Bolsonaro: l’incubo
Elezioni in Brasile: dal #EleNão al #NósSim
Redazione
Il risultato del primo turno delle elezioni presidenziali in Brasile ha confermato non solo la forte polarizzazione elettorale fra blocchi borghesi, ma soprattutto la svolta di massa a destra che, una volta esauritasi la spinta propulsiva delle giornate di giugno del 2013, si è andata via via affermando nel Paese[1].
Parliamo di “polarizzazione elettorale”, perché non è possibile parlare invece di “polarizzazione sociale”. Quest’ultima si verifica quando le due classi fondamentali della società – capitalisti e lavoratori – si fronteggiano in uno scontro dall’esito indefinito, che dà luogo a un equilibrio instabile in cui l’una e l’altra classe non riescono ad imporre la propria agenda. Non è questo certamente il caso del Brasile, considerando le analisi che sono state pubblicate su questo sito, e in particolare quella richiamata nella nota 1: analisi che dimostrano come la borghesia si trovi al momento in piena offensiva, mentre la classe lavoratrice è arrivata alle elezioni sulla difensiva, confusa, priva di una direzione autorevole, incerta sul da farsi.
Il grandioso e promettente processo del giugno 2013 è stato sconfitto dalla potente reazione del capitale, che si è imposto nella società mutandone il clima. Sintetizziamo come ciò sia stato possibile.
Profittando delle politiche antioperaie e antipopolari del Pt di Lula e Dilma Rousseff, della ragnatela di corruttele che aveva avviluppato tutte le istituzioni politiche e i partiti sia di governo che di opposizione, delle aspirazioni al cambiamento che emergevano dalle viscere del Paese esprimendosi nelle manifestazioni di piazza, la borghesia trovò il modo di depotenziare, controllare e infine far defluire il movimento di massa. Imponendo la parola d’ordine della “lotta alla corruzione”, cambiò il segno delle proteste, che interiorizzarono la narrativa per cui “tutti i partiti sono corrotti” e “tutta la politica è corrotta”, fino ad esprimere il rifiuto di tutti i politici in una chiave nazionalista e reazionaria: «Abbasso i politici!», «Abbasso i partiti!», «Il mio partito è il Brasile!».
Dopo oltre un decennio nel quale avevano affidato al Pt la gestione del Paese perché lo governasse nel loro interesse, le classi dominanti avevano deciso di riprendere nelle proprie mani la direzione del Brasile, ritenendo l’amministrazione di Dilma non all’altezza di dare una risposta alla crisi economica. Attraverso lo schema del golpe parlamentare e giudiziario si liberarono della presidente con l’impeachment, e dell’ingombrante e minacciosa presenza di Lula arrestandolo e privandolo dei diritti di elettorato passivo.
Ma il nuovo esecutivo, passato nelle mani di un loro diretto rappresentante, il vice presidente Michel Temer, si è mostrato del tutto inadeguato, tanto che il suo è risultato il governo più screditato della storia del Brasile. E così, la borghesia è arrivata alla vigilia delle elezioni senza riuscire ad esprimere un candidato autorevole che potesse chiudere il cerchio del marchingegno messo in campo per riprendersi il Paese.
Chi è Bolsonaro
Però il veleno della reazionaria ideologia antipartito sparso a piene mani, sebbene fosse riuscito a disarticolare politicamente le manifestazioni di giugno del 2013, si era ormai infiltrato in profondità nella società brasiliana facendo maturare, in una sorta di eterogenesi dei fini, non solo un generalizzato sentimento “antipetista”[2], ma anche, attraverso il ripudio persino dei partiti che erano stati all’opposizione del lulismo, un profondo rifiuto di tutte le istituzioni. Insomma, ciò che si era prodotto è stata l’implosione dell’intero sistema fondato sulla Costituzione del 1988.
In politica – è noto – il vuoto deve essere riempito. E in questo vuoto si è improvvisamente materializzato Jair Messias Bolsonaro, fino ad allora anonimo parlamentare dal 1991. Politico di estrema destra, reazionario, ex militare, esponente del reazionarismo religioso nazionalista e in particolare delle chiese neopentecostali, misogino, omofobo e sessista, dalle dichiarate simpatie per il periodo della dittatura militare, sostenitore della tortura, ammiratore di Pinochet e di Fujimori, interprete dei desiderata dei grandi latifondisti e dei signori dell’agrobusiness, Bolsonaro si è reso interprete di quel sentimento di ripudio delle istituzioni. Nella sua proposta politica non c’è spazio per programmi economici (benché il Brasile stia attraversando una fase pericolosamente recessiva), per piani del lavoro (benché le statistiche parlino di una popolazione, fra disoccupati e sottoccupati, di trenta milioni di persone), né per altre ricette che i candidati solitamente avanzano agli elettori dicendo di voler migliorare le loro vite. No, Bolsonaro si esprime con un linguaggio semplice, basato su un feroce anticomunismo (come se il Pt fosse “comunista”), su un esasperato nazionalismo, su una demagogia portata agli estremi con la promessa di dare licenza di uccidere perché la gente possa difendersi dalla malavita lasciando campo libero alle forze armate per riportare “l’ordine” nel Paese, sul richiamo ai “valori” della bibbia degli evangelici e neopentecostali[3].
Bolsonaro ha cavalcato quella che è stata definita la “onda conservadora”, ponendosi alla testa della corrente elettorale ultrareazionaria che si è formata all’esito del processo che abbiamo sintetizzato, e che ha al suo interno un nucleo fascistizzante di piccola borghesia e sottoproletariato[4].
Il sostegno del capitalismo
Ma il risultato del primo turno non sta a significare che circa cinquanta milioni di brasiliani[5] sono diventati fascisti e amanti della dittatura. Parte rilevante di quel consenso viene invece proprio da elettori del Pt, che hanno voluto sancire il fallimento dei suoi governi rispetto alle aspettative popolari e alle ansie di cambiamento della società brasiliana. Al di là delle briciole distribuite con le misure compensatorie, Lula e Dilma hanno sostanzialmente governato nell’interesse dei banchieri e delle grandi imprese. Nell’ansia di mantenere le leve del potere, i loro governi e i dirigenti del loro partito non si sono fatti scrupolo di invischiarsi in giganteschi schemi di corruzione grazie ai quali tutte le organizzazioni politiche che costituivano la coalizione governativa si sono finanziate. In tal modo, il Pt si è indebolito a partire dalla propria base, ha perso l’egemonia sulle classi popolari e la fiducia dei lavoratori e dei poveri che avevano visto un’occasione per il loro riscatto. E gran parte dei loro voti si è così riversata su Bolsonaro.
Ma l’insieme del suo consenso comprende anche una notevole mole di voti del capitale e dell’alta finanza. È vero che fino a qualche settimana prima delle consultazioni il capitalismo internazionale puntava sul candidato del Pt[6], ritenuto più affidabile; ma è altrettanto vero che non ci vuol molto perché la borghesia modifichi le sue idee alla luce dei profitti che pensa di poter realizzare. È stato così che Bolsonaro ha cominciato la partita non essendo il “candidato naturale” della borghesia brasiliana e di quella internazionale, e in particolare delle banche e della finanza (i famosi “mercati”). I signori del capitale avrebbero preferito un altro cavallo su cui puntare, più “accettabile”; ma lo screditato personale politico conservatore del Brasile non offriva un’alternativa migliore. All’inizio della campagna elettorale, Bolsonaro non godeva delle simpatie dei poteri forti, ma chi gli sta dietro gli sta costruendo il retroterra perché i capitalisti possano convogliare il loro consenso su di lui[7]. Sentendo l’odore di altri favolosi profitti e con la possibilità di imporre ai lavoratori una sconfitta storica epocale, oggi essi guardano con maggior favore a Bolsonaro, che perciò gode di un più ampio sostegno[8]: quello che gli ha consentito di superare il primo turno da trionfatore.
In questo senso, Bolsonaro, il suo ultraliberale ministro delle finanze Paulo Guedes e colui che è stato designato come vicepresidente, il generale Antônio Hamilton Mourão[9], «rappresentano i desideri più schiavisti della classe dominante contro la classe operaia. Sono la continuità selvaggia del golpista Temer, con un programma di riforme che quest’ultimo non è riuscito ad applicare»[10].
Il movimento femminista e il fronte unico
Come abbiamo sostenuto all’inizio di questo testo, la svolta di massa a destra ha determinato una forte polarizzazione elettorale. Bolsonaro e Haddad hanno fatto il vuoto dietro di loro: il terzo classificato è staccato dal secondo di ben diciotto milioni di voti; il Psdb, il cui candidato alle scorse elezioni era stato sconfitto da Dilma Rousseff, ha perso circa trenta milioni di voti; Marina Silva, che nel 2014 si era posizionata terza con oltre ventidue milioni di voti, oggi quasi scompare raggranellandone solo un milione; i partiti alla sinistra del Pt raccolgono un consenso pressoché infinitesimale (il Psol lo 0,58%; il Pstu lo 0,05%).
Questo, dunque, è lo scenario elettorale che emerge dal primo turno. Uno scenario che, con l’affermazione di Bolsonaro, ha “liberato” gli istinti più bassi che covavano nella società brasiliana e che non attendevano altro per emergere[11]. Ma che ha anche segnato l’anomalia di un proletariato che è privo di rappresentanza politica.
Tuttavia, questo scenario non si dipana su un cumulo di macerie. Nella società brasiliana ci sono ancora anticorpi per resistere, per ora, all’affermazione di questa destra becera; e poi, con la necessaria riorganizzazione di una sinistra rivoluzionaria fondata sull’indipendenza di classe, per cambiare la situazione. Il massiccio movimento delle donne, che alla fine di settembre ha invaso le piazze e le strade del Paese contestando la politica misogina e razzista di Bolsonaro attraverso lo slogan #EleNão (Lui No), ha segnato e indicato il cammino. Esso rappresenta una base fondamentale su cui ricostruire un’opposizione di classe: la base per far partire un sempre più necessario fronte unico con cui ora sbarrare la strada nelle urne al fascismo e al razzismo che si esprime attraverso la candidatura di Bolsonaro; nella prospettiva, poi, di strutturare un’alternativa politica indipendente da tutte le varianti capitaliste per sconfiggerli nelle piazze e nelle strade imponendo il potere dei lavoratori.
In questo senso, è estremamente importante che tutte le organizzazioni della sinistra brasiliana abbiano attuato una convergenza sul voto a Fernando Haddad allo scopo di impedire una possibile vittoria del candidato dell’estrema destra. Un fronte unico difensivo, in questo momento, rappresenta l’unico strumento per far sì che il Brasile non precipiti in un incubo che può persino sfociare in una dittatura.
Naturalmente, occorre che questo strumento sia accompagnato da tutti i mezzi necessari per affermarsi, a partire dall’autodifesa a fronte della recrudescenza degli atti di violenza; e che sviluppi l’unità nella lotta in convergenza col movimento delle donne per sconfiggere il mostro razzista, fascista, omofobo e sessista che oggi assume le sembianze di Jair Bolsonaro.
Crediamo che questa sia la strada perché dal giusto #EleNão si possa arrivare a un necessario #NósSim (Noi Sì).
Note
[1] Sulle “giornate di giugno” – e, più in generale, sulla traiettoria del lulismo – rinviamo all’articolo “Il Brasile, il golpe e l’arresto di Lula spiegati a mio nonno”, pubblicato su questo sito.
[2] Cioè, un sentimento di avversione del Pt, ritenuto responsabile di tutto ciò che di negativo v’era in Brasile.
[3] La coalizione materiale che sostiene Bolsonaro è detta “Bancada BBB”, cioè fronte delle armi (bala), dell’agrobusiness e del latifondismo (boi) e della reazionaria religione evangelica (biblia).
[4] Naturalmente, non intendiamo offrire una lettura “nazionale” di questo concetto. La “onda conservadora” non costituisce una peculiarità tutta e solo brasiliana, ma si inscrive invece nella generalizzata e diffusa ascesa mondiale di una corrente di destra conservatrice e reazionaria e di estrema destra, che si sta affermando in più parti del pianeta. Il Brasile non poteva essere immune a questo fenomeno: un fenomeno che non possiamo esaminare qui, esulando dal tema di quest’articolo, e che smentisce la lettura di certe correnti della sinistra, secondo cui vi sarebbe una situazione rivoluzionaria nel mondo.
[5] I voti per Bolsonaro sono stati 49.387.416, mentre Haddad, il candidato del Pt, ne ha avuti 31.361.213.
[6] “Jair Bolsonaro, Latin America’s latest menace”, The Economist, 20/9/2018 (https://tinyurl.com/ycu5e9d8).
[7] “Chi è Paulo Guedes, super-Ministro di Bolsonaro”, L’Indro, 5/10/2018 (https://tinyurl.com/y7ef4oj8).
[8] “Bolsonaro may be the only rational choice for Brazilian voters”, Financial Time, 11/10/2018 (https://tinyurl.com/ybmdqj2u).
[9] Noto, in particolare, per avere ventilato, durante un meeting della loggia massonica brasiliana del Grande Oriente, la possibilità di un intervento militare per risolvere la situazione di caos politico nel Paese (https://tinyurl.com/y8ors3cl).
[10] “Brasil: el fortalecimiento de la extrema derecha y el tablero electoral hacia la segunda vuelta”, La Izquierda Diario, 8/10/2018 (https://tinyurl.com/ydddogjp).
[11] Nei tre giorni successivi al voto, si sono contate almeno cinquanta aggressioni da parte di simpatizzanti di Bolsonaro ai danni di neri, donne, omosessuali, oltre all’assassinio di un famoso maestro di capoeira, Mestre Moa do Katendê (https://tinyurl.com/y869ng8l).