­te dal mer­ca­to immo­bi­lia­re, il regi­me cine­se con­ti­nua a pun­ta­re su inve­sti­men­ti infra­strut­tu­ra­li nell’economia di pro­dot­ti ad alta tec­no­lo­gia e nell’industria “ver­de” (ener­gia puli­ta, vei­co­li elet­tri­ci, ecc.). E que­sta è la ragio­ne per cui la stes­sa Wei Li ha soste­nu­to che, «seb­be­ne il 2022 sia sta­to dav­ve­ro un anno segna­to dal­la tur­bo­len­za eco­no­mi­ca, sareb­be mio­pe valu­ta­re la ripre­sa eco­no­mi­ca quest’anno esclu­si­va­men­te sul­la base del­la per­for­man­ce dei suoi set­to­ri immo­bi­lia­re e dell’esportazione. La deter­mi­na­zio­ne del­la Cina a sfrut­ta­re una vasta gam­ma di set­to­ri per la sua ripre­sa eco­no­mi­ca dimo­stra che nel­la sua abi­li­tà eco­no­mi­ca c’è più di quan­to sem­bri».
Sia chia­ro. Non voglia­mo esse­re frain­te­si: non stia­mo “difen­den­do” il siste­ma capi­ta­li­sta cine­se come se fos­se “buo­no” rispet­to a quel­lo “cat­ti­vo” dell’Occidente in sen­so lato. Non sia­mo “cam­pi­sti” e non c’è nean­che biso­gno di spe­ci­fi­ca­re che per noi la Cina rap­pre­sen­ta un siste­ma com­piu­ta­men­te capi­ta­li­sta (dopo­di­ché si può discu­te­re su qua­le tipo di capi­ta­li­smo sia alla base del­la socie­tà cine­se, con­si­de­ran­do il peso del partito‑Stato nell’insieme dell’economia): e dun­que, come tale, esso dovreb­be esse­re rove­scia­to per avan­za­re nel­la costru­zio­ne di una socie­tà socialista.
Le eco­no­mie di un mon­do capi­ta­li­sta glo­ba­liz­za­to – che pos­so­no esse­re, e sicu­ra­men­te sono, diver­se fra loro – sono anche neces­sa­ria­men­te inter­con­nes­se: come gli even­ti più vici­ni a noi (la cri­si del 2008‑2009; la pan­de­mia da Covid; oggi, la guer­ra in Ucrai­na) han­no dimo­stra­to, nel capi­ta­li­smo non c’è nes­su­na “iso­la feli­ce”. Quan­do rag­giun­ge deter­mi­na­ti livel­li, la cri­si inve­ste tut­te le eco­no­mie, sia pure con diver­se inten­si­tà. Che il capi­ta­li­smo, glo­bal­men­te inte­so come siste­ma, stia affron­tan­do la sua (enne­si­ma) cri­si pare cer­to. Che si voglia accen­tua­re il (for­te) ral­len­ta­men­to di uno dei suoi bastio­ni per pre­sen­ta­re l’intero siste­ma stes­so come se fos­se alla vigi­lia di un crol­lo distrut­ti­vo, pare volon­ta­ri­sti­co e, soprat­tut­to, per ora azzardato.
Ecco per­ché rite­nia­mo che le ana­li­si dei mar­xi­sti deb­ba­no esse­re impron­ta­te alla cau­te­la e allo stu­dio appro­fon­di­to del­le linee di ten­den­za dei pro­ces­si, rifug­gen­do dal­la fret­ta di “dire qual­co­sa di sini­stra”, se non addi­rit­tu­ra di “dire qual­co­sa” (para­fra­san­do il regi­sta Nan­ni Moret­ti): mal­co­stu­me che con­du­ce ine­vi­ta­bil­men­te all’approssimazione e all’eclettismo.
Ma non è tut­to, per­ché non basta, cioè, pren­de­re a base di un ragio­na­men­to solo alcu­ni dati macroe­co­no­mi­ci, asso­lu­tiz­zan­do­li. Quei dati devo­no inve­ce esse­re inse­ri­ti in un qua­dro più ampio che esu­li dal solo aspet­to dell’economia e li leg­ga anche alla luce dei pro­ces­si più gene­ra­li del­lo scon­tro fra poten­ze e del­la lot­ta dei Pae­si dipen­den­ti per ripo­si­zio­nar­si, allo sco­po di acqui­si­re una mag­gio­re influen­za, in uno dei cam­pi che quel­lo scon­tro deter­mi­na. In altri ter­mi­ni, e per resta­re all’esempio del­la Cina: nel mese di ago­sto il sem­pli­ce (e sem­pli­ci­sti­co) esa­me dei dati dell’economia ha fat­to gri­da­re alla defla­zio­ne e al poten­zia­le crol­lo; solo un mese dopo, nuo­vi dati met­to­no in cri­si quell’analisi. Ma deve, oppu­re no, il capi­ta­li­smo cine­se esse­re valu­ta­to alla luce del­lo scon­tro eco­no­mi­co, com­mer­cia­le e valu­ta­rio (in atte­sa di quel­lo, pos­si­bi­le, mili­ta­re) con le eco­no­mie occi­den­ta­li, e in par­ti­co­la­re degli Sta­ti Uni­ti? Deve, oppu­re no, esse­re osser­va­to il suo svi­lup­po attra­ver­so il pro­ta­go­ni­smo in tan­te aree del mon­do gra­zie al qua­le Pechi­no cer­ca di sosti­tuir­si alla pre­sen­za occi­den­ta­le in diver­se regioni?
È chia­ro, per quan­to stia­mo dicen­do, che limi­tar­si a “regi­stra­re” i dati eco­no­mi­ci che tra­du­co­no perio­di di calo e di cre­sci­ta di un’economia come quel­la cine­se dà come risul­ta­to un’analisi con­giun­tu­ra­le e alta­le­nan­te del­la stessa.
Ciò che allo­ra riven­di­chia­mo con­tro le ana­li­si impres­sio­ni­sti­che che stia­mo qui denun­cian­do è la bon­tà del meto­do scien­ti­fi­co di ana­li­si del­la real­tà che il mar­xi­smo ci ha lascia­to: un meto­do che in quel­le ana­li­si man­ca del tut­to. E la dife­sa di que­sto meto­do non è fina­liz­za­ta a se stes­sa: un meto­do d’analisi cor­ret­to indu­ce a (o quan­to­me­no ren­de pos­si­bi­le) una pras­si poli­ti­ca corretta.
In que­sto sen­so, pre­sen­tia­mo qui di segui­to il sag­gio del noto eco­no­mi­sta mar­xi­sta Michael Roberts, il qua­le, ben­ché sia dell’opinione (per noi erra­ta) che quel­lo cine­se non sia un siste­ma “com­ple­ta­men­te” capi­ta­li­sta, non­di­me­no ci offre una let­tu­ra asso­lu­ta­men­te cor­ret­ta dei dati così mala­men­te maneg­gia­ti nel­le ana­li­si che abbia­mo fin qui cri­ti­ca­to: per­ché, rifug­gen­do da una visio­ne con­giun­tu­ra­le, li inse­ri­sce nel più ampio qua­dro di quel­le che egli ritie­ne esse­re le linee di ten­den­za del capi­ta­li­smo cine­se, segna­to da un mar­ca­to (e, in que­sto momen­to, più evi­den­te) inter­ven­to del­lo Stato.
E, insie­me alla Reda­zio­ne del sito, augu­ro a chi ci segue buo­na lettura.

Vale­rio Torre

Cina: consumi o investimenti?


Michael Roberts

 

Nel secon­do tri­me­stre del 2023 l’economia cine­se è cre­sciu­ta del 6,3% su base annua, in aumen­to rispet­to al 4,5% su base annua regi­stra­to nel pri­mo tri­me­stre. Sem­bra for­te, ma la cre­sci­ta tri­me­stra­le è sta­ta solo del­lo 0,8%, in net­to ral­len­ta­men­to rispet­to al 2,2% su base tri­me­stra­le del pri­mo tri­me­stre del 2023.

Inol­tre, una misu­ra affi­da­bi­le dell’attività eco­no­mi­ca – l’indice del son­dag­gio tra i respon­sa­bi­li degli acqui­sti[1] per il mese di luglio – è sce­so a 51,1 nel luglio 2023 da 52,3 nel mese pre­ce­den­te (50 è la soglia tra espan­sio­ne e con­tra­zio­ne). Si trat­ta del dato più bas­so dal dicem­bre 2022. L’attività indu­stria­le si è con­trat­ta per il quar­to mese consecutivo.

Gli “esper­ti” occi­den­ta­li sul­la Cina si sono affret­ta­ti a soste­ne­re che l’economia cine­se è in gra­vi dif­fi­col­tà, con un ral­len­ta­men­to del­la cre­sci­ta, un calo del­le espor­ta­zio­ni, una debo­le cre­sci­ta dei con­su­mi e un debi­to in aumen­to. Il gran­de mira­co­lo eco­no­mi­co è finito.
Ma quan­te vol­te negli ulti­mi vent’anni abbia­mo sen­ti­to dagli esper­ti que­sto ritor­nel­lo? Potrei cita­re arti­co­li su arti­co­li, libri su libri, che pre­ve­de­va­no il col­las­so dell’economia sta­ta­le cine­se, par­ten­do dall’affermazione che essa è bloc­ca­ta in una “trap­po­la del red­di­to medio” (cioè non può cre­sce­re di nuo­vo velo­ce­men­te); pas­san­do per l’affermazione secon­do cui l’invecchiamento del­la popo­la­zio­ne e il calo del­la for­za lavo­ro, insie­me all’aumento del debi­to del set­to­re pub­bli­co e pri­va­to, stan­no por­tan­do alla “giap­po­ne­siz­za­zio­ne”, ovve­ro a un’economia sta­gnan­te; per fini­re con le pre­vi­sio­ni di un immi­nen­te col­las­so nel set­to­re immo­bi­lia­re e finanziario.
Ho trat­ta­to que­sti argo­men­ti in det­ta­glio in mol­ti post pre­ce­den­ti. L’ultimo risa­le appe­na a mar­zo. Vi pre­go di leg­ger­lo atten­ta­men­te insie­me ai post richia­ma­ti. I dati sono tut­ti lì, a con­fu­ta­re que­sta ana­li­si “esper­ta”. Ma, natu­ral­men­te, essa non ver­rà mes­sa in dub­bio per­ché è nell’interesse dell’“Occidente” soste­ne­re che il model­lo eco­no­mi­co cine­se non può fun­zio­na­re e che ha biso­gno di una tran­si­zio­ne urgen­te, non ver­so il socia­li­smo, ma ver­so un vero e pro­prio capi­ta­li­smo di libe­ro mercato.
Con­si­de­ria­mo l’ultima serie di affer­ma­zio­ni avan­za­te dagli eco­no­mi­sti main­stream (e ripe­tu­te a pap­pa­gal­lo da alcu­ni all’interno del­la Cina, cioè da colo­ro che sono sta­ti ben edu­ca­ti all’economia neo­clas­si­ca e del libe­ro mer­ca­to nel­le uni­ver­si­tà ame­ri­ca­ne). Per esem­pio, ecco l’ultima opi­nio­ne del Finan­cial Times: «La poli­ti­ca del gover­no è in gran par­te respon­sa­bi­le del ral­len­ta­men­to. Decen­ni di affi­da­men­to su un model­lo di cre­sci­ta gui­da­to dagli inve­sti­men­ti han­no ral­len­ta­to la tran­si­zio­ne del­la Cina ver­so un’economia basa­ta sui con­su­mi. La scar­sa sor­ve­glian­za del mer­ca­to immo­bi­lia­re ha por­ta­to a un boom inso­ste­ni­bi­le dei pre­sti­ti, men­tre gli impe­di­men­ti poli­ti­ci han­no osta­co­la­to le impre­se pri­va­te. Anche le pesan­ti restri­zio­ni impo­ste dal Covid han­no lascia­to pro­fon­de cica­tri­ci».
Quin­di, pri­ma di tut­to, incol­pia­mo il gover­no cine­se per il ral­len­ta­men­to dell’economia – pre­su­mi­bil­men­te per aver inter­fe­ri­to con le impre­se e il set­to­re capi­ta­li­sti­co. Ma poi soste­nia­mo che la col­pa è di “decen­ni di affi­da­men­to a un model­lo di cre­sci­ta gui­da­to dagli inve­sti­men­ti”, per­ché è neces­sa­ria una “tran­si­zio­ne ver­so un’economia basa­ta sui con­su­mi”. Dav­ve­ro? Le eco­no­mie del G7 basa­te sui con­su­mi han­no fat­to meglio del­la ter­ri­bi­le eco­no­mia cine­se gui­da­ta dagli inve­sti­men­ti negli ulti­mi due o tre decen­ni? Date un’occhiata a que­sto grafico.

Ma il Finan­cial Times e altri esper­ti potreb­be­ro ribat­te­re che, a par­ti­re dal COVID, le cose sono cam­bia­te in Cina; ora l’economia non può ripren­der­si. Dav­ve­ro? Guar­da­te que­sto gra­fi­co sul tas­so di cre­sci­ta di Cina e Sta­ti Uni­ti dall’inizio del­la pan­de­mia COVID. In effet­ti, duran­te il 2020, anno di crol­lo dall’inizio del­la pan­de­mia COVID, tut­te le prin­ci­pa­li eco­no­mie capi­ta­li­sti­che avan­za­te han­no subi­to una reces­sio­ne, ma la Cina, come nel­la Gran­de Reces­sio­ne del 2008‑2009, non l’ha subi­ta. Eppu­re la Cina ha appli­ca­to la serie più seve­ra e dra­co­nia­na di misu­re di iso­la­men­to duran­te la pandemia.

E men­tre gli eco­no­mi­sti sta­tu­ni­ten­si sono in visi­bi­lio per la cre­sci­ta del­lo 0,6% dell’economia ame­ri­ca­na nel secon­do tri­me­stre di quest’anno, a quan­to pare la cre­sci­ta del­lo 0,8% nel­lo stes­so tri­me­stre in Cina è da con­si­de­rar­si un disastro.
Il Finan­cial Times affer­ma che «anche le pesan­ti restri­zio­ni impo­ste in con­se­guen­za del Covid han­no lascia­to pro­fon­de cica­tri­ci». Ebbe­ne, que­ste “pesan­ti” misu­re han­no anche sal­va­to milio­ni di vite in Cina, quan­do il suo siste­ma sani­ta­rio era al col­las­so e ina­de­gua­to al com­pi­to. Nel 2020‑2021, quan­do il tas­so di mor­ta­li­tà per COVID è sali­to alle stel­le in Occi­den­te, quel­lo del­la Cina si è man­te­nu­to a livel­li mini­mi. Alla fine, quan­do è soprag­giun­ta la fine del­le misu­re di iso­la­men­to e sono aumen­ta­te le pro­te­ste, il gover­no ha cedu­to e ha “aper­to” l’economia: allo­ra il tas­so di mor­ta­li­tà è sali­to, ma solo a 85 per milio­ne rispet­to al 3300 per milio­ne degli Sta­ti Uni­ti, o al 2325 del­la Sve­zia “aper­ta” e per­si­no al 375 (dato ridi­col­men­te sot­to­sti­ma­to) dell’India. Le “pro­fon­de cica­tri­ci” sono sta­te e sono tut­to­ra avver­ti­te in Euro­pa, negli Sta­ti Uni­ti e in Ame­ri­ca Lati­na a cau­sa del­le mor­ti da COVID e del­le con­se­guen­ze che il “long COVID” ha avu­to sul­la salu­te del­la for­za lavo­ro e sul­la cre­sci­ta eco­no­mi­ca. Quest’anno, il FMI pre­ve­de che la Cina cre­sce­rà del 5,3%, men­tre le eco­no­mie capi­ta­li­sti­che avan­za­te riu­sci­ran­no a rag­giun­ge­re solo l’1,5%, con l’area dell’euro che rag­giun­ge­rà solo lo 0,9% e la Ger­ma­nia e la Sve­zia in vera e pro­pria recessione.
Il Finan­cial Times pro­se­gue affer­man­do che «la scar­sa sor­ve­glian­za del mer­ca­to immo­bi­lia­re ha por­ta­to a un boom inso­ste­ni­bi­le dei pre­sti­ti, men­tre gli osta­co­li poli­ti­ci han­no fre­na­to le impre­se pri­va­te». Si è par­la­to mol­to del crol­lo immo­bi­lia­re in Cina, con il fal­li­men­to di diver­se mega‑società di svi­lup­po immo­bi­lia­re che non sono più riu­sci­te a copri­re il debi­to accu­mu­la­to con le ven­di­te degli immobili.
Ma è sta­ta col­pa di una cat­ti­va rego­la­men­ta­zio­ne? La stes­sa cau­sa – la “cat­ti­va rego­la­men­ta­zio­ne” – è sta­ta addot­ta per i crol­li immo­bi­lia­ri nel­le eco­no­mie capi­ta­li­ste. Ma come in quel­le eco­no­mie, la cri­si immo­bi­lia­re cine­se non è dovu­ta a una cat­ti­va rego­la­men­ta­zio­ne o a “pre­sti­ti inso­ste­ni­bi­li”, ben­sì al fat­to che il mer­ca­to immo­bi­lia­re e abi­ta­ti­vo in Cina è pro­prio que­sto: par­te del mer­ca­to spe­cu­la­ti­vo capi­ta­li­sta. Per cita­re lo stes­so Xi: «La casa ser­ve per vive­re, non per spe­cu­la­re».
E qui sta il pro­ble­ma. Per­ché un biso­gno uma­no fon­da­men­ta­le come la casa è sta­to affi­da­to al set­to­re pri­va­to per sod­di­sfa­re le esi­gen­ze di milio­ni di per­so­ne che si era­no river­sa­te nel­le cit­tà negli ulti­mi decen­ni? L’edilizia abi­ta­ti­va dovreb­be esse­re rea­liz­za­ta con inve­sti­men­ti pub­bli­ci diret­ti per costrui­re case per tut­ti a cano­ni ragio­ne­vo­li, evi­tan­do così la spe­cu­la­zio­ne, l’impennata dei prez­zi del­le case e l’aumento del­le disu­gua­glian­ze. In effet­ti, la ragio­ne prin­ci­pa­le dell’aumento del­la disu­gua­glian­za in Cina negli ulti­mi due decen­ni non sta nei miliar­da­ri, ma nel­la disu­gua­glian­za tra aree urba­ne e rura­li e tra pro­prie­ta­ri di immo­bi­li e non.
È quel­lo che è suc­ces­so in Occi­den­te e anche la Cina avreb­be dovu­to evi­tar­lo. Ma nel­la loro “sag­gez­za” i lea­der cine­si, con­si­glia­ti dai loro ban­chie­ri ed eco­no­mi­sti di for­ma­zio­ne occi­den­ta­le, han­no opta­to per il model­lo rentier‑capitalista che ora si è ritor­to con­tro di loro.
Il gover­no è sta­to costret­to ad agi­re. In pri­mo luo­go, con la poli­ti­ca del­le “tre linee ros­se” intro­dot­ta nel 2020, ha mira­to a limi­ta­re l’indebitamento dei costrut­to­ri e, in ulti­ma ana­li­si, a ridur­re il loro acces­so ai finan­zia­men­ti. Poi ha ini­zia­to a sal­va­re i costrut­to­ri e a suben­tra­re ad alcu­ni. Ma riman­go­no enor­mi debi­ti nel­le ammi­ni­stra­zio­ni loca­li che han­no soste­nu­to l’onere di for­ni­re ter­re­ni ai costrut­to­ri e rac­co­glie­re fon­di. Il debi­to del­le ammi­ni­stra­zio­ni loca­li è cre­sciu­to ver­ti­gi­no­sa­men­te e il pro­gram­ma di rim­bor­so è par­ti­co­lar­men­te oneroso.

Il debi­to del­le ammi­ni­stra­zio­ni loca­li si aggi­ra oggi intor­no al 25% del PIL, ma se si aggiun­go­no i mec­ca­ni­smi di finan­zia­men­to crea­ti dal­le ammi­ni­stra­zio­ni loca­li (LGFV), il debi­to tota­le del­le ammi­ni­stra­zio­ni loca­li rag­giun­ge il 60% del PIL. Inol­tre, di fron­te all’inasprimento dei cri­te­ri di cre­di­to sul mer­ca­to inter­no, gli LGFV si sono rivol­ti ai mer­ca­ti off­sho­re e han­no rac­col­to la cifra record di 39,5 miliar­di di dol­la­ri in obbli­ga­zio­ni in dollari.
Temo che i lea­der cine­si non abbia­no impa­ra­to da que­sta situa­zio­ne. Ora si stan­no muo­ven­do per for­ni­re cre­di­to più faci­le ai costrut­to­ri e han­no abban­do­na­to il con­cet­to di Xi di “case per vive­re”. Il gover­no ora par­la di aiu­ta­re il set­to­re capi­ta­li­sti­co [pri­va­to: N.d.T.]. Gli alti fun­zio­na­ri del par­ti­to e del­lo Sta­to han­no pub­bli­ca­to un pia­no in 31 pun­ti per soste­ne­re l’economia pri­va­ta e miglio­ra­re la fidu­cia del­le impre­se. La scor­sa set­ti­ma­na diver­se agen­zie gover­na­ti­ve han­no anche deli­nea­to gli obiet­ti­vi per sti­mo­la­re la spe­sa dei con­su­ma­to­ri in auto­mo­bi­li ed elet­tro­do­me­sti­ci, anche se non sono sta­ti annun­cia­ti sus­si­di diret­ti per le famiglie.
Tut­to ciò è in linea con quan­to soste­nu­to dal Finan­cial Times, secon­do il qua­le «gli impren­di­to­ri e le azien­de con­so­li­da­te han­no biso­gno di sta­bi­li­tà e chia­rez­za nor­ma­ti­va da par­te del gover­no. Un ulte­rio­re allen­ta­men­to del­la poli­ti­ca mone­ta­ria da par­te del­la ban­ca cen­tra­le cine­se potreb­be aiu­ta­re. Pechi­no dovrà anche ristrut­tu­ra­re il debi­to del­le ammi­ni­stra­zio­ni loca­li; un’opzione potreb­be esse­re la ven­di­ta di beni sta­ta­li a socie­tà pri­va­te. Il rica­va­to aiu­te­reb­be le auto­ri­tà loca­li a evi­ta­re una cri­si del debi­to». In altre paro­le, la rispo­sta non è la pro­prie­tà pub­bli­ca del set­to­re immo­bi­lia­re e l’acquisizione del­le socie­tà immo­bi­lia­ri inde­bi­ta­te, ma piut­to­sto un sal­va­tag­gio e poi la ven­di­ta di beni sta­ta­li per pagar­lo, cioè la pri­va­tiz­za­zio­ne e non la nazionalizzazione.
Infi­ne, nel soste­ne­re il decli­no dell’economia cine­se, il Finan­cial Times ripro­po­ne la vec­chia argo­men­ta­zio­ne degli “esper­ti occi­den­ta­li”, secon­do cui la Cina deve diven­ta­re un’economia gui­da­ta dai con­su­ma­to­ri come quel­la del G7, se vuo­le evi­ta­re la trap­po­la del “red­di­to medio” e la sta­gna­zio­ne in sti­le giap­po­ne­se. Ma sono le eco­no­mie di con­su­mo occi­den­ta­li a rista­gna­re, non la Cina. Inol­tre, se per “sta­gna­zio­ne” si inten­de l’assenza di infla­zio­ne dei prez­zi, allo­ra può ave­re un sen­so. La Cina ha il tas­so di infla­zio­ne più bas­so di tut­te le prin­ci­pa­li eco­no­mie del mon­do, com­pre­so il Giap­po­ne sta­gnan­te che sta dispe­ra­ta­men­te cer­can­do di crea­re inflazione!

Men­tre in Occi­den­te le fami­glie stan­no suben­do il più gran­de calo del teno­re di vita dai tem­pi del­la Gran­de Depres­sio­ne, per­ché i sala­ri non rie­sco­no a tene­re il pas­so con l’alta infla­zio­ne, in Cina acca­de il contrario.

Il pro­ble­ma è la disoc­cu­pa­zio­ne gio­va­ni­le, che in Cina supe­ra il 20% rispet­to a una media di disoc­cu­pa­zio­ne urba­na di cir­ca il 5%.

In real­tà, non è che i posti di lavo­ro non esi­sta­no in Cina. Esi­sto­no ecco­me. Ma l’economia non pro­du­ce abba­stan­za posti di lavo­ro alta­men­te qua­li­fi­ca­ti e ad alto sala­rio, come mol­ti stu­den­ti uni­ver­si­ta­ri si aspet­ta­no. La Cina pro­du­ce sem­pre più laureati.

Tut­ti si aspet­ta­no di tro­va­re lavo­ro nel­la finan­za e nel­la tec­no­lo­gia, ma non nel­la pro­du­zio­ne, nell’edilizia e nell’ingegneria. È un pro­ble­ma che acco­mu­na la Cina e l’Occidente. Le fami­glie più agia­te voglio­no che i loro figli lavo­ri­no per le affa­sci­nan­ti azien­de tec­no­lo­gi­che e le ban­che (dove devo­no fare ora­ri assur­di) piut­to­sto che in lavo­ri “bana­li” che spes­so pos­so­no esse­re paga­ti altret­tan­to bene. Il gover­no ha offer­to incen­ti­vi alle azien­de che assu­mo­no stu­den­ti, ma non pia­ni­fi­ca pro­get­ti gover­na­ti­vi che potreb­be­ro for­ni­re una for­ma­zio­ne nel cam­po del­la tec­no­lo­gia e dell’innovazione in gra­do di sod­di­sfa­re impor­tan­ti obiet­ti­vi sociali.
Poi c’è il com­mer­cio este­ro. Uno dei moti­vi per cui il tas­so di cre­sci­ta del­la Cina è sta­to rela­ti­va­men­te bas­so nell’ultimo anno è il crol­lo del com­mer­cio inter­na­zio­na­le, che è diven­ta­to nega­ti­vo. Di con­se­guen­za, le espor­ta­zio­ni cine­si nel mon­do sono diminuite.

Sì, que­sto pro­ba­bil­men­te signi­fi­ca che la Cina dovreb­be con­cen­trar­si sugli inve­sti­men­ti e sul­la pro­du­zio­ne inter­na, piut­to­sto che sul­le espor­ta­zio­ni. Ma que­sto non vuol dire diven­ta­re un’economia “gui­da­ta dai con­su­ma­to­ri”. Come ho soste­nu­to in pre­ce­den­za, i con­su­mi deri­va­no dagli inve­sti­men­ti e non vice­ver­sa, come ha dimo­stra­to l’economia cine­se fino ad oggi.
Il Finan­cial Times e gli altri esper­ti sosten­go­no che la Cina si sta diri­gen­do ver­so una bas­sa cre­sci­ta per tut­to il decen­nio: si veda­no le ulti­me pre­vi­sio­ni del FMI.

Ma, come ho soste­nu­to nei post pre­ce­den­ti, que­sto non è vero se la Cina sfrut­ta il poten­zia­le che ha anco­ra per inve­sti­re e cre­sce­re. Alcu­ni “esper­ti” sosten­go­no che l’India supe­re­rà la Cina nel pros­si­mo decen­nio. Così affer­ma l’ex eco­no­mi­sta del­la Ban­ca Mon­dia­le e del FMI Asho­ka Mody:

«Dal­la metà degli anni 80, gli osser­va­to­ri india­ni e inter­na­zio­na­li han­no pre­vi­sto che la lepre auto­ri­ta­ria cine­se alla fine avreb­be vacil­la­to e la tar­ta­ru­ga demo­cra­ti­ca india­na avreb­be vin­to la gara».

Ma l’Indice del Capi­ta­le Uma­no 2020 del­la Ban­ca Mon­dia­le – che misu­ra i risul­ta­ti dei Pae­si in mate­ria di istru­zio­ne e salu­te su una sca­la da 0 a 1 – ha asse­gna­to all’India un pun­teg­gio di 0,49, infe­rio­re a Nepal e Kenya, entram­bi Pae­si più pove­ri. La Cina ha otte­nu­to un pun­teg­gio di 0,65, simi­le a quel­lo dei ben più ric­chi (in ter­mi­ni pro capi­te) Cile e Slo­vac­chia. Men­tre il tas­so di par­te­ci­pa­zio­ne fem­mi­ni­le alla for­za lavo­ro del­la Cina è sce­so a cir­ca il 62% da cir­ca l’80% nel 1990, quel­lo dell’India è sce­so nel­lo stes­so perio­do dal 32% a cir­ca il 25%. Soprat­tut­to nel­le aree urba­ne, la vio­len­za con­tro le don­ne ha sco­rag­gia­to le don­ne india­ne dall’entrare nel­la for­za lavoro.
Sup­po­nen­do che le due eco­no­mie fos­se­ro ugual­men­te pro­dut­ti­ve nel 1953 (all’incirca quan­do han­no ini­zia­to i loro sfor­zi di moder­niz­za­zio­ne), la Cina è diven­ta­ta più pro­dut­ti­va di oltre il 50% alla fine degli anni 80 e oggi la pro­dut­ti­vi­tà cine­se è qua­si il dop­pio di quel­la india­na. Men­tre il 45% dei lavo­ra­to­ri india­ni è anco­ra impie­ga­to nel set­to­re agri­co­lo, alta­men­te impro­dut­ti­vo, la Cina è pas­sa­ta da un’attività mani­fat­tu­rie­ra sem­pli­ce e ad alta inten­si­tà di mano­do­pe­ra ad una posi­zio­ne domi­nan­te nei mer­ca­ti auto­mo­bi­li­sti­ci glo­ba­li, soprat­tut­to per quan­to riguar­da i vei­co­li elettrici.

La Cina è anche meglio pre­pa­ra­ta per le oppor­tu­ni­tà futu­re. Set­te uni­ver­si­tà cine­si sono clas­si­fi­ca­te tra le pri­me cen­to al mon­do, con Tsin­ghua e Pechi­no tra le pri­me ven­ti. Tsin­ghua è con­si­de­ra­ta la pri­ma uni­ver­si­tà al mon­do per l’informatica, men­tre Pechi­no è al nono posto. Allo stes­so modo, nove uni­ver­si­tà cine­si sono tra le pri­me cin­quan­ta a livel­lo glo­ba­le in mate­ma­ti­ca. Per con­tro, nes­su­na uni­ver­si­tà india­na, com­pre­si i cele­bri Indian Insti­tu­tes of Tech­no­lo­gy, è clas­si­fi­ca­ta tra le pri­me cen­to al mondo.

La Cina ha anco­ra gran­di oppor­tu­ni­tà per la rea­liz­za­zio­ne di infra­strut­tu­re nel­le pro­vin­ce inter­ne. La sfi­da con­si­ste nel tra­sfor­ma­re i rispar­mi inter­ni in inve­sti­men­ti inter­ni, in modo che il capi­ta­le sia desti­na­to agli usi più pro­dut­ti­vi. Per me, que­sto signi­fi­ca che lo Sta­to deve diri­ge­re tali stan­zia­men­ti e non lascia­re che gli inve­sti­men­ti ven­ga­no rea­liz­za­ti dal set­to­re capi­ta­li­sti­co [pri­va­to: N.d.T.].
In effet­ti, que­sto set­to­re in Cina sta fal­len­do. La quo­ta del set­to­re pri­va­to nel­le cen­to mag­gio­ri socie­tà cine­si quo­ta­te in bor­sa per valo­re di mer­ca­to è sce­sa da un pic­co del 55% a metà del 2021 al 39% di que­sto giu­gno, avvi­ci­nan­do­si ai livel­li più bas­si in più di tre anni, secon­do un rap­por­to di ricer­ca di pros­si­ma pub­bli­ca­zio­ne del cen­tro stu­di Peter­son Insti­tu­te for Inter­na­tio­nal Eco­no­mics (PIIE), con sede a Washington.
Gli inve­sti­men­ti del set­to­re pri­va­to si sono ridot­ti del­lo 0,2% nel­la pri­ma metà del 2023 rispet­to all’anno pre­ce­den­te, la pri­ma con­tra­zio­ne dall’inizio del­la rac­col­ta dei dati uffi­cia­li nel 2005, con l’eccezione del 2020, quan­do l’economia è sta­ta col­pi­ta dal­la pan­de­mia. Nel­lo stes­so perio­do, inve­ce, gli inve­sti­men­ti del­le impre­se a con­trol­lo sta­ta­le sono cre­sciu­ti dell’8,1%.
Il Finan­cial Times fa nota­re che «il gover­no cen­tra­le cine­se è uno dei meno inde­bi­ta­ti al mon­do … Se la Cina vuo­le soste­ne­re la sua lun­ga serie di suc­ces­si eco­no­mi­ci, spet­ta a Pechi­no agi­re». Ma l’idea di azio­ne del Finan­cial Times è che il gover­no elar­gi­sca dena­ro alle fami­glie e “libe­ri” il set­to­re pri­va­to. Ma non è di una svol­ta ver­so un’economia di mer­ca­to gui­da­ta dai con­su­ma­to­ri che la Cina ha biso­gno per far ripar­ti­re l’economia, ben­sì di inve­sti­men­ti pub­bli­ci pia­ni­fi­ca­ti in abi­ta­zio­ni, tec­no­lo­gia e manifattura.


Note

[1] PMI: Pur­cha­sing Mana­gers Index (N.d.T.).