Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Politica nazionale

Potere al popolo o potere dei lavoratori?

Potere al popolo o potere dei lavoratori?

Non basta una stel­la ros­sa per fare un pro­gram­ma rivoluzionario


Vale­rio Torre

 

È ormai ini­zia­ta la lun­ga cam­pa­gna elet­to­ra­le che ci accom­pa­gne­rà di qui a mar­zo, quan­do – ormai è cer­to – si tor­ne­rà al voto per il rin­no­vo del par­la­men­to. E sono ini­zia­te anche tut­te le mano­vre, più o meno sot­ter­ra­nee, mes­se in atto dai par­ti­ti del­la bor­ghe­sia, di cen­tro­de­stra o di cen­tro­si­ni­stra, alla ricer­ca del­la coa­li­zio­ne vin­cen­te. Solo il Movi­men­to 5 Stel­le ha con­fer­ma­to la sua ormai nota poli­ti­ca di cor­sa solitaria.
Nel­le ulti­me set­ti­ma­ne, sui media nazio­na­li ha tenu­to ban­co la vicen­da del­la for­ma­zio­ne nata dal­la rot­tu­ra del Par­ti­to Demo­cra­ti­co su impul­so di Ber­sa­ni, D’Alema e altri, fon­da­to­ri di Mdp (Movi­men­to Demo­cra­ti­co e Pro­gres­si­sta). Dall’incontro con Sini­stra Ita­lia­na di Fra­to­ian­ni e Pos­si­bi­le di Civa­ti è così sor­ta la lista Libe­ri e Ugua­li, capi­ta­na­ta del pre­si­den­te del Sena­to, Pie­ro Gras­so: sostan­zial­men­te, un car­roz­zo­ne elet­to­ra­le il cui mal­ce­la­to obiet­ti­vo è favo­ri­re la scon­fit­ta del Pd di Ren­zi, per poi, dopo le ele­zio­ni, fare un accor­do con lo stes­so Pd, ma “de‑renzizzato” (ci si pas­si l’espressione!), per poter dare vita a un nuo­vo Uli­vo, o a qual­co­sa che gli assomigli.
Però alla sini­stra del Pd, fuo­ri dal­la luce dei riflet­to­ri del­la gran­de stam­pa, è nato un altro car­roz­zo­ne elet­to­ra­le: che, a dif­fe­ren­za del pri­mo, non si carat­te­riz­za per la gri­sa­glia mini­ste­ria­le indos­sa­ta dai prin­ci­pa­li espo­nen­ti di Libe­ri e Ugua­li, ben­sì per la fel­pa dei cen­tri socia­li infi­la­ta dai suoi pro­mo­to­ri e da mol­ti dei suoi ade­ren­ti. Si trat­ta di quel­la lista che, dopo due assem­blee nazio­na­li e alcu­ne deci­ne di incon­tri ter­ri­to­ria­li, ha assun­to l’altisonante nome di “Pote­re al popo­lo”, annun­cian­do la sua par­te­ci­pa­zio­ne alle pros­si­me elezioni.
Già abbia­mo accen­na­to di sfug­gi­ta a que­sto pro­ces­so in un paio di arti­co­li su que­sto sito[1]. Voglia­mo ora ana­liz­zar­lo più appro­fon­di­ta­men­te, poi­ché non si trat­ta di un feno­me­no da trat­ta­re con suf­fi­cien­za, dal momen­to che pare aver susci­ta­to l’entusiasmo di parec­chi set­to­ri, sia di movi­men­to che di sini­stra orga­niz­za­ta, e di sin­go­li sfi­du­cia­ti dal­le scon­fit­te di que­sti anni.
Non riper­cor­re­re­mo qui tut­to l’iter che ha por­ta­to alla nasci­ta di que­sta lista (sul web ci sono mol­ti arti­co­li che lo descri­vo­no). Dire­mo solo che essa è nata su impul­so degli atti­vi­sti del cen­tro socia­le napo­le­ta­no “Ex Opg Je so’ paz­zo”, i qua­li, dopo ave­re inva­no ten­ta­to di infi­lar­si nel pro­ces­so di for­ma­zio­ne di un’altra aggre­ga­zio­ne elet­to­ra­le (quel­la del tea­tro Bran­cac­cio, poi fal­li­ta), han­no pro­cla­ma­to, in un video che ha fat­to il giro del­la rete, di non sen­tir­si rap­pre­sen­ta­ti da nes­su­no e che sareb­be­ro sta­ti essi stes­si ad autorappresentarsi.
Det­to fat­to: nel giro di poche ore è sta­ta con­vo­ca­ta l’assemblea nazio­na­le che il 18 novem­bre scor­so ha dato il via a que­sta “avven­tu­ra”. La suc­ces­si­va del 17 dicem­bre ha con­fer­ma­to il progetto.

Quat­tro sfu­ma­tu­re di pro­gram­ma per una uni­tà di facciata
Come ogni for­ma­zio­ne poli­ti­ca o aggre­ga­zio­ne elet­to­ra­le, anche que­sto car­roz­zo­ne – spie­ghe­re­mo più avan­ti per­ché lo rite­nia­mo tale – ha pre­sen­ta­to, dopo il mani­fe­sto (cioè il suo atto di nasci­ta), il pro­gram­ma che ver­rà pro­po­sto agli elet­to­ri. Ma ci pia­ce per il momen­to rife­rir­ci a quest’ultimo testo usan­do la fra­se con cui una tal Vio­la, atti­vi­sta del cen­tro socia­le Je so’ paz­zo, ha con­clu­so l’assemblea del 17 dicem­bre scor­so: «Noi sia­mo qua per strin­ge­re un pat­to con que­ste paro­le: esse­re uni­ti; dar­ci fidu­cia; anda­re avan­ti con deter­mi­na­zio­ne; non ave­re pau­ra. Que­sto è già un pro­gram­ma poli­ti­co».
Come non dar­le ragio­ne? Il pro­gram­ma poli­ti­co di Pote­re al popo­lo è carat­te­riz­za­to e sin­te­tiz­za­to esat­ta­men­te dal­la pochez­za con­cet­tua­le espres­sa da Vio­la ed emer­sa in tut­ta la sua magni­tu­di­ne nel­le deci­ne di inter­ven­ti fat­ti in poco più di tre ore di assem­blea ad ope­ra di vol­ti più o meno noti del­la sini­stra poli­ti­ca e di movimento.
Oltre, infat­ti, agli one­sti rap­pre­sen­tan­ti in buo­na fede di tan­te ver­ten­ze ter­ri­to­ria­li (alcu­ne del­le qua­li anche con valen­za nazio­na­le), che han­no visto in que­sto pro­get­to un modo per usci­re dall’isolamento del­la pro­pria lot­ta e la pos­si­bi­li­tà di ricon­net­ter­la con le tan­te altre lì rap­pre­sen­ta­te, nel­la sala del tea­tro Ambra Jovi­nel­li di Roma c’erano anche mol­ti navi­ga­ti espo­nen­ti di orga­niz­za­zio­ni poli­ti­che che inve­ce vi han­no visto l’occasione per usci­re dal­la loro mar­gi­na­li­tà. Ognu­no di essi por­ta­to­re, con la pro­pria for­ma­zio­ne, di un pro­get­to poli­ti­co diver­so da quel­lo degli altri (e in mol­ti casi asso­lu­ta­men­te con­trap­po­sto); eppu­re, nes­su­no di loro ha avu­to il corag­gio di espor­re una cri­ti­ca, un distin­guo, avan­za­re una ben­ché mini­ma pro­po­sta che potes­se in qual­che modo scal­fi­re l’unanimismo che si respi­ra­va in quell’assemblea. Tut­ti pron­ti a met­te­re da par­te le dif­fe­ren­ze, affo­gan­do­le in quel cal­de­ro­ne pro­gram­ma­ti­co che Vio­la ha sin­te­tiz­za­to con la fra­se sopra ripor­ta­ta, ma che noi voglia­mo ana­liz­za­re più a fon­do per denun­ciar­ne il carat­te­re – al di là dell’altisonante slo­gan che dà il nome alla lista – tutt’altro che rivo­lu­zio­na­rio, ma anzi rifor­mi­sta nel signi­fi­ca­to più dete­rio­re che può dar­si a quest’aggettivo.
Ma qual­cu­no potreb­be dire: «Bene! Si sono mes­se da par­te le dif­fe­ren­ze, e que­sto è un pas­so in avan­ti ver­so l’unità del­la sini­stra».
L’unità del­la sini­stra! Chi non si è mai sen­ti­to oppor­re que­sto “sal­vi­fi­co” con­cet­to rispet­to alla demar­ca­zio­ne poli­ti­ca fra orga­niz­za­zio­ni? L’unità del­la sini­stra! Il ver­bo poli­ti­co di buon sen­so che vie­ne dispen­sa­to a pie­ne mani dai tan­ti che pen­sa­no che “som­ma­to­ria” fac­cia rima con “vit­to­ria” (elet­to­ra­le).
Il fat­to è che le dif­fe­ren­ze pos­so­no esse­re “supe­ra­te” sul­la base del­la con­di­vi­sio­ne di un supe­rio­re pro­gram­ma che – que­sto sì! – fac­cia dav­ve­ro fare un pas­so in avan­ti alle orga­niz­za­zio­ni che su di esso si misu­ra­no; non pos­so­no inve­ce esse­re affo­ga­te in un mine­stro­ne in cui ognu­no met­te, chi pata­te, chi caro­te, chi seda­no. Con la sal­vez­za del­la digni­tà popo­la­re di un piat­to pove­ro, eppu­re nutrien­te e squi­si­to, in poli­ti­ca i mine­stro­ni non han­no mai por­ta­to bene e si sono rive­la­ti pie­tan­ze per­ve­ro indigeste.
E però, dico­no gli entu­sia­sti soste­ni­to­ri del­la pro­po­sta: «Abbia­mo uno slo­gan rivo­lu­zio­na­rio – “Pote­re al popo­lo” – che ci carat­te­riz­za». E, qua­si a vole­re blan­di­re gli scon­ten­ti per la man­can­za nel sim­bo­lo del­la fal­ce e mar­tel­lo (i social forum sono pie­ni di acce­sis­si­mi dibat­ti­ti su quest’argomento!), per con­vin­cer­li aggiun­go­no: «Dai! Ma ci abbia­mo mes­so la stel­la ros­sa!».
Il fat­to è che non basta una stel­la ros­sa, e nep­pu­re una deci­na di fal­ci e mar­tel­li, per ren­de­re rivo­lu­zio­na­rio un pro­gram­ma che tale non è.

“Popo­lo” o clas­se lavoratrice?
Par­tia­mo dal­lo slo­gan che dà il nome alla lista: “Pote­re al popolo”.
Il movi­men­to ope­ra­io ita­lia­no ha conia­to e decli­na­to nei decen­ni pas­sa­ti slo­gan ben più effi­ca­ci, signi­fi­ca­ti­vi e carat­te­riz­zan­ti le lot­te di cui costi­tui­va­no la ban­die­ra. Basti pen­sa­re, ad esem­pio, a «È ora, è ora, pote­re a chi lavo­ra!», oppu­re a «Il pote­re deve esse­re ope­ra­io!».
Come si vede, que­sti slo­gan ricon­net­te­va­no la que­stio­ne del pote­re, non già a un gene­ri­co e inde­ter­mi­na­to “popo­lo” – cate­go­ria sicu­ra­men­te inter­clas­si­sta, alla qua­le pos­so­no appar­te­ne­re tut­ti, com­pre­si la pic­co­la bor­ghe­sia, i bor­ghe­si e i padro­ni – ma ad una clas­se ben spe­ci­fi­ca e indi­vi­dua­ta: la clas­se ope­ra­ia, cioè quel­la costret­ta in un siste­ma capi­ta­li­sti­co a ven­de­re la pro­pria forza‑lavoro, con la qua­le costrui­sce la socie­tà che la oppri­me; e, per ciò stes­so, una clas­se che, resa sem­pre più omo­ge­nea dal­lo svi­lup­po dell’industria capi­ta­li­sta, è ogget­ti­va­men­te rivo­lu­zio­na­ria: per­ché, in ragio­ne del­lo sfrut­ta­men­to attra­ver­so il domi­nio e la coer­ci­zio­ne del capi­ta­le sul lavo­ro, l’antagonismo tra essi è incon­ci­lia­bi­le[2] e non può esse­re eli­mi­na­to attra­ver­so inter­ven­ti redi­stri­bu­ti­vi, ma solo cam­bian­do radi­cal­men­te i rap­por­ti di pro­du­zio­ne[3].
Ecco per­ché lo slo­gan “Pote­re al popo­lo” è uno slo­gan truf­fal­di­no. La sto­ria del­le rivo­lu­zio­ni, sia vit­to­rio­se che scon­fit­te, dimo­stra inap­pel­la­bil­men­te che è la clas­se lavo­ra­tri­ce – e non già “il popo­lo” – a por­si il pro­ble­ma del pote­re e del­la sua con­qui­sta, strap­pan­do­lo a quel­la che lo detie­ne e lo eser­ci­ta: i capitalisti.
In real­tà, que­sto gene­ri­cis­si­mo rife­ri­men­to all’astratta cate­go­ria di “popo­lo” riman­da a uno dei caval­li di bat­ta­glia del­la sini­stra – dicia­mo così – “post‑ideologica”, cioè quel­la che ha mes­so in sof­fit­ta gli inse­gna­men­ti di Marx per rin­cor­re­re teo­rie rite­nu­te più “moder­ne”: i “movi­men­ti”, l’“associazionismo”, il “civi­smo”, la “cit­ta­di­nan­za”, sono con­cet­ti che que­sta sini­stra con­si­de­ra più adat­ti alla com­pren­sio­ne del­la real­tà del XXI seco­lo (ma anche del XX da poco tra­scor­so). Ma l’esercizio di sosti­tui­re la “clas­se” con la “cit­ta­di­nan­za” ha un effet­to para­dos­sa­le: cioè quel­lo di dislo­ca­re chi decli­na quest’ultima cate­go­ria non nel cam­po dell’insieme degli sfrut­ta­ti, ben­sì in quel­lo degli sfruttatori.
Infat­ti, la nozio­ne di “cit­ta­di­nan­za”, che giun­ge fino a noi nel­la sua moder­na veste deri­va­ta dal­la Rivo­lu­zio­ne fran­ce­se del 1789, ha nel suo nucleo cen­tra­le il dirit­to di pro­prie­tà. L’ascendente bor­ghe­sia detro­niz­zò nobil­tà e cle­ro abo­len­do­ne i pri­vi­le­gi, e pose al cen­tro del­la socie­tà che nasce­va da quel­la rivo­lu­zio­ne la cate­go­ria del­la “cit­ta­di­nan­za”, ma recla­mò per sé il mono­po­lio del­la pro­prie­tà dei mez­zi di pro­du­zio­ne. In que­sto sen­so, l’uguaglianza tra gli indi­vi­dui – che costi­tui­va il fon­da­men­to dei dirit­ti civi­li – dove­va inten­der­si solo come “ugua­glian­za formale”.
Fu inve­ce Marx a spo­sta­re l’attenzione dal con­cet­to di “cit­ta­di­no” a quel­lo di “lavo­ra­to­re” come ful­cro di una diver­sa socie­tà, in cui la sfe­ra poli­ti­ca (in cui ope­ra il cit­ta­di­no) non è sepa­ra­ta da quel­la eco­no­mi­ca (in cui il con­flit­to capitale‑lavoro appa­re in tut­ta la sua gran­dez­za). A ben vede­re, è quel­la sepa­ra­tez­za a costi­tui­re la colon­na por­tan­te del­la socie­tà domi­na­ta dal­la clas­se bor­ghe­se, in cui il “cit­ta­di­no” rap­pre­sen­ta una cate­go­ria astrat­ta, sle­ga­ta dai con­flit­ti rea­li del­la socie­tà capi­ta­li­sta e del­la sua sfe­ra più con­cre­ta, quel­la del­la pro­du­zio­ne: il “cit­ta­di­no”, a dif­fe­ren­za del “lavo­ra­to­re”, è un uomo astrat­to, una fin­zio­ne giuridica.
In que­sto sen­so, il filo di con­ti­nui­tà “cittadinanza→movimenti civici→popolo” dà il sen­so dell’operazione che la neo­na­ta lista sta met­ten­do in cam­po. E ciò lo si vede a par­ti­re dal mani­fe­sto, in cui vie­ne sban­die­ra­ta l’immagine di un inde­ter­mi­na­to “popo­lo” che, stan­co di non sen­tir­si rap­pre­sen­ta­to, deci­de di “auto‑rappresentarsi”.

Demo­cra­zia for­ma­le e con­trol­lo popo­la­re: sot­to il vesti­to … il riformismo
Ma l’allegro uti­liz­zo del ter­mi­ne “popo­lo” non è l’unico esem­pio di impie­go truf­fal­di­no dei con­cet­ti per infioc­chet­ta­re un pro­get­to neo­ri­for­mi­sta come quel­lo del­la lista pro­mos­sa da Je so’ paz­zo. Pen­sia­mo al ter­mi­ne “demo­cra­zia” che ricor­re in tut­ti i testi pro­dot­ti da quest’aggregazione e nel­le assem­blee fino­ra tenu­te, e vedia­mo come, anche in que­sto caso, il con­cet­to è sta­to sin­te­tiz­za­to da uno dei pro­ta­go­ni­sti del­la lista.
Sal­va­to­re Prin­zi, det­to “Saso”, è un atti­vi­sta di pri­mo pia­no del cen­tro socia­le Je so’ paz­zo e in un’intervista ha dichia­ra­to: «Sia­mo con­vin­ti che oggi, a livel­lo mon­dia­le, ci sia un gran­de pro­ble­ma di demo­cra­zia. Que­sta paro­la è sta­ta svi­li­ta, ma alla let­te­ra signi­fi­ca “pote­re del popo­lo”, lad­do­ve per popo­lo – demos – i gre­ci non inten­de­va­no il popo­lo dei fasci­smi, ma le clas­si popo­la­ri, gli stra­ti più bas­si del­la cit­tà che dove­va­no poter con­ta­re nel­le deci­sio­ni».
Pec­ca­to che, a dispet­to del­la lau­rea e dei due dot­to­ra­ti van­ta­ti nell’intervista, Prin­zi abbia “dimen­ti­ca­to” di dire che la socie­tà ate­nie­se si fon­da­va non sul­le “clas­si popo­la­ri” e sugli “stra­ti più bas­si del­la cit­tà”, ma su un siste­ma schia­vi­sti­co; e che i cit­ta­di­ni cui era­no rico­no­sciu­ti i dirit­ti poli­ti­ci costi­tui­va­no solo una pic­co­la mino­ran­za[4] degli abi­tan­ti del­la polis (restan­do­ne esclu­si gli schia­vi, così come le don­ne, i non gre­ci e gli appar­te­nen­ti a comu­ni­tà non ate­nie­si, cui era vie­ta­to pos­se­de­re immo­bi­li e spo­sar­si). L’argomento usa­to da Prin­zi è quin­di sug­ge­sti­vo solo per chi non cono­sca la sto­ria, e vero­si­mil­men­te non era il più adat­to per esse­re usa­to a soste­gno dell’idea che è alla base del­la lista di Je so’ paz­zo. Ma tant’è: l’uso spre­giu­di­ca­to dei con­cet­ti non tro­va nes­sun con­tral­ta­re nel vuo­to pneu­ma­ti­co del­la sini­stra riformista.
Pren­dia­mo il caso del “con­trol­lo popo­la­re”, uno dei caval­li di bat­ta­glia del cen­tro socia­le napo­le­ta­no, sban­die­ra­to come pra­ti­ca “rivo­lu­zio­na­ria”: si sostan­zia in denun­ce all’Ispettorato del lavo­ro o in pic­chet­ti fuo­ri dei seg­gi elet­to­ra­li per veri­fi­ca­re che non si crei­no situa­zio­ni di com­pra­ven­di­ta dei voti. Ma sono gli stes­si atti­vi­sti a spie­ga­re che si trat­ta «di pres­sio­ne sul­le isti­tu­zio­ni per con­trol­lar­le e “abbas­sar­le” ai biso­gni del­le per­so­ne (sot­traen­do­le così agli inte­res­si dei capi­ta­li e degli spe­cu­la­to­ri)». In altri ter­mi­ni, par­lia­mo di pra­ti­che di soli­da­rie­tà e mutua­li­smo – che, per cari­tà, sono senz’altro lode­vo­li – ma che si svol­go­no entro i limi­ti del siste­ma capi­ta­li­sta, sen­za met­ter­ne in discus­sio­ne le fondamenta.
E tan­to è vero che è fin trop­po noto il rap­por­to di col­la­bo­ra­zio­ne (con reci­pro­ca sod­di­sfa­zio­ne) tra il cen­tro socia­le e il sin­da­co di Napo­li, quel de Magi­stris salu­ta­to da Je so’ paz­zo come un rivo­lu­zio­na­rio[5], ma che non si fa scru­po­lo di pri­va­tiz­za­re l’azienda pub­bli­ca dei tra­spor­ti. Così come non si pos­so­no dimen­ti­ca­re le fan­fa­re suo­na­te per l’elezione di Tsi­pras, mas­sa­cra­to­re socia­le del­le mas­se popo­la­ri gre­che e il più fede­le ese­cu­to­re degli ordi­ni del­la Troika.

I pro­ta­go­ni­sti e il programma
È chia­ro che così si spie­ga quel pro­gram­ma così vuo­to con cui la lista inten­de pre­sen­tar­si alle ele­zio­ni. E si spie­ga per due ordi­ni di ragio­ni: sia, cioè, per quel­lo che è l’ex Opg Je so’ paz­zo (così come lo abbia­mo sin­te­ti­ca­men­te deli­nea­to), sia per­ché solo un pro­gram­ma così con­ce­pi­to, infar­ci­to di con­cet­ti gene­ri­ci, pote­va tene­re insie­me tut­te le più diver­se real­tà di par­ti­to e di movi­men­to che han­no par­te­ci­pa­to alle assemblee.
La lista che da que­ste è nata, infat­ti, rag­grup­pa tut­to e il suo con­tra­rio: dagli stalino‑sovranisti del­la piat­ta­for­ma Euro­stop, fau­tri­ce dell’uscita dall’Ue e dall’euro, a Rifon­da­zio­ne comu­ni­sta, alfie­re inve­ce dell’Europa e dell’euro; dal Pci, ido­la­tra del regi­me dit­ta­to­ria­le corea­no di Kim Jong‑un, a Sini­stra anti­ca­pi­ta­li­sta, che riven­di­ca la sua discen­den­za dall’albero genea­lo­gi­co tro­tski­sta. Ecco per­ché, come abbia­mo det­to, si trat­ta di un car­roz­zo­ne: ver­ni­cia­to, a dif­fe­ren­za del­la lista di Pie­ro Gras­so, di rosso.
Ana­liz­ze­re­mo sin­te­ti­ca­men­te il pro­gram­ma di Pote­re al popolo.

  • Il suo asse cen­tra­le è basa­to sul­la «dife­sa e rilan­cio del­la Costi­tu­zio­ne nata dal­la Resi­sten­za». Non ripe­te­re­mo quan­to effi­ca­ce­men­te ripre­so da altri, e cioè che per­si­no un costi­tu­zio­na­li­sta libe­ra­le come Pie­ro Cala­man­drei ebbe a sot­to­li­nea­re come la Costi­tu­zio­ne del 1948 sia sta­ta una con­ces­sio­ne del­la bor­ghe­sia alle for­ze di sini­stra: “una rivo­lu­zio­ne pro­mes­sa in cam­bio di una rivo­lu­zio­ne man­ca­ta”[6]. Dire­mo, inve­ce, che, a leg­ger­la atten­ta­men­te, non sfug­gi­rà che gli alti­so­nan­ti prin­ci­pi di ugua­glian­za, di liber­tà e di demo­cra­zia rap­pre­sen­ta­no solo un guscio vuo­to rispet­to al nucleo duro del­la dife­sa del prin­ci­pio del­la pro­prie­tà pri­va­ta e del­la liber­tà di ini­zia­ti­va eco­no­mi­ca: cioè di quel prin­ci­pio che costi­tui­sce l’anima di un regi­me capitalistico.
    Fa capo­li­no qui, nell’affermazione pro­gram­ma­ti­ca di Pote­re al popo­lo, die­tro la reto­ri­ca del­la dife­sa del­la “giu­sti­zia socia­le”, del­la “liber­tà” e del­la “demo­cra­zia”, la rea­le e con­cre­ta dife­sa degli stru­men­ti del­la clas­se dominante.
    Un’esagerazione, la nostra? Baste­rà, a dimo­stra­re il con­tra­rio, leg­ge­re il Pre­am­bo­lo del­la Costi­tu­zio­ne por­to­ghe­se, quel­la nata dal­la rivo­lu­zio­ne dei Garo­fa­ni: «L’Assemblea costi­tuen­te pro­cla­ma la deci­sio­ne del popo­lo por­to­ghe­se di […] apri­re la stra­da ver­so una socie­tà socia­li­sta». Cioè, l’obiettivo del­la Car­ta costi­tu­zio­na­le del Por­to­gal­lo sareb­be nien­te­me­no di mar­cia­re ver­so una socie­tà socia­li­sta! E allo­ra, se quel­la ita­lia­na è con­si­de­ra­ta “la Costi­tu­zio­ne più bel­la del mon­do”, quel­la del Pae­se lusi­ta­no dovreb­be esse­re rite­nu­ta addi­rit­tu­ra stu­pen­da! Eppu­re, com’è evi­den­te, sia l’Italia che il Por­to­gal­lo sono due Pae­si a regi­me capi­ta­li­sti­co, in cui le mas­se lavo­ra­tri­ci sono par­ti­co­lar­men­te oppres­se da chi pos­sie­de le leve del siste­ma borghese.
    Insom­ma, è chia­ro che fare di una Costi­tu­zio­ne bor­ghe­se un fetic­cio non può cer­to costi­tui­re il cen­tro di un pro­gram­ma anticapitalista.
  • Un altro “capo­sal­do” del pro­gram­ma elet­to­ra­le di Pote­re al popo­lo è quel­lo sull’Ue. Si pro­cla­ma solen­ne­men­te di voler «rom­pe­re l’Unione Euro­pea dei trat­ta­ti». Il fat­to è che a ren­de­re l’Ue “brut­ta, spor­ca e cat­ti­va” non sono i “trat­ta­ti”, ben­sì è il fat­to stes­so del­la sua nasci­ta e del­la sua attua­le esi­sten­za. Si ripro­po­ne, cioè, l’illusorietà di un pre­sun­to dua­li­smo tra un’Europa cat­ti­va (quel­la dei ban­chie­ri, del­la Mer­kel e di Schäu­ble) e una buo­na (quel­la vagheg­gia­ta da Altie­ro Spi­nel­li nel Mani­fe­sto di Ven­to­te­ne[7]) sna­tu­ra­ta oggi dal­la per­fi­da finan­za e, appun­to, dai “trat­ta­ti” che ne impor­reb­be­ro i prin­ci­pi; facen­do fin­ta d’ignorare che l’attuale Ue nasce inve­ce da un accor­do fra i Pae­si impe­ria­li­sti dell’Europa occi­den­ta­le per com­pe­te­re per il domi­nio dei mer­ca­ti mon­dia­li con i bloc­chi impe­ria­li­sti con­cor­ren­ti, Sta­ti Uni­ti e Giap­po­ne. La ragio­ne di quest’intesa, cioè, sin dal pri­mo momen­to sta­va – come oggi sta – nel­la con­sa­pe­vo­lez­za del­le bor­ghe­sie con­ti­nen­ta­li di non esse­re in gra­do di dispu­ta­re i mer­ca­ti mon­dia­li iso­la­te nei con­fi­ni dei pro­pri Sta­ti sen­za crea­re un com­pe­ti­to­re mul­ti­na­zio­na­le degli impe­ria­li­smi sta­tu­ni­ten­se e giap­po­ne­se cui con­ten­de­re il mer­ca­to globale.
    D’altro can­to, il pro­gram­ma di Pote­re al popo­lo è addi­rit­tu­ra reti­cen­te su come si inten­de­reb­be per­se­gui­re que­sta “rot­tu­ra”. Ale­xis Tsi­pras[8], ben­ché con un pro­gram­ma rifor­mi­sta, fece veni­re i sudo­ri fred­di alla Troi­ka (che rea­gì sca­te­nan­do sui lavo­ra­to­ri gre­ci tut­ta la pro­pria poten­za di fuo­co) pro­prio per­ché for­te del gover­no di un Pae­se e dell’oceanico risul­ta­to di un refe­ren­dum: ma la scon­fit­ta di Tsi­pras (anzi, quel­la del­le mas­se lavo­ra­tri­ci gre­che) fu decre­ta­ta, appun­to, esat­ta­men­te dal carat­te­re rifor­mi­sta fin nel midol­lo del­la sua poli­ti­ca, seb­be­ne fon­da­ta su una mag­gio­ran­za popo­la­re. Se il model­lo, com’è evi­den­te, è que­sto, non è che per la lista Pote­re al popo­lo il fina­le è già scrit­to: non c’è pro­prio una sto­ria da raccontare!
    Solo per inci­so, voglia­mo far nota­re che non una sola paro­la è det­ta sull’euro. For­se, pro­prio per­ché – come abbia­mo già segna­la­to – con­vi­vo­no in Pote­re al popo­lo istan­ze euro­pei­ste (Rifon­da­zio­ne, ad esem­pio) e altre che voglio­no “usci­re dal­la gab­bia dell’euro” (Piat­ta­for­ma Euro­stop), e non era il caso di crea­re attri­ti … Meglio tace­re. Maga­ri, a sca­pi­to del­la chia­rez­za programmatica!
  • Il capi­to­lo “Pace e disar­mo” del pro­gram­ma ren­de mani­fe­sta tut­ta l’accettazione, da par­te di que­sta lista, dei limi­ti del siste­ma di domi­na­zio­ne capi­ta­li­sta. Si uti­liz­za a pie­ne mani tut­ta la reto­ri­ca sul­la Nato, sul disar­mo nuclea­re, sul­le mis­sio­ni mili­ta­ri all’estero, ma non vie­ne nean­che di sfug­gi­ta toc­ca­to il pun­to fon­da­men­ta­le che riguar­da i cor­pi repres­si­vi del­lo Sta­to (poli­zia, cara­bi­nie­ri, finan­za), e cioè la colon­na por­tan­te di uno Sta­to capi­ta­li­sta che ne fa i difen­so­ri dell’ordine bor­ghe­se. C’è biso­gno di ricor­da­re che Engels (e Lenin dopo di lui) defi­ni­va lo Sta­to capi­ta­li­sta come for­ma­to da distac­ca­men­ti di uomi­ni arma­ti, pri­gio­ni, isti­tu­ti di pena?
    Cer­to, atten­der­si da un pro­gram­ma come quel­lo che stia­mo qui cri­ti­can­do «l’armamento gene­ra­le del popo­lo e la sua istru­zio­ne gene­ra­le sull’uso del­le armi»[9] era for­se troppo!
  • Il capi­to­lo “Eco­no­mia, finan­za, redi­stri­bu­zio­ne del­la ric­chez­za” rap­pre­sen­ta un con­cen­tra­to del­le pul­sio­ni neo­ri­for­mi­ste di Pote­re al popolo.
    Già in linea di approc­cio gene­ra­le può affer­mar­si che elu­den­do il tema di un’economia nazio­na­liz­za­ta e sot­to il con­trol­lo dei lavo­ra­to­ri non è pos­si­bi­le mini­ma­men­te scal­fi­re il domi­nio di un siste­ma capi­ta­li­sti­co sul­la clas­se lavo­ra­tri­ce. Ecco per­ché le pro­po­ste di “un’imposta sui gran­di patri­mo­ni” e “il ripri­sti­no del­la pro­gres­si­vi­tà del siste­ma fisca­le” rap­pre­sen­ta­no, nei limi­ti in cui ven­go­no pre­sen­ta­te, solo dei pan­ni­cel­li cal­di. Già Marx[10] scri­ve­va: «Nes­su­na modi­fi­ca del­la for­ma di impo­si­zio­ne può pro­dur­re un qual­che impor­tan­te cam­bia­men­to nel­le rela­zio­ni tra lavo­ro e capi­ta­le. Cio­no­no­stan­te, doven­do sce­glie­re tra due siste­mi di impo­si­zio­ne, rac­co­man­dia­mo la tota­le abo­li­zio­ne del­le impo­ste indi­ret­te, e la loro sosti­tu­zio­ne gene­ra­le con le impo­ste diret­te». E «se i demo­cra­ti­ci pro­por­ran­no l’imposta pro­por­zio­na­le, i lavo­ra­to­ri dovran­no chie­de­re un’imposta pro­gres­si­va; se i demo­cra­ti­ci pro­por­ran­no essi stes­si una impo­sta pro­gres­si­va mode­ra­ta, i lavo­ra­to­ri insi­ste­ran­no per una impo­sta così rapi­da­men­te pro­gres­si­va, che il gran­de capi­ta­le ne sia rovi­na­to»[11]: ma tut­to que­sto, natu­ral­men­te, Marx lo pro­cla­ma­va nel qua­dro di un più com­ples­si­vo pro­gram­ma di radi­ca­le e rivo­lu­zio­na­rio muta­men­to dell’assetto socia­le, come non è cer­ta­men­te quel­lo di Pote­re al popolo.
    Si insi­ste, inol­tre, sul fal­la­ce con­cet­to di “redi­stri­bu­zio­ne del­la ric­chez­za”. Fal­la­ce, per­ché fa sal­vo il siste­ma capi­ta­li­sti­co. Non a caso, Marx scri­ve­va che è «soprat­tut­to sba­glia­to fare del­la cosid­det­ta ripar­ti­zio­ne l’essenziale e por­re su di essa l’accento prin­ci­pa­le. La ripar­ti­zio­ne dei mez­zi di con­su­mo è in ogni caso sol­tan­to con­se­guen­za del­la ripar­ti­zio­ne dei mez­zi di pro­du­zio­ne. Ma quest’ultima ripar­ti­zio­ne è un carat­te­re del modo stes­so di pro­du­zio­ne. Il modo di pro­du­zio­ne capi­ta­li­sti­co, per esem­pio, pog­gia sul fat­to che le con­di­zio­ni mate­ria­li del­la pro­du­zio­ne sono a dispo­si­zio­ne dei non ope­rai sot­to for­ma di pro­prie­tà del capi­ta­le e pro­prie­tà del­la ter­ra, men­tre la mas­sa è sol­tan­to pro­prie­ta­ria del­la con­di­zio­ne per­so­na­le del­la pro­du­zio­ne, del­la forza‑lavoro. Essen­do gli ele­men­ti del­la pro­du­zio­ne così ripar­ti­ti, ne deri­va da sé l’odierna ripar­ti­zio­ne dei mez­zi di con­su­mo. Se i mez­zi di pro­du­zio­ne mate­ria­li sono pro­prie­tà col­let­ti­va degli ope­rai, ne deri­va ugual­men­te una ripar­ti­zio­ne dei mez­zi di con­su­mo diver­sa dall’attuale. Il socia­li­smo vol­ga­re (e, per suo tra­mi­te, una par­te del­la demo­cra­zia), ha pre­so dagli eco­no­mi­sti bor­ghe­si l’abitudine di con­si­de­ra­re e trat­ta­re la distri­bu­zio­ne come indi­pen­den­te dal modo di pro­du­zio­ne, e per­ciò di rap­pre­sen­ta­re il socia­li­smo come qual­co­sa che si aggi­ri prin­ci­pal­men­te attor­no alla distri­bu­zio­ne»[12].
    Si pun­ta a «una lot­ta seria alla gran­de eva­sio­ne ed elu­sio­ne fisca­le» e alla «fine dei tra­sfe­ri­men­ti a piog­gia alle impre­se», con ciò lascian­do­si inten­de­re la volon­tà di lascia­re inal­te­ra­to il qua­dro dei rap­por­ti di pro­du­zio­ne, cioè nel­le mani dei capi­ta­li­sti le leve dell’economia: pro­po­si­to, que­sto, con­fer­ma­to e raf­for­za­to dall’obiettivo del­la «fis­sa­zio­ne di un tet­to per gli sti­pen­di e le liqui­da­zio­ni dei gran­di mana­ger». Resti dun­que la Fiat nel­le mani del­la fami­glia Agnel­li … pur­ché Mar­chion­ne rice­va uno sti­pen­dio non scandaloso!
    Non si capi­sce, inol­tre, cosa si inten­da per «nazio­na­liz­za­zio­ne del­la Ban­ca d’Italia», che, nell’ordinamento giu­ri­di­co, è già un’istituzione di dirit­to pub­bli­co; né cosa voglia dire «ripub­bli­ciz­za­zio­ne del­le prin­ci­pa­li ban­che». Se ci si rife­ri­sce a quel­le di cui lo Sta­to dete­ne­va quo­te di mag­gio­ran­za poi dismes­se, un serio pro­gram­ma anti­ca­pi­ta­li­sta dovreb­be riven­di­car­ne l’espropriazione dal­le mani dei pri­va­ti che oggi ne sono pro­prie­ta­ri, sen­za inden­niz­zo e sot­to il con­trol­lo dei lavo­ra­to­ri. Ma que­sta misu­ra dovreb­be vale­re, però, per tut­te le ban­che, per­ché è l’intero siste­ma del cre­di­to e del con­trol­lo dei flus­si di capi­ta­le a dover pas­sa­re in mano pub­bli­ca, con la crea­zio­ne di un’unica ban­ca nazio­na­le, se si vuo­le per­se­gui­re l’obiettivo di una socie­tà non capi­ta­li­sta. Tut­ta­via, quest’obiettivo non rien­tra affat­to nel­le cor­de di Pote­re al popo­lo se è vero che si vuo­le inve­ce ripri­sti­na­re la «sepa­ra­zio­ne tra ban­che di rispar­mio e di affa­ri», e cioè lascia­re che cre­di­to e rispar­mio ven­ga­no gesti­ti da isti­tu­ti privati.
    La “vet­ta” più alta del pro­gram­ma è però rag­giun­ta con la riven­di­ca­zio­ne iper‑riformista del­la «isti­tu­zio­ne di una com­mis­sio­ne per l’audit sul debi­to pub­bli­co, in fun­zio­ne del­la sua rine­go­zia­zio­ne e ristrut­tu­ra­zio­ne […] e per una con­fe­ren­za inter­na­zio­na­le sul debi­to». Solo di pas­sa­ta ci pia­ce ricor­da­re che sia quel­lo dell’audit che quel­lo del­la con­fe­ren­za inter­na­zio­na­le sul debi­to era­no obiet­ti­vi del pro­gram­ma di Tsi­pras … che infat­ti ha poi, da un lato, sop­pres­so la com­mis­sio­ne che inda­ga­va sul debi­to, e, dall’altro, sta con­ti­nuan­do a paga­re quest’ultimo reli­gio­sa­men­te, fino all’ultimo centesimo.
    Non rien­tra fra gli obiet­ti­vi di que­sto testo affron­ta­re il tema del­la natu­ra e del­la com­po­si­zio­ne del debi­to pub­bli­co. Rin­via­mo per­ciò a quan­to Marx già scri­ve­va al riguar­do nel Libro I de Il capi­ta­le e ne Le lot­te di clas­se in Fran­cia dal 1848 al 1850. Ma pos­sia­mo subi­to dire che, in quan­to prin­ci­pa­le stru­men­to di sot­to­mis­sio­ne del­la clas­se lavo­ra­tri­ce (sul­le cui spal­le rica­de il paga­men­to), il debi­to pub­bli­co è di per sé ille­git­ti­mo, e non c’è biso­gno di isti­tui­re alcu­na com­mis­sio­ne per sta­bi­li­re che solo i tito­li dete­nu­ti dai pic­co­li rispar­mia­to­ri van­no ono­ra­ti, men­tre la rima­nen­te par­te va ripu­dia­ta sic et sim­pli­ci­ter nel qua­dro dell’assunzione del con­trol­lo pub­bli­co e sot­to con­trol­lo dei lavo­ra­to­ri del siste­ma finan­zia­rio e del cre­di­to. Quan­do si pro­po­ne inve­ce la rine­go­zia­zio­ne e la ristrut­tu­ra­zio­ne del debi­to, cioè la modi­fi­ca del­le con­di­zio­ni dei pre­sti­ti, ad esem­pio allun­gan­do­ne la dura­ta e/o abbas­san­do­ne i tas­si, si com­pie in real­tà un inter­ven­to di puro maquil­la­ge con il qua­le, con­ti­nuan­do a paga­re reli­gio­sa­men­te (sia pure a diver­se con­di­zio­ni) il debi­to, ven­go­no con­ser­va­te e sal­va­guar­da­te le con­di­zio­ni per la spo­lia­zio­ne del­le mas­se popo­la­ri da par­te del capi­ta­li­smo imperialista.
  • Nel capi­to­lo “lavo­ro” sono con­te­nu­te in sequen­za tan­te riven­di­ca­zio­ni, anche giu­ste, cor­ret­te, asso­lu­ta­men­te con­di­vi­si­bi­li. Ma, per non ripe­te­re le cri­ti­che mos­se più sopra, come è pos­si­bi­le por­le e cer­ca­re di per­se­guir­le sen­za voler rimet­te­re in discus­sio­ne le fon­da­men­ta stes­se del siste­ma capi­ta­li­sti­co, che, come abbia­mo visto, l’intero pro­gram­ma di Pote­re al popo­lo lascia intat­te? E la pro­va di que­sta mal­ce­la­ta inten­zio­ne sta in ciò: che a fian­co di quel­la serie di con­di­vi­si­bi­li riven­di­ca­zio­ni man­ca la prin­ci­pa­le, quel­la dav­ve­ro in gra­do di met­te­re in que­stio­ne la base fon­dan­te del­lo sfrut­ta­men­to da par­te del siste­ma capi­ta­li­sti­co. E cioè la ridu­zio­ne dell’orario di lavo­ro a pari­tà di sala­rio, la sca­la mobi­le del­le ore di lavoro.

Per una Sini­stra rivoluzionaria
Potrem­mo con­ti­nua­re sot­to­po­nen­do a seve­ra cri­ti­ca tan­ti altri aspet­ti e pun­ti del pro­gram­ma di que­sta lista elet­to­ra­le[13], ma cre­dia­mo di ave­re dimo­stra­to a suf­fi­cien­za la natu­ra rifor­mi­sta, sia di quel testo che dell’organizzazione che lo pro­po­ne. Si trat­ta, nel qua­dro del­le tan­te scon­fit­te subi­te negli scor­si decen­ni dal movi­men­to ope­ra­io, dell’ennesima ripro­po­si­zio­ne di una fal­li­men­ta­re ricet­ta che, se pure riscuo­te­rà un cer­to con­sen­so elet­to­ra­le, rap­pre­sen­ta già oggi un ele­men­to di ulte­rio­re arre­tra­men­to del­la coscien­za del­le mas­se lavoratrici.
Come Col­let­ti­vo “Assal­to al cie­lo”, met­ten­do da par­te le dif­fe­ren­ze che pure esi­sto­no ver­so le due orga­niz­za­zio­ni che l’hanno pro­mos­sa, abbia­mo pre­an­nun­cia­to il nostro mode­sto soste­gno alla lista elet­to­ra­le “Per una Sini­stra rivo­lu­zio­na­ria”, pur con­sa­pe­vo­li del­le dif­fi­col­tà che que­sta lista incon­tre­rà sul pro­prio cam­mi­no e degli stes­si ine­vi­ta­bi­li limi­ti del­la pro­po­sta che vie­ne lan­cia­ta. Eppu­re, si trat­ta a nostro avvi­so dell’unica pro­po­sta in gra­do di offri­re un’alternativa a chi a sini­stra non vuo­le ras­se­gnar­si alla sof­fer­ta, pena­liz­zan­te e non con­vin­ta alter­na­ti­va tra lo sce­glie­re alle pros­si­me ele­zio­ni una pas­si­va asten­sio­ne e l’affidarsi all’ennesima fal­li­men­ta­re ripro­po­si­zio­ne di un pro­get­to neoriformista.
Ci pia­ce, inol­tre, sot­to­li­nea­re l’aspetto – tutt’altro che secon­da­rio – di una pos­si­bi­le ed embrio­na­le ricom­po­si­zio­ne sul ter­re­no di clas­se, sia pure par­ten­do da uno sce­na­rio elet­to­ra­le, di pic­co­le orga­niz­za­zio­ni che si muo­vo­no, ben­ché con le tan­te dif­fe­ren­ze tra loro, nell’ambito del mar­xi­smo rivo­lu­zio­na­rio. Già que­sto ci sem­bra un pic­co­lo, ma pre­zio­so risul­ta­to, con­si­de­ran­do la gelo­sa auto­con­ser­va­zio­ne iden­ti­ta­ria che tut­te le orga­niz­za­zio­ni del­la sini­stra extra­par­la­men­ta­re ita­lia­na han­no decli­na­to da decen­ni, così con­tri­buen­do alla fran­tu­ma­zio­ne di un cam­po por­ta­to­re di istan­ze di radi­ca­le cam­bia­men­to del­la socie­tà italiana.
Ovvia­men­te, non dovran­no esse­re impro­ba­bi­li aspet­ta­ti­ve elet­to­ra­li a gui­da­re i soste­ni­to­ri di que­sto pro­get­to, ma la con­sa­pe­vo­lez­za di avan­za­re final­men­te – e, sia pure limi­ta­ta­men­te, in modo uni­ta­rio – una pro­po­sta anti­ca­pi­ta­li­sta, clas­si­sta e inter­na­zio­na­li­sta da cui ini­zia­re, par­ten­do da que­sto impe­gno e dal­la con­te­stua­le pre­sen­za nel­le lot­te, una dif­fi­ci­le e pur neces­sa­ria ope­ra di costru­zio­ne di una for­za rivo­lu­zio­na­ria con influen­za di mas­sa che ad oggi man­ca nel nostro Paese.


Note

[1]A pro­po­si­to del pro­get­to elet­to­ra­le di Je so’ paz­zo: ‘Distri­bu­zio­ne del­la ric­chez­za’ e il socia­li­smo vol­ga­re”; e poi “Per una sini­stra rivo­lu­zio­na­ria”.
[2] La rela­zio­ne di domi­nio del capi­ta­le sul lavo­ro rac­chiu­de in sé la poten­zia­li­tà laten­te del­la lot­ta del­la clas­se ope­ra­ia con­tro quel­la che la sfrut­ta, sia in ter­mi­ni di mera resi­sten­za che di lot­ta aperta.
[3] Abbia­mo qui sin­te­tiz­za­to in pochis­si­me paro­le il nucleo del­la teo­ria del valo­re e del plu­sva­lo­re di Marx. Si trat­ta di que­stio­ne che non può asso­lu­ta­men­te esse­re svi­lup­pa­ta in que­sto testo e che da mol­ti anni subi­sce un vio­len­to attac­co ad ope­ra di cor­ren­ti che riten­go­no che la clas­se ope­ra­ia sia in via di estin­zio­ne, se non già spa­ri­ta. Ovvia­men­te, l’attacco è por­ta­to non tan­to alla clas­se ope­ra­ia, quan­to a Marx!
[4] Le sti­me par­la­no di cir­ca 30/50.000 su una popo­la­zio­ne di cir­ca 300.000 persone.
[5] Come abbia­mo visto nel link pre­ce­den­te. Ma gio­va anche ricor­da­re che all’assemblea nazio­na­le del 17 dicem­bre un espo­nen­te dell’associazione di de Magi­stris ha por­ta­to «il salu­to, l’ammirazione e gli augu­ri» del sin­da­co, men­tre la posi­zio­ne uffi­cia­le di Je so’ paz­zo è che quel­la napo­le­ta­na «è un’Amministrazione con cui ritro­via­mo alcu­ni pun­ti comu­ni sui temi poli­ti­ci gene­ra­li» (https://tinyurl.com/yaqajbed). Pro­prio così! La coin­ci­den­za non è su alcu­ni pun­ti secon­da­ri, ma pro­prio su temi poli­ti­ci gene­ra­li!
[6] P. Cala­man­drei, La Costi­tu­zio­ne, in AA.VV., Die­ci anni dopo. 1945–1955, pp. 212- 215. È noto, infat­ti, che i par­ti­gia­ni comu­ni­sti che ave­va­no fat­to quel­la Resi­sten­za avreb­be­ro volu­to fare tra­scre­sce­re la lot­ta di libe­ra­zio­ne in rivo­lu­zio­ne socia­li­sta, ma Togliat­ti e Sta­lin in ottem­pe­ran­za del Trat­ta­to di Yal­ta deci­se­ro che occor­re­va inve­ce rico­strui­re una demo­cra­zia bor­ghe­se: ecco spie­ga­ta la fra­se di Calamandrei.
[7] E ricon­fer­ma­ta dal pro­gram­ma di Pote­re al popo­lo: «Costrui­re un’altra Euro­pa fon­da­ta sul­la soli­da­rie­tà tra lavo­ra­tri­ci e lavo­ra­to­ri, sui dirit­ti socia­li, che pro­muo­va pace e poli­ti­che con­di­vi­se con i popo­li del­la spon­da sud del Medi­ter­ra­neo».
[8] Come abbia­mo già visto, uno degli “eroi” e figu­ra di rife­ri­men­to del cen­tro socia­le Je so’ paz­zo, che ancor oggi tace sul suo ruo­lo di agen­te diret­to del­la Troi­ka in Gre­cia e lo dipin­ge, inve­ce, come la pove­ra vit­ti­ma del “pote­re economico”.
[9] K. Marx, Istru­zio­ni per i dele­ga­ti del Con­si­glio Cen­tra­le Prov­vi­so­rio dell’A.I.L.
[10] V. nota precedente.
[11] K. Marx, F. Engels, Indi­riz­zo del Comi­ta­to cen­tra­le alla Lega comu­ni­sta del mar­zo 1850.
[12] K. Marx, Cri­ti­ca del Pro­gram­ma di Gotha.
[13] Ad esem­pio, nel capi­to­lo sul­la pre­vi­den­za si riven­di­ca l’abolizione del­la rifor­ma For­ne­ro, ma dimen­ti­can­do che le con­tro­ri­for­me in mate­ria pen­sio­ni­sti­ca rimon­ta­no alla rifor­ma Dini del 1995. Il capi­to­lo sul­la sani­tà bril­la per l’assenza del­la riven­di­ca­zio­ne dell’espropriazione sen­za inden­niz­zo e sot­to il con­trol­lo dei lavo­ra­to­ri del­le indu­strie far­ma­ceu­ti­che, la crea­zio­ne di un’industria nazio­na­le del far­ma­co e la pro­du­zio­ne e distri­bu­zio­ne su tut­to il ter­ri­to­rio nazio­na­le quan­to­me­no dei far­ma­ci essen­zia­li e sal­va­vi­ta, pre­via abo­li­zio­ne del segre­to indu­stria­le. In tut­to il pro­gram­ma man­ca una sola paro­la in mate­ria di lai­ci­tà del­lo Sta­to e di rap­por­ti Stato‑Chiesa, ad esem­pio riven­di­can­do l’abolizione di ogni testo con­cor­da­ta­rio e il divie­to dell’esistenza di ogni scuo­la di tipo con­fes­sio­na­le con la nazio­na­liz­za­zio­ne degli isti­tu­ti di cura di pro­prie­tà e gesti­ti dal Vati­ca­no. Né c’è il ben­ché mini­mo rife­ri­men­to al rial­za­re la testa del­le orga­niz­za­zio­ni fasci­ste e alla con­se­guen­te neces­si­tà di orga­niz­za­re squa­dre arma­te di vigi­lan­za e auto­di­fe­sa dei lavo­ra­to­ri e degli immi­gra­ti, sem­pre più obiet­ti­vo del­le vio­len­ze del­la rina­scen­te reazione.