“Price cap”: sorpresa!
Valerio Torre
«Le sanzioni occidentali contro la Russia
sono la politica più mal concepita e controproducente
della recente storia internazionale.
[…] la guerra economica
è inefficace contro il regime di Mosca
e devastante per i suoi imprevisti obiettivi»
(Simon Jenkins, The Guardian)
«… gli uomini con la spada in pugno,
allorché hanno tentato di fabbricare un “valore di distribuzione”,
non altro hanno raccolto che cattivi affari e perdite di denaro.
[…] I due governi più forti che siano mai esistiti,
il governo rivoluzionario nordamericano
e la Convenzione nazionale francese,
ebbero l’ardire di volere imporre un calmiere dei prezzi
e fallirono miseramente.
[…] E dove è quella spada
che esercita il comando sul mercato mondiale?»
(Friedrich Engels, Antidühring)
Mentre l’Ue, il G7, gli Usa, e chi più ne più ne metta, continuano imperterriti a varare pacchetti di sanzioni contro la Russia nel tentativo di fiaccarne l’economia (tentativo che finora non è riuscito, come attestato dal Fmi[1]), gli effetti negativi di queste decisioni assurde (da un punto di vista delle leggi dell’economia capitalistica, come vedremo più avanti) si riverberano sui cittadini dei Paesi che quelle sanzioni impongono.
Uno dei casi di sanzioni mediaticamente più eclatante è stato quello del famoso “price cap” al prezzo del petrolio russo[2], cioè un tetto al prezzo per la sua vendita fissato arbitrariamente a 60 dollari al barile[3]. Dico “mediaticamente” perché per mesi sulla stampa mainstream si è favoleggiato delle magnifiche sorti di questa misura con la quale Mosca sarebbe stata privata di una delle sua più importanti fonti di entrate.
The EU agreement on an oil price cap, coordinated with G7 and others, will reduce Russia’s revenues significantly.
It will help us stabilise global energy prices, benefitting emerging economies around the world. pic.twitter.com/3WmIalIe5y
— Ursula von der Leyen (@vonderleyen) December 2, 2022
Ma qual era l’idea alla base di questa bella “trovata”?
Gli imperialismi occidentali erano ben consapevoli che, se si fosse deciso di mettere un embargo totale alle esportazioni del crudo russo, i prezzi del petrolio sui mercati mondiali sarebbero schizzati a livelli insostenibili per tutte le economie del pianeta provocandone il crollo generalizzato. E allora si è pensato: obblighiamo invece chi vuole il petrolio russo a pagarlo ad un prezzo appena superiore ai costi di produzione, immagazzinamento e trasporto. In tal modo concederemo alla Russia soltanto un piccolo margine di profitto che non le consentirà di finanziare la guerra in Ucraina, e nel contempo evitiamo brusche ricadute sui prezzi internazionali.
La “trovata”
E come si è pensato di “obbligare” gli acquirenti a pagarlo solo 60 dollari al barile? Semplice: negando i servizi assicurativi e riassicurativi sul trasporto via mare a chi volesse pagarlo un solo centesimo in più, dato che il grosso delle compagnie di assicurazione e riassicurazione è in mano occidentale. Dunque: «Mosca ti chiede 61 dollari o più? E io non ti do la polizza assicurativa e riassicurativa sul trasporto, così ogni flotta petroliera (le cui navi pure sono in gran maggioranza in mano a compagnie occidentali) si rifiuterà di trasportartelo. Se lo vuoi “legalmente” (cioè nel rispetto della “legge” che ho scritto io), con tutti i servizi di assicurazione e trasporto garantiti, devi dare a Putin solo 60 dollari, altrimenti non te lo faccio nemmeno imbarcare, il petrolio».
I rilievi degli esperti
Una semplice osservazione di buon senso, dell’uomo della strada, avrebbe dovuto far riflettere questi intelligentoni sul fatto che qui non si trattava di mettere sanzioni, che so, alla Namibia (con tutto il rispetto per questo Paese). Se Cuba, che ha un’economia imparagonabile a quella russa, è riuscita tra incredibili difficoltà e a costi umani altissimi a resistere all’embargo statunitense, un pensierino sull’efficacia di questa trovata lo si sarebbe dovuto fare. E infatti – cosa che ovviamente non trapelava sulla stampa addomesticata generalista rivolta all’opinione pubblica – alcuni specialisti avevano sollevato dei dubbi sulla praticabilità e sull’efficacia della misura[4]; gli assicuratori avevano spiegato nelle loro pubblicazioni di nicchia che la Russia ha proprie compagnie assicurative: non gigantesche come i Lloyd’s di Londra, ma che comunque una polizza di trasporto marittimo avrebbero potuto senz’altro emetterla[5]. Altri addetti ai lavori (armatori e mediatori navali) avevano spiegato nei propri report che la Russia avrebbe potuto tranquillamente creare una “flotta fantasma” per trasportare il greggio da vendere al prezzo ritenuto più conveniente[6].
Le contromisure della Russia nell’immediato …
Ma poi c’è un altro argomento che i cantori delle meraviglie del capitalismo, questi improvvisati “sanzionatori”, avrebbero dovuto conoscere e che invece hanno tenuto in non cale: il mercato del petrolio non vive in un regime di “monopsonio”. Cos’è il monopsonio? È quella forma di mercato caratterizzata dalla presenza di un solo acquirente di fronte a una pluralità di venditori. L’unico acquirente ha sol per questo la forza economica per dettare il prezzo: «Voi venditori dovete vendermi il vostro prodotto al prezzo che dico io. Altrimenti ve lo tenete sullo stomaco perché non esiste un solo acquirente diverso da me sulla faccia della terra». Queste cose le spiegava nel 1878 un certo Friedrich Engels in un’opera dal titolo “Antidühring”[7].
E allora, dato che Putin sapeva benissimo che per il petrolio non opera un regime di monopsonio, ha messo in atto alcune strategie prevedibili per un’economia della stazza di quella russa (e previste infatti dagli osservatori più accorti[8]). Innanzitutto, ha subito rilanciato, dichiarando che per rappresaglia il suo Paese non avrebbe venduto più petrolio a tutti quegli Stati che avessero sostenuto il price cap[9]. Poi ha riorientato il proprio mercato verso altri Paesi affamatissimi di oro nero e che prima compravano molto meno petrolio dalla Russia (l’India, molto più che la Cina, è un esempio eclatante[10]), sostituendo così nel proprio parco acquirenti i Paesi occidentali con quelli orientali (nonché altri Stati): basti solo pensare che ora Cina e India comprano l’equivalente di greggio prima venduto dalla Russia all’Europa[11]. In seguito ha riorganizzato e potenziato i propri servizi assicurativi e riassicurativi statali riuscendo in tal modo ad offrire il servizio che le compagnie occidentali negano[12]. Ha quindi comprato svariate petroliere che, dopo un opportuno cambio di bandiera, possono ora viaggiare trasportando petrolio verso altri lidi[13]. Certo, ora il trasporto impiegherà un po’ di tempo in più rispetto al percorso attraverso gli oleodotti diretti in Europa occidentale. Ma in fin dei conti si tratta di un piccolo fastidio a fronte dei guadagni che derivano da questo riorientamento del mercato del petrolio russo.
… e le strategie per il domani
Ma la Russia non ha pensato soltanto a come contrastare la sanzione sul prezzo del petrolio. Ha messo invece in campo una visione strategica funzionale all’espansione dei suoi interessi imperialisti sui mercati in un mondo che Mosca (come la Cina) non vede più a dominio unipolare Usa. In questo senso, la nuova rotta commerciale transcontinentale che la proietterà verso l’Oceano Indiano attraverso l’Iran è stata concepita come “antidoto” rispetto ad ogni tipo di sanzione futura. L’idea – come ha affermato Maria Shagina, esperta di sanzioni e politica estera russa presso l’Istituto internazionale di studi strategici con sede a Londra – è di «creare catene di approvvigionamento a prova di sanzioni lungo tutto il percorso»[14].
Il corridoio multimodale è lungo 7200 km e collega San Pietroburgo a Mumbai (attuale denominazione di Bombay) passando per i porti iraniani di Bandar Abbas e Chabahar. Questo percorso eviterebbe il percorso di 14.000 km che dal nord dell’Europa punta ad attraversare il Mediterraneo e quindi il Canale di Suez prima di giungere in India: un tragitto che richiede maggior tempo e maggiori spese per essere affrontato, come si può notare dalla cartina seguente.
Per potenziare il progetto sviluppando le reti fluviali (attraverso il Don e il Volga), marittime, stradali e ferroviarie con le relative infrastrutture, Mosca e Teheran stanno attualmente investendo fino a 25 miliardi di dollari che consentiranno, una volta completate e messe a punto le opere, di stabilire un mercato fra Russia, Iran, India, Medio Oriente e Africa completamente al di fuori della portata delle potenze occidentali.
Pare inutile sottolineare che, come evidenzia l’articolo di Bloomberg[15], questo progetto «allarma gli Stati Uniti e i suoi alleati»[16].
60 dollari? Macché …!
Ma, dopo questa divagazione sulle prospettive strategico‑commerciali, torniamo alla questione del price cap.
«Sì, vabbè – direte voi a questo punto – ma il price cap resta comunque fissato a 60 dollari e Putin non può vendere a prezzo maggiorato …».
Poveri illusi! Come spiegava quel furbacchione di Engels, che le leggi dell’economia capitalista le aveva studiate insieme al suo compare Karl Marx, «gli uomini con la spada in pugno, allorché hanno tentato di fabbricare un “valore di distribuzione”, non hanno altro raccolto che cattivi affari e perdite di denaro. […] E dov’è quella spada che esercita il comando sul mercato mondiale?»[17].
E infatti, una delle “bibbie” del capitalismo[18], ci descrive (con un groppo in gola) i risultati dello studio di cinque economisti statunitensi, dal quale risulta che – a dispetto della narrativa ufficiale, secondo cui dopo l’imposizione del price cap il prezzo del petrolio russo sarebbe precipitato a un valore più basso dei 60 dollari al barile – Putin ha venduto, nonostante la sanzione, il proprio greggio ad un prezzo ben superiore, addirittura oltre gli 82 dollari al barile.
I cinque studiosi, sbigottiti, affermano nel proprio saggio: «La nostra sorprendente scoperta di una quota significativa di greggio russo venduta ben al di sopra del livello massimo di prezzo di 60 dollari al barile richiede urgentemente ulteriori indagini su queste transazioni e rafforza la necessità di un’applicazione potenziata». E dunque chiedono agli Stati che hanno imposto la sanzione di trovare “urgentemente” una soluzione per farla funzionare[19].
Di fronte a questa “sorprendente” scoperta, gli Usa hanno dovuto malvolentieri ingoiare il rospo e, mentre si aspettavano che il bieco Putin avrebbe dovuto piegare il capo di fronte alla “autorità” della sanzione e vendere il proprio greggio al prezzo imposto d’imperio dal G7 e dalla Ue, si sono “consolati” – come ci racconta Bloomberg – sostenendo che, «anche se il greggio russo viene scambiato al di sopra del cap[20], sta comunque dando potere contrattuale agli acquirenti evitando una grave chiusura delle esportazioni che farebbe salire i prezzi».
Consolazione
C’è un vecchio detto napoletano che recita: «Cunsulàmmece cu’ ‘stu spicchio d’aglio» (per gli alloglotti: “Consoliamoci con questo spicchio d’aglio”, cioè davvero con poco).
Mi pare che si adatti bene alla magra consolazione delle potenze capitaliste occidentali. Le quali, forse, dovrebbero studiare un po’ meglio le leggi della propria economia prima di partorire baggianate come quella del price cap.
E allo stesso modo dovrebbero pure riflettere sugli effetti che la crescente de‑dollarizzazione attraverso gli accordi di scambio di valute nazionali, la creazione di sistemi di pagamento alternativi e l’introduzione di valute digitali producono sulle sanzioni unilaterali, lasciando ipotizzare che sullo sfondo delle relazioni internazionali sia giunta l’ora della fine dell’era delle sanzioni[21].
Note
[1] “IMF issues Russian economic growth outlook that is more optimistic than Bank of Russia’s”, Intellinews, 6/2/2023. Ma già sul finire dello scorso anno gli osservatori finanziari più avveduti stavano segnalando l’incredibile tenuta dell’economia russa: “In 2022 Russia kept the economic show on the road”, The Economist, 30/12/2022.
[2] “Janet Yellen targets Russian oil in EU talks with price cap and tariff proposals”, Financial Times, 18 maggio 2022.
[3] Decisione (PESC) n. 2022/2369 del 3/12/2022 adottata dal Consiglio dell’Unione Europea, Eur‑Lex.
[4] “Invasione in Ucraina: ‘Impraticabili e complicate’ le proposte di price cap del petrolio russo proposte dal G‑7”, Intermedia Channel, 5/7/2022; “U.S. bid to cap russian oil prices draws skepticism over enforcement”, The New York Daily Paper, 3/8/2022. Amena Bakhr, Corrispondente responsabile dell’Opec e responsabile aggiunto dell’ufficio di presidenza di Energy Intelligence, aveva così definito il price cap: «Una sola parola: sdentato». Javier Blas, giornalista di Bloomberg, esperto di materie prime ed energia, scherzando aveva spiegato che il risultato finale di questa sanzione sarebbe stato simile all’unicorno, «altamente desiderabile, ma molto, molto raro […]. L’idea che un prezzo massimo … avrà un impatto sul presidente russo Vladimir Putin è ridicola. […] Sono scettico sul fatto che Putin possa essere messo in ginocchio semplicemente tagliando il flusso di petrodollari. La stessa politica non ha funzionato con Iran e Venezuela, finanziariamente molto più deboli di quanto sia la Russia oggi».
[5] “Exclusive: Russia’s state-owned RNRC to reinsure Russian oil shipments, sources say”, Reuters, 10/6/2022.
[6] “Russia poised to largely skirt new G7 oil price cap”, Reuters, 21/10/2022; “Weight of Freight: Urals crude seeks outlets under the cover of darkness”, Argus Media, 28/10/2022; “Infographic: Oil price cap, EU sanctions on Russia poised to further shake up global oil flows”, S&P Global, Commodity Insights, 9/11/2022.
[7] F. Engels, Antidühring, Edizioni Lotta comunista, 2017.
[8] “The rouble is soaring and Putin is stronger than ever — our sanctions have backfired”, The Guardian, 29/7/2022; “The G‑7 may cap Russia’s oil price but it won’t dent Moscow’s war chest”, CNBC, 25/11/2022; “Western price cap on russian oil likely to be another spectacular failure”, Southfront, 6/12/2022.
[9] “Russia will not export oil subject to Western price cap, deputy prime minister says”, Reuters, 4/12/2022; “Putin bans selling russian oil to price cap participants”, Bloomberg, 27/12/2022.
[10] “India to make Russia its number one oil supplier in move that could scupper impact of price cap”, Independent, 8/12/2022. Si consideri che, se nel febbraio del 2022 l’India importava dalla Russia 30.000 barili di petrolio al giorno, nel successivo mese di dicembre è passata ad importarne 1,08 milioni al giorno, superando perfino la quota giornaliera destinata alla Cina (830.000).
[11] Già la prima settimana dopo l’entrata in vigore del price cap, il 90% del petrolio russo viaggiava verso l’Asia: “Flood of russian crude heads to asia after eu ban kicks in”, Bloomberg, 12/12/2022.
[12] “Sovcomflot’s cargo ships fully covered by russian insurers: CEO”, Insurance Journal, 10/6/2022.
[13] Si stima che stia navigando una “flotta fantasma” di ben 600 petroliere: “What we know about the shadow fleet handling putin’s oil”, The Washington Post, 24/2/2023.
[14] “Russia and Iran are building a trade route that defies sanctions”, Bloomberg, 21/12/2022.
[15] V. nota precedente.
[16] Per comprenderne meglio le ragioni, si veda anche “Russia, Iran open a trade route heralding a bloc”, Indian Punchline, 28/12/2022.
[17] F. Engels, op. cit., p. 235.
[18] “Russia sold oil far above price cap, researchers say”, Bloomberg, 24/2/2023.
[19] “Assessing the impact of international sanctions on russian oil exports”, SSRN, 22/2/2023.
[20] Che era proprio l’effetto che la misura voleva scongiurare!
[21] “The End of the Age of Sanctions? How America’s Adversaries Shielded Themselves”, Foreign Affairs, 27/12/2022.