Presentiamo qui di seguito l’articolo che analizza gli ultimi attacchi repressivi dello Stato sionista d’Israele contro la popolazione palestinese a Jenin, pubblicato sul sito del Collettivo “Occhio di classe”.
Buona lettura.
La redazione
La lotta della nuova resistenza palestinese contro il sistema di apartheid, a Jenin, a Nablus e nella Cisgiordania intera!
Redazione Occhio di classe
Jenin sotto assedio
Lunedì 3 luglio, all’alba, circa 2000 soldati israeliani hanno fatto irruzione con mezzi aerei e terrestri nella città e nel campo profughi palestinese di Jenin, nel nord della Cisgiordania. L’operazione militare è durata due giorni, provocando almeno 12 morti e 120 feriti, e soprattutto costringendo più di 3000 palestinesi a fuggire dal campo. I soldati israeliani hanno lanciato lacrimogeni contro i civili in fuga e hanno impedito ai medici e alle ambulanze di raggiungere molti feriti. L’esercito ha aperto il fuoco anche contro i giornalisti e ha fatto irruzione nell’ospedale governativo di Jenin e nell’ospedale del campo profughi, ferendo diverse persone e lanciando gas lacrimogeni. I mezzi israeliani hanno distrutto strade e infrastrutture provocando l’interruzione di acqua ed elettricità.
Secondo il comando militare dello Stato ebraico, l’azione era diretta contro un centro di coordinamento della resistenza, le “Brigate Jenin”, unità che riunisce combattenti delle diverse fazioni arabe. Jenin è infatti, insieme a Nablus, il cuore della nuova resistenza armata palestinese in Cisgiordania. Da molti è stata vista come la più violenta operazione militare in Cisgiordania degli ultimi venti anni. Si è trattato, inoltre, della seconda invasione a Jenin nel giro di due settimane, dopo quella del 19 giugno in cui i militari israeliani avevano ucciso in un raid sei palestinesi, tra cui un ragazzino, e ne avevano feriti circa 100. In quell’occasione, la novità non era stata tanto l’invasione del campo di Jenin, visto che, dall’inizio dell’anno, il campo profughi adiacente alla città ha subito un totale di 20 raid sionisti ma il fatto che ‘esercito israeliano aveva utilizzato elicotteri da guerra sulla città, cosa che non succedeva dal massacro di Jenin del 2002. Durante la Seconda Intifada, il campo profughi di Jenin fu oggetto di una brutale invasione. Per ben otto giorni, dal 3 all’11 aprile, l’esercito israeliano condusse l’ operazione “Scudo difensivo”, che provocò almeno 52 morti tra i palestinesi, secondo le stime più prudenti.
A giugno, il ministro della sicurezza nazionale Ben Gvir aveva preannunciato un’operazione militare su vasta scala in Cisgiordania. «[…] Ora dobbiamo condurre un’ampia operazione militare per eliminare i nidi del terrorismo nel cuore dello Stato di Israele, eliminare i terroristi, piazzare posti di blocco e riportare gli omicidi mirati, al fine di ripristinare la sicurezza in Giudea e Samaria», aveva affermato, utilizzando il nome biblico della Cisgiordania. In quell’occasione aveva anche spinto per la creazione di un nuovo insediamento in Cisgiordania, definendo tale mossa come un “bisogno vitale per il futuro del sionismo”[1]. Anche Bezalel Smotrich, ministro di estrema destra a cui è stata assegnata la gestione dei territori palestinesi, aveva scritto: «Bisogna farla finita con le azioni singole e lanciare una vasta operazione antiterrorismo nel nord della Samaria»[2]. Sebbene il governo israeliano del primo ministro Benjamin Netanyahu abbia affermato di aver completato gli obiettivi dell’invasione del 3 luglio, la Resistenza palestinese ha ribadito di aver respinto con successo l’avanzata israeliana.
“Più Israele uccide, più sono coloro che vogliono unirsi alla resistenza”
Come ha osservato Ramzy Baroud, direttore di Palestine Chronicle, i continui raid di Israele non possono raggiungere l’obiettivo di schiacciare la resistenza palestinese[3]. Proprio il campo profughi di Jenin, non ha mai smesso di resistere all’occupazione sionista, soprattutto dopo il massacro israeliano dell’aprile 2002. La resistenza è continuata in tutte le sue forme, benché molti dei combattenti che hanno difeso il campo dall’invasione israeliana della Seconda Intifada, siano stati uccisi o imprigionati. Anzi, più sono frequenti le incursioni, più è dura la resistenza, che si è estesa oltre i confini della stessa Jenin ai vicini insediamenti ebraici illegali e ai posti di blocco militari. Un ufficiale di Fatah a Nablus così ha commentato per Al Jazeera: «La fiducia dei combattenti non è scossa. Più giovani Israele uccide, più sono coloro che vogliono unirsi alla resistenza»[4]. Una conferma di ciò si può trovare nella formazione di nuovi gruppi della resistenza palestinese, spesso composti da giovanissimi (una vera e propria generazione, nata a cavallo del passaggio di secolo, che non ha mai conosciuto periodi di pace), come le Brigate Jenin nel 2021, e nel 2022 le Brigate Nablus, le Balata Brigades e la Fossa (o Tana) dei Leoni (Areen Al-Usud). Quest’ultima organizzazione, sviluppatasi a Nablus, si è già ramificata a Jenin, Al-Khalil (Hebron), Balata e altrove, e i suoi membri sembrano essere aumentati di numero. Per Israele, e anche per l’ANP, la Tana dei Leoni è un problema senza precedenti. Il gruppo è passato da una posizione difensiva a una offensiva, prendendo l’iniziativa di attaccare i posti di blocco dell’Occupazione e gli insediamenti illegali che circondano la città in un modo che non si vedeva dalla Seconda Intifada. Nel respingere gli attacchi dei soldati israeliani, oltre le armi da fuoco, sono sempre più utilizzati ordigni esplosivi improvvisati (in inglese IED), così efficaci da aver creato serie preoccupazioni tra l’esercito israeliano e il servizio di sicurezza dello Shin Bet. Come emerso da un recente sondaggio del Centro Palestinese per la Politica e la Ricerca, il gruppo gode di ampio sostegno, e le loro insegne appaiono in ogni quartiere palestinese nei Territori Occupati[5]. A nulla sono valsi i tentativi dell’ANP di cooptare le nuove forze di resistenza, soprattutto i combattenti della Fossa dei Leoni, proponendo loro di essere inquadrati nelle proprie forze di sicurezza (che poi sono spesso quelle a cui si ordina di compiere azioni contro gli stessi palestinesi in collaborazione con le forze sioniste). Consapevoli che l’offerta proveniente dalla dirigenza corrotta e collaborazionista dell’Autorità Palestinese mirasse a spegnere il fuoco della loro lotta (e, come sempre, quello di tutti i palestinesi), i membri della Fossa dei Leoni, in maggioranza provenienti proprio dalla stessa Fatah che guida l’ANP, hanno rifiutato sdegnosamente.
Il fenomeno del raggruppamento in seno alla resistenza al di là delle fazioni di appartenenza rappresenta la vera forza della nuova resistenza palestinese. Dentro i nuovi gruppi ci sono, come detto, membri di Fatah, ma anche della Jihad Islamica, del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina, come pure di Hamas. Lottano tutti fianco a fianco, contravvenendo anche agli ordini di scuderia delle proprie dirigenze nel caso. Combattono un nemico comune, l’invasore colonialista.
Questione nazionale e scenari internazionali
La questione nazionale palestinese, fin dalla nascita dello Stato d’Israele, è stata sempre affidata a soluzioni “di pace” internazionali dettate dall’agenda dell’imperialismo a scapito della popolazione palestinese. In un contesto internazionale di crisi e guerra, queste vengono spazzate via insieme a tutti gli “accordi di pace” stilati nel mondo nella seconda metà del Novecento.
I fatti recenti degli ultimi mesi sono esplicativi a riguardo. Gli attacchi a Jenin e in Cisgiordania e il pacchetto di riforme reazionarie del governo Netanyahu volte a rimuovere gli ostacoli legislativi per gli insediamenti in territorio palestinese (quindi anche in Cisgiordania)[6] evidenziano ulteriormente l’abbandono degli accordi di Oslo e l’assurdità della “teoria due Stati”. Questi hanno condotto da un lato a un via libera per la pulizia etnica e per la totale colonizzazione del territorio da parte dello stato sionista e dall’altro allo sviluppo di un’Autorità Nazionale Palestinese debole e corrotta, che favorisce il gioco d’Israele e toglie campo a ogni possibile prospettiva rivoluzionaria.
Un’ANP, tra l’altro, che vede oggi ridotta la sua autorità in Cisgiordania e rappresenta allo stesso tempo un limite per la liberazione del popolo palestinese e anche un “limite legale” per il sionismo stesso e per i suoi piani di conquista totale del territorio. Infatti essa è oggi sotto attacco sia delle mobilitazioni interne alla resistenza palestinese in Cisgiordania, sia della politica criminale di Netanyahu che mira alla sua distruzione con l’intervento armato, “legalizzato” attraverso il pacchetto di riforme.
Le grandi proteste delle fazioni laiche israeliane contro Netanyahu hanno trovato l’appoggio di diversi settori dell’imperialismo mondiale, preoccupato dalla politica espansiva in Cisgiordania che minerebbe gli “accordi di Abramo” con l’Arabia Saudita, utilizzabili tra l’altro da Biden, in vista della futura campagna elettorale, per salvare in parte la propria politica estera, ricordata soprattutto per i probabili fallimenti sul versante ucraino[7]. La falsa dicotomia democrazia/dittatura su cui si basano le proteste è la stessa “sterile” del dibattito con cui l’imperialismo si pone nei confronti del conflitto in Ucraina e non risolve le contraddizioni interne allo Stato sionista e all’imperialismo. In questo caso particolare le proteste rimuovono volutamente la questione palestinese, che non può risolversi internamente allo stato sionista, e rifiutano infatti qualsiasi appello alle popolazioni arabe.
Il capitalismo nella sua fase imperialista e lo Stato sionista, che altro non è che un frutto di questa fase, sono irriformabili e non possono vivere in pace. Con l’inasprirsi della crisi internazionale, le strade della rivoluzione e quelle della reazione che tendono verso la guerra, la crisi dei sistemi democratici e il bonapartismo, perdono entrambe ogni sfumatura e si fanno più marcate. La dicotomia reazione/rivoluzione è l’unica che si sviluppa inesorabile, ogni questione nazionale è una questione internazionale e il destino e la lotta del popolo oppresso palestinese contro lo stato sionista saranno sempre più legati indissolubilmente al destino e alla lotta del proletariato internazionale contro l’imperialismo mondiale.
Superare lo Stato etnico-religioso creato dal sionismo e dall’imperialismo
L’unica soluzione per la reale liberazione degli arabi (e degli ebrei) in Palestina è l’estirpazione definitiva del cancro razzista, colonialista e genocida nella regione, cioè la distruzione dello Stato sionista di Israele, cane da guardia dell’imperialismo statunitense nell’area, e la costruzione di una Palestina unita, laica e non razzista su tutto il suo territorio storico. Una Palestina senza muri né campi di concentramento, in cui possano fare ritorno i milioni di rifugiati espulsi dalla loro terra dal 1948 ad oggi, e possano recuperare i propri pieni diritti nazionali (e anche “umani”) i milioni che sono rimasti nella loro terra e vivono ogni forma di sopruso. Una Palestina unica e laica in cui, a loro volta, possano permanere tutti gli ebrei che siano disposti a convivere in pace e uguaglianza, con pieni diritti di minoranza, nella prospettiva dell’edificazione della Federazione delle repubbliche arabe socialiste. I marxisti rivoluzionari devono combattere una lotta senza quartiere contro il sionismo già dal punto di vista teorico: l’obiettivo finale del popolo palestinese, col supporto del proletariato internazionale e nel quadro di una lotta di classe che deve svilupparsi, appunto, a livello internazionale, è quello di liberare la Palestina dall’oppressore sionista e ricondurre gli arabi e gli ebrei di questa martoriata terra a rapporti di fraternità distruggendo il mostruoso sistema di oppressione a partire dall’architettura statuale su cui si fonda.
Note
[1] “Ben Gvir left out of terror attack security assessment, reportedly over lack of trust”, The Times of Israel, 21/6/2023.
[2] P. Haski, “Scene di guerra in Cisgiordania, Internazionale, 20/6/2023.
[3] “The Armed Revolt: Why Israel Cannot Crush the Resistance in Palestine”, The Palestine Chronicle, 1/7/2023.
[4] “«La Fossa dei Leoni»: la nuova resistenza armata palestinese”, Contropiano, 15/11/2022.
[5] “The Lions’ Den is not a fleeting phenomenon — an armed uprising looms”, Middle East Monitor, 20/12/2022.
[6] “Israele costruirà oltre 5mila nuove case abusive in territorio palestinese”, Lifegate, 28/6/2023.
[7] “Far andare d’accordo Arabia Saudita e Israele: ecco la mossa del cavallo di Biden”, Huffington Post, 31/7/2023.