Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Questione palestinese

Il carattere di classe della società israeliana

Manifestazione di militanti di Matzpen

La nuo­va fase del con­flit­to israelo‑palestinese, che ha pre­so for­ma il 7 otto­bre scor­so a par­ti­re dall’attacco mili­ta­re di Hamas con­tro Israe­le, regi­stra l’enorme con­fu­sio­ne che regna tra le file del­la sini­stra non rifor­mi­sta che in qual­che modo ha sem­pre soste­nu­to la lot­ta di libe­ra­zio­ne del popo­lo pale­sti­ne­se dall’oppressione che il regi­me sio­ni­sta ha mes­so in atto a par­ti­re dal 1948 (aven­do­ne però get­ta­to le basi negli anni pre­ce­den­ti): una con­fu­sio­ne che ne ren­de mani­fe­sto il pau­ro­so arre­tra­men­to teo­ri­co e poli­ti­co sot­to diver­si aspet­ti del com­ples­so pro­ble­ma sot­te­so al plu­ri­de­cen­na­le conflitto.
Rin­vian­do l’esame di altri di que­sti aspet­ti ad ulte­rio­ri arti­co­li che ci riser­via­mo di pub­bli­ca­re pros­si­ma­men­te, ne trat­te­re­mo oggi uno in particolare.
Ci rife­ria­mo alla posi­zio­ne espres­sa da talu­ni grup­pi, i qua­li rifug­go­no – qua­si, si può dire, inor­ri­di­ti – dal­la riven­di­ca­zio­ne del­la distru­zio­ne del­lo Sta­to d’Israele qua­le con­di­zio­ne per la crea­zio­ne di un uni­co Sta­to in cui ebrei e pale­sti­ne­si pos­sa­no con­vi­ve­re paci­fi­ca­men­te rico­no­scen­do­si con dirit­ti di reci­pro­ci­tà. Per costo­ro l’espressione “distru­zio­ne” sem­bra signi­fi­ca­re “ster­mi­nio” dell’etnia che vive in quel­lo Stato.
Appa­re addi­rit­tu­ra super­fluo dover spie­ga­re che, ovvia­men­te, non è così; e che la “distru­zio­ne” non riguar­da affat­to quell’etnia, ben­sì la sovra­strut­tu­ra ideologico‑politica sul­la cui base è sor­to lo Sta­to d’Israele: una sovra­strut­tu­ra il cui pro­gram­ma pre­ve­de­va sin dall’origine l’espulsione vio­len­ta del­le mas­se pale­sti­ne­si dal­le ter­re che sto­ri­ca­men­te esse occu­pa­va­no nel­la regio­ne allo sco­po di inse­diar­vi quel­lo Stato.
Ma ogni spie­ga­zio­ne risul­ta inu­ti­le, dal momen­to che que­sti grup­pi, inca­pa­ci di un pen­sie­ro dia­let­ti­co, si limi­ta­no a fon­da­re il loro ragio­na­men­to sul­la base di for­mu­let­te mec­ca­ni­che, come quel­la per cui sareb­be neces­sa­rio inve­ce “uni­re” i due pro­le­ta­ria­ti – quel­lo israe­lia­no e quel­lo pale­sti­ne­se – in una “comu­ne” lot­ta: in altri ter­mi­ni, per costo­ro la libe­ra­zio­ne del­la Pale­sti­na pas­se­reb­be dall’unificazione, oggi stes­so, del­le for­ze del movi­men­to ope­ra­io di Israe­le con quel­lo del­la Pale­sti­na; men­tre ogni lot­ta che quest’ultimo met­tes­se in cam­po per libe­rar­si dal gio­go dell’invasore sio­ni­sta sareb­be ogget­ti­va­men­te “divi­si­va” dei “comu­ni” inte­res­si dei due diver­si proletariati.
Come abbia­mo già det­to, si trat­ta dell’applicazione mec­ca­ni­ca di for­mu­let­te che sono avul­se dal­la real­tà in cui que­sti ulti­mi vivo­no, di un’astrazione idea­li­sti­ca dal­le for­ze con­cre­te che deter­mi­na­no quel­la realtà.
Lo ave­va­no ben com­pre­so, inve­ce, i mili­tan­ti di una pic­co­la orga­niz­za­zio­ne mar­xi­sta e anti­sio­ni­sta israe­lia­na – l’Organizzazione Socia­li­sta in Israe­le, meglio cono­sciu­ta con il nome del suo gior­na­le, “Matz­pen” (Bus­so­la), e che rag­grup­pa­va mili­tan­ti sia ebrei che ara­bi – oggi non più in atti­vi­tà, ma che fra il 1962 e i suc­ces­si­vi anni 80 pro­dus­se pre­ge­vo­li ana­li­si teo­ri­che per appron­ta­re da un pun­to di vista di clas­se un’autentica lot­ta per la libe­ra­zio­ne del­la Pale­sti­na dal sio­ni­smo, nel qua­dro di una rivo­lu­zio­ne ara­ba che avreb­be dovu­to com­bi­na­re com­pi­ti nazio­na­li e socia­li­sti nel pro­ces­so di lot­ta con­tro il sio­ni­smo, l’imperialismo e la rea­zio­ne del­le bor­ghe­sie ara­be. E, non a caso, il pun­to cen­tra­le di ogni ana­li­si di Matz­pen era la “de‑sionizzazione” di Israe­le (e cioè, appun­to, quel­la che noi chia­mia­mo “distru­zio­ne”): un Israe­le “de‑sionizzato” avreb­be potu­to esse­re par­te di una fede­ra­zio­ne socia­li­sta dell’insieme del Medio Oriente.
Voglia­mo dun­que pre­sen­ta­re ai nostri let­to­ri un testo di Matz­pen che con­fu­ta, sul­la base di un’analisi mar­xi­sta del­la socie­tà israe­lia­na, quel mec­ca­ni­ci­sti­co ragio­na­men­to cui abbia­mo fat­to cen­no poco più sopra, esa­mi­nan­do appro­fon­di­ta­men­te la natu­ra di clas­se del movi­men­to ope­ra­io israe­lia­no e del­la socie­tà in cui que­sto agi­sce: si trat­ta di un’analisi che oggi risul­ta, rispet­to a quan­do fu ela­bo­ra­ta, ancor più attua­le, dato che l’ideologia nefa­sta del sio­ni­smo ha potu­to ulte­rior­men­te dispie­ga­re i suoi effet­ti sul­la coscien­za del­la clas­se ope­ra­ia d’Israele.
Il testo – estrat­to dal­l’Ar­chi­vio del­la “Orga­niz­za­zio­ne Socia­li­sta in Israe­le — Matz­pen” (matzpen.org) – fu ori­gi­na­ria­men­te scrit­to nel 1969 e rivi­sto poi nel 1972, quan­do ven­ne pub­bli­ca­to come quin­to capi­to­lo del libro “The Other Israel – The Radi­cal Case Again­st Zio­ni­sm”. La tra­du­zio­ne in ita­lia­no che pre­sen­tia­mo è pre­ce­du­ta dal­la pre­fa­zio­ne con cui esso ven­ne ripub­bli­ca­to nel n. 23 di maggio‑giugno 2022 del­la rivi­sta “Inter­na­tio­nal Socia­li­st Review”. Tut­te le foto­gra­fie che cor­re­da­no il testo sono sta­te estrat­te dal­l’Ar­chi­vio di Matzpen.
Quan­tun­que si trat­tas­se di una pic­co­la orga­niz­za­zio­ne, il regi­me sio­ni­sta mise in atto una vio­len­ta repres­sio­ne con­tro Matz­pen e i suoi mili­tan­ti. Per chi voles­se appro­fon­dir­ne lo stu­dio è dispo­ni­bi­le su You­Tu­be il film‑documentario “Matz­pen, Anti Zio­ni­st Israelis”.
Buo­na lettura.
La Redazione

Il carattere di classe della società israeliana

 

Moshe Macho­ver e Aki­va Orr

 

“Il carattere di classe della società israeliana”, pubblicato per la prima volta nel 1969, rappresenta un’analisi marxista innovativa sulla natura della classe operaia in Israele. I suoi autori, membri dell’ormai defunta Organizzazione Socialista in Israele, colgono l’unicità della società israeliana: “finanziata dall’imperialismo senza esserne sfruttata”. Sebbene ci siano stati molti cambiamenti all’interno di Israele e a livello internazionale, questo articolo rimane un importante punto di partenza per qualsiasi discussione sulle dinamiche della società israeliana.
Miliardi di dollari in aiuti statunitensi e trasferimenti da parte di organizzazioni sioniste sostengono uno standard di vita nordamericano per la maggior parte degli ebrei israeliani. Queste risorse rendono possibili posti di lavoro, mutui a basso interesse per la casa e altri benefici che l’economia del Paese da sola non potrebbe sostenere.
Inoltre, la classe operaia israeliana si è formata attraverso un processo di colonizzazione della terra palestinese e di spostamento della manodopera palestinese. Invece di legare il miglioramento delle proprie condizioni alla lotta contro i padroni israeliani, cerca di migliorare il proprio status a spese dei palestinesi.
Queste potenti forze ostacolano la coscienza di classe della classe operaia ebraica israeliana. Ecco perché qualsiasi strategia socialista per la liberazione della Palestina non può contare, in questo momento, sulla forza dei lavoratori israeliani per sfidare lo Stato sionista.
La società israeliana è cambiata dalla prima pubblicazione di questo saggio. Ad esempio, Israele dipende sempre più da oltre 200.000 lavoratori a contratto non ebrei (provenienti da Paesi come la Romania, le Filippine e la Cina) per sostituire i palestinesi ai livelli più bassi della forza lavoro. E i lavoratori israeliani hanno subito molti degli stessi attacchi neoliberali alla loro sicurezza lavorativa e alla rete di sicurezza sociale dei lavoratori di altri Paesi nell’ultimo decennio.
Tuttavia, l’essenza delle argomentazioni avanzate ne “Il carattere di classe della società israeliana” è ancora valida. Ariel Sharon e i partiti religiosi di destra conservano il maggior sostegno dei lavoratori ebrei di origine mediorientale (o “orientale”). Sebbene questi lavoratori subiscano discriminazioni da parte dell’élite di origine europea (ashkenazita) del Paese, si uniscono a questa élite per difendere i loro privilegi di israeliani dalle rivendicazioni dei palestinesi, pur potendo ingaggiare lotte economiche.
L’odierna recrudescenza del sionismo militante e razzista (quasi la metà dei cittadini israeliani sostiene le espulsioni di massa dei palestinesi dai Territori occupati) ha coinciso con una crisi economica in Israele. Più del 10% dei lavoratori israeliani è disoccupato e il tasso di crescita economica è stato negativo del 5% nel 2001, il peggior risultato dal 1953. Ma finché i lavoratori israeliani si identificheranno innanzitutto con il sionismo, i padroni di Israele continueranno a sfuggire alla responsabilità per questi problemi.
Ne consegue che solo una “svolta rivoluzionaria” nel mondo arabo potrebbe mettere in discussione il ruolo di sorveglianza di Israele nella regione, sostengono gli autori. «Una volta che questo ruolo e i privilegi ad esso associati fossero terminati, il regime sionista, che dipende da questi privilegi, si troverebbe esposto a una sfida di massa dall’interno di Israele stesso».
Questo testo è stato pubblicato in The Other Israel: The Radical Case Against Zionism, a cura di Arie Bober (Garden City, New York: Anchor Books, 1972).

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Coper­ti­na del libro “The Other Israel”

La socie­tà israe­lia­na, come tut­te le altre socie­tà di clas­se, è carat­te­riz­za­ta da inte­res­si socia­li con­tra­stan­ti, che dan­no ori­gi­ne a un con­flit­to di clas­se inter­no. Tut­ta­via, la socie­tà israe­lia­na nel suo com­ples­so è sta­ta impe­gna­ta, negli ulti­mi 50 anni, in un con­ti­nuo con­flit­to ester­no: il con­flit­to tra il sio­ni­smo e il mon­do ara­bo, in par­ti­co­la­re i pale­sti­ne­si. Qua­le di que­sti due con­flit­ti è domi­nan­te e qua­le subor­di­na­to? Qual è la natu­ra di que­sta subor­di­na­zio­ne e qual è la sua dina­mi­ca? Sono doman­de a cui tut­ti colo­ro che sono coin­vol­ti nel­la socie­tà e nel­la poli­ti­ca israe­lia­na devo­no rispondere.
Per i rivo­lu­zio­na­ri all’interno di Israe­le que­ste doman­de non sono acca­de­mi­che. Le rispo­ste che ven­go­no for­ni­te deter­mi­na­no la stra­te­gia del­la lot­ta rivo­lu­zio­na­ria. Colo­ro che con­si­de­ra­no il con­flit­to di clas­se inter­no come quel­lo domi­nan­te con­cen­tra­no i loro sfor­zi sul­la clas­se ope­ra­ia israe­lia­na e attri­bui­sco­no un’importanza secon­da­ria alla lot­ta con­tro il carat­te­re colo­niz­za­to­re, nazio­na­li­sta e discri­mi­na­to­rio del­lo Sta­to sio­ni­sta. Que­sta posi­zio­ne vede il con­flit­to ester­no come un acces­so­rio rispet­to a quel­lo inter­no. Inol­tre, in que­sta pro­spet­ti­va, le dina­mi­che inter­ne del­la socie­tà israe­lia­na potran­no sfo­cia­re in una rivo­lu­zio­ne in Israe­le, sen­za che ciò dipen­da neces­sa­ria­men­te da una rivo­lu­zio­ne socia­le nel mon­do arabo.
L’esperienza dei Pae­si capi­ta­li­sti clas­si­ci ha spes­so dimo­stra­to che i con­flit­ti e gli inte­res­si di clas­se inter­ni domi­na­no i con­flit­ti e gli inte­res­si ester­ni. Tut­ta­via, que­sta teo­ria non reg­ge in alcu­ni casi spe­ci­fi­ci. Ad esem­pio, in un Pae­se colo­niz­za­to sot­to il domi­nio diret­to di una poten­za stra­nie­ra, le dina­mi­che del­la socie­tà colo­niz­za­ta non pos­so­no esse­re dedot­te sem­pli­ce­men­te dai con­flit­ti inter­ni di quel­la socie­tà, poi­ché il con­flit­to con la poten­za colo­niz­za­tri­ce è domi­nan­te. Israe­le non è né un clas­si­co Pae­se capi­ta­li­sta né una clas­si­ca colo­nia. Le sue carat­te­ri­sti­che eco­no­mi­che, socia­li e poli­ti­che sono così uni­che che qual­sia­si ten­ta­ti­vo di ana­liz­zar­lo attra­ver­so l’applicazione di teo­rie o ana­lo­gie svi­lup­pa­te per socie­tà diver­se risul­te­reb­be una cari­ca­tu­ra. L’analisi deve basar­si piut­to­sto sul­le carat­te­ri­sti­che spe­ci­fi­che e sul­la sto­ria spe­ci­fi­ca del­la socie­tà israeliana.
La pri­ma carat­te­ri­sti­ca fon­da­men­ta­le del­la socie­tà israe­lia­na è che la mag­gio­ran­za del­la popo­la­zio­ne è costi­tui­ta da immi­gra­ti o da figli di immi­gra­ti. Nel 1968, la popo­la­zio­ne ebrai­ca adul­ta (cioè di età supe­rio­re ai 15 anni) di Israe­le con­ta­va 1.689.286 per­so­ne, di cui solo il 24% era nato in Israe­le e solo il 4% da geni­to­ri nati in Israe­le[1]. La socie­tà israe­lia­na di oggi è anco­ra una comu­ni­tà di immi­gra­ti e pre­sen­ta mol­te carat­te­ri­sti­che tipi­che di tale comu­ni­tà. In una socie­tà di que­sto tipo, le clas­si stes­se, per non par­la­re del­la coscien­za di clas­se, sono anco­ra in una fase for­ma­ti­va. L’immigrazione pro­du­ce l’esperienza e la men­ta­li­tà di aver “vol­ta­to pagi­na nel­la vita”. Di nor­ma, l’immigrato ha cam­bia­to occu­pa­zio­ne, ruo­lo socia­le e clas­se. Nel caso di Israe­le, la mag­gior par­te degli immi­gra­ti appar­tie­ne alla pic­co­la bor­ghe­sia, sia che essi pro­ven­ga­no da aree urba­ne dell’Europa cen­tra­le e orien­ta­le, sia che pro­ven­ga­no da cit­tà del mon­do ara­bo. Il nuo­vo immi­gra­to non vede l’ora di cam­bia­re la posi­zio­ne che occu­pa nel­la socie­tà. Inol­tre, vede che tut­te le posi­zio­ni van­tag­gio­se nel­la nuo­va socie­tà sono occu­pa­te da immi­gra­ti che sono arri­va­ti pri­ma di lui e que­sto accre­sce la sua ambi­zio­ne di sca­la­re la sca­la socia­le attra­ver­so un lun­go e duro lavo­ro. L’immigrato con­si­de­ra l’attuale ruo­lo socia­le che rico­pre come tran­si­to­rio. Suo padre era rara­men­te un lavo­ra­to­re e lui stes­so vive nel­la spe­ran­za di diven­ta­re un gior­no indi­pen­den­te, o alme­no che suo figlio sia in gra­do di far­lo. La coscien­za di clas­se e l’orgoglio che esi­sto­no nei pro­le­ta­ri bri­tan­ni­ci e fran­ce­si non esi­sto­no in Israe­le e appa­io­no stra­ni a mol­ti lavo­ra­to­ri israe­lia­ni. Un lavo­ra­to­re ingle­se, se gli si chie­de del­le sue ori­gi­ni, rispon­de­rà qua­si auto­ma­ti­ca­men­te in ter­mi­ni di clas­se (“Sono del­la clas­se ope­ra­ia”) e defi­ni­rà i suoi atteg­gia­men­ti ver­so le altre per­so­ne in ter­mi­ni di con­cet­ti di clas­se simi­li; un lavo­ra­to­re israe­lia­no, inve­ce, use­rà cate­go­rie etni­che e con­si­de­re­rà se stes­so e gli altri in ter­mi­ni di “polac­co”, “orien­ta­le” e così via. La mag­gior par­te del­le per­so­ne in Israe­le con­si­de­ra anco­ra la pro­pria posi­zio­ne socia­le in ter­mi­ni di ori­gi­ni etni­che e geo­gra­fi­che, e tale coscien­za socia­le è ovvia­men­te una bar­rie­ra che impe­di­sce alla clas­se ope­ra­ia di svol­ge­re un ruo­lo indi­pen­den­te, per non par­la­re di quel­lo rivo­lu­zio­na­rio che mira a una tra­sfor­ma­zio­ne tota­le del­la società.
Non esi­ste una clas­se ope­ra­ia che pos­sa svol­ge­re un ruo­lo rivo­lu­zio­na­rio nel­la socie­tà se la mag­gior par­te dei suoi mem­bri desi­de­ra miglio­ra­re la pro­pria situa­zio­ne indi­vi­dual­men­te, nel qua­dro del­la socie­tà esi­sten­te, uscen­do dai ran­ghi del­la pro­pria clas­se. Que­sta veri­tà si raf­for­za quan­do il pro­le­ta­ria­to non si rico­no­sce come clas­se socia­le sta­bi­le con i pro­pri inte­res­si di grup­po e il pro­prio siste­ma di valo­ri in con­flit­to con quel­li dell’ordine socia­le esi­sten­te. L’impulso ver­so una tra­sfor­ma­zio­ne tota­le del­la socie­tà non nasce facil­men­te in una comu­ni­tà di immi­gra­ti che han­no appe­na cam­bia­to il loro sta­tus socia­le e poli­ti­co e che vivo­no anco­ra in con­di­zio­ni di alta mobi­li­tà socia­le. Que­sto non signi­fi­ca che la clas­se ope­ra­ia israe­lia­na non pos­sa diven­ta­re una for­za rivo­lu­zio­na­ria in futu­ro; impli­ca sem­pli­ce­men­te che oggi l’attività poli­ti­ca all’interno di que­sta clas­se non può par­ti­re dagli stes­si pre­sup­po­sti e dal­le stes­se aspet­ta­ti­ve che val­go­no in un Pae­se capi­ta­li­sta classico.
Se la par­ti­co­la­ri­tà del­la clas­se ope­ra­ia israe­lia­na con­si­stes­se solo nel fat­to di esse­re com­po­sta prin­ci­pal­men­te da immi­gra­ti, si potreb­be comun­que ipo­tiz­za­re che con il tem­po e la pazien­te pro­pa­gan­da socia­li­sta essa pos­sa comin­cia­re a svol­ge­re un ruo­lo indi­pen­den­te, even­tual­men­te rivo­lu­zio­na­rio. In una situa­zio­ne del gene­re, il pazien­te lavo­ro edu­ca­ti­vo non sareb­be mol­to diver­so da quel­lo svol­to altro­ve. Tut­ta­via, la socie­tà israe­lia­na non è sem­pli­ce­men­te una socie­tà di immi­gra­ti, ma di colo­ni. Que­sta socie­tà, com­pre­sa la sua clas­se ope­ra­ia, è sta­ta pla­sma­ta attra­ver­so un pro­ces­so di colo­niz­za­zio­ne. Que­sto pro­ces­so, che dura da 80 anni, non si è svol­to nel vuo­to, ma in un Pae­se popo­la­to da un altro popo­lo. Il con­flit­to per­ma­nen­te tra la socie­tà dei colo­ni e gli ara­bi pale­sti­ne­si indi­ge­ni e sfol­la­ti non è mai ces­sa­to e ha pla­sma­to la strut­tu­ra stes­sa del­la socio­lo­gia, del­la poli­ti­ca e dell’economia israe­lia­na. La secon­da gene­ra­zio­ne di lea­der israe­lia­ni ne è pie­na­men­te con­sa­pe­vo­le. In un famo­so discor­so in occa­sio­ne del­la sepol­tu­ra di Roy Rut­berg, un mem­bro del kib­bu­tz ucci­so dai guer­ri­glie­ri pale­sti­ne­si nel 1956, il gene­ra­le Dayan dichiarò:

«Sia­mo una gene­ra­zio­ne di colo­ni, e sen­za l’elmetto d’acciaio e il can­no­ne non pos­sia­mo pian­ta­re un albe­ro o costrui­re una casa. Non dob­bia­mo tirar­ci indie­tro di fron­te all’odio che infiam­ma cen­ti­na­ia di miglia­ia di ara­bi intor­no a noi. Non giria­mo la testa dall’altra par­te per evi­ta­re che la nostra mano tre­mi. È il desti­no del­la nostra gene­ra­zio­ne, l’alternativa del­la nostra vita, esse­re pre­pa­ra­ti e arma­ti, for­ti e duri, per evi­ta­re che la spa­da cada dal nostro pugno e che la nostra vita ces­si»[2].

Que­sta net­ta affer­ma­zio­ne si pone in aper­to con­tra­sto con la mito­lo­gia uffi­cia­le sio­ni­sta di “far fio­ri­re il deser­to”, e Dayan la met­te in evi­den­za affer­man­do che i pale­sti­ne­si han­no otti­me ragio­ni, poi­ché “i loro cam­pi sono col­ti­va­ti da noi davan­ti ai loro occhi”.
Quan­do Marx fece la famo­sa affer­ma­zio­ne che “un popo­lo che ne oppri­me un altro non può esse­re libe­ro”, non inten­de­va solo un giu­di­zio mora­le. Inten­de­va anche dire che in una socie­tà i cui gover­nan­ti oppri­mo­no un altro popo­lo, la clas­se sfrut­ta­ta che non si oppo­ne atti­va­men­te a que­sta oppres­sio­ne ne diven­ta ine­vi­ta­bil­men­te com­pli­ce. Anche quan­do que­sta clas­se non trae alcun van­tag­gio diret­to da que­sta oppres­sio­ne, diven­ta sen­si­bi­le all’illusione di con­di­vi­de­re un inte­res­se comu­ne con i pro­pri gover­nan­ti nel per­pe­tua­re que­sta oppres­sio­ne. Una clas­se di que­sto tipo ten­de a segui­re i suoi gover­nan­ti piut­to­sto che sfi­da­re il loro domi­nio. Que­sto, inol­tre, è anco­ra più vero quan­do l’oppressione non avvie­ne in un Pae­se lon­ta­no, ma “in casa”, e quan­do l’oppressione e l’espropriazione nazio­na­le costi­tui­sco­no le con­di­zio­ni stes­se per la nasci­ta e l’esistenza del­la socie­tà che oppri­me. Le orga­niz­za­zio­ni rivo­lu­zio­na­rie han­no ope­ra­to all’interno del­la comu­ni­tà ebrai­ca in Pale­sti­na fin dagli anni Ven­ti e han­no accu­mu­la­to una note­vo­le espe­rien­za in que­sta atti­vi­tà pra­ti­ca; que­sta espe­rien­za for­ni­sce una chia­ra pro­va del det­to che “un popo­lo che ne oppri­me un altro non può esse­re libe­ro”. Nel con­te­sto del­la socie­tà israe­lia­na, ciò signi­fi­ca che fin­ché il sio­ni­smo sarà poli­ti­ca­men­te e ideo­lo­gi­ca­men­te domi­nan­te all’interno di que­sta socie­tà e costi­tui­rà il qua­dro poli­ti­co accet­ta­to, non ci sarà alcu­na pos­si­bi­li­tà che la clas­se ope­ra­ia israe­lia­na diven­ti una clas­se rivo­lu­zio­na­ria. L’esperienza di 50 anni non con­tie­ne un solo esem­pio di mobi­li­ta­zio­ne dei lavo­ra­to­ri israe­lia­ni su que­stio­ni mate­ria­li o sin­da­ca­li per sfi­da­re il regi­me israe­lia­no stes­so; è impos­si­bi­le mobi­li­ta­re anche solo una mino­ran­za del pro­le­ta­ria­to in que­sto modo. Al con­tra­rio, i lavo­ra­to­ri israe­lia­ni han­no qua­si sem­pre ante­po­sto la loro leal­tà nazio­na­le a quel­la di clas­se. Anche se que­sto potreb­be cam­bia­re in futu­ro, ciò non toglie che dob­bia­mo ana­liz­za­re il moti­vo per cui è sta­to così negli ulti­mi 50 anni.

Mili­tan­ti di Matz­pen pro­te­sta­no con­tro l’oc­cu­pa­zio­ne israe­lia­na del­la Palestina

Un ter­zo fat­to­re cru­cia­le è il carat­te­re etni­co del pro­le­ta­ria­to israe­lia­no. La mag­gior par­te degli stra­ti più sfrut­ta­ti del­la clas­se ope­ra­ia israe­lia­na sono immi­gra­ti dall’Asia e dall’Africa[3]. A pri­ma vista potreb­be sem­bra­re che la sovrap­po­si­zio­ne del­le divi­sio­ni di clas­se con quel­le etni­che pos­sa acui­re i con­flit­ti di clas­se inter­ni alla socie­tà israe­lia­na. C’è sta­ta una cer­ta ten­den­za in que­sta dire­zio­ne, ma negli ulti­mi 20 anni il fat­to­re etni­co ha fun­zio­na­to soprat­tut­to in sen­so opposto.
Mol­ti degli immi­gra­ti dall’Asia e dall’Africa han­no miglio­ra­to il loro teno­re di vita diven­tan­do pro­le­ta­ri in una moder­na socie­tà capi­ta­li­sti­ca. Il loro mal­con­ten­to non era diret­to con­tro la loro con­di­zio­ne di pro­le­ta­ri, ma con­tro la loro con­di­zio­ne di “orien­ta­li”, cioè con­tro il fat­to che era­no guar­da­ti dall’alto in bas­so, e a vol­te per­si­no discri­mi­na­ti, da colo­ro che era­no di ori­gi­ne euro­pea. I gover­nan­ti sio­ni­sti han­no adot­ta­to misu­re per cer­ca­re di fon­de­re i due grup­pi. Cio­no­no­stan­te, le dif­fe­ren­ze sono rima­ste evi­den­ti e, anzi, sono aumen­ta­te[4]. A metà degli anni Ses­san­ta, due ter­zi dei lavo­ra­to­ri non qua­li­fi­ca­ti era­no orien­ta­li; il 38% degli orien­ta­li vive­va in tre o più per stan­za, men­tre solo il 7% degli euro­pei si tro­va­va in que­sta con­di­zio­ne; alla Knes­set solo 16 dei 120 mem­bri era­no orien­ta­li pri­ma del 1965 e solo 21 dopo.
E allo­ra per­ché Israe­le non rie­sce a “inte­gra­re” la sua socie­tà ebrai­ca e a miglio­ra­re le capa­ci­tà lavo­ra­ti­ve degli ebrei orien­ta­li? La rispo­sta sta nel­la natu­ra del­lo Sta­to israe­lia­no: con l’espansione dell’economia, si è crea­ta una gran­de richie­sta di lavo­ra­to­ri qua­li­fi­ca­ti. Il modo più ovvio per sod­di­sfa­re que­sta doman­da sareb­be sta­to quel­lo di lan­cia­re una mas­sic­cia cam­pa­gna di for­ma­zio­ne per il gran nume­ro di ebrei orien­ta­li non qua­li­fi­ca­ti e semi-qua­li­fi­ca­ti, oppu­re di reclu­ta­re lavo­ra­to­ri qua­li­fi­ca­ti ebrei dall’estero. Le dina­mi­che del capi­ta­li­smo e del sio­ni­smo han­no por­ta­to alla secon­da solu­zio­ne, per­pe­tuan­do così lo sta­tus di infe­rio­ri­tà degli ebrei orien­ta­li nel­la socie­tà israeliana.
Oltre alla ten­den­za gene­ra­le del­le socie­tà capi­ta­li­sti­che a man­te­ne­re le divi­sio­ni di clas­se pre­va­len­ti, in que­sto caso è più con­ve­nien­te impor­ta­re lavo­ra­to­ri qua­li­fi­ca­ti che crear­li in patria. Inol­tre, a par­te il valo­re intrin­se­co dell’immigrazione ebrai­ca in Israe­le dal pun­to di vista sio­ni­sta, un mas­sic­cio movi­men­to ver­so l’alto di ebrei orien­ta­li potreb­be crea­re allo stes­so tem­po un pro­ble­ma per il sio­ni­smo: In par­ti­co­la­re, il vuo­to crea­to nel­la clas­se ope­ra­ia non qua­li­fi­ca­ta e semi-qua­li­fi­ca­ta potreb­be esse­re col­ma­to solo dal­la mano­do­pe­ra ara­ba, che domi­ne­reb­be i set­to­ri vita­li del pro­le­ta­ria­to israe­lia­no. Que­sto, ovvia­men­te, non sareb­be tol­le­ra­to dal­la lea­der­ship sio­ni­sta[5]. Non c’è dub­bio, quin­di, che fin­ché la socie­tà israe­lia­na rimar­rà capi­ta­li­sta e pura­men­te ebrai­ca, le divi­sio­ni etni­che cor­ri­spon­de­ran­no in lar­ga misu­ra alle divi­sio­ni di classe.
Tut­ta­via, tali divi­sio­ni e dif­fe­ren­ze socia­li sono inter­pre­ta­te dagli orien­ta­li in ter­mi­ni etni­ci; essi non dico­no: “Sono sfrut­ta­to e discri­mi­na­to per­ché sono un lavo­ra­to­re”, ma “Sono sfrut­ta­to e discri­mi­na­to per­ché sono un orientale”.
Inol­tre, nell’attuale con­te­sto del­la socie­tà colo­nia­le israe­lia­na, i lavo­ra­to­ri orien­ta­li sono un grup­po il cui equi­va­len­te sareb­be­ro i “bian­chi pove­ri” degli Sta­ti Uni­ti o i pied noir alge­ri­ni. Que­sti grup­pi non sop­por­ta­no di esse­re iden­ti­fi­ca­ti con gli ara­bi, i neri e gli indi­ge­ni di qual­sia­si tipo, che sono con­si­de­ra­ti “infe­rio­ri” da que­sti colo­ni. La loro rispo­sta è quel­la di schie­rar­si con gli ele­men­ti più scio­vi­ni­sti, raz­zi­sti e discri­mi­na­to­ri dell’establishment; la mag­gior par­te dei soste­ni­to­ri del par­ti­to semi-fasci­sta Herut sono ebrei immi­gra­ti dall’Asia e dall’Africa, e que­sto deve esse­re tenu­to pre­sen­te da colo­ro la cui stra­te­gia rivo­lu­zio­na­ria per la socie­tà israe­lia­na si basa su una futu­ra allean­za tra ara­bi pale­sti­ne­si ed ebrei orien­ta­li, sia sul­la base del­la loro comu­ne con­di­zio­ne di sfrut­ta­men­to, sia sul­la base del­la loro affi­ni­tà cul­tu­ra­le, risul­ta­to del fat­to che gli ebrei orien­ta­li pro­ven­go­no da Pae­si arabi.
Det­to que­sto, è impor­tan­te pren­de­re atto del­le perio­di­che onda­te di mal­con­ten­to che tra­vol­go­no la comu­ni­tà ebrai­co-orien­ta­le. Le più impor­tan­ti sono sta­te la vio­len­ta pro­te­sta di bre­ve dura­ta ad Hai­fa, imme­dia­ta­men­te pri­ma del­la guer­ra di Suez nel 1956, e il movi­men­to ini­zia­to pri­ma del­la guer­ra del giu­gno 1967. Il movi­men­to è rina­to nel 1970 con la crea­zio­ne del grup­po del­le Pan­te­re Nere israe­lia­ne. È inco­rag­gian­te che le Pan­te­re Nere abbia­no ini­zia­to a com­pren­de­re alcu­ni aspet­ti del lega­me tra la loro situa­zio­ne e la natu­ra sio­ni­sta-capi­ta­li­sta di Israele.
La socie­tà israe­lia­na non è solo una socie­tà di colo­ni pla­sma­ta da un pro­ces­so di colo­niz­za­zio­ne di un Pae­se già popo­la­to, ma è anche una socie­tà che bene­fi­cia di pri­vi­le­gi uni­ci. Gode di un afflus­so di risor­se mate­ria­li dall’esterno di quan­ti­tà e qua­li­tà sen­za pre­ce­den­ti; è sta­to infat­ti cal­co­la­to che nel 1968 Israe­le ha rice­vu­to il 10% di tut­ti gli aiu­ti dati ai Pae­si sot­to­svi­lup­pa­ti[6]. Israe­le è un caso uni­co in Medio Orien­te: è finan­zia­to dall’imperialismo sen­za esser­ne sfrut­ta­to eco­no­mi­ca­men­te. Que­sto è sem­pre sta­to il caso in pas­sa­to: L’imperialismo ha usa­to Israe­le per i suoi sco­pi poli­ti­ci e ha paga­to per que­sto con il soste­gno eco­no­mi­co. Oscar Gass, un eco­no­mi­sta ame­ri­ca­no che in pas­sa­to è sta­to con­su­len­te eco­no­mi­co del gover­no israe­lia­no, ha scrit­to di recente:

«Ciò che è uni­co in que­sto pro­ces­so di svi­lup­po … è il fat­to­re dell’afflusso di capi­ta­li … Nei 17 anni 1949–65 Israe­le ha rice­vu­to 6 miliar­di di dol­la­ri in più di impor­ta­zio­ni di beni e ser­vi­zi rispet­to alle espor­ta­zio­ni. Per i 21 anni 1948–68, il sur­plus di impor­ta­zio­ni supe­ra­va i 7,5 miliar­di di dol­la­ri. Ciò signi­fi­ca un ecces­so di cir­ca 2.650 dol­la­ri pro‑capite duran­te i 21 anni per ogni abi­tan­te di Israe­le (entro i con­fi­ni pre­ce­den­ti al giu­gno 1967) alla fine del 1968. E di que­sta offer­ta dall’estero … solo il 30% cir­ca è arri­va­to in Israe­le in con­di­zio­ni che richie­do­no un flus­so di ritor­no di divi­den­di, inte­res­si o capi­ta­li. Si trat­ta di una cir­co­stan­za che non ha egua­li in nessun’altra par­te del mon­do e che limi­ta for­te­men­te il signi­fi­ca­to del­lo svi­lup­po eco­no­mi­co di Israe­le come esem­pio per gli altri Pae­si»[7].

Il 70% di que­sto defi­cit di 6 miliar­di di dol­la­ri fu coper­to da “tra­sfe­ri­men­ti uni­la­te­ra­li net­ti di capi­ta­le”, che non era­no sog­get­ti alle con­di­zio­ni che rego­la­va­no il ren­di­men­to del capi­ta­le o il paga­men­to dei divi­den­di. Si trat­ta­va di dona­zio­ni rac­col­te dall’United Jewish Appeal, di risar­ci­men­ti da par­te del gover­no tede­sco e di sov­ven­zio­ni da par­te del gover­no degli Sta­ti Uni­ti. Il 30% pro­ve­ni­va da “tra­sfe­ri­men­ti di capi­ta­le a lun­go ter­mi­ne” — tito­li di Sta­to israe­lia­ni, pre­sti­ti da par­te di gover­ni stra­nie­ri e inve­sti­men­ti capi­ta­li­sti­ci. Que­sti ulti­mi bene­fi­cia­no in Israe­le di esen­zio­ni fisca­li e di pro­fit­ti garan­ti­ti in vir­tù di una leg­ge per l’incoraggiamento degli inve­sti­men­ti di capi­ta­le[8]; tut­ta­via, que­sta fon­te di inve­sti­men­to “qua­si-capi­ta­li­sta” si col­lo­ca ben al di sot­to del­le dona­zio­ni uni­la­te­ra­li e dei pre­sti­ti a lun­go ter­mi­ne. Nell’intero perio­do dal 1949 al 1965, i tra­sfe­ri­men­ti di capi­ta­le (in entram­be le for­me) pro­ve­ni­va­no dal­le seguen­ti fon­ti: 60 per cen­to dall’ebraismo mon­dia­le, 28 per cen­to dal gover­no tede­sco e 12 per cen­to dal gover­no degli Sta­ti Uni­ti. Dei tra­sfe­ri­men­ti di capi­ta­le uni­la­te­ra­li, il 51,5% pro­ve­ni­va dall’ebraismo mon­dia­le, il 41% dal gover­no tede­sco e il 7,4% dal gover­no degli Sta­ti Uni­ti. Dei tra­sfe­ri­men­ti di capi­ta­le a lun­go ter­mi­ne, il 68,7% pro­ve­ni­va dall’ebraismo mon­dia­le, il 20,5% dal gover­no degli Sta­ti Uni­ti e l’11% da altre fon­ti. Nel perio­do 1949–65, il rispar­mio net­to dell’economia israe­lia­na è sta­to in media pari a zero, a vol­te +1% e a vol­te ‑1%. Eppu­re, nel­lo stes­so perio­do, il tas­so di inve­sti­men­to è sta­to pari a cir­ca il 20% del Pil. Que­sto non pote­va pro­ve­ni­re dall’interno per­ché non c’era alcun rispar­mio inter­no all’economia israe­lia­na; pro­ve­ni­va inte­ra­men­te dall’estero sot­to for­ma di inve­sti­men­ti di capi­ta­le uni­la­te­ra­li e a lun­go ter­mi­ne. In altre paro­le, la cre­sci­ta dell’economia israe­lia­na si basa­va inte­ra­men­te sull’afflusso di capi­ta­li dall’esterno[9].
Dal 1967, que­sta dipen­den­za dal capi­ta­le stra­nie­ro è aumen­ta­ta. A segui­to del­la muta­ta situa­zio­ne medio­rien­ta­le, la spe­sa mili­ta­re è aumen­ta­ta. Secon­do il mini­stro del Teso­ro israe­lia­no, nel gen­na­io 1970 la spe­sa mili­ta­re era sti­ma­ta al 24% del Pil per il 1970, il che equi­va­le­va al dop­pio del rap­por­to sta­tu­ni­ten­se nel 1966, al tri­plo di quel­lo bri­tan­ni­co e al qua­dru­plo di quel­lo fran­ce­se[10]. Ciò ha com­por­ta­to un’ulteriore pres­sio­ne sia sul­le fon­ti inter­ne di dena­ro per gli inve­sti­men­ti sia sul­la bilan­cia dei paga­men­ti, e ha dovu­to esse­re sod­di­sfat­ta da un aumen­to com­mi­su­ra­to dell’afflusso di capi­ta­li. Nel 1967–68, in Israe­le sono sta­te indet­te tre “con­fe­ren­ze dei milio­na­ri”; i capi­ta­li­sti stra­nie­ri sono sta­ti invi­ta­ti a par­te­ci­pa­re ad aumen­ta­re l’afflusso di capi­ta­li e la par­te­ci­pa­zio­ne stra­nie­ra a pro­get­ti indu­stria­li e agri­co­li. Nel set­tem­bre 1970, il Nel set­tem­bre 1970, il mini­stro del Teso­ro israe­lia­no, Pin­has Sapir, tor­nò da un tour di tre set­ti­ma­ne di rac­col­ta fon­di negli Sta­ti Uni­ti e rias­sun­se la situa­zio­ne di allora:

«Ci sia­mo posti l’obiettivo di rac­co­glie­re 1.000 milio­ni di dol­la­ri dall’ebraismo mon­dia­le nel pros­si­mo anno, attra­ver­so lo Uni­ted Jewish Appeal e la cam­pa­gna di Israel Deve­lo­p­ment Bonds spon­so­riz­za­ta dal­la Jewish Agen­cy. Que­sta som­ma è supe­rio­re di 400 milio­ni di dol­la­ri rispet­to a quel­la rac­col­ta nell’anno record del 1967 … Duran­te la recen­te visi­ta in Israe­le del team di ricer­ca finan­zia­ria sta­tu­ni­ten­se abbia­mo spie­ga­to loro che, anche se riu­scis­si­mo a rac­co­glie­re tut­to ciò che ci aspet­tia­mo dall’United Jewish Appeal e dal­la cam­pa­gna Israel Deve­lo­p­ment Bonds, ci man­che­reb­be­ro anco­ra milio­ni di dol­la­ri per sod­di­sfa­re le nostre esi­gen­ze. Dopo aver rias­sun­to il nostro fab­bi­so­gno in armi, abbia­mo infor­ma­to gli Sta­ti Uni­ti che avre­mo biso­gno di 400–500 milio­ni di dol­la­ri all’anno»[11].

Sem­bra quin­di che la dipen­den­za di Israe­le dagli Sta­ti Uni­ti sia cam­bia­ta in modo signi­fi­ca­ti­vo dal­la guer­ra del 1967. La rac­col­ta di fon­di tra gli ebrei di tut­to il mon­do (sfrut­tan­do i loro sen­ti­men­ti e le loro pau­re) non è più suf­fi­cien­te a soste­ne­re l’enorme aumen­to del bud­get mili­ta­re. La media appros­si­ma­ti­va di 500 milio­ni di dol­la­ri pro­ve­nien­ti dal­la rac­col­ta fon­di deve ora esse­re rad­dop­pia­ta e, inol­tre, al gover­no degli Sta­ti Uni­ti è sta­to chie­sto di for­ni­re diret­ta­men­te altri 500 milio­ni di dol­la­ri. È ovvio che la dispo­ni­bi­li­tà del gover­no degli Sta­ti Uni­ti a stan­zia­re que­ste som­me dipen­de da ciò che rice­ve in cam­bio. Nel caso spe­ci­fi­co di Israe­le, que­sto ritor­no non è il pro­fit­to eco­no­mi­co[12].
Il capi­ta­le bri­tan­ni­co ha inol­tre svi­lup­pa­to stret­ti lega­mi con Israe­le[13]. Il 20% del­le impor­ta­zio­ni israe­lia­ne pro­vie­ne dal­la Gran Bre­ta­gna e il com­mer­cio è qua­si rad­dop­pia­to dopo la guer­ra di giu­gno. La Bri­tish Ley­land ha par­te­ci­pa­to con l’Histadrut (che detie­ne una par­te­ci­pa­zio­ne del 34%) alla pro­du­zio­ne di auto­bus, e con capi­ta­li pri­va­ti israe­lia­ni alla pro­du­zio­ne di auto e jeep.
L’aumento del­la par­te­ci­pa­zio­ne di capi­ta­le stra­nie­ro in Israe­le ha por­ta­to ad alcu­ni cam­bia­men­ti all’interno dell’economia stes­sa, che sono sta­ti attua­ti anche sot­to la mag­gio­re pres­sio­ne eser­ci­ta­ta diret­ta­men­te dal livel­lo di spe­sa mili­ta­re. L’economia è sta­ta resa più “effi­cien­te” secon­do gli stan­dard del capi­ta­li­smo ame­ri­ca­no: Le tas­se sono sta­te rifor­ma­te, le con­di­zio­ni di inve­sti­men­to “libe­ra­liz­za­te” e i gene­ra­li dell’esercito sono sta­ti man­da­ti alle scuo­le di eco­no­mia sta­tu­ni­ten­si e poi mes­si a capo del­le impre­se indu­stria­li. Nel perio­do 1968–69, c’è sta­to un bloc­co obbli­ga­to­rio dei sala­ri e alcu­ne impre­se pub­bli­che sono sta­te per­si­no ven­du­te al capi­ta­le pri­va­to, come ad esem­pio la quo­ta sta­ta­le del 26% nel­la raf­fi­ne­ria di petro­lio di Haifa.
Que­sto afflus­so di risor­se dall’estero non inclu­de le pro­prie­tà che l’establishment sio­ni­sta in Israe­le ha sot­trat­to ai rifu­gia­ti pale­sti­ne­si come “pro­prie­tà abban­do­na­te”. Que­sto inclu­de la ter­ra, sia col­ti­va­ta che incol­ta; solo il 10% del­la ter­ra pos­se­du­ta dagli orga­ni­smi sio­ni­sti nell’Israele pre-1967 era sta­ta acqui­sta­ta pri­ma del 1948. Sono com­pre­se anche mol­te case e cit­tà com­ple­ta­men­te deser­te come Jaf­fa, Lyd­da e Ram­leh, dove mol­te pro­prie­tà sono sta­te con­fi­sca­te dopo la guer­ra del 1948.
L’enorme afflus­so di capi­ta­li non è arri­va­to nel­le mani del­la pic­co­la bor­ghe­sia israe­lia­na, ma nel­le mani del­lo Sta­to, dell’establishment sio­ni­sta[14], che è sta­to sot­to il con­trol­lo del­le buro­cra­zie dei par­ti­ti labu­ri­sti fin dagli anni Ven­ti. Que­sto ha deter­mi­na­to il modo in cui tut­ti i capi­ta­li in entra­ta, così come le pro­prie­tà espro­pria­te, sono sta­ti uti­liz­za­ti. I fon­di rac­col­ti all’estero ven­go­no con­vo­glia­ti attra­ver­so l’Agenzia Ebrai­ca che, con l’Histadrut e il gover­no, fa par­te del trian­go­lo del­le isti­tu­zio­ni di gover­no. Tut­ti i par­ti­ti sio­ni­sti, dal Mapam all’Herut, sono rap­pre­sen­ta­ti nell’Agenzia ebrai­ca. L’Agenzia finan­zia set­to­ri dell’economia israe­lia­na, in par­ti­co­la­re le par­ti non red­di­ti­zie dell’agricoltura come i kib­bu­tzim, e distri­bui­sce fon­di ai par­ti­ti sio­ni­sti, con­sen­ten­do loro di gesti­re i loro gior­na­li e le loro impre­se eco­no­mi­che. I fon­di ven­go­no divi­si in base ai voti otte­nu­ti dai par­ti­ti alle ele­zio­ni pre­ce­den­ti e que­sto siste­ma di sov­ven­zio­ni per­met­te ai par­ti­ti sio­ni­sti di soprav­vi­ve­re anche dopo la scom­par­sa del­le for­ze socia­li che li han­no creati.
Sto­ri­ca­men­te, lo sco­po di que­sto siste­ma era il raf­for­za­men­to del pro­ces­so di colo­niz­za­zio­ne, in accor­do con le idee dei par­ti­ti labu­ri­sti sio­ni­sti, e il raf­for­za­men­to del­la pre­sa che la buro­cra­zia stes­sa ave­va sul­la socie­tà israe­lia­na. Ciò si è rive­la­to un suc­ces­so, poi­ché non solo la clas­se ope­ra­ia israe­lia­na è orga­niz­za­ti­va­men­te ed eco­no­mi­ca­men­te sot­to il com­ple­to con­trol­lo del­la buro­cra­zia labu­ri­sta, ma anche la bor­ghe­sia israe­lia­na. Sto­ri­ca­men­te, la buro­cra­zia ha pla­sma­to la mag­gior par­te del­le isti­tu­zio­ni, dei valo­ri e del­le pra­ti­che del­la socie­tà israe­lia­na sen­za alcu­na oppo­si­zio­ne dall’interno, sog­get­ta solo ai vin­co­li ester­ni impo­sti dall’imperialismo e dal­la resi­sten­za degli ara­bi. La mag­gior par­te di que­sto enor­me afflus­so di risor­se è sta­ta desti­na­ta ai pro­get­ti di immi­gra­zio­ne e agli allog­gi e all’occupazione neces­sa­ri per far fron­te all’afflusso che ha por­ta­to la popo­la­zio­ne ebrai­ca da 0,6 milio­ni nel 1948 a 2,4 milio­ni nel 1968.
Que­sto pro­ces­so è sta­to accom­pa­gna­to da una cor­ru­zio­ne per­so­na­le rela­ti­va­men­te bas­sa, ma da una cor­ru­zio­ne poli­ti­ca e socia­le mol­to for­te. L’afflusso di risor­se ha avu­to un effet­to deci­si­vo sul­le dina­mi­che del­la socie­tà israe­lia­na, poi­ché la clas­se ope­ra­ia israe­lia­na ha par­te­ci­pa­to, diret­ta­men­te e indi­ret­ta­men­te, a que­sta tra­sfu­sio­ne di capi­ta­le. Israe­le non è un Pae­se in cui gli aiu­ti este­ri con­flui­sco­no inte­ra­men­te in tasche pri­va­te; è un Pae­se in cui que­sti aiu­ti sov­ven­zio­na­no l’intera socie­tà. Il lavo­ra­to­re ebreo in Israe­le non rice­ve la sua par­te in con­tan­ti, ma la rice­ve in ter­mi­ni di allog­gi nuo­vi e rela­ti­va­men­te eco­no­mi­ci, che non avreb­be­ro potu­to esse­re costrui­ti rac­co­glien­do capi­ta­li a livel­lo loca­le; la rice­ve in ter­mi­ni di occu­pa­zio­ne indu­stria­le, che non avreb­be potu­to esse­re avvia­ta o man­te­nu­ta sen­za sus­si­di ester­ni; e la rice­ve in ter­mi­ni di un teno­re di vita gene­ra­le che non cor­ri­spon­de alla pro­du­zio­ne di quel­la socie­tà. Lo stes­so vale ovvia­men­te per i pro­fit­ti del­la bor­ghe­sia israe­lia­na, la cui atti­vi­tà eco­no­mi­ca e la cui pro­du­zio­ne di pro­fit­ti sono rego­la­te dal­la buro­cra­zia attra­ver­so sus­si­di, licen­ze di impor­ta­zio­ne ed esen­zio­ni fisca­li. In que­sto modo, la lot­ta tra la clas­se ope­ra­ia israe­lia­na e i suoi dato­ri di lavo­ro, sia buro­cra­ti che capi­ta­li­sti, si com­bat­te non solo per il plu­sva­lo­re pro­dot­to dal lavo­ra­to­re, ma anche per la quo­ta che cia­scun grup­po rice­ve da que­sta fon­te ester­na di sussidi.
Qua­li sono le cir­co­stan­ze poli­ti­che che han­no per­mes­so a Israe­le di rice­ve­re aiu­ti ester­ni in tali quan­ti­tà e in tali con­di­zio­ni sen­za pre­ce­den­ti? A que­sta doman­da ha rispo­sto già nel 1951 il diret­to­re del quo­ti­dia­no Haaretz:

«A Israe­le è sta­to affi­da­to un ruo­lo non dis­si­mi­le da quel­lo di un cane da guar­dia. Non c’è da teme­re che eser­ci­ti una poli­ti­ca aggres­si­va nei con­fron­ti degli Sta­ti ara­bi se que­sto con­trad­di­ce gli inte­res­si di Sta­ti Uni­ti e Gran Bre­ta­gna. Ma se l’Occidente pre­fe­ri­sce, per un moti­vo o per l’altro, chiu­de­re gli occhi, si può fare affi­da­men­to su Israe­le per puni­re seve­ra­men­te que­gli Sta­ti vici­ni la cui man­can­za di edu­ca­zio­ne nei con­fron­ti dell’Occidente ha supe­ra­to i limi­ti appro­pria­ti»[15].

Que­sta valu­ta­zio­ne del ruo­lo di Israe­le in Medio Orien­te è sta­ta veri­fi­ca­ta più vol­te, ed è chia­ro che la poli­ti­ca este­ra e mili­ta­re di Israe­le non può esse­re dedot­ta solo dal­le dina­mi­che dei con­flit­ti socia­li inter­ni. L’intera eco­no­mia israe­lia­na si fon­da sul par­ti­co­la­re ruo­lo poli­ti­co e mili­ta­re che il sio­ni­smo e la socie­tà dei colo­ni svol­go­no nell’intero Medio Orien­te. Se si con­si­de­ra Israe­le in modo iso­la­to dal resto del Medio Orien­te, non si spie­ga il fat­to che il 70% dell’afflusso di capi­ta­li non sia desti­na­to a un gua­da­gno eco­no­mi­co e non sia lega­to a cri­te­ri di red­di­ti­vi­tà. Ma il pro­ble­ma si risol­ve imme­dia­ta­men­te quan­do Israe­le vie­ne con­si­de­ra­to come una com­po­nen­te del Medio Orien­te. Il fat­to che una par­te con­si­de­re­vo­le di que­sto dena­ro pro­ven­ga da dona­zio­ni rac­col­te dai sio­ni­sti tra gli ebrei di tut­to il mon­do non cam­bia il fat­to che si trat­ti di un sus­si­dio dell’imperialismo. Ciò che con­ta è piut­to­sto il fat­to che il Teso­ro degli Sta­ti Uni­ti sia dispo­sto a con­si­de­ra­re que­sti fon­di, rac­col­ti negli Sta­ti Uni­ti per esse­re tra­sfe­ri­ti in un altro Pae­se, come “dona­zio­ni di bene­fi­cen­za” che dan­no dirit­to all’esenzione dall’imposta sul red­di­to. Que­ste dona­zio­ni dipen­do­no dal­la buo­na volon­tà del Teso­ro degli Sta­ti Uni­ti ed è ragio­ne­vo­le sup­por­re che que­sta buo­na volon­tà non con­ti­nue­reb­be se Israe­le con­du­ces­se una poli­ti­ca antim­pe­ria­li­sta di principio.
Ciò signi­fi­ca che, seb­be­ne i con­flit­ti di clas­se esi­sta­no nel­la socie­tà israe­lia­na, essi sono limi­ta­ti dal fat­to che la socie­tà nel suo com­ples­so è sov­ven­zio­na­ta dall’esterno. Que­sto sta­tus pri­vi­le­gia­to è lega­to al ruo­lo di Israe­le nel­la regio­ne e, fin­ché que­sto ruo­lo con­ti­nue­rà, ci sono poche pro­spet­ti­ve che i con­flit­ti socia­li inter­ni acqui­si­sca­no un carat­te­re rivo­lu­zio­na­rio. Inve­ce, una svol­ta rivo­lu­zio­na­ria nel mon­do ara­bo cam­bie­reb­be la situa­zio­ne. Libe­ran­do l’attività del­le mas­se in tut­to il mon­do ara­bo, potreb­be cam­bia­re l’equilibrio di pote­re; ciò ren­de­reb­be obso­le­to il tra­di­zio­na­le ruo­lo poli­ti­co-mili­ta­re di Israe­le, ridu­cen­do così la sua uti­li­tà per l’imperialismo. In un pri­mo momen­to Israe­le ver­reb­be pro­ba­bil­men­te uti­liz­za­to nel ten­ta­ti­vo di schiac­cia­re una tale svol­ta rivo­lu­zio­na­ria nel mon­do ara­bo; tut­ta­via, una vol­ta fal­li­to que­sto ten­ta­ti­vo, il ruo­lo poli­ti­co-mili­ta­re di Israe­le nei con­fron­ti del mon­do ara­bo sareb­be fini­to. Una vol­ta ter­mi­na­to que­sto ruo­lo e i pri­vi­le­gi ad esso asso­cia­ti, il regi­me sio­ni­sta, che dipen­de da que­sti pri­vi­le­gi, sareb­be aper­to a sfi­de di mas­sa dall’interno di Israe­le stesso.

Slo­gan con­tro il sio­ni­smo e l’a­par­theid in una mani­fe­sta­zio­ne indet­ta da Matzpen

Que­sto non signi­fi­ca che i rivo­lu­zio­na­ri all’interno di Israe­le non pos­sa­no fare null’altro, se non seder­si e aspet­ta­re l’emergere di con­di­zio­ni ester­ne ogget­ti­ve sul­le qua­li non han­no alcu­na influen­za. Signi­fi­ca solo che devo­no basa­re la loro atti­vi­tà su una stra­te­gia che rico­no­sca le carat­te­ri­sti­che uni­che del­la socie­tà israe­lia­na, piut­to­sto che ripro­dur­re le gene­ra­liz­za­zio­ni dell’analisi del capi­ta­li­smo clas­si­co. Il com­pi­to prin­ci­pa­le dei rivo­lu­zio­na­ri che accet­ta­no que­sta valu­ta­zio­ne è quel­lo di indi­riz­za­re il loro lavo­ro ver­so que­gli stra­ti del­la popo­la­zio­ne israe­lia­na che sono imme­dia­ta­men­te col­pi­ti dai risul­ta­ti poli­ti­ci del sio­ni­smo e che devo­no pagar­ne le con­se­guen­ze. Que­sti stra­ti com­pren­do­no i gio­va­ni israe­lia­ni, chia­ma­ti a com­bat­te­re “una guer­ra eter­na impo­sta dal desti­no”, e gli ara­bi pale­sti­ne­si che vivo­no sot­to il domi­nio israe­lia­no[16]. Que­sti stra­ti con­di­vi­do­no una ten­den­za anti­sio­ni­sta che li ren­de poten­zia­li allea­ti nel­la lot­ta rivo­lu­zio­na­ria all’interno di Israe­le e nel­la lot­ta rivo­lu­zio­na­ria in tut­to il Medio Orien­te. Chiun­que segua da vici­no le lot­te rivo­lu­zio­na­rie nel mon­do ara­bo si ren­de con­to del rap­por­to dia­let­ti­co tra la lot­ta con­tro il sio­ni­smo in Israe­le e la lot­ta per la rivo­lu­zio­ne socia­le nel mon­do ara­bo. Que­sta stra­te­gia non impli­ca che l’attività all’interno del­la clas­se ope­ra­ia israe­lia­na deb­ba esse­re tra­scu­ra­ta; impli­ca solo che anche que­sta atti­vi­tà deve esse­re subor­di­na­ta alla stra­te­gia gene­ra­le del­la lot­ta con­tro il sionismo.


Note

[1] Annua­rio sta­ti­sti­co del gover­no israe­lia­no, 1969.
[2] Moshe Dayan, in Davar, 2 mag­gio 1956.
[3] La stra­gran­de mag­gio­ran­za di colo­ro che immi­gra­ro­no pri­ma del 1948 era di ori­gi­ne euro­pea; tra il 1948 e il 1951 le pro­por­zio­ni furo­no pres­so­ché ugua­li; e da allo­ra la mag­gior par­te degli immi­gra­ti pro­vie­ne da pae­si extraeu­ro­pei. Nel 1966 solo la metà del­la popo­la­zio­ne israe­lia­na era di ori­gi­ne europea.
[4] Cfr. Annua­rio sta­ti­sti­co (Geru­sa­lem­me), 1969.
[5] «C’è un gran­de peri­co­lo nell’impiegare un gran nume­ro di [ara­bi] nell’economia israe­lia­na, un peri­co­lo che non ha nul­la a che fare con la sicu­rez­za: sono una bom­ba a oro­lo­ge­ria … Alcu­ni rami dell’economia stan­no già diven­tan­do dipen­den­ti dal­la mano­do­pe­ra ara­ba dai ter­ri­to­ri occu­pa­ti, e i lavo­ra­to­ri ebrei stan­no abban­do­nan­do inte­ri set­to­ri dell’economia» (Haim Geva­ti, mini­stro dell’Agricoltura, in Yediot Aha­ro­not , 20 mag­gio 1970).
[6] Le Mon­de, 2 luglio 1969.
[7] Jour­nal of Eco­no­mic Lite­ra­tu­re, dicem­bre 1969, p. 1177.
[8] Que­sta leg­ge è sta­ta appro­va­ta nel 1959.
[9] Que­sti dati sono trat­ti da The Eco­no­mic Deve­lo­p­ment of Israel, di N. Hale­vi e R. Klinov‑Malul, pub­bli­ca­to dal­la Ban­ca d’Israele e Fre­de­rick A. Prae­ger, 1968. La cate­go­ria “altre fon­ti”, inclu­sa sot­to “tra­sfe­ri­men­ti di capi­ta­le a lun­go ter­mi­ne”, è sta­ta omes­sa dal­le cifre sia per i tra­sfe­ri­men­ti a lun­go ter­mi­ne che per quel­li uni­la­te­ra­li pre­si insieme.
[10] Pro­fes­sor D. Patien­kin in Ma’ariv, 30 gen­na­io 1970.
[11] Yediot Aha­ro­not, 30 set­tem­bre 1970. Su un tota­le di 1034 milio­ni di dol­la­ri di aiu­ti mili­ta­ri sta­tu­ni­ten­si a pae­si stra­nie­ri, esclu­so il Viet­nam, nel 1970, Israe­le ha rice­vu­to 500 milio­ni di dollari.
[12] Ai pri­mi di dicem­bre del 1970, la Sapir pre­sen­tò il bilan­cio pre­ven­ti­vo per il perio­do 1970‑71; Il 40% è sta­to dedi­ca­to a sco­pi mili­ta­ri. Ciò inclu­de­va: l’acquisto di armi, in par­te coper­to dai 500 milio­ni di dol­la­ri pro­mes­si da Nixon; lo svi­lup­po dell’industria degli arma­men­ti e del­la ricer­ca mili­ta­re; e i costi quo­ti­dia­ni del­le ope­ra­zio­ni di sicu­rez­za nazionale.
[13] Si veda “Why this nation does buy Bri­tish”, The Times (Lon­dra), 28 mar­zo 1969.
[14] Il ter­mi­ne “esta­blish­ment sio­ni­sta” è quel­lo con­ven­zio­nal­men­te uti­liz­za­to in Israe­le per indi­ca­re il grup­po diri­gen­te pre­sen­te nell’insieme inter­con­nes­so del­le isti­tu­zio­ni sioniste.
[15] Haa­re­tz, 30 set­tem­bre 1951.
[16] Il movi­men­to di oppo­si­zio­ne in Israe­le, in par­ti­co­la­re tra gli stu­den­ti del­le scuo­le supe­rio­ri, è sta­to discus­so in “Israel: Oppo­si­tion Gro­ws” di Aki­va Orr, Black Dwarf, 12 giu­gno 1970.