Davvero un ben strano golpe quello in cui gli “spodestati” si siedono al tavolo negoziale in parlamento (in cui continuano ad avere la maggioranza) insieme agli “spodestatori”, e d’amore e d’accordo approvano un progetto di legge per convocare nuove elezioni! Che peccato che questa “brillante idea” non sia venuta in mente a suo tempo al povero Salvador Allende, morto imbracciando un mitra a difesa del Palacio de La Moneda, in Cile! Se ci avesse pensato, avrebbe potuto sedersi con Augusto Pinochet, negoziando nuove elezioni … e, avuta salva la vita, magari sarebbe pure stato rieletto!
È quello che sta accadendo in queste ore in Bolivia, con la realtà dei fatti a smentire testardamente la tesi del “colpo di stato” portata avanti dalla stragrande maggioranza dei partiti della sinistra riformista e stalinista e, purtroppo, della sinistra rivoluzionaria.
Abbiamo sostenuto un’opinione assolutamente diversa, a cui rinviamo e a supporto della quale presentiamo oggi, tradotta in italiano, quella di Rolando Astarita, molti testi del quale abbiamo pubblicato sul nostro sito.
Buona lettura.
La redazione
La Bolivia e la politica di “unità contro il principale nemico”
Rolando Astarita [*]
A seguito delle critiche che ho rivolto a Morales e al Mas in una nota precedente, i loro difensori mi hanno criticato con l’argomento secondo cui “non è il momento di dividersi; ma di unirsi contro il nemico principale e più importante, la destra razzista e ultracattolica, e le forze armate che hanno realizzato il colpo di stato”. In altre parole, “ora bisogna serrare i ranghi”. E chi mette in discussione le caratterizzazioni “politicamente corrette”, o l’orientamento di Morales e del Mas, sarà messo a tacere con ogni sorta di insulti, dall’essere definito “funzionale alla destra” ad “agente dell’imperialismo e del colonialismo bianco”. Un esempio di queste reazioni da energumeni è il modo in cui, in questi giorni, l’antropologa e attivista femminista Rita Segato è stata attaccata sui social. Il suo unico peccato era stato criticare Morales: qualcosa di intollerabile per le menti allenate nello scolasticismo dei fili spinati.
Come ho spiegato in altri post, sono contrario a queste censure (di fatto imposte, basate sull’arroganza). E non solo sono contrario, quanto esse mi spingono ad ampliare questioni e argomentazioni. Pertanto, in questa nota rispondo a coloro che affermano che è necessario sospendere le critiche a Morales e al Mas “per unire le forze contro il nemico principale”. Il mio approccio è opposto: sostengo che per sconfiggere la destra e il militarismo è necessario che la classe operaia rompa ideologicamente e politicamente con il Mas e Morales. È, d’altro canto, il fulcro su cui poggia il ragionamento che mi separa dal riformismo di sinistra e dal “nazional‑marxismo” (stalinisti e varianti del “nazional‑trotskismo”). Comincio allora ricordando un vecchio insegnamento del marxismo rivoluzionario su questo tema.
La tradizione del marxismo e di Trotsky in particolare
L’idea che, per poter vincere, i lavoratori debbano separarsi da coloro che, con un linguaggio di sinistra e persino socialista, li portano alla sconfitta, attraversa tutta l’opera di Marx, Engels, Lenin, Rosa Luxemburg e, naturalmente, Trotsky. A questo proposito, è istruttiva la risposta data dal fondatore dell’Armata Rossa a coloro che difendevano, negli anni 30, un fronte con la borghesia “democratica” per unire le forze e sconfiggere “il nemico principale” (nazismo, fascismo, il colpo di stato di Franco). Trotsky disse che con questo argomento i suoi critici non andarono oltre la prima regola dell’aritmetica: la somma dei comunisti, dei socialisti, degli anarchici e dei liberali era superiore “a ciascuno dei suoi termini” (“Spagna: ultimo avvertimento”, p. 98, Barcellona, Fontamara). Tuttavia, l’aritmetica non è sufficiente in politica, poiché se i partiti si muovono in direzioni opposte, la risultante del parallelogramma delle forze può, con ogni probabilità, essere nulla. Ancor di più se queste alleanze indeboliscono la fiducia della classe operaia nelle proprie forze.
Con gli adattamenti del caso, l’avvertimento di Trotsky si dimostra pienamente attuale rispetto ai movimenti di massa guidati dalla borghesia nazionalista, o dalla piccola borghesia riformista, di oggi. Con un’aggravante: la classe operaia boliviana odierna non è nemmeno rappresentata da nessun partito con il quale possa identificarsi come classe. Il movimento operaio in Bolivia (e praticamente in tutta l’America Latina) è subordinato a direzioni, programmi e orientamenti politici, che perpetuano lo sfruttamento capitalista e lo Stato capitalista. Più precisamente, quasi ovunque ciò che si negozia sono posizioni all’interno di democrazie borghesi limitate e fortemente repressive. E una qualche forma di inserzione nella globalizzazione del capitale. Soprattutto quando si tratta di economie dipendenti e fondate sull’estrazione di materie prime (o qualcuno crede che la mediazione dell’Unione Europea e della Chiesa, nella crisi boliviana, cada dal cielo? O che la Russia si sia affrettata a riconoscere il governo di Áñez per niente?). È tutto quanto riescono a fare i riformisti e i nazionalisti borghesi. Solo quando la pressione della lotta di classe li costringe, concedono qualcosa agli sfruttati per preservare l’essenziale. Questa è la matrice all’interno della quale si svolgono conflitti di classe, o di frazioni di classe, e le crisi politiche.
Tuttavia, la condizione per vincere è mobilitare i lavoratori. E per questo è necessario che essi sentano di lottare per la loro emancipazione. Non che combattano affinché i burocrati e gli opportunisti di sempre negozino e accomodino il loro avvenire politico. Ecco perché il marxismo ha affermato come motto centrale che “la liberazione dei lavoratori sarà opera dei lavoratori stessi”. Non è una frase per infiocchettare un discorso del 1° maggio, ma è il principio fondante di tutta la politica socialista. Ma ciò obbliga a non nascondere le critiche e le contestazioni. Non c’è sviluppo politico senza scontri di idee. Altrimenti, nel movimento di massa si ottiene l’unanimità dei cimiteri.
Forze armate e Cob: da “rivoluzionari antimperialisti” a “traditori filoimperialisti”?
Quanto ho sostenuto nel paragrafo precedente si concreta in molti modi negli eventi della Bolivia. In particolare, perché il movimento di massa è stato portato alla demoralizzazione e alla confusione a partire da messaggi del più grossolano opportunismo. Così, nella nota precedente ho fatto riferimento all’atteggiamento di Morales verso le forze armate: in soli quattro mesi, da che erano la “spina dorsale del progetto antimperialista”, sono diventate “artefici del colpo di stato guidato da Washington”. Cioè, ad agosto, ai lavoratori veniva ancora detto che potevano fidarsi delle “loro” forze armate. Oggi viene detto loro che non c’è niente di più urgente che sconfiggere quelle stesse forze armate. Si può concepire qualcosa di più disorientante e demoralizzante? Il fatto è che le caratterizzazioni politiche non sono ornamenti, discorsi per farsi belli alla tribuna. La realtà è che esse entrano nelle coscienze e conformano le nozioni con cui gli eventi vengono elaborati e registrati. Ripeto: solo quattro mesi fa “la massima direzione rivoluzionaria” ha affermato che le forze armate erano antimperialiste. Oggi dice che sono golpiste e filoimperialiste, e chiede di dare la vita per sconfiggerle. E se qualcuno chiede come può essere, il coro dei soliti amanuensi lo zittirà con un bel “non dividere il movimento”.
Ma passiamo ad un’altra importante istituzione, la Central Obrera Boliviana. Fino alla vigilia delle elezioni di ottobre, era caratterizzata come “difensore della liberazione nazionale e dell’antimperialismo, dell’uguaglianza e della democrazia partecipativa, e dell’emancipazione latinoamericana” (testualmente, secondo un noto intellettuale del Paese). Tuttavia, il 10 novembre la direzione della Cob ha chiesto le dimissioni di Morales. E ora chiede elezioni, indette dal governo Áñez: governo che i “politically correct” definiscono come una dittatura militare imposta da Washington. La Cob è allora diventata un agente dell’imperialismo? Il nostro intellettuale mantiene un prudente silenzio al riguardo. Sarà forse per sostenere “l’unità contro il principale nemico”? Con la domanda conseguente: la Cob fa parte del “principale nemico”? In ogni caso, come si spiegano queste piroette nelle caratterizzazioni? Se si risponde che ciò che la Cob ha fatto è un prodotto del tradimento della sua direzione, la domanda è perché la base non si è ribellata per sostenere Morales. Se si risponde che non lo ha fatto perché aveva le mani legate dalla burocrazia, perché l’ideologo sosteneva che la Cob era uno strumento di liberazione? Liberazione con la classe lavoratrice imbavagliata? E lo stesso vale per altri settori del movimento operaio. Ad esempio, anche il sindacato dei minatori ha detto a Morales che le sue dimissioni erano “inevitabili”. Un altro pilastro della patria liberata che è passato a militare dalla parte dell’imperialismo e del fascismo?
Il Mas “ci ripensa”
Naturalmente, in questo bilancio non trascuriamo il Mas, chiave nella lotta per il socialismo del XXI secolo. Perciò vale la pena di esaminare alcuni fatti (le informazioni che seguono, tratte da giornali boliviani, le ho confrontate con le informazioni delle pubblicazioni filo‑Morales).
Giovedì 14 novembre: il capogruppo parlamentare del Mas, Sergio Choque, è stato eletto presidente della Camera dei deputati. Nel suo primo discorso ha annunciato l’elaborazione di un disegno di legge per ordinare all’esercito di tornare nelle caserme lasciando alla polizia il compito di preservare l’ordine pubblico in modo pacifico. Ha anche affermato che l’Assemblea legislativa, che rimane sotto il controllo maggioritario del Mas, ha la volontà di pacificare il Paese e ha chiesto “che i settori mobilitati tornino alla calma. Non possiamo continuare a scontrarci”.
D’altra parte, è stata eletta presidente del Senato Eva Copa, pure del Mas. La presidenza era rimasta vacante in seguito alle dimissioni di Adriana Salvatierra, anch’essa del Mas. Copa si è pronunciata nello stesso senso di Choque.
Quel giorno si sono anche registrati chiarimenti di Morales. “Come sarebbe bello un dialogo nazionale, proposto da qui e senza restrizioni, coinvolgendo (gruppi) civili, politici che hanno perso le elezioni, movimenti sociali di diversi settori. […] In questo dialogo possono intervenire Paesi amici, organismi internazionali”. Ha anche affermato che “se il popolo (boliviano) lo chiede” è disposto a ritornare nel Paese per contribuire alla sua pacificazione, ma ha sottolineato che “se non c’è un dialogo nazionale sarà difficile fermare questo scontro”.
Sabato 16 novembre, Página 7: “Il dialogo tra governo e Mas procede con la mediazione della Chiesa cattolica e dell’Unione europea (Ue). L’obiettivo è pacificare il Paese e rendere possibile la selezione dei membri del Tribunale Supremo Elettorale (Tse) e convocare nuove elezioni presidenziali. […] La Chiesa, l’Ue e gli ex presidenti hanno gestito, su richiesta del Mas, la partenza dell’ex presidente in Messico, dove si trova in esilio dal 12 novembre. […] Le condizioni del Mas: garanzie per i suoi leader e deputati, salvacondotti e il ritorno di Morales. […] Il dialogo ha come protagonista mons. Eugenio Scarpellini, vescovo di El Alto, e León de la Torre, ambasciatore dell’Ue in Bolivia, entrambi considerati elementi chiave. Tra i rappresentanti del MAS che partecipano ai tavoli ci sono Adriana Salvatierra, Susana Rivero e Teresa Morales”.
Mercoledì 20 novembre, El Deber: Áñez ha inviato al Congresso un disegno di legge che annulla le elezioni del 20 ottobre e convoca nuove elezioni generali. Il testo deve essere approvato al Congresso, dove il MAS ha la maggioranza.
Il Mas aveva presentato un progetto simile in precedenza al Senato. In quel testo il Mas afferma che Evo Morales e Álvaro García Linera si sono dimessi, che quando hanno lasciato il Paese per l’esilio in Messico hanno abbandonato le loro funzioni; che la legge proposta, eccezionale e transitoria per la realizzazione delle elezioni nazionali e infranazionali, dovrà essere approvata secondo quanto stabilito dalla Costituzione politica dello Stato in relazione alla successione presidenziale. Sostiene anche che il governo di Áñez è legittimo, “nasce dalla successione costituzionale, fissando come obiettivo principale del suo mandato la convocazione di elezioni generali del Paese, configurando inequivocabilmente la ragione della sua legittimità nell’adempimento di questo compito, indispensabile per la sua natura transitoria”. Il documento è stato diffuso ufficialmente.
A seguito di questo accordo, il Senato ha eletto come presidente della Commissione costituzionale il senatore ed ex candidato alla presidenza Óscar Ortiz, insieme ai senatori del Mas Ciro Zabala e Adriana Salvatierra. Questa Commissione ha tre obiettivi: annullare le elezioni del 20 ottobre; designare il nuovo Tribunale Supremo Elettorale e convocare le elezioni generali.
Giovedì 21 novembre: il MAS annuncia che Morales non sarà candidato alla presidenza alle elezioni presidenziali. García Linera ha dichiarato che né lui né Evo saranno candidati.
Ancora una volta, quale unità?
Queste prese di posizione e i negoziati si svolgono nel quadro di una feroce repressione, che ad oggi ha causato 32 morti. Ancora una volta, le masse popolari mettono il loro sangue e gli opportunisti giocano le loro carte al tavolo delle trattative. La cosa fondamentale, tuttavia, è che non si tratta di traditori o errori personali dei leader del Mas, ma di una concezione profondamente borghese. Cioè, siamo di fronte a una linea di classe. Se si ha una concezione burocratica e borghese di ciò che hanno chiamato socialismo del XXI secolo, non ci si può aspettare un atteggiamento rivoluzionario e operaio nei confronti dell’avanzata dei militari e dei razzisti. Come dice il proverbio, non chiedere pere a un olmo.
Inoltre, tutto si svolge nel bel mezzo di una enorme confusione. Se si afferma che in Bolivia si è insediata una dittatura militare‑fascista, come è possibile che il Mas sostenga che il nuovo governo è legittimo? O si deve concludere che il partito di Evo Morales si è trasformato in fascista? Ma … in quindici giorni è passato dall’essere il bastione della lotta per il socialismo a concordare con i fascisti? Sembra strano, anche se il sostenitore della “unità contro il colpo di stato” ha una risposta: “il Mas sta lottando per una soluzione democratica del colpo di stato fascista che ha preso il potere”, spiega. Cioè, i leader del socialismo del XXI secolo stanno convincendo i fascisti e le forze armate (indubbi agenti dell’imperialismo e del fascismo) ad adottare una soluzione “democratica”. Le possibilità retoriche dei riformisti sono infinite.
Bene, a questo punto sospetto che i cinici stiano ridendo di noi. Nel frattempo, la tattica “unità senza se e senza ma di fronte al nemico principale” ha dato i suoi frutti più genuini: la destra e il militarismo sono avanzati in Bolivia, e la classe operaia non ha avuto una presenza propria, come classe politicamente indipendente dalle correnti borghesi e piccolo‑borghesi. E inoltre, le divisioni al suo interno si sono approfondite. È il peggior risultato possibile. Di quale unità stiamo parlando?
[*] Rolando Astarita è uno studioso marxista di economia. Insegna all’Università di Quilmes e di Buenos Aires, in Argentina.
(Traduzione di Ernesto Russo)