Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Economia

L’euro ha vent’anni: è stato un successo? Sopravviverà per altri vent’anni?

I media bor­ghe­si han­no cele­bra­to nei gior­ni scor­si i vent’anni dall’introduzione dell’euro come mone­ta uni­ca dell’Unione euro­pea. Il capi­ta­li­smo ha mes­so in cam­po le pro­prie fan­fa­re per que­sta com­me­mo­ra­zio­ne per­ché la par­ti­ta che di qui a qual­che mese si gio­che­rà con le pros­si­me ele­zio­ni euro­pee è par­ti­co­lar­men­te impor­tan­te, con­si­de­ran­do che i par­ti­ti euro­scet­ti­ci (defi­ni­ti, di vol­ta in vol­ta, “popu­li­sti” o “sovra­ni­sti”) oggi al gover­no in alcu­ni Pae­si – pri­mo fra tut­ti l’Italia – potreb­be­ro tira­re la vola­ta a un signi­fi­ca­ti­vo cam­bia­men­to degli equi­li­bri poli­ti­ci all’interno del con­ti­nen­te. E dun­que, l’euro anda­va cele­bra­to con tut­ti gli ono­ri per pre­pa­rar­si all’imminente bat­ta­glia elettorale.
Abbia­mo per­ciò deci­so di pre­sen­ta­re – pur non con­di­vi­den­do­ne le con­clu­sio­ni: da eco­no­mi­sta, più che da poli­ti­co, come poi spie­ghe­re­mo nel­la nota 3 in cal­ce al testo – una voce fuo­ri dal coro. Quel­la, appun­to, di un noto eco­no­mi­sta mar­xi­sta, Michael Roberts, che sul suo blog ha pub­bli­ca­to in due par­ti un’analisi sul ruo­lo avu­to fino­ra dal­la mone­ta uni­ca e sul­le sue pro­spet­ti­ve futu­re.
Rite­nia­mo uti­le che all’interno del­la sini­stra anti­ca­pi­ta­li­sta ita­lia­na si apra un dibat­ti­to sul tema dell’euro – ma anche dell’Ue, del debi­to pub­bli­co, e di tut­ti gli stru­men­ti che il capi­ta­le uti­liz­za per sot­to­met­te­re la clas­se lavo­ra­tri­ce – per­ché lascia­re quest’argomento nel­le mani del­le for­ze euro­scet­ti­che da un ver­san­te rea­zio­na­rio, o, peg­gio anco­ra, del­la sini­stra sovra­ni­sta e ros­so­bru­na, signi­fi­che­reb­be con­dan­na­re alla tota­le emar­gi­na­zio­ne le orga­niz­za­zio­ni del­la sini­stra rivoluzionaria.
Buo­na lettura.
La redazione

L’euro ha vent’anni: è stato un successo? Sopravviverà per altri vent’anni?

 

Michael Roberts [*]

(1‑2 gen­na­io 2019)

Si cele­bra il ven­te­si­mo anni­ver­sa­rio del lan­cio dell’euro e dell’eurozona in cui cir­co­la la mone­ta comu­ne. All’inizio undi­ci era­no i mem­bri; due decen­ni dopo la sua nasci­ta, il nume­ro di mem­bri è cre­sciu­to fino a dician­no­ve Pae­si e l’economia del­la zona euro è aumen­ta­ta del 72% a 11,2 tri­lio­ni[1] di euro (12,8 tri­lio­ni di dol­la­ri), infe­rio­re solo a quel­la degli Sta­ti Uni­ti, ren­den­do l’Unione euro­pea una for­za glo­ba­le da pren­de­re in considerazione.

Cir­ca 343 milio­ni di euro­pei usa­no l’euro quo­ti­dia­na­men­te. Fuo­ri dell’Europa, in mol­ti ter­ri­to­ri si usa anche l’euro come valu­ta. E altri 240 milio­ni di per­so­ne in tut­to il mon­do dal 2018 uti­liz­za­no valu­te lega­te all’euro. L’euro è la secon­da valu­ta di riser­va, non­ché la secon­da valu­ta più scam­bia­ta al mon­do dopo il dol­la­ro. Dall’agosto 2018, con oltre 1,2 tri­lio­ni di euro in cir­co­la­zio­ne, l’euro ha uno dei più alti valo­ri aggre­ga­ti di ban­co­no­te e mone­te in cir­co­la­zio­ne nel mon­do, supe­rio­re al dol­la­ro Usa.
È un segno di suc­ces­so. Ma non è il pun­to di rife­ri­men­to più impor­tan­te secon­do i suoi fon­da­to­ri. Il gran­de pro­get­to euro­peo dopo la secon­da guer­ra mon­dia­le ave­va due obiet­ti­vi: pri­mo, assi­cu­rar­si che non ci sareb­be­ro sta­te mai più guer­re tra le nazio­ni euro­pee; e in secon­do luo­go, ren­de­re l’Europa un’entità eco­no­mi­ca e poli­ti­ca in gra­do di com­pe­te­re con gli Sta­ti Uni­ti e il Giap­po­ne nel capi­ta­li­smo glo­ba­le. Que­sto pro­get­to è sta­to diret­to dal capi­ta­le franco‑tedesco. Ma il pro­get­to dell’euro è anda­to oltre e ha cer­ca­to l’integrazione di tut­te le eco­no­mie capi­ta­li­ste euro­pee in una sola per com­pe­te­re con gli Sta­ti Uni­ti e l’Asia nel capi­ta­li­smo mon­dia­le all’interno di un mer­ca­to uni­co e con una mone­ta riva­le del dollaro.
Nel­la pri­ma par­te di que­sto arti­co­lo, veri­fi­che­rò se l’euro è sta­to un suc­ces­so per il capi­ta­le degli Sta­ti par­te­ci­pan­ti; e se è sta­to posi­ti­vo per i lavo­ra­to­ri. Nel­la secon­da par­te, ana­liz­ze­rò se l’euro con­ti­nue­rà ad esi­ste­re tra vent’anni.
Come valu­ta­re il suc­ces­so di una zona a mone­ta uni­ca in ter­mi­ni eco­no­mi­ci? La teo­ria eco­no­mi­ca domi­nan­te ini­zia con il con­cet­to di area mone­ta­ria otti­ma­le (Amo)[2]. L’essenza del­la teo­ria dell’Amo è che l’integrazione com­mer­cia­le e la mone­ta comu­ne por­te­ran­no gra­dual­men­te alla con­ver­gen­za del Pil pro capi­te e del­la pro­dut­ti­vi­tà del lavo­ro tra i partecipanti.
Secon­do l’Amo, ha sen­so per le eco­no­mie nazio­na­li con­di­vi­de­re una poli­ti­ca mone­ta­ria comu­ne se:

  1. han­no cicli eco­no­mi­ci simi­li e sin­cro­niz­za­ti e/o
  2. han­no “ammor­tiz­za­to­ri” eco­no­mi­ci, come tra­sfe­ri­men­ti fisca­li, mobi­li­tà del lavo­ro e prez­zi fles­si­bi­li in gra­do di adat­tar­si alle flut­tua­zio­ni ecces­si­ve del ciclo.

Se (1) è vero, allo­ra è pos­si­bi­le un’unica poli­ti­ca mone­ta­ria comu­ne. Se (2) è rea­le, un’economia nazio­na­le può ave­re un ciclo eco­no­mi­co diver­so dal resto dell’unione mone­ta­ria e, nono­stan­te que­sto, fun­zio­na­re bene al suo inter­no. L’equilibrio si può sta­bi­li­re se c’è “fles­si­bi­li­tà sala­ria­le”, “mobi­li­tà del lavo­ro” e tra­sfe­ri­men­ti fisca­li automatici.
L’Unione euro­pea ha mostra­to un cer­to livel­lo di con­ver­gen­za. Le rego­le com­mer­cia­li comu­ni e la libe­ra cir­co­la­zio­ne di lavo­ro e capi­ta­le tra i pae­si dell’Ue han­no por­ta­to alla “con­ver­gen­za” tra i par­te­ci­pan­ti dell’Ue. La con­ver­gen­za a livel­lo di pro­dut­ti­vi­tà è sta­ta altret­tan­to for­te quan­to in una fede­ra­zio­ne pie­na come gli Sta­ti Uni­ti, ben­ché la con­ver­gen­za si sia più o meno fer­ma­ta nel 1990, una vol­ta che la mone­ta uni­ca dell’Unione ha comin­cia­to ad esse­re attuata.

Sic­ché, il pas­sag­gio a un mer­ca­to comu­ne, a un’unione doga­na­le e, infi­ne, a strut­tu­re poli­ti­che ed eco­no­mi­che dell’Ue è sta­to un suc­ces­so rela­ti­vo. L’Ue a 12/15 degli anni 1980 e 1999 è riu­sci­ta a rag­giun­ge­re un gra­do di armo­niz­za­zio­ne e con­ver­gen­za con le eco­no­mie capi­ta­li­ste più debo­li, che sono cre­sciu­te più velo­ce­men­te di quan­to sia­no cre­sciu­te le più for­ti (il gra­fi­co mostra la cre­sci­ta pro capi­te nel 1986–1999).

Ma ciò si è veri­fi­ca­to solo fino all’inizio dell’Uem (Unio­ne eco­no­mi­ca e mone­ta­ria) e ai suoi pre­pa­ra­ti­vi negli anni 90. Da allo­ra i pro­gres­si nel­la con­ver­gen­za sono sta­ti mol­to meno con­vin­cen­ti. Al con­tra­rio, l’esperienza dell’Uem è sta­ta la divergenza.
L’idea che il “libe­ro scam­bio” sia van­tag­gio­so per tut­ti i Pae­si e per tut­te le clas­si è un “prin­ci­pio sacro” del­la teo­ria eco­no­mi­ca domi­nan­te. Ma è una pro­po­si­zio­ne erra­ta basa­ta sul­la teo­ria del van­tag­gio com­pa­ra­ti­vo: se ogni Pae­se si con­cen­tra sul­la pro­du­zio­ne di beni o ser­vi­zi in cui ha un “van­tag­gio com­pa­ra­ti­vo” rispet­to agli altri, tut­ti ne trar­reb­be­ro bene­fi­cio. Gli scam­bi tra Pae­si si equi­li­bre­reb­be­ro e i sala­ri e l’occupazione sareb­be­ro mas­si­miz­za­ti. Ma que­sto è empi­ri­ca­men­te fal­so. I Pae­si han­no enor­mi defi­cit e sur­plus com­mer­cia­li per lun­ghi perio­di; sof­fro­no ricor­ren­ti cri­si valu­ta­rie; e i lavo­ra­to­ri per­do­no il lavo­ro a cau­sa del­la con­cor­ren­za stra­nie­ra sen­za otte­ner­ne di nuo­vi nei set­to­ri più competitivi.
La teo­ria mar­xi­sta del com­mer­cio inter­na­zio­na­le si basa sul­la leg­ge del valo­re. Nell’eurozona, la Ger­ma­nia ha una mag­gio­re com­po­si­zio­ne orga­ni­ca di capi­ta­le (Coc) rispet­to all’Italia, per­ché è tec­no­lo­gi­ca­men­te più avan­za­ta. Per­tan­to, in ogni scam­bio tra i due Pae­si, si tra­sfe­ri­rà valo­re dall’Italia alla Ger­ma­nia. L’Italia potreb­be com­pen­sa­re que­sto feno­me­no aumen­tan­do il volu­me del­la sua produzione/esportazione in Ger­ma­nia fino a rag­giun­ge­re un avan­zo com­mer­cia­le con la Ger­ma­nia. Que­sto è ciò che fa la Cina. Ma l’Italia non è abba­stan­za gran­de per esse­re in gra­do di far­lo. Così tra­sfe­ri­sce valo­re alla Ger­ma­nia e ha anche un defi­cit nel suo com­mer­cio tota­le con la Germania.
In que­sta situa­zio­ne, la Ger­ma­nia gua­da­gna all’interno del­la zona euro a spe­se dell’Italia. Tut­ti gli altri Sta­ti mem­bri non pos­so­no espan­de­re la loro pro­du­zio­ne per supe­ra­re la Ger­ma­nia, sic­ché lo scam­bio ine­gua­le si aggra­va nell’Uem. Inol­tre, la Ger­ma­nia ha un sur­plus com­mer­cia­le con altri Sta­ti al di fuo­ri dell’Uem, che può uti­liz­za­re per inve­sti­re più capi­ta­li all’estero nei Pae­si dell’Uem che pre­sen­ta­no un disavanzo.
La teo­ria mar­xi­sta dell’unione mone­ta­ria par­te dal­la posi­zio­ne oppo­sta a quel­la domi­nan­te del­la teo­ria neo­clas­si­ca sull’Area mone­ta­ria otti­ma­le. Il capi­ta­li­smo è un siste­ma eco­no­mi­co che com­bi­na lavo­ro e capi­ta­le, ma in modo disu­gua­le. Le for­ze cen­tri­pe­te com­bi­na­te dell’accumulazione e del com­mer­cio sono spes­so più che con­tro­bi­lan­cia­te dal­le for­ze cen­tri­fu­ghe del­lo svi­lup­po e dai flus­si dise­gua­li di valo­re. Non c’è una ten­den­za all’equilibrio nei cicli com­mer­cia­li e pro­dut­ti­vi nel capi­ta­li­smo. Sic­ché gli aggiu­sta­men­ti fisca­li, sala­ria­li o dei prez­zi non pos­so­no rista­bi­li­re l’equilibrio e dovreb­be­ro esse­re così ampi da ren­der­li social­men­te impos­si­bi­li sen­za rom­pe­re l’unione monetaria.
I lea­der dell’Ue ave­va­no sta­bi­li­to cri­te­ri di con­ver­gen­za per entra­re nell’euro che era­no esclu­si­va­men­te mone­ta­ri (i tas­si di inte­res­se e l’inflazione) e fisca­li (il defi­cit di bilan­cio e il debi­to). Non era­no sta­ti fis­sa­ti cri­te­ri di con­ver­gen­za per i livel­li di pro­dut­ti­vi­tà, la cre­sci­ta del Pil, gli inve­sti­men­ti o l’occupazione. Per­ché? Per­ché que­ste era­no aree per la libe­ra cir­co­la­zio­ne di capi­ta­li (e di lavo­ro) in cui la pro­du­zio­ne capi­ta­li­sta deve man­te­ner­si libe­ra dall’interferenza o la dire­zio­ne da par­te del­lo Sta­to. Dopo­tut­to, l’Ue è un pro­get­to capitalista.
Que­sto spie­ga per­ché i Pae­si cen­tra­li dell’Uem si sono allon­ta­na­ti dal­la peri­fe­ria. Con una mone­ta uni­ca, le dif­fe­ren­ze di valo­re tra Sta­ti più debo­li (con bas­sa Coc) e più for­ti (con mag­gio­re Coc) sono sta­te evi­den­zia­te sen­za la pos­si­bi­li­tà di com­pen­sa­re sva­lu­tan­do la mone­ta nazio­na­le o espan­den­do la pro­du­zio­ne tota­le. Così, le eco­no­mie capi­ta­li­ste più debo­li (nell’Europa meri­dio­na­le) all’interno del­la zona euro han­no per­so ter­re­no nei con­fron­ti di quel­le più for­ti (nel nord). Il gra­fi­co seguen­te mostra il risul­ta­to di ogni Sta­to mem­bro in ter­mi­ni di cre­sci­ta rispet­to alla media del­la zona euro.

Il capi­ta­le franco‑tedesco si è espan­so a sud e ad est per appro­fit­ta­re del­la mano­do­pe­ra a bas­so costo, men­tre espor­ta­va fuo­ri dell’eurozona con una valu­ta rela­ti­va­men­te com­pe­ti­ti­va. Gli Sta­ti più debo­li dell’Uem han­no accu­mu­la­to defi­cit com­mer­cia­li con gli Sta­ti set­ten­trio­na­li e sono sta­ti som­mer­si da capi­ta­li pro­ve­nien­ti dal nord che han­no cau­sa­to boom immo­bi­lia­ri e finan­zia­ri spro­por­zio­na­ti rispet­to alla cre­sci­ta dei set­to­ri pro­dut­ti­vi del sud.
Non­di­me­no, nien­te di tut­to ciò avreb­be cau­sa­to una cri­si nell’unione mone­ta­ria se non fos­se sta­to per un cam­bia­men­to signi­fi­ca­ti­vo nel capi­ta­li­smo glo­ba­le: la for­te cadu­ta del­la red­di­ti­vi­tà del capi­ta­le nei prin­ci­pa­li pae­si dell’Ue (come ovun­que) dopo del­la fine dell’Età dell’Oro dell’espansione post­bel­li­ca. Ciò ha pro­dot­to una cadu­ta del­la cre­sci­ta degli inve­sti­men­ti, del­la pro­dut­ti­vi­tà e diver­gen­ze com­mer­cia­li. Il capi­ta­le euro­peo, seguen­do il model­lo del­le eco­no­mie anglo­sas­so­ni, ha adot­ta­to poli­ti­che neo­li­be­ra­li: leg­gi anti­sin­da­ca­li, dere­go­la­men­ta­zio­ne dei mer­ca­ti del lavo­ro e finan­zia­ri, tagli alla spe­sa pub­bli­ca e alla tas­sa­zio­ne del­le impre­se, libe­ra cir­co­la­zio­ne dei capi­ta­li e pri­va­tiz­za­zio­ni. L’obiettivo era aumen­ta­re la red­di­ti­vi­tà: ciò che si è rela­ti­va­men­te veri­fi­ca­to soprat­tut­to negli Sta­ti più avan­za­ti del nord dell’Ue, meno in quel­li del sud.

Poi è arri­va­ta la cri­si finan­zia­ria glo­ba­le con la Gran­de Reces­sio­ne. E le linee di frat­tu­ra nell’area del­la mone­ta uni­ca sono venu­te alla luce.

L’euro soprav­vi­ve­rà per altri vent’anni?
Nel­la secon­da par­te del­la mia ana­li­si dell’euro, vor­rei affron­ta­re l’impatto del­la cri­si glo­ba­le del 2008–9 e la con­se­guen­te cri­si del debi­to dell’euro in rela­zio­ne al suo futuro.
La cri­si glo­ba­le ha dram­ma­ti­ca­men­te aumen­ta­to le for­ze diver­gen­ti nel­la zona euro. La fram­men­ta­zio­ne dei flus­si di capi­ta­li tra gli Sta­ti for­ti e quel­li debo­li del­la zona euro si è mol­ti­pli­ca­ta. I set­to­ri capi­ta­li­sti­ci del­le eco­no­mie più ric­che, come la Ger­ma­nia, han­no smes­so di pre­sta­re diret­ta­men­te ai set­to­ri capi­ta­li­sti­ci più debo­li in Gre­cia e Slo­ve­nia, ecc. Di con­se­guen­za, al fine di man­te­ne­re la mone­ta uni­ca per tut­ti, l’autorità mone­ta­ria uffi­cia­le, la Bce e le ban­che cen­tra­li nazio­na­li han­no dovu­to for­ni­re i pre­sti­ti al loro posto. Le cifre dell’“Obiettivo 2” dell’eurosistema tra le ban­che cen­tra­li nazio­na­li han­no rive­la­to que­sta gran­de diver­gen­za all’interno del­la zona euro.

L’imposizione di misu­re di auste­ri­tà da par­te del­la lea­der­ship franco‑tedesca dell’Ue a Pae­si in dif­fi­col­tà duran­te la cri­si è sta­ta il risul­ta­to dei cri­te­ri limi­ta­ti adot­ta­ti per l’euro. Non esi­ste­va un’unione fisca­le com­ple­ta (armo­niz­za­zio­ne fisca­le e tra­sfe­ri­men­to auto­ma­ti­co del red­di­to alle eco­no­mie nazio­na­li con defi­cit); non ci sono sta­te inie­zio­ni di cre­di­to auto­ma­ti­che per copri­re la fuga di capi­ta­li e il defi­cit com­mer­cia­le (ban­ca fede­ra­le); e non esi­ste­va alcu­na unio­ne ban­ca­ria con rego­la­men­ti comu­ni, in modo che le ban­che debo­li potes­se­ro esse­re aiu­ta­te da quel­le più for­ti. Que­ste con­di­zio­ni era­no la nor­ma in unio­ni fede­ra­li com­ple­te come gli Sta­ti Uni­ti o il Regno Uni­to. Inve­ce, nell’eurozona, tut­to dove­va esse­re accet­ta­to attra­ver­so tor­tuo­si nego­zia­ti tra gli Sta­ti membri.
In que­sta “casa a metà”, il capi­ta­le franco‑tedesco non era dispo­sto a paga­re per gli “ecces­si” degli Sta­ti capi­ta­li­sti più debo­li. Tut­ti i pro­gram­mi di sal­va­tag­gio sono sta­ti accom­pa­gna­ti da “auste­ri­tà” per que­sti Pae­si in modo che la popo­la­zio­ne degli Sta­ti in dif­fi­col­tà pagas­se i tagli al wel­fa­re, alle pen­sio­ni e ai sala­ri rea­li, e resti­tuis­se i pre­sti­ti (qua­si inte­ra­men­te) ai cre­di­to­ri (le ban­che di Fran­cia, Ger­ma­nia e Regno Uni­to). Il debi­to nei con­fron­ti del­le ban­che franco‑tedesche è sta­to tra­sfe­ri­to alle isti­tu­zio­ni sta­ta­li dell’Ue e al Fon­do mone­ta­rio inter­na­zio­na­le – nel caso del­la Gre­cia, pro­ba­bil­men­te, per sem­pre.
La Bce, la Com­mis­sio­ne euro­pea e i gover­ni dell’eurozona han­no pro­cla­ma­to che l’austerità era l’unico modo in cui l’Europa pote­va usci­re dal­la Gran­de Reces­sio­ne. L’austerità nel­la spe­sa pub­bli­ca avreb­be potu­to for­za­re la con­ver­gen­za anche nei con­ti fisca­li (123118‑euroeconomicanalyst‑weekly). Ma il vero obiet­ti­vo dell’austerità era quel­lo di otte­ne­re una for­te cadu­ta dei sala­ri e tagli alle impo­ste per le impre­se e, in tal modo, aumen­ta­re il sag­gio di pro­fit­to e il ren­di­men­to del capi­ta­le. Di fat­to, dopo un decen­nio di auste­ri­tà, sono sta­ti fat­ti pochis­si­mi pro­gres­si nel rag­giun­ge­re gli obiet­ti­vi di bilan­cio (in par­ti­co­la­re nel­la ridu­zio­ne del rap­por­to debito/Pil); e, cosa anco­ra più impor­tan­te, nel­la ridu­zio­ne degli squi­li­bri all’interno del­la zona euro in rela­zio­ne al costo del­la mano­do­pe­ra o del com­mer­cio este­ro per ren­de­re più “com­pe­ti­ti­vi” i più deboli.
L’incidenza dei sala­ri aggiu­sta­ti sul red­di­to nazio­na­le, defi­ni­to qui come retri­bu­zio­ne per addet­to in ter­mi­ni di quo­ta del Pil al costo dei fat­to­ri per occu­pa­to, è il costo per l’economia capi­ta­li­sti­ca di impie­go del­la for­za lavo­ro (sala­ri e bene­fi­ci) come una per­cen­tua­le del nuo­vo valo­re crea­to ogni anno. Tut­te le eco­no­mie capi­ta­li­ste sono riu­sci­te a ridur­re l’incidenza del lavo­ro nel nuo­vo valo­re crea­to dal 2009. Dap­per­tut­to, i lavo­ra­to­ri han­no paga­to per que­sta crisi.

Ridu­zio­ne del­la par­te­ci­pa­zio­ne al lavo­ro nel nuo­vo valo­re aggiun­to 2009‑2015 (%) [Fon­te: AMECO, cal­co­li dell’autore]

I dati mostra­no che gli Sta­ti dell’Ue che han­no avu­to una più rapi­da cre­sci­ta del­la red­di­ti­vi­tà del capi­ta­le sono sta­ti in gra­do di ripren­der­si più rapi­da­men­te dal­la cri­si dell’euro (Ger­ma­nia, Pae­si Bas­si, Irlan­da, ecc.), men­tre quel­li in cui la red­di­ti­vi­tà non è miglio­ra­ta sono spro­fon­da­ti nel­la depres­sio­ne (Gre­cia).

Uno dei con­tri­bu­ti più impor­tan­ti nel­la cadu­ta dell’incidenza del lavo­ro sull nuo­vo valo­re va riscon­tra­to nell’emigrazione. Que­sto era uno dei cri­te­ri dell’Amo per la con­ver­gen­za duran­te le cri­si ed è diven­ta­to un fat­to­re impor­tan­te nel­la ridu­zio­ne dei costi per il set­to­re capi­ta­li­sta nel­le eco­no­mie più gran­di come la Spa­gna (e quel­le più pic­co­le come l’Irlanda). Pri­ma del­la cri­si, la Spa­gna era un gran­de desti­na­ta­rio di immi­gra­ti per il suo mer­ca­to del lavo­ro: dall’America Lati­na, dal Por­to­gal­lo e dal Nord Afri­ca. Ora c’è un’emigrazione net­ta anche con que­ste aree.
I key­ne­sia­ni incol­pa­no per la cri­si dell’area euro la rigi­di­tà del­la zona del­la mone­ta uni­ca e le dure poli­ti­che di auste­ri­tà impo­ste dai lea­der dell’eurozona, come la Ger­ma­nia. Ma la cri­si dell’euro è solo in par­te il risul­ta­to del­le poli­ti­che di auste­ri­tà. L’austerità è sta­ta appli­ca­ta non solo dal­le isti­tu­zio­ni dell’Ue, ma anche dagli Sta­ti al di fuo­ri dell’area dell’euro, come il Regno Uni­to. Le poli­ti­che key­ne­sia­ne alter­na­ti­ve di sti­mo­lo fisca­le e/o sva­lu­ta­zio­ne, lad­do­ve sono sta­te appli­ca­te, han­no fun­zio­na­to poco per por­re fine alla cri­si e han­no per­si­no cau­sa­to per­di­te di red­di­to alle fami­glie. Auste­ri­tà signi­fi­ca per­di­ta di posti di lavo­ro e di ser­vi­zi e di red­di­to nomi­na­le e rea­le. Le poli­ti­che key­ne­sia­ne impli­ca­no una rea­le per­di­ta di red­di­to attra­ver­so prez­zi più alti, una sva­lu­ta­zio­ne del­la mone­ta e, infi­ne, l’aumento dei tas­si di interesse.
L’Islanda, un pic­co­lo pae­se al di fuo­ri dell’Ue, per non par­la­re del­la zona euro, ne è l’esempio. Il suo gover­no ha adot­ta­to la poli­ti­ca key­ne­sia­na di sva­lu­ta­zio­ne del­la sua mone­ta, una poli­ti­ca impos­si­bi­le per gli Sta­ti mem­bri dell’area euro. Ma ha signi­fi­ca­to una cadu­ta del 40% del red­di­to medio rea­le in euro e di qua­si il 20% in ter­mi­ni di coro­na islan­de­se dal 2007. In effet­ti, nel 2015 i sala­ri rea­li islan­de­si era­no anco­ra al di sot­to del loro livel­lo nel 2005, die­ci anni pri­ma, men­tre i sala­ri rea­li negli sta­ti in “dif­fi­col­tà” dell’Uem come l’Irlanda e il Por­to­gal­lo si sono ripresi.
Il sag­gio di pro­fit­to è crol­la­to in Islan­da a par­ti­re dal 2005 e, alla fine, la bol­la immo­bi­lia­re è scop­pia­ta sull’isola e le ban­che sono fal­li­te nel 2008‑2009. La sva­lu­ta­zio­ne del­la mone­ta è ini­zia­ta nel 2008, ma la red­di­ti­vi­tà fino al 2012 è rima­sta al di sot­to del livel­lo mas­si­mo del 2004. La red­di­ti­vi­tà del capi­ta­le in Islan­da è ora ripre­sa, ma gli Sta­ti in dif­fi­col­tà dell’Uem che han­no appli­ca­to poli­ti­che di auste­ri­tà, come Por­to­gal­lo e Irlan­da, han­no effet­ti­va­men­te fat­to meglio e per­si­no la red­di­ti­vi­tà gre­ca ha mostra­to qual­che risveglio.

Ren­di­men­to net­to del capi­ta­le per Islan­da e Gre­cia (2005 = 100) [Fon­te: AMECO]

Colo­ro che sosten­go­no l’uscita dall’euro come una solu­zio­ne alla cri­si nell’eurozona sono dell’avviso che il ricor­so a una sva­lu­ta­zio­ne com­pe­ti­ti­va potreb­be miglio­ra­re le espor­ta­zio­ni, la pro­du­zio­ne, i sala­ri e i pro­fit­ti. Ma sup­po­nia­mo che l’Italia lascias­se l’euro e ritor­nas­se alla lira men­tre la Ger­ma­nia man­tie­ne l’euro. Par­ten­do dal pre­sup­po­sto che ci sono prez­zi di pro­du­zio­ne inter­na­zio­na­li, se l’Italia pro­du­ce a un livel­lo tec­no­lo­gi­co infe­rio­re a quel­lo uti­liz­za­to dal pro­dut­to­re tede­sco, vi è una per­di­ta di valo­re del pro­dut­to­re ita­lia­no nei con­fron­ti di quel­lo tede­sco. Ora, se l’Italia sva­lu­ta la sua mone­ta del­la metà, l’importatore tede­sco può acqui­sta­re il dop­pio del­le espor­ta­zio­ni ita­lia­ne, ma gli impor­ta­to­ri ita­lia­ni pos­so­no con­ti­nua­re ad acqui­sta­re solo la stes­sa quan­ti­tà (o meno) di espor­ta­zio­ni tede­sche. Cer­to, in ter­mi­ni di lira, non vi è alcu­na per­di­ta di pro­fit­to, ma in ter­mi­ni di valo­re del­la pro­du­zio­ne inter­na­zio­na­le (in euro), c’è una per­di­ta. La cadu­ta del sag­gio di pro­fit­to è occul­ta­ta dal miglio­ra­men­to del sag­gio del pro­fit­to in mone­ta nazio­na­le (lira).
In bre­ve, se l’Italia sva­lu­ta la sua divi­sa, i suoi espor­ta­to­ri pos­so­no miglio­ra­re le loro ven­di­te e il loro tas­so di pro­fit­to mone­ta­rio. Anche l’occupazione e gli inve­sti­men­ti com­ples­si­vi potreb­be­ro miglio­ra­re per un po’. Ma c’è una per­di­ta di valo­re ine­ren­te alla sva­lu­ta­zio­ne com­pe­ti­ti­va. L’inflazione dei beni di con­su­mo impor­ta­ti com­por­te­reb­be un calo dei sala­ri rea­li. E il sag­gio medio di pro­fit­to fini­rà per peg­gio­ra­re con il con­co­mi­tan­te peri­co­lo di una cri­si inter­na negli inve­sti­men­ti e nel­la pro­du­zio­ne. Que­ste sono le con­se­guen­ze del­la sva­lu­ta­zio­ne del­la moneta.
Le for­ze poli­ti­che che voglio­no rom­pe­re con l’euro o che rifiu­ta­no di entra­re nell’area euro sono cre­sciu­te elet­to­ral­men­te in mol­ti Pae­si dell’eurozona. Le ele­zio­ni euro­pee di quest’anno potreb­be­ro vede­re i par­ti­ti euro­scet­ti­ci “popu­li­sti” rag­giun­ge­re il 25% dei voti e man­te­ne­re gli equi­li­bri di pote­re in ​​alcu­ni Sta­ti come Austria, Polo­nia e Ita­lia. Eppu­re, l’euro con­ti­nua ad esse­re soste­nu­to dal­la mag­gio­ran­za. In effet­ti, il soste­gno è miglio­ra­to nei tre­di­ci Sta­ti mem­bri da quan­do si sono uni­ti, con nume­ri posi­ti­vi a due cifre in Austria, Fin­lan­dia, Ger­ma­nia e Por­to­gal­lo. Anche in Ita­lia, che pure ha visto un calo di qua­si 25 pun­ti, cir­ca il 60% degli inter­vi­sta­ti pre­fe­ri­sce anco­ra con­di­vi­de­re la valu­ta con i pro­pri vici­ni. Il 65% dei gre­ci sostie­ne anco­ra l’euro. Ciò sta a signi­fi­ca­re che i lavo­ra­to­ri dell’area euro, anche degli Sta­ti più debo­li, riten­go­no che usci­re dall’Ue sareb­be peg­gio che rima­ner­ci – e pro­ba­bil­men­te han­no ragio­ne[3].
In defi­ni­ti­va, quel­lo del­la soprav­vi­ven­za dell’euro nei pros­si­mi vent’anni è un pro­ble­ma poli­ti­co. Con­ti­nue­ran­no i popo­li dell’Europa meri­dio­na­le a sop­por­ta­re altri anni di auste­ri­tà, crean­do un’intera “gene­ra­zio­ne per­du­ta” di gio­va­ni disoc­cu­pa­ti, come è già suc­ces­so? In real­tà, il futu­ro dell’euro sarà pro­ba­bil­men­te deci­so non dai popu­li­sti negli Sta­ti più debo­li, ma dall’opinione del­la mag­gio­ran­za degli stra­te­ghi del capi­ta­le nel­le eco­no­mie più for­ti. Deci­de­ran­no allo­ra i gover­ni del Nord Euro­pa di abban­do­na­re al loro desti­no Pae­si come l’Italia, la Spa­gna, la Gre­cia, ecc., e for­ma­re un for­te “Euro del Nord” con Ger­ma­nia, Bene­lux e Polo­nia? Esi­ste già in fase di svi­lup­po un’alleanza infor­ma­le del­la “Lega ansea­ti­ca”.
I lea­der dell’Ue e gli stra­te­ghi del capi­ta­le han­no biso­gno che una rapi­da cre­sci­ta eco­no­mi­ca tor­ni pre­sto, o saran­no pro­ba­bi­li ulte­rio­ri esplo­sio­ni poli­ti­che. Ma men­tre entria­mo nel 2019, le eco­no­mie dell’eurozona stan­no ral­len­tan­do (come anche negli Sta­ti Uni­ti e nel Regno Uni­to). Potreb­be non pas­sa­re mol­to tem­po pri­ma che l’economia mon­dia­le cada in un’altra reces­sio­ne. Allo­ra nes­su­no potreb­be scom­met­te­re più sul­la soprav­vi­ven­za dell’euro.

[*] Michael Roberts è un noto eco­no­mi­sta mar­xi­sta bri­tan­ni­co che ha lavo­ra­to per oltre trent’anni come ana­li­sta finan­zia­rio nel­la City lon­di­ne­se. È auto­re, tra gli altri, dei libri The Great Reces­sion: Pro­fit cycles, eco­no­mic cri­sis A Mar­xi­st View e The Long Depres­sion: Mar­xi­sm and the Glo­bal Cri­sis of Capi­ta­li­sm.

 

(Tra­du­zio­ne di Erne­sto Rus­so e Raf­fae­le Rocco)


Note

[1] Cioè, 11.200 miliardi.
[2] In ingle­se, Opti­mal Cur­ren­cy Area (Oca) [Ndt].
[3] Su que­sto pun­to, come abbia­mo spie­ga­to nel­la pre­sen­ta­zio­ne del testo di Michael Roberts, regi­stria­mo una sostan­zia­le dif­fe­ren­za, che rite­nia­mo sia da adde­bi­ta­re all’approccio da eco­no­mi­sta, più che da poli­ti­co, dell’autore. È vero però che la pole­mi­ca di Roberts dev’essere let­ta come tale nei con­fron­ti di chi pro­spet­ta una “pura e sem­pli­ce” usci­ta dal­la mone­ta uni­ca, cioè da un ver­san­te sovra­ni­sta. Rispet­to a una simi­le “solu­zio­ne” non si può dare cer­ta­men­te tor­to all’autore cir­ca le con­se­guen­ze – poten­zial­men­te dram­ma­ti­che – per i lavo­ra­to­ri e in gene­ra­le le clas­si subal­ter­ne, che vedreb­be­ro una per­di­ta sec­ca (che alcu­ni sti­ma­no intor­no al 40%) del pote­re d’acquisto dei pro­pri sala­ri. Come mar­xi­sti rivo­lu­zio­na­ri, inve­ce, la nostra idea è che la rot­tu­ra con l’Ue e l’uscita dall’euro deb­ba­no esse­re accom­pa­gna­te da misu­re anti­ca­pi­ta­li­sti­che come fon­da­men­to di una rivo­lu­zio­ne socia­li­sta che, sia pure da un sin­go­lo Pae­se euro­peo, deve esten­der­si all’intero con­ti­nen­te deli­nean­do la costru­zio­ne di una fede­ra­zio­ne socia­li­sta su sca­la con­ti­nen­ta­le: gli Sta­ti uni­ti socia­li­sti d’Europa. In altri ter­mi­ni, la que­stio­ne del­la rot­tu­ra con l’Ue e l’uscita dall’euro deb­bo­no diret­ta­men­te riman­da­re alla que­stio­ne del pote­re dei lavo­ra­to­ri. Per un uti­le com­pen­dio del­la nostra ana­li­si e del­la nostra pro­po­sta poli­ti­ca, rin­via­mo i let­to­ri all’articolo “L’Europa di Mat­ta­rel­la o un’Europa socia­li­sta?”, pub­bli­ca­to su que­sto sito all’indirizzo https://tinyurl.com/ybzrd2su (Ndr).