Venezuela: il 4 agosto della sinistra rivoluzionaria
Il vero golpe è nel campo del marxismo rivoluzionario
Valerio Torre
Indubbiamente, le vicende che in queste settimane si stanno svolgendo intorno al Venezuela costituiscono un importante tema di discussione politica, al centro dei notiziari d’informazione e ampiamente trattato dai mezzi di comunicazione. Ma più che altro ci interessa riprenderne l’esame perché, come abbiamo già avuto modo di sostenere[1], si tratta di un tema che rappresenta uno spartiacque nel campo della sinistra, sia italiana che internazionale, che ha ormai definito il proprio campo di intervento politico al riguardo, schierandosi praticamente all’unanimità nel campo della difesa del governo Maduro e del suo regime “tardo‑chavista”.
Nell’articolo segnalato alla nota 1 abbiamo già avuto modo di sintetizzare le posizioni di quest’ampio ventaglio delle forze e delle organizzazioni della sinistra nazionale e mondiale, tutte ruotanti – sia pure con alcune differenze tra loro – intorno al paradigma del “golpe” che le potenze imperialiste e i loro satelliti starebbero mettendo in atto per rovesciare Maduro e installare al suo posto l’autoproclamato Guaidó o qualsiasi altro “burattino” funzionale agli interessi del capitalismo mondiale. In tal modo, il campo è bell’e preparato: da una parte, il legittimo governo – e per di più “socialista” – di un Paese dipendente; dall’altro, il cartello delle borghesie imperialiste del pianeta con alla testa il perfido presidente degli Usa, Trump. E la scelta di campo, per i nostri “antimperialisti”, è presto fatta: tutti insieme, appassionatamente e indipendentemente da quelle differenze, in difesa di Maduro.
Non ci interessa qui polemizzare con le forze che compongono questa “santa alleanza” richiamandosi a ciò che resta dello stalinismo, al campismo, al rossobrunismo, e che hanno nel proprio Dna la difesa delle dittature[2]. Ci interessa, invece, polemizzare con le organizzazioni che, pur rifacendosi al marxismo rivoluzionario, sono, con il sostegno politico oggettivamente dato a Maduro, orgogliosamente entrate nel campo che è stato felicemente definito “l’antimperialismo degli idioti”[3]: non per amore di sterile contesa verbale, ma perché il loro delirante appoggio al regime chavista‑madurista implica l’abbandono dei più elementari principi del marxismo e ne fa, non l’avanguardia, ma la retroguardia del movimento operaio internazionale, approfondendo ulteriormente la crisi della sinistra mondiale.
Golpe e ingerenze: una cortina fumogena per nascondere la capitolazione
Come abbiamo detto, il “collante” fra queste forze è il dogma dell’esistenza di un golpe imperialista, in atto o in preparazione, contro il Venezuela. Abbiamo spiegato nel testo già richiamato[4] che allo stato non c’è alcuna evidenza fattuale di un concreto tentativo di rovesciamento del governo Maduro mediante un colpo di stato, né di un intervento militare per attuarlo o favorirlo. Ma, ove ciò non bastasse, c’è pur sempre la dichiarazione ufficiale di uno dei “falchi” dell’amministrazione statunitense, il consigliere alla sicurezza nazionale John Bolton, che ha negato che sia in preparazione un intervento militare imminente, augurandosi invece una “transizione pacifica”[5].
Però – si dice – in ogni caso gli Stati Uniti e i loro accoliti capitalisti stanno pur sempre attuando una forma di ingerenza negli affari interni del Venezuela.
Il fatto è che l’argomento delle “ingerenze” è davvero singolare. La politica internazionale non poggia forse sulle relazioni conflittuali o collaborative fra Stati? E queste relazioni non determinano forse un grado più o meno accentuato di “ingerenza”? Il rapporto fra il Venezuela chavista e la Russia, la Cina, la Turchia, non è forse un esempio della “ingerenza” che questi Stati attuano verso il Paese caraibico? O si pensa che la collaborazione da essi offerta a Maduro sia del tutto disinteressata, sentimentale, umanitaria o persino realizzata a scapito dei propri stessi interessi? E non è vero forse che Russia, Cina, Turchia sono Stati capitalisti? O si pensa forse che il capitalismo di questi ultimi sia “progressivo”, mentre quello degli Usa è “reazionario”, sicché avremmo un’ingerenza progressiva e un’altra reazionaria?
E allora – anche questo ci è capitato di leggere in alcune appassionate discussioni sui social – viene tirato fuori un altro argomento: quello delle sanzioni[6]. Si sostiene che queste sono una mostra dell’ingerenza imperialista, per cui occorre adesso “mettere da parte tutte le differenze e difendere il governo Maduro” dall’aggressione capitalista. Si tratta, a ben vedere, di un argomento suggestivo, ma non meno pericoloso per chi lo avanza.
Ci piace infatti ricordare a questi appassionati difensori del regime venezuelano che l’antica Società delle Nazioni (precursore dell’Onu) deliberò delle sanzioni economiche, sebbene blande e comunque scarsamente applicate, contro l’Italia fascista in occasione dell’aggressione all’Etiopia da parte di Mussolini. E così pure, la stessa Onu approvò sanzioni contro il Sudafrica dell’Apartheid, proprio allo scopo di esercitare un’ingerenza finalizzata alla caduta del regime. Dobbiamo allora pensare che i sostenitori di quest’argomento avrebbero in questi casi difeso l’Italia fascista e il Sudafrica razzista essendo sconveniente l’ingerenza? In relazione a questo secondo caso in particolare, le sanzioni furono varate per favorire il movimento anti‑apartheid, che certamente non era un movimento socialista, ma borghese e con un programma borghese liberale. Dobbiamo dunque pensare che era sbagliato imporle perché andavano ad avvantaggiare un movimento borghese? In fin dei conti, anche la direzione che si è messa alla testa delle mobilitazioni contro Maduro è borghese, porta avanti un programma borghese e intende fare del Venezuela una democrazia capitalista non diversa da tutte le altre installate in America Latina. E quest’osservazione mette sul tavolo un altro tema che ci differenzia da questa maggioritaria sinistra “antimperialista”.
Il disinteresse per le sofferenze delle masse popolari venezuelane
Il fatto è che questa “chiamata alle armi” in difesa di Maduro presuppone – benché non venga detto esplicitamente – che le masse che sono in strada a contestare il governo altro non siano che marionette nelle mani di Trump, il quale, come un burattinaio, le muoverebbe a suo piacimento utilizzando “l’utile idiota” Guaidó nelle vesti di compiacente esecutore. Le organizzazioni della sinistra rivoluzionaria che si collocano nel campo politico del chavismo‑madurismo, dismessa l’arma della caratterizzazione politica attraverso gli strumenti del marxismo, non dubitano minimamente della reale natura del regime venezuelano[7], lo considerano comunque socialista, o “socialisteggiante”, limitandosi talvolta a muovere solo qualche blanda critica al suo indirizzo. Ma stanno saldamente nel suo campo politico. E cioè, riteniamo noi, capitolano totalmente a un regime nazionalista borghese che negli ultimi vent’anni ha costruito (e poi fatto fallire) un Paese capitalista, forgiando una nuova borghesia (la “boliborghesia”), cooptando in un regime sostanzialmente di partito unico (il Psuv) e in un sistema sindacale totalmente controllato dallo Stato l’enorme maggioranza dei settori di sinistra, reprimendo violentemente quelli che volevano conservare una certa autonomia e avanzavano rivendicazioni, sia a livello politico che sindacale.
In particolare, già sotto la presidenza Chávez si registravano feroci repressioni ai lavoratori (emblematici furono i casi degli operai della Sanitari Maracay[8] e della Sidor[9]). Non a caso, la stessa Costituzione chavista prevedeva meccanismi (art. 293, 6° comma) con cui: si minava il diritto dei lavoratori di eleggere i propri rappresentanti, dato che il risultato delle elezioni era soggetto alla supervisione e al riconoscimento di organi statali; si negava ai sindacati il cui risultato elettorale non era stato così riconosciuto il diritto di negoziare contratti collettivi; si affievoliva il diritto dei lavoratori di associarsi liberamente al sindacato di loro scelta, favorendo invece i sindacati allineati al governo; si pregiudicava il diritto di sciopero proibendo vertenze del tutto legittime e attuando una dura repressione contro i lavoratori, in particolare del settore petrolifero, colpiti da licenziamenti di massa.
Sotto la presidenza Maduro, le politiche repressive del governo non sono affatto diminuite, anzi presentano numeri altissimi. Durante le manifestazioni del 2017, sono state 143 le morti che hanno colpito partecipanti alle manifestazioni. Nel corso del 2018, le feroci Faes – un corpo d’élite espressamente voluto e creato da Maduro – si sono rese responsabili dell’assassinio di 205 persone di età compresa tra i 12 e i 49 anni, molte delle quali abitanti di quartieri poverissimi; tuttavia, secondo l’Osservatorio venezuelano della violenza, fra le 23.000 morti violente registrate nel 2018, ben oltre 7.500 sono da attribuire ai corpi repressivi dello Stato.
Organizzazioni per i diritti umani calcolano che dal 1991 almeno 332 persone hanno perso la vita nel corso di manifestazioni in Venezuela. Di queste morti, 82 risalgono al periodo fra il 1991 e il 2012 (presidenza Chávez), mentre ben 250 si sono verificate durante la presidenza Maduro (dal 2013 ad oggi): si tratta, in tutta evidenza, del segno di una torsione reazionaria ben più accentuata da parte del regime, dovuta alla maggiore difficoltà incontrata dall’attuale presidente nel controllare le dinamiche di massa scatenate dal peggioramento progressivo delle condizioni di vita delle masse popolari.
Perché il telone di fondo su cui si sta dipanando l’intera vicenda venezuelana è segnato proprio dalla violenta crisi economica che da anni sta colpendo il Paese, seminando fra la popolazione miseria, fame, scarsità di ogni tipo di prodotto per la cura personale, di medicinali, in un complessivo quadro di inarrestabile iperinflazione, azzeramento della capacità produttiva e della crescita economica, altissimi livelli di corruzione con il conseguente sviamento di risorse pubbliche e fuga di capitali.
Tutto ciò ha indotto oltre tre milioni di venezuelani a fuggire, disperati, all’estero. Tra quelli che sono rimasti nel Paese, una buona parte – è irrilevante azzardare numeri in un’inutile gara a chi la spara più grossa – non tollera più Maduro e il suo regime; mentre un’altra parte, probabilmente altrettanto grande, ancora lo appoggia. Resta il fatto che l’uno e l’altro settore stanno vivendo una situazione non più sostenibile, e che una quota importante della popolazione scende in strada a protestare perché muore letteralmente di fame[10]. Non si contano più le persone che mangiano la spazzatura, o uccidono cani e gatti per potersi nutrire[11].
Chi dice che ciò accade a causa delle sanzioni, dice una colossale sciocchezza: le prime sanzioni, assolutamente poco incisive peraltro, sono state imposte dagli Stati Uniti – che comunque ha continuato a comprare il petrolio venezuelano – solo a partire dal secondo semestre del 2017, mentre l’inizio della colossale crisi umanitaria che ha colpito il Venezuela risale a molti anni addietro[12]. Né va sottaciuto che Cuba ha sofferto un embargo sicuramente più violento e, pur essendo un Paese senza le risorse che possiede il Venezuela, non ha certamente vissuto, nonostante le ristrettezze registrate durante il c.d. “Período especial”, una crisi umanitaria paragonabile a quella di cui stiamo parlando[13].
La capitolazione al nazionalismo borghese
Ora, di fronte a questo quadro, la sinistra rivoluzionaria che scende in difesa di Maduro e del suo regime non spende una sola parola riguardo al disastro sociale prodotto dal chavismo‑madurismo. Anzi, lascia sottintendere che le masse che scendono in piazza per protestare sono soltanto marionette eterodirette da Washington: rinuncia perciò a fare qualsiasi analisi della realtà con gli strumenti del marxismo, pur di stare nel campo politico di una dittatura borghese.
Insomma, una drammatica capitolazione al nazionalismo borghese. In nome di questo “antimperialismo degli idioti” si passano sotto silenzio (e in qualche caso si giustificano in maniera complice) la repressione ai danni dei lavoratori[14] e delle masse popolari[15], la miseria, la fame e la mancanza di medicine e cure ospedaliere indotte dal regime. Invece di lavorare a fondo con quello che dovrebbe essere, nel Venezuela di oggi, il primo compito dei marxisti rivoluzionari, e cioè propagandare la necessità di rompere ideologicamente e politicamente con il chavismo, contemporaneamente mantenendo la più completa indipendenza politica rispetto all’opposizione della Mud e di Guaidó, questi “antimperialisti” difendono un regime dittatoriale borghese; e così facendo gettano ulteriore discredito sull’idea stessa di socialismo.
Già, perché avendo i venezuelani per vent’anni identificato il socialismo col chavismo, oggi è davvero difficile nel Paese caraibico propagandare idee socialiste: la classe operaia venezuelana è socialmente disgregata e non nutre più alcuna fiducia nel socialismo. Il vero legato di Chávez è Maduro, e il vero legato di Maduro è Guaidó alla testa di un movimento di massa. In questo senso, il chavismo‑madurismo non poteva rendere un servigio migliore alla borghesia e al suo spirito revanscista: la truffa politica del “socialismo del XXI secolo” si manifesta oggi in tutta la sua natura antisocialista. Ecco perché è gravissimo il sostegno capitolazionista che organizzazioni che si richiamano al marxismo rivoluzionario accordano al regime venezuelano.
Ed ecco anche perché le roboanti dichiarazioni rilasciate da quelle organizzazioni costituiscono soltanto un delirante libro dei sogni, con proposte totalmente staccate dalla realtà: si invocano espropriazioni delle multinazionali statunitensi e britanniche, armamento del popolo, addirittura formazione di soviet, ignorando – o facendo finta di non sapere – che Maduro non è Lenin, che il Venezuela non è la Russia sovietica del 1917, che il regime non ha nelle proprie corde misure del genere per la sua stessa natura capitalista, che il chavismo non è una forma di socialismo (né ha mai voluto esserlo, a dispetto della propaganda), e, in definitiva, che la “Repubblica bolivariana” fondata da Chávez altro non è che un Paese capitalista (peraltro fallito), retto da una dittatura borghese.
Il fatto è che di fronte al profondo discredito del socialismo in Venezuela – dovuto, come detto, all’equazione con il madurismo – si ha un bel lanciare parole d’ordine transitorie senza che ci siano organizzazioni marxiste con peso e inserzione di massa! Come abbiamo ripetutamente segnalato, soprattutto in articoli precedenti su questo sito, la sinistra politica e sindacale venezuelana è stata pressoché totalmente cooptata all’interno del regime chavista; mentre quei settori che hanno tentato di costruirsi su basi indipendenti, o che hanno fatto entrismo all’interno del chavismo cercando di mantenere un minimo di autonomia, sono di fatto marginali e non hanno alcun peso di massa.
Ricostruire la sinistra rivoluzionaria
E allora occorre dire la verità, per quanto amara essa sia, e non contribuire – come stanno facendo le organizzazioni che stiamo criticando – ad aggravare il danno già fatto in Venezuela. E, cosa ancor più preoccupante, accrescendo ulteriormente il pregiudizio che ne riceve l’idea stessa di socialismo nel mondo intero, acuendo la già drammatica crisi della sinistra a livello planetario.
La crisi venezuelana rappresenta, in definitiva, un banco di prova per la sinistra rivoluzionaria, e non abbiamo timore a dire che questa prova è fallita. Non sembri esagerato dire che siamo di fronte a un nuovo “4 agosto”[16]. Abbiamo addirittura letto con raccapriccio sui social post di “compagni” che si dichiarano “orgogliosi” del governo reazionario, xenofobo e razzista di Salvini e Di Maio, per il fatto che non ha riconosciuto l’autoproclamato Guaidó come presidente: segno, questo, di una degenerazione non soltanto politica, ma addirittura morale, in chi esprime bestialità del genere.
A questo punto, non si tratta più solo di ricostruire una sinistra marxista in Venezuela, compito senz’altro imprescindibile. È necessario, di fronte all’ondata reazionaria che avanza dappertutto, pensare a ricostruirla in tutto il mondo, partendo da una spietata autocritica degli enormi errori commessi, di cui questo del sostegno al chavismo‑madurismo è solo l’ultimo.
La capitolazione della sinistra rivoluzionaria in Venezuela chiama noi tutti a una responsabilità enorme. Se non saremo capaci di dare una risposta, la vittoria della reazione spiegherà i suoi nefasti effetti per molto tempo ancora.
Note
[1] V. Torre, “Venezuela: e ora?”.
[2] Si veda, ad esempio, lo spiegamento di queste organizzazioni in difesa del regime siriano di Assad.
[3] L. Al‑Shami, “The ‘anti-imperialism’ of idiots”, Leila’s blog, 14/4/2018.
[4] V. nota 1.
[5] “EE. UU. descarta una intervención militar inminente en Venezuela”, NTN 24, 1/2/2019. In ogni caso, nel decidere l’invasione, Trump dovrebbe fare i conti con l’opposizione che troverebbe in parlamento: “Why I strongly oppose U.S. intervention in Venezuela”, The Washington Post, 30/1/2019.
[6] Giova evidenziare che il capitalismo statunitense, più attento ai profitti che alle avventure belliche di Donald Trump, ha mostrato la sua contrarietà all’embargo al Venezuela, mettendo in luce i danni che ne verranno all’economia nazionale e, ovviamente, alle proprie tasche: “American refineries will feel the unintended consequences of Trump’s Venezuela crackdown”, CNN Business, 29/1/2019.
[7] Ricordiamo che nell’articolo “Venezuela: l’agonia di un’illusione” abbiamo caratterizzato quello chavista‑madurista come un regime nazionalista borghese, inquadrandolo nella tipologia del bonapartismo sui generis elaborata da Trotsky, e in particolare nella sua versione “reazionaria”.
[8] “Brutal represión a los trabajadores de Sanitarios Maracay”, Estrategia Internacional, 26/4/2007.
[9] “Chávez: represión a los obreros de Sidor, negocios para Techint”, La Verdad Obrera, 27/3/2008.
[10] Le principali Università venezuelane hanno realizzato un’indagine sulle condizioni di vita (Encovi, da cui è risultato che nel 2017 la povertà è cresciuta fino al 87%, con un aumento della povertà estrema dal 51,5% del 2016 al 61,2% dell’anno successivo. Lo studio pone in evidenza la colossale polverizzazione della classe media in termini economici, mentre emerge che nove venezuelani su dieci non possono pagarsi l’alimentazione quotidiana. Inoltre, secondo l’indagine, il 64% della popolazione ha perso in media undici chilogrammi di peso corporeo nel corso di un anno.
[11] “Comer basura: el último recurso de los venezolanos para no morir de hambre”, Infobae, 15/4/2018.
[12] Per una panoramica sulle cause della crisi in Venezuela è utile riferirsi a M. Sutherland, “La guerra económica es la excusa para tapar una mala administración”, Alemcifo, 2/10/2018. Si veda anche, dello stesso autore e sempre su questo sito, “La rovina del Venezuela non è dovuta al «socialismo» o alla «rivoluzione»”.
[13] Il discorso, rispetto a questo tema sarebbe lungo ed esula dall’argomento in esame. Rinviamo, però, al nostro articolo, sempre su questo sito, “Cuba: dalla rivoluzione alla restaurazione”.
[14] Pochi giorni fa, quindici lavoratori dell’impresa elettrica statale CorpoElec, rei di avere organizzato (fuori dell’orario di lavoro!) una protesta per aumenti salariali e migliori condizioni di lavoro, sono stati licenziati. Indubbiamente, una misura da Paese “socialista”!
[15] Subito dopo le proteste del 23 gennaio scorso, militari del feroce corpo delle Faes sono entrati con blindati nel poverissimo quartiere di Caracas, “José Félix Ribas”, una volta feudo chavista e hanno attuato una violenta repressione ai danni degli abitanti, rei di aver partecipato alle manifestazioni convocate da Guaidó. L’operazione ha avuto un saldo di almeno dieci morti e una dozzina di arresti, persone portate via incappucciate. La notizia, data con molti dettagli dall’agenzia Reuters (“Policía castiga a críticos de Maduro en zona pobre de Venezuela”, 3/2/2019, è stata ripresa persino dal sito “Aporrea”, di simpatie chaviste.
[16] Il riferimento, qui, è alla data della vergognosa capitolazione della socialdemocrazia tedesca che, il 4 agosto 1914, votò i crediti di guerra spalancando le porte al primo conflitto mondiale.