Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Politica internazionale: America Latina

Ascesa e caduta di Evo Morales

Ascesa e caduta di Evo Morales

Nazio­na­li­smo bor­ghe­se o socia­li­smo rivo­lu­zio­na­rio? Le pro­spet­ti­ve per la Bolivia

Vale­rio Torre

 

Dopo qua­si quat­tor­di­ci anni inin­ter­rot­ti di gover­no del­la Boli­via, Evo Mora­les, il pri­mo pre­si­den­te indi­ge­no nel­la sto­ria del Pae­se si è dimes­so sot­to la spin­ta di vio­len­te mani­fe­sta­zio­ni di piaz­za che denun­cia­va­no i bro­gli elet­to­ra­li di una con­sul­ta­zio­ne in cui lo stes­so Mora­les cor­re­va per la sua rie­le­zio­ne in un quar­to man­da­to. Ben­ché fos­se sta­to elet­to per ben tre vol­te con una per­cen­tua­le supe­rio­re al 50% (53,9% nel 2005, 62,5% nel 2009 e 60,9% nel 2014) egli vol­le, nel 2016, sfi­da­re lo stes­so det­ta­to costi­tu­zio­na­le che vie­ta­va una rie­le­zio­ne di fat­to a tem­po inde­fi­ni­to, indi­cen­do un refe­ren­dum da cui però uscì scon­fit­to: dun­que, nono­stan­te gli otti­mi risul­ta­ti eco­no­mi­ci – che ave­va­no favo­ri­to le clas­si subal­ter­ne di quel­lo che era con­si­de­ra­to uno dei Pae­si più pove­ri dell’America Lati­na – la popo­la­ri­tà di Mora­les subì un col­po rile­van­te. E la deci­sio­ne di rican­di­dar­si a dispet­to del­la scon­fit­ta refe­ren­da­ria ha con­tri­bui­to a un’ulteriore cadu­ta di con­sen­so socia­le: pro­va ne sia il fat­to che lo scru­ti­nio del 21 otto­bre scor­so gli ha asse­gna­to un risul­ta­to di solo il 47,1% dei voti.
Ma, in real­tà, il refe­ren­dum del 2016 non fece altro che con­sa­cra­re il riti­ro del soste­gno di alcu­ni set­to­ri socia­li a Evo Mora­les: mol­ti dei suoi anti­chi col­la­bo­ra­to­ri e dei fau­to­ri del “socia­li­smo indi­ge­ni­sta” da lui pro­pu­gna­to[1] già allo­ra cri­ti­ca­ro­no aper­ta­men­te l’abbandono dei prin­ci­pi sban­die­ra­ti all’inizio del­la sua car­rie­ra poli­ti­ca; evi­den­zia­ro­no l’attaccamento al pote­re; cri­ti­ca­ro­no un’agenda di gover­no più cen­tra­ta sull’estrazione di risor­se natu­ra­li desti­na­te all’esportazione che alla dife­sa del­la “Madre Ter­ra” su cui egli ave­va costrui­to il pro­prio pro­gram­ma; denun­cia­ro­no la cor­ru­zio­ne che ave­va coin­vol­to ex mini­stri, par­la­men­ta­ri e diri­gen­ti del suo stes­so par­ti­to, il Mas[2], non­ché la fero­ce repres­sio­ne mili­ta­re del­le mani­fe­sta­zio­ni di piaz­za con­tro l’inusitato aumen­to del prez­zo dei car­bu­ran­ti[3] e del­la resi­sten­za del­le popo­la­zio­ni indi­ge­ne alla costru­zio­ne di una stra­da nel par­co del Tip­nis[4].

Pro­te­ste con­tro il gasolinazo

Le for­ti dichia­ra­zio­ni di per­so­nag­gi come Rafael Puen­te, già vice­mi­ni­stro del pri­mo gabi­net­to Mora­les e da lui con­si­de­ra­to il suo “mae­stro”[5], o del diri­gen­te dei mina­to­ri File­món Escó­bar[6], o anco­ra dell’ex mini­stro dell’Istruzione, Félix Patzi, oppu­re dell’ex vice­mi­ni­stro del­la Ter­ra, Ale­jan­dro Alma­raz[7], e per­fi­no del diri­gen­te del movi­men­to che fu a capo nel 2000 del­la “Guer­ra dell’acqua”, Óscar Oli­ve­ra, che ha accu­sa­to Mora­les e il suo vice, Álva­ro Gar­cía Line­ra, di ave­re defrau­da­to le orga­niz­za­zio­ni sin­da­ca­li e con­ta­di­ne del­la capa­ci­tà di deci­de­re e di non aver dato segui­to alla pro­mes­sa ori­gi­na­ria di auto­go­ver­no popo­la­re, ebbe­ne tut­te que­ste dichia­ra­zio­ni ven­ne­ro da Gar­cía Line­ra liqui­da­te con un’alzata di spal­le e un’abbondante dose di cini­smo[8], pro­prie di chi, ebbro del pote­re, dimen­ti­ca come ci è arri­va­to e in nome di chi lo ha assunto.

Mar­cia del Tipnis

Tut­ta­via, l’attuale cadu­ta di Evo Mora­les vie­ne da ancor più lontano.

Dal­la “Guer­ra del gas” all’elezione di Evo
La clas­se ope­ra­ia e le mas­se popo­la­ri del­la Boli­via han­no una lun­ga e pro­fon­da tra­di­zio­ne rivo­lu­zio­na­ria[9]. Una tra­di­zio­ne che tro­vò con­fer­ma nell’ottobre del 2003, quan­do esse furo­no pro­ta­go­ni­ste di una rivol­ta popo­la­re in dife­sa del­le risor­se natu­ra­li – la c.d. “Guer­ra del gas” – che ven­ne fero­ce­men­te repres­sa dal­le for­ze arma­te, con un sal­do di diver­se deci­ne di mor­ti e parec­chie cen­ti­na­ia di feri­ti. Non­di­me­no, la for­za d’urto del­le mas­se pro­vo­cò il rove­scia­men­to del pre­si­den­te Gon­za­lo Sán­chez de Loza­da, “Goni”, che, per­so il con­trol­lo del­la situa­zio­ne, iso­la­to e scon­fit­to poli­ti­ca­men­te, deci­se di rinun­cia­re all’incarico abban­do­nan­do il Paese.
Gli suc­ces­se il vice­pre­si­den­te Car­los Mesa. Tut­ta­via, il pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio non era affat­to ter­mi­na­to, e, inve­ce di chiu­der­si, si appro­fon­dì, tan­to che nei mesi di mag­gio e giu­gno 2005, si svi­lup­pa­ro­no nuo­ve pro­te­ste con riven­di­ca­zio­ni sia eco­no­mi­che (nazio­na­liz­za­zio­ne dell’acqua e del gas), sia poli­ti­che (con­vo­ca­zio­ne di un’Assemblea costi­tuen­te), che, uni­fi­can­do le popo­la­zio­ni indi­ge­ne, i con­ta­di­ni, gli ope­rai e set­to­ri di clas­se media urba­na, e nel qua­dro di uno scio­pe­ro gene­ra­le a tem­po inde­ter­mi­na­to con­vo­ca­to dal­la Cen­tral Obre­ra Boli­via­na (Cob), con­fe­rì a que­sta dina­mi­ca di mas­sa una for­za tale che Mesa fu costret­to alle dimissioni.

La “Guer­ra del gas” del 2003

Infi­ne, nel dicem­bre 2005 si ten­ne­ro le ele­zio­ni anti­ci­pa­te, che vide­ro l’affermazione come pre­si­den­te di Evo Morales.

Un pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio devia­to nel­le urne
Il gran­de appog­gio popo­la­re che por­tò Mora­les alla pre­si­den­za fu l’espressione del­le aspet­ta­ti­ve da par­te del­le mas­se boli­via­ne di un auten­ti­co cam­bia­men­to del­le pro­prie con­di­zio­ni di vita e del­le spe­ran­ze in una pro­fon­da tra­sfor­ma­zio­ne del Pae­se, a par­ti­re dal­la libe­ra­zio­ne dal gio­go impe­ria­li­sta che sem­pre ha pesa­to sul­la Boli­via, e dal­la fine del­la seco­la­re oppres­sio­ne etni­ca e cul­tu­ra­le a cui era­no sot­to­po­sti i popo­li e le nazio­na­li­tà indi­ge­ni. Tali aspet­ta­ti­ve tro­va­ro­no il loro sup­por­to nel­la reto­ri­ca “antim­pe­ria­li­sta e anti­ca­pi­ta­li­sta” che il Mas ed Evo spar­ge­va­no a pie­ne mani, insie­me alla pro­pa­gan­da di un fan­to­ma­ti­co “socia­li­smo comu­ni­ta­rio” e di un pro­get­to di rico­no­sci­men­to e di inclu­sio­ne del­le popo­la­zio­ni ori­gi­na­rie, fino ad allo­ra ai mar­gi­ni del­la socie­tà: un pro­get­to che sfo­ciò nell’idea di uno Sta­to “plu­ri­na­zio­na­le”, con­sa­cra­to poi nel­la Costi­tu­zio­ne appro­va­ta nel 2009.
Secon­do l’intellettuale boli­via­no Luis Tapia, nel sali­re al pote­re il Mas si pose come «rap­pre­sen­tan­te e media­to­re ascen­den­te» del­le for­ze che in Boli­via era­no sta­te il pro­dot­to di una «accu­mu­la­zio­ne sto­ri­ca» sul­la base del­le espe­rien­ze di demo­cra­zia diret­ta nell’ambito di spa­zi di discus­sio­ne pub­bli­ca e di stru­men­ti popo­la­ri, qua­li le «assem­blee comu­ni­ta­rie»[10]. Insom­ma, per usci­re dal lin­guag­gio socio­lo­gi­co dan­do una chia­ve di let­tu­ra mar­xi­sta, l’elezione di Evo Mora­les fu il sot­to­pro­dot­to di un pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio devia­to nel­le urne elettorali.

La pre­ser­va­zio­ne del siste­ma capitalistico
Il fat­to è, però, che sin dal pri­mo momen­to il dise­gno del duo Morales‑Linera non era affat­to quel­lo di un’autentica rivo­lu­zio­ne socia­le che rove­scias­se i rap­por­ti economico‑sociali fino ad allo­ra domi­nan­ti e che si tra­du­ce­va­no nell’ipersfruttamento del­la Boli­via e del­le sue risor­se ad ope­ra del capi­ta­li­smo impe­ria­li­sta e del­le sue mul­ti­na­zio­na­li, ben­sì di una “rivo­lu­zio­ne democratico‑culturale”[11] con l’obiettivo di rifor­ma­re lo Sta­to nel qua­dro del “capi­ta­li­smo andino‑amazzonico” teo­riz­za­to da Line­ra, e cioè di un siste­ma che fini­va per sal­va­guar­da­re le rela­zio­ni su cui pog­gia­va­no – e pog­gia­no tut­to­ra – la dipen­den­za dal capi­ta­li­smo e la subor­di­na­zio­ne ad esso[12].
L’esempio più pre­gnan­te che può far­si è quel­lo rela­ti­vo al caval­lo di bat­ta­glia di Evo Mora­les: la nazio­na­liz­za­zio­ne del gas, inau­gu­ra­ta in pom­pa magna con un prov­ve­di­men­to entra­to in vigo­re il 1° mag­gio 2006. Lun­gi dall’essere un’espropriazione sen­za inden­niz­zo accom­pa­gna­ta dall’espulsione dal Pae­se del­le mul­ti­na­zio­na­li, si è trat­ta­to inve­ce di una rine­go­zia­zio­ne fra lo Sta­to – che si è pro­cla­ma­to pro­prie­ta­rio del­le risor­se del sot­to­suo­lo – e le com­pa­gnie estrat­ti­ve, alle qua­li, una vol­ta paga­te le impo­ste e il pro­fit­to da devol­ve­re al gover­no, vie­ne rico­no­sciu­to un mar­gi­ne di pro­fit­to. Gio­va pre­ci­sa­re che nes­su­na impre­sa che già non fos­se su suo­lo boli­via­no si è tira­ta fuo­ri dall’affare: il che la dice lun­ga sul­la effi­ca­cia del­la “nazio­na­liz­za­zio­ne”, avu­to riguar­do agli inte­res­si sto­ri­ci del­le clas­si popo­la­ri. Ma, come se ciò non bastas­se, le for­me nego­zia­li sta­bi­li­te dall’esecutivo e sti­pu­la­te con l’impresa sta­ta­le Ypfb dal­le mul­ti­na­zio­na­li con­sen­to­no a que­ste di recu­pe­ra­re tut­ti i costi incon­tra­ti nell’opera estrat­ti­va, che sono frut­to di una sor­ta di “auto­cer­ti­fi­ca­zio­ne”, man­te­nen­do intat­ti gli utili.

Evo Mora­les inau­gu­ra un allac­cia­men­to dome­sti­co del gas

Cer­to, que­sto siste­ma ha com­por­ta­to, gra­zie anche al boom del­le mate­rie pri­me, un note­vo­le aumen­to del­le entra­te sta­ta­li, mai visto in pre­ce­den­za, che ha con­sen­ti­to di distri­bui­re risor­se alla popo­la­zio­ne – sot­traen­do­la a una mise­ria ata­vi­ca – e di accu­mu­la­re capi­ta­li per inve­sti­men­ti infra­strut­tu­ra­li, facen­do lie­vi­ta­re gli indi­ci macroe­co­no­mi­ci; ma ha anche con­tem­po­ra­nea­men­te con­so­li­da­to la pre­sen­za e la pene­tra­zio­ne del capi­ta­le impe­ria­li­sta nel Pae­se andi­no. Sic­ché, l’assurdità e la con­tra­rie­tà di una misu­ra così con­ge­gna­ta rispet­to ai prin­ci­pi sban­die­ra­ti da Evo Mora­les per costrui­re la pro­pria poli­ti­ca, ven­ne­ro denun­cia­te per­si­no da Andrés Soliz Rada, che, come mini­stro del­le Risor­se ener­ge­ti­che nel gover­no, era sta­to fau­to­re di un ben diver­so pro­get­to di nazio­na­liz­za­zio­ne, pri­ma di esse­re costret­to a dimet­ter­si dall’incarico essen­do­si scon­tra­to col vice­pre­si­den­te Gar­cía Line­ra, soste­ni­to­re inve­ce del siste­ma tut­to­ra vigen­te[13].

La nego­zia­zio­ne costan­te con l’estrema destra
Un’altra carat­te­ri­sti­ca dell’azione di gover­no di Mora­les è sta­ta la sua ten­den­za a veni­re costan­te­men­te a pat­ti con l’estrema destra e l’oligarchia spo­de­sta­te dal risul­ta­to elet­to­ra­le del 2005, rifug­gen­do dall’idea stes­sa di una resa dei con­ti che potes­se depo­ten­ziar­le fino a met­ter­le in con­di­zio­ni di non nuocere.
Emble­ma­ti­co è il caso del­la cri­si che si mani­fe­stò nel 2008 nel­la regio­ne deno­mi­na­ta “Media Luna”, e pre­ci­sa­men­te nei dipar­ti­men­ti di San­ta Cruz, Beni, Pan­do e Tari­ja, gover­na­ti da pre­fet­ti facen­ti capo all’opposizione di destra. Que­sto ter­ri­to­rio, abi­ta­to solo da un ter­zo del­la popo­la­zio­ne boli­via­na, pos­sie­de una par­te mol­to impor­tan­te del­le ric­chez­ze natu­ra­li del Pae­se, gene­ran­do qua­si il 60% del Pil nazio­na­le e più di due ter­zi del­le espor­ta­zio­ni sta­ta­li. Nell’agosto di quell’anno, l’oligarchia di quel­la regio­ne avan­zò una richie­sta di auto­no­mia tal­men­te spin­ta da minac­cia­re l’integrità stes­sa del­la Boli­via. Si trat­ta­va, in tut­ta evi­den­za, di una riven­di­ca­zio­ne rea­zio­na­ria da par­te di quei set­to­ri bor­ghe­si, che inten­de­va­no così appro­priar­si del­la tota­li­tà del­le risor­se naturali.
Si veri­fi­ca­ro­no for­ti scon­tri, con le mili­zie arma­te dell’oligarchia bian­ca che orga­niz­za­ro­no atten­ta­ti con­tro oleo­dot­ti, il boi­cot­tag­gio di un gasdot­to, l’occupazione e l’incendio di strut­tu­re sta­ta­li, fino a rea­liz­za­re un vero e pro­prio mas­sa­cro con­tro la popo­la­zio­ne indi­ge­na del­la regio­ne, in cui una ven­ti­na di con­ta­di­ni ven­ne assassinata.
Ma, una vol­ta ripre­so il con­trol­lo del­la situa­zio­ne, Mora­les non adot­tò alcu­na misu­ra per far­la fini­ta con que­sti set­to­ri rea­zio­na­ri. Al con­tra­rio, ini­ziò un per­cor­so di con­ci­lia­zio­ne, apren­do un tavo­lo nego­zia­le con l’oligarchia bor­ghe­se pro­prio sul pro­get­to di nuo­va Costi­tu­zio­ne, rico­no­scen­do mol­te del­le riven­di­ca­zio­ni auto­no­mi­sti­che dei dipar­ti­men­ti ribel­li (mag­gio­re con­trol­lo sul­le risor­se natu­ra­li, mag­gio­ri pote­ri poli­ti­ci e garan­zie per il lati­fon­do) e legit­ti­man­do così la peg­gio­re destra boli­via­na. L’esito di que­sta trat­ta­ti­va sfo­ciò in un pro­get­to di Car­ta costi­tu­zio­na­le ben diver­so da quel­lo che era sta­to licen­zia­to dall’Assemblea costituente.

Pro­te­ste nel­la regio­ne del­la Media Luna nel 2008

È evi­den­te come le radi­ci di una pre­sen­za oggi, nel 2019, di una destra rea­zio­na­ria for­te ed orga­niz­za­ta, deb­ba­no rin­ve­nir­si nel­la poli­ti­ca capi­to­la­zio­ni­sta di Evo Mora­les lun­go tut­ti i suoi qua­si quat­tor­di­ci anni di man­da­to: un perio­do in cui il Mas ha stret­to allean­ze con impren­di­to­ri e per­fi­no ex mem­bri dell’Ujc (l’organizzazione arma­ta dell’oligarchia del­la Media Luna), cam­bian­do anche il pro­prio vol­to mili­tan­te, asse­gnan­do can­di­da­tu­re ad espo­nen­ti del­la clas­se media a sca­pi­to di quel­li con­ta­di­ni e indigeni.

La tra­sfor­ma­zio­ne regres­si­va dell’“evismo” fino all’epilogo del­le dimissioni
E dun­que, la com­ples­si­va azio­ne di gover­no di Evo Mora­les e del suo Mas ha, in tut­ta evi­den­za, pro­dot­to il risul­ta­to che è sot­to i nostri occhi: il pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio boli­via­no, con le gran­di lot­te a dife­sa di un pro­ces­so di cam­bia­men­to che le mas­se for­te­men­te auspi­ca­va­no, è sta­to depo­ten­zia­to dal­la sal­va­guar­dia dei capi­sal­di di una socie­tà capi­ta­li­sti­ca segna­ta dal­la gran­de pene­tra­zio­ne del capi­ta­le impe­ria­li­sta; dagli innu­me­re­vo­li accor­di con la bor­ghe­sia rea­zio­na­ria che era sta­ta scon­fit­ta nel 2005 e dal­la sostan­zia­le capi­to­la­zio­ne rispet­to alle sue riven­di­ca­zio­ni; dal­la vio­len­ta repres­sio­ne del­le istan­ze del­la clas­se ope­ra­ia, dei movi­men­ti indi­ge­ni e popo­la­ri, che chie­de­va­no di appro­fon­di­re quel pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio di cui era­no sta­ti pro­ta­go­ni­sti, e per la rea­liz­za­zio­ne del qua­le ave­va­no scel­to pro­prio Morales.
Tut­to ciò, uni­to alla per­vi­ca­ce volon­tà di quest’ultimo di resta­re abbar­bi­ca­to al pote­re a dispet­to dei muta­ti umo­ri del­la socie­tà e alla pro­gres­si­va tra­sfor­ma­zio­ne del pro­ces­so di cam­bia­men­to, non più fon­da­to su quel­le istan­ze socia­li auto­de­ter­mi­na­ti­ve che sono par­te del­la sto­ria del popo­lo boli­via­no, ma devia­to nel­le sec­che dell’attività isti­tu­zio­na­le del­lo Sta­to bor­ghe­se attra­ver­so la coop­ta­zio­ne dei diri­gen­ti dei movi­men­ti popo­la­ri nel­le aule par­la­men­ta­ri e nel­le stan­ze del gover­no e l’epurazione di quel­li invi­si, ha fat­to sì che si pro­du­ces­se un cre­scen­te ed evi­den­te distac­co fra la base “evi­sta” e il suo lea­der cari­sma­ti­co, sem­pre più invo­lu­cra­to nel­la figu­ra di cau­dil­lo che è anda­to rita­glian­do­si nel tem­po[14].
Non è basta­to a Evo for­za­re la mano con un refe­ren­dum ad per­so­nam per otte­ne­re la pos­si­bi­li­tà di esse­re rie­let­to all’infinito; né gli è basta­to, una vol­ta scon­fit­to nel­la con­sul­ta­zio­ne, chie­de­re – e otte­ne­re – da una magi­stra­tu­ra com­pia­cen­te una dero­ga al divie­to di cor­re­re per il quar­to man­da­to. Vole­va vin­ce­re a tut­ti i costi, ma non si è reso con­to che, frat­tan­to, intor­no a lui comin­cia­va­no a cade­re i pri­mi cal­ci­nac­ci di quel­la costru­zio­ne che di lì a poco gli sareb­be crol­la­ta addosso.
E così, come ha cer­ti­fi­ca­to una socie­tà indi­pen­den­te inca­ri­ca­ta dal­lo stes­so gover­no[15], ha dovu­to truc­ca­re le ele­zio­ni per poter­si far basta­re un risul­ta­to del 47,1%, così distan­te dagli ocea­ni­ci con­sen­si supe­rio­ri al 60% degli anni pas­sa­ti. Ciò ha sca­te­na­to le pri­me pro­te­ste popolari.
La not­te del 21 otto­bre, grup­pi nume­ro­si di per­so­ne sono sce­si in piaz­za riven­di­can­do un secon­do tur­no: in alcu­ne cit­tà si sono regi­stra­ti incen­di a sedi dei tri­bu­na­li elet­to­ra­li; il 24 otto­bre, in un pro­gram­ma del­la Tele­vi­sio­ne Uni­ver­si­ta­ria di La Paz, un inge­gne­re infor­ma­ti­co dimo­stra­va le irre­go­la­ri­tà nel com­pu­to dei voti; il 27 otto­bre le mani­fe­sta­zio­ni di piaz­za aumen­ta­va­no di inten­si­tà; il 7 novem­bre si veri­fi­ca­va­no vio­len­ti scon­tri fra grup­pi a favo­re e con­tro il gover­no; il gior­no suc­ces­si­vo, alcu­ne uni­tà del­la poli­zia di Cocha­bam­ba si uni­va­no alle pro­te­ste; il 9 novem­bre, fal­li­ti i ten­ta­ti­vi di imba­sti­re un dia­lo­go con l’opposizione, ini­zia­va­no le defe­zio­ni degli uomi­ni vici­ni a Mora­les, che in bloc­co ras­se­gna­va­no le pro­prie dimis­sio­ni; il gior­no seguen­te, nel ten­ta­ti­vo di ripren­de­re il con­trol­lo del­la situa­zio­ne Evo annun­cia­va che sareb­be­ro sta­te con­vo­ca­te nuo­ve ele­zio­ni, ma la pro­po­sta era respin­ta; intan­to, la Cob, prin­ci­pa­le bastio­ne fede­le a Mora­les, chie­de­va al pre­si­den­te di com­pie­re un gesto di respon­sa­bi­li­tà e rinun­cia­re all’incarico[16], ancor pri­ma che lo faces­se il capo del­le for­ze arma­te, gene­ra­le Kali­man; subi­to dopo, era pro­prio Kali­man, un fede­lis­si­mo di Evo, a sug­ge­rir­gli la stes­sa solu­zio­ne[17].

Solo in segui­to a que­sto, veri­fi­ca­to che non pote­va più con­ta­re né sul­le orga­niz­za­zio­ni sin­da­ca­li, né sull’esercito, Mora­les annun­cia­va le pro­prie dimis­sio­ni, spe­ci­fi­can­do che lo face­va dopo esser­si con­sul­ta­to con i mem­bri del­la Conal­cam[18], con i diri­gen­ti del­la Cob e con i ver­ti­ci del­la Chie­sa cattolica.

In Boli­via c’è sta­to un golpe?
Que­sto è il sec­co suc­ce­der­si cro­no­lo­gi­co dei fat­ti. Ma da qui nasce una dia­tri­ba. È sta­to un gol­pe a rove­scia­re Evo Mora­les? Il pre­si­den­te boli­via­no è sta­to depo­sto da un col­po di stato?
Per quel che qui ci riguar­da, dob­bia­mo dire che la sini­stra rivo­lu­zio­na­ria, sia in Ita­lia che a livel­lo inter­na­zio­na­le, non ha impa­ra­to nul­la dal­la vicen­da vene­zue­la­na, rispet­to alla qua­le pure ha gri­da­to al gol­pe, men­tre la real­tà dei fat­ti ha fino­ra dimo­stra­to il con­tra­rio[19]. E infat­ti, non c’è ana­li­si a sini­stra che non riten­ga che sia sta­to pro­prio un gol­pe mili­ta­re a rove­scia­re Mora­les, e che det­to gol­pe sia anco­ra in atto.
A nostro avvi­so, e con le pre­ci­sa­zio­ni che fare­mo in segui­to, que­sto giu­di­zio è frut­to di impres­sio­ni­smo. Le imma­gi­ni di poli­ziot­ti che repri­mo­no vio­len­te­men­te i soste­ni­to­ri del Mas e che sfi­la­no insie­me ai mani­fe­stan­ti dell’opposizione han­no indub­bia­men­te avu­to la meglio su una rigo­ro­sa valu­ta­zio­ne degli eventi.
Gio­va innan­zi­tut­to evi­den­zia­re che, nei pri­mi gior­ni dal­le ele­zio­ni, la poli­zia era in stra­da a repri­me­re i mani­fe­stan­ti dell’opposizione che pro­te­sta­va­no con­tro i pre­sun­ti bro­gli, quan­do que­sti non era­no anco­ra sta­ti accer­ta­ti[20]: il che non depo­ne cer­ta­men­te a favo­re di un col­po di sta­to. Quan­do poi, l’8 novem­bre, poche uni­tà del­la poli­zia di Cocha­bam­ba si sono ammu­ti­na­te, Mora­les, che ave­va anco­ra il con­trol­lo del­le for­ze arma­te, ha deci­so espres­sa­men­te di non far­le inter­ve­ni­re per ripri­sti­na­re l’ordine. Solo in segui­to, quan­do è emer­sa la veri­tà sui bro­gli elet­to­ra­li, l’intero cor­po di poli­zia ha deci­so di non rispet­ta­re più gli ordi­ni di difen­de­re le isti­tu­zio­ni e si è col­lo­ca­ta al lato degli oppositori.
Intan­to, Evo Mora­les rima­ne­va sem­pre più solo, abban­do­na­to dai suoi uomi­ni al pote­re che si sono dimes­si in mas­sa, dal­le orga­niz­za­zio­ni – come la Cob – che lo han­no sem­pre soste­nu­to, e infi­ne dal­le for­ze arma­te. Solo allo­ra, con­si­glia­to­si per­fi­no con i ver­ti­ci del­la Chie­sa, ha deci­so di dimettersi.
Mora­les non è sta­to depo­sto dai cor­pi mili­ta­ri, né è sta­to esau­to­ra­to o rove­scia­to da qual­che arti­fi­cio par­la­men­ta­re (Dil­ma Rous­seff) o giu­di­zia­rio (Manuel Zela­ya). Si è visto poli­ti­ca­men­te iso­la­to e scon­fit­to da una debor­dan­te pres­sio­ne di mas­sa ed è usci­to di sce­na sul­le pro­prie gam­be[21].
Per­ché il pun­to è pro­prio que­sto: una mobi­li­ta­zio­ne popo­la­re, sia pure di segno con­ser­va­to­re o rea­zio­na­rio, è di per se stes­sa un col­po di sta­to? La mobi­li­ta­zio­ne di mas­sa ha fat­to vacil­la­re la poli­zia, ha para­liz­za­to sia le orga­niz­za­zio­ni sin­da­ca­li e socia­li che han­no sem­pre soste­nu­to Evo, sia le for­ze arma­te che han­no deci­so di rima­ne­re pas­si­ve. Ha crea­to, in defi­ni­ti­va, le con­di­zio­ni per la scon­fit­ta poli­ti­ca e le dimis­sio­ni del pre­si­den­te boli­via­no. Ma quel­la mobi­li­ta­zio­ne non è essa stes­sa un gol­pe, né civi­co, né militare.
Se doves­si­mo adot­ta­re que­sto cri­te­rio, allo­ra le mobi­li­ta­zio­ni che costrin­se­ro alle dimis­sio­ni Gon­za­lo Sán­chez de Loza­da nel 2003 e Car­los Mesa nel 2005, apren­do la stra­da alla vit­to­ria elet­to­ra­le pro­prio di Evo Mora­les, dovreb­be­ro esse­re ana­lo­ga­men­te con­si­de­ra­te … un col­po di stato!

Un “gol­pe preventivo”
Non sono cer­ta­men­te la pigno­le­ria o minu­zio­si­tà di stam­po acca­de­mi­co a indur­ci a que­ste dif­fe­ren­zia­zio­ni. Il fat­to è che un’analisi cor­ret­ta alla luce dei prin­ci­pi del mar­xi­smo rivo­lu­zio­na­rio evi­ta di espor­si a peri­co­lo­si erro­ri, come quel­li in cui sono incor­si tut­ti colo­ro che, a sini­stra, han­no soste­nu­to la tesi del gol­pe con­tro Mora­les: che sono poi gli stes­si abba­gli pre­si in occa­sio­ne del fan­to­ma­ti­co gol­pe ai dan­ni di Madu­ro. E la con­se­guen­za di erro­ri sif­fat­ti è par­ti­co­lar­men­te nefa­sta: con­si­ste nel dare un appog­gio poli­ti­co al regi­me o al gover­no che si pre­ten­de esse­re sta­to rove­scia­to dal pre­sun­to col­po di stato.
Ma allo­ra – ci potreb­be esse­re doman­da­to – che signi­fi­ca­no i cor­pi di poli­zia nel­le stra­de a repri­me­re i mani­fe­stan­ti che recla­ma­no il ritor­no di Mora­les? Non sono la pro­va evi­den­te del col­po di sta­to con cui lo si è deposto?
A nostro avvi­so no. Come abbia­mo soste­nu­to, Evo non è sta­to desti­tui­to dai mili­ta­ri, né da un mec­ca­ni­smo par­la­men­ta­re o da un cavil­lo giu­ri­di­co che potes­se­ro paven­ta­re un gol­pe par­la­men­ta­re o parlamentare‑giudiziario. Evo si è reso con­to di tro­var­si poli­ti­ca­men­te iso­la­to e scon­fit­to, e insie­me ai suoi prin­ci­pa­li uomi­ni ha abban­do­na­to le isti­tu­zio­ni deter­mi­nan­do un vuo­to di pote­re che è sta­to subi­to col­ma­to dall’opposizione.
Ma allo­ra, che sen­so ha la for­za pub­bli­ca in stra­da? Che sen­so ha la repressione?
A nostro pare­re, tut­to ciò signi­fi­ca una mili­ta­riz­za­zio­ne del­la socie­tà in vista di un pro­get­to di bona­par­tiz­za­zio­ne fun­zio­na­le al rove­scia­men­to del­la poli­ti­ca “evi­sta” por­ta­ta avan­ti in que­sti quat­tor­di­ci anni: un pro­get­to che pre­ve­de una nuo­va divi­sio­ne del­la Boli­via su basi etni­che e di clas­se, e un’associazione del­la rea­zio­na­ria bor­ghe­sia boli­via­na al capi­ta­le impe­ria­li­sta stra­nie­ro per una sua mag­gio­re pene­tra­zio­ne nel Pae­se e una diver­sa spar­ti­zio­ne dei pro­fit­ti. Ma è un pro­get­to al qua­le lo stes­so Evo ha da tem­po spia­na­to la stra­da, depo­ten­zian­do le for­ze di un pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio che avreb­be inve­ce potu­to bloccarlo.
Insom­ma, se pro­prio si vuol esse­re “affe­zio­na­ti” – e non è il nostro caso – a quel­la paro­la, non è sta­to un gol­pe a rove­scia­re Mora­les, ma la bor­ghe­sia rea­zio­na­ria oggi al gover­no ha biso­gno ades­so di un “gol­pe pre­ven­ti­vo” per por­ta­re avan­ti quel pro­get­to, che altri­men­ti potreb­be incon­tra­re resi­sten­za nel­la socie­tà boliviana.

“¡Fusil, metral­la, Boli­via no se calla!”
Che fare allo­ra? Rite­nia­mo che la sini­stra rivo­lu­zio­na­ria abbia fino­ra offer­to due rispo­ste sim­me­tri­ca­men­te erra­te: da un lato, una sostan­zia­le denun­cia sic et sim­pli­ci­ter del pre­sun­to col­po di sta­to, con l’ovvia con­se­guen­za del soste­gno, sia pure “cri­ti­co”, a Mora­les; dall’altro, la stes­sa denun­cia, ma con la riven­di­ca­zio­ne di ele­zio­ni libe­re, il che pre­sup­po­ne una capi­to­la­zio­ne non solo al gover­no depo­sto (ceden­do alla reto­ri­ca del gol­pe), ma anche a quel­lo espres­sio­ne del­la destra oli­gar­chi­ca e rea­zio­na­ria, nel­le cui mani vie­ne rimes­sa la richie­sta di con­vo­ca­zio­ne di “libe­re elezioni”.
La clas­se ope­ra­ia e con­ta­di­na, i movi­men­ti indi­ge­ni del­la Boli­via, han­no una for­te tra­di­zio­ne di lot­ta rivo­lu­zio­na­ria. La rivo­lu­zio­ne del 1952 vide i mina­to­ri, arma­ti solo del­la dina­mi­te che usa­va­no in minie­ra e di vec­chi fuci­li, attac­ca­re i sol­da­ti e impa­dro­nir­si di un tre­no cari­co di armi. Così orga­niz­za­ti­si, i lavo­ra­to­ri scon­fis­se­ro ben set­te reg­gi­men­ti del­l’e­ser­ci­to boli­via­no, appro­prian­do­si anche in que­sto caso di tut­to l’ar­ma­men­to, ed entra­ro­no vit­to­rio­sa­men­te a La Paz. Nel­le gior­na­te che segna­ro­no il bien­nio 2003‑2005, rie­cheg­gia­va lo slo­gan “¡Fusil, metral­la, Boli­via no se cal­la!”[22]. Que­sto slo­gan deve nuo­va­men­te risuo­na­re oggi ed esse­re mes­so con­cre­ta­men­te in pratica.

Ope­rai arma­ti nel­la Rivo­lu­zio­ne boli­via­na del 1952

Rite­nia­mo che i lavo­ra­to­ri e i con­ta­di­ni boli­via­ni deb­ba­no ripren­de­re quel­la tra­di­zio­ne di lot­ta rivo­lu­zio­na­ria e sca­te­na­re la guer­ra civi­le che in que­sti gior­ni vie­ne solo evo­ca­ta duran­te le mani­fe­sta­zio­ni: “¡Aho­ra sí, guer­ra civil!”. A dif­fe­ren­za di quan­to acca­de in Vene­zue­la, dove la clas­se ope­ra­ia è debo­le e sostan­zial­men­te pas­si­va, quel­la di Boli­via è pur sem­pre ani­ma­ta dal­lo stes­so spi­ri­to rivo­lu­zio­na­rio del 1952, ben­ché sopi­to dai nar­co­tiz­zan­ti anni di “evi­smo”. E, come nel 1952, i mina­to­ri boli­via­ni, il set­to­re più avan­za­to e com­bat­ti­vo, sono anco­ra arma­ti del­la dina­mi­te che usa­no oggi per il loro lavo­ro[23].
Per accen­der­ne la mic­cia dovran­no sol­tan­to apri­re gli occhi e rimuo­ve­re la dire­zio­ne buro­cra­ti­ca e con­ci­lia­tri­ce alla testa del­la Cob – che, è bene ricor­dar­lo, nac­que come un orga­ni­smo di pote­re ope­ra­io – pren­den­do le redi­ni del­la pro­pria orga­niz­za­zio­ne; com­pren­de­re che solo la for­za d’urto del­le mas­se in lot­ta potrà risol­ve­re i pro­ble­mi ata­vi­ci del­la pro­pria nazio­ne; gua­da­gna­re per­ciò alle pro­prie riven­di­ca­zio­ni anche i set­to­ri meno avan­za­ti del­le cit­tà e del­le cam­pa­gne; crea­re le pro­prie mili­zie ope­ra­ie e lan­ciar­le infi­ne con­tro la destra oli­gar­chi­ca, rea­zio­na­ria e fasci­sta oggi al gover­no, e con­tro le sue ban­de arma­te e la sua polizia.
Sarà solo la rivo­lu­zio­ne pro­le­ta­ria a scon­fig­ge­re sia la destra oggi al gover­no, sia le for­ze rifor­mi­ste – come Evo Mora­les – che le han­no con­se­gna­to la Bolivia.
La cadu­ta di Mora­les rap­pre­sen­ta in defi­ni­ti­va un’ulteriore con­fer­ma che il nazio­na­li­smo bor­ghe­se, in qual­sia­si del­le sue pos­si­bi­li varian­ti, com­pre­sa quel­la “indi­ge­ni­sta”, non potrà mai risol­ve­re nes­su­no dei pro­ble­mi dei lavo­ra­to­ri e del­le mas­se popo­la­ri, di cui sol­tan­to il socia­li­smo rivo­lu­zio­na­rio potrà far­si carico.


Note

[1] Una varian­te del “socia­li­smo del XXI seco­lo” di Chávez.
[2] “Evo Mora­les hun­di­do en la cor­ru­p­ción”, El Dia­rio Inter­na­cio­nal.
[3] Il c.d. “gaso­li­na­zo”, un aumen­to del 83% dei prez­zi e la con­tem­po­ra­nea abo­li­zio­ne dei sus­si­di, incon­trò una for­te resi­sten­za popo­la­re, sfo­cia­ta in sac­cheg­gi e distru­zio­ni. A fron­te del­la sol­le­va­zio­ne il gover­no deci­se di abro­ga­re il provvedimento.
[4] Ben­ché il ter­ri­to­rio indi­ge­no fos­se sta­to pro­cla­ma­to intan­gi­bi­le, il gover­no Mora­les ha pre­vi­sto la costru­zio­ne di una stra­da di oltre 300 km. all’interno del par­co del Tip­nis che taglie­reb­be in due un’area di 1,2 milio­ni di etta­ri su cui vivo­no 68 comu­ni­tà indi­ge­ne. Nel 2011 vi furo­no tre mesi di for­ti pro­te­ste cul­mi­na­te in una mar­cia di 65 gior­ni vio­len­te­men­te repres­sa dall’esercito e dal­la polizia.
[5] «Il pote­re è tos­si­co. Nes­su­no nega l’importanza dei pri­mi anni del gover­no, il gran­de sal­to eco­no­mi­co e l’inclusione di indi­ge­ni e con­ta­di­ni che è sta­ta rag­giun­ta, ma in segui­to il pote­re asso­lu­to ha intos­si­ca­to que­sto pro­ces­so».
[6] «Evo Mora­les non rispet­ta l’indipendenza dei pote­ri né la liber­tà di espres­sio­ne. Per­de­rà per aver tra­di­to la sua base».
[7] «Il Pae­se ha per­so due decen­ni di con­qui­ste demo­cra­ti­che, tra cui il dirit­to civi­co di elet­to­ra­to atti­vo e pas­si­vo, la tra­spa­ren­za e l’uguaglianza nel pro­ces­so elet­to­ra­le».
[8] «C’è una pseu­do­si­ni­stra da salot­to che svol­ge il ver­go­gno­so ruo­lo di allea­ta del­le for­ze ultra­con­ser­va­tri­ci e ci accu­sa di non aver rot­to con il mer­ca­to e l’estrattivismo».
[9] Sul­la rivo­lu­zio­ne che nel 1952 por­tò le clas­si lavo­ra­tri­ci e le mas­se con­ta­di­ne boli­via­ne a un pas­so dal­la pre­sa del pote­re e all’instaurazione di uno Sta­to socia­li­sta tor­ne­re­mo con un pros­si­mo articolo.
[10] L. Tapia, El esta­do de dere­cho como tira­nía, Cides‑Umsa, 2011, pp. 109 e ss.
[11] Nel­le paro­le del­lo stes­so Line­ra nell’articolo “El evi­smo: lo nacional‑popular en acción”.
[12] «La Boli­via con­ti­nue­rà ad esse­re un Pae­se capi­ta­li­sta, però con mag­gior for­za di nego­zia­zio­ne di fron­te ai nodi del capi­ta­li­smo mon­dia­le», “Entre­vi­sta a Álva­ro Gar­cía Line­ra, vice­pre­si­den­te de Boli­via”, Sin­per­mi­so, 9/7/2006.
[13] A. Soliz Rada, “Boli­via: la nacio­na­li­za­ción arro­dil­la­da”, Apor­rea, 1/4/2007.
[14] Tapia evi­den­zia come il Mas abbia pro­gres­si­va­men­te distrut­to l’autonomia del­le orga­niz­za­zio­ni indi­ge­ne e con­ta­di­ne, pra­ti­can­do una poli­ti­ca divi­sio­ni­sta in quel­le di cui non è riu­sci­to a pren­de­re la dire­zio­ne o che soste­ne­va­no posi­zio­ni con­tra­rie rispet­to alla poli­ti­ca di estrat­ti­vi­smo spin­to, fomen­tan­do dun­que scis­sio­ni inter­ne e inti­mi­den­do­ne i diri­gen­ti che pre­ten­de­va­no di tene­re una posi­zio­ne distin­ta e auto­no­ma rispet­to a quel­la del gover­no. «In que­sto sen­so – con­clu­de Tapia – [il Mas] è una for­za con­tro­in­sor­gen­te e anti­de­mo­cra­ti­ca, antin­di­ge­na e anti­po­po­la­re […] ope­ra come una for­za disor­ga­niz­za­tri­ce del popo­lo, […] ha eli­mi­na­to il plu­ra­li­smo al suo inter­no e nel­le rela­zio­ni col mon­do del­le clas­si popo­la­ri. È diven­ta­to una for­za poli­ti­ca mono­lo­gi­ca, che cre­de di incar­na­re la razio­na­li­tà del­lo Sta­to e la rap­pre­sen­ta­zio­ne del popo­lo sen­za ascol­ta­re e dia­lo­ga­re con le diver­se voci e i cor­pi del popo­lo boli­via­no e del­le nazio­na­li­tà che da tem­po riven­di­ca­no la pro­pria auto­de­ter­mi­na­zio­ne. Que­sto è un trat­to di eli­mi­na­zio­ne del­la demo­cra­zia. Que­sto è un trat­to del­le tiran­nie» (L. Tapia, op. cit., pp. 117 e s.).
[15] “Empre­sa audi­to­ria denun­cia que pro­ce­so elec­to­ral en Boli­via fue vul­ne­ra­do”, Cnn, 8/11/2019.
[16] “COB: «Si es por el bien del país, que renun­cie nue­stro Pre­si­den­te»”, Erbol, 10/11/2019.
[17] Con­tra­ria­men­te a quan­to ripor­ta­to da alcu­ni orga­ni di stam­pa (El País), le for­ze arma­te non han­no “impo­sto”, ma solo “sug­ge­ri­to” a Mora­les di dimet­ter­si in vista del­la paci­fi­ca­zio­ne nazio­na­le, com’è reso evi­den­te dal video sopra pub­bli­ca­to. Va comun­que pre­ci­sa­to che subi­to dopo l’autoproclamazione del­la nuo­va pre­si­den­te, Áñez, Kali­man è sta­to rimos­so dall’incarico e sosti­tui­to da un altro mili­ta­re fede­le al nuo­vo governo.
[18] Coor­di­na­do­ra Nacio­nal por el Cam­bio, un’organizzazione vici­na al governo.
[19] A qua­si un anno di distan­za dall’autoproclamazione, di Guai­dó non c’è più trac­cia, men­tre il dit­ta­to­re “socia­li­sta” Madu­ro resta ben sal­do al suo posto. Per la pole­mi­ca che abbia­mo tenu­to con le orga­niz­za­zio­ni che chia­ma­va­no alla dife­sa del regi­me vene­zue­la­no dal pre­sun­to “gol­pe” rin­via­mo ai testi pub­bli­ca­ti su que­sto stes­so sito qui, qui e qui.
[20] Vi sono mol­ti arti­co­li di stam­pa che dan­no con­to dell’azione del­la poli­zia con­tro i mani­fe­stan­ti facen­ti capo all’opposizione e a dife­sa del­le isti­tu­zio­ni: per esem­pio, qui, qui, qui, qui e qui.
[21] Ci pia­ce qui ricor­da­re un’efficace ana­li­si su che cos’è un col­po di sta­to, alla qua­le abbia­mo spes­so fat­to ricor­so in altri testi su que­sto sito.
[22] “Fuci­le, mitra­glia­tri­ce, la Boli­via non si ferma!”.
[23] «… fin­ché esi­ste­rà il capi­ta­li­smo, la repres­sio­ne vio­len­ta del movi­men­to ope­ra­io è un peri­co­lo laten­te. […] dob­bia­mo arma­re i lavo­ra­to­ri. Per respin­ge­re le ban­de fasci­ste e i cru­mi­ri, for­gia­mo pic­chet­ti ope­rai ben arma­ti. Da dove pren­de­re le armi? La cosa fon­da­men­ta­le è inse­gna­re ai lavo­ra­to­ri di base che deb­bo­no armar­si con­tro la bor­ghe­sia arma­ta fino ai den­ti; i mez­zi poi li tro­ve­re­mo. Abbia­mo for­se dimen­ti­ca­to che ogni gior­no lavo­ria­mo con poten­ti esplo­si­vi?» (Tesi di Pula­cayo, appro­va­te il 12/11/1946 dal­la Fede­ra­ción Sin­di­cal de Tra­ba­ja­do­res Mine­ros de Bolivia).