Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Polemica, Teoria

La definizione di classe operaia di Ricardo Antunes

Gerolamo di Romano detto il Romanino, "Sovrintendente che paga gli operai", (1531-32)

Recen­te­men­te, il perio­di­co web del PTS di Argen­ti­na (Par­ti­do de los Tra­ba­ja­do­res Socia­li­stas) “Izquier­da Dia­rio” ha pub­bli­ca­to un’in­ter­vi­sta al socio­lo­go bra­si­lia­no Ricar­do Antu­nes a pro­po­si­to del­la ridu­zio­ne del­la gior­na­ta di lavo­ro e del­la lot­ta per uni­re occu­pa­ti e disoc­cu­pa­ti. Nel cor­so di que­st’in­ter­vi­sta, Antu­nes “but­ta lì” una defi­ni­zio­ne di clas­se lavo­ra­tri­ce che, come osser­va l’e­co­no­mi­sta mar­xi­sta Rolan­do Asta­ri­ta in un arti­co­lo di pole­mi­ca che pre­sen­tia­mo oggi tra­dot­to in ita­lia­no, è del tut­to erro­nea da un pun­to di vista mar­xi­sta e per un’or­ga­niz­za­zio­ne che voglia costruir­si secon­do i cri­te­ri del socia­li­smo scien­ti­fi­co. Il testo di Asta­ri­ta si con­clu­de con una nota pole­mi­ca nei con­fron­ti del PTS per ave­re “ingo­ia­to” sen­za aver avan­za­to alcun distin­guo la defi­ni­zio­ne di Antunes.
Chi ci segue sa che in pas­sa­to abbia­mo ripe­tu­ta­men­te pole­miz­za­to con il “Fren­te de Izquier­da y de Trabajadores‑Unidad” (Fit‑U) – di cui il PTS fa par­te come una del­le sue prin­ci­pa­li orga­niz­za­zio­ni – a cau­sa del suo com­ple­to adat­ta­men­to al par­la­men­ta­ri­smo bor­ghe­se e alla tota­le intro­ie­zio­ne dell’ideologia domi­nan­te che pro­cla­ma la “cen­tra­li­tà” del­le isti­tu­zio­ni bor­ghe­si e la “sacra­li­tà” dell’istituzione par­la­men­ta­re bor­ghe­se (v. qui e qui). Ed è esat­ta­men­te in que­sta dire­zio­ne che, per quan­to ci riguar­da, deve esse­re rite­nu­to inscrit­to il testo di pole­mi­ca di Asta­ri­ta, come avran­no modo di apprez­za­re i nostri lettori.
Buo­na lettura.
La redazione

La definizione di classe operaia di Ricardo Antunes


Rolan­do Asta­ri­ta[*]

 

Izquier­da Dia­rio ha recen­te­men­te pub­bli­ca­to un’intervista al socio­lo­go bra­si­lia­no Ricar­do Antunes:

«La clas­se ope­ra­ia oggi com­pren­de, a mio avvi­so, tut­ti gli uomi­ni e le don­ne che vivo­no del­la ven­di­ta del­la loro for­za lavo­ro. Nel 1995 ho crea­to una defi­ni­zio­ne let­te­ra­ria, non con­cet­tua­le, ma let­te­ra­ria: “la clas­se che‑vive‑del lavo­ro”. Mi ven­ne in men­te per­ché nel 1995 André Gorz par­la­va di “non‑classe dei non‑lavoratori” (era sta­to lui stes­so a met­te­re i trat­ti­ni): che cos’è la non clas­se che vive del non lavo­ro? È un equi­vo­co com­ple­to. Per que­sto ho det­to: “la clas­se che‑vive‑del lavo­ro” era un modo sin­te­ti­co per dire, seguen­do Marx ed Engels, che la clas­se ope­ra­ia è la clas­se che vive del­la ven­di­ta del­la for­za lavo­ro».

Chia­ria­mo che Antu­nes inten­de­va pro­ba­bil­men­te dire che la clas­se ope­ra­ia è la clas­se che vive del suo lavo­ro. Anche i capi­ta­li­sti e i pro­prie­ta­ri ter­rie­ri vivo­no del lavo­ro … ma di quel­lo degli altri.
Venia­mo quin­di alla sostan­za. Lo sco­po del pre­sen­te testo è dimo­stra­re che è un erro­re per i mar­xi­sti adot­ta­re la defi­ni­zio­ne di clas­se ope­ra­ia pro­po­sta da Antu­nes. È vero che, sia il sem­pli­ce pro­dut­to­re di mer­ci (com­pre­so quel­lo auto­suf­fi­cien­te), sia il lavo­ra­to­re sala­ria­to, vivo­no del pro­prio lavo­ro. Ma da que­sto ele­men­to di somi­glian­za non si può dedur­re che entram­bi appar­ten­ga­no alla stes­sa clas­se sociale.
Il pun­to fon­da­men­ta­le è que­sto: con la defi­ni­zio­ne di Antu­nes, scom­pa­re la cen­tra­li­tà del­la pro­prie­tà, o non pro­prie­tà, dei mez­zi di pro­du­zio­ne nel­la deter­mi­na­zio­ne del­le clas­si socia­li. Il fat­to è che soste­ne­re che la clas­se ope­ra­ia com­pren­de tut­ti colo­ro che vivo­no del pro­prio lavo­ro non equi­va­le a dire che la clas­se ope­ra­ia com­pren­de tut­ti colo­ro che ven­do­no la pro­pria for­za lavo­ro al capi­ta­le. La nozio­ne di for­za lavo­ro è qua­li­ta­ti­va­men­te diver­sa dall’idea di “vive­re del lavo­ro”. La pri­ma (asso­cia­ta alla defi­ni­zio­ne di clas­se ope­ra­ia di Marx) sta­bi­li­sce dei limi­ti di clas­se rispet­to alla pic­co­la bor­ghe­sia. La secon­da (asso­cia­ta alla defi­ni­zio­ne “let­te­ra­ria” di clas­se ope­ra­ia di Antu­nes) li fa scom­pa­ri­re. Ana­liz­zia­mo la que­stio­ne in dettaglio.
Il pun­to di par­ten­za è che il sem­pli­ce pro­dut­to­re di mer­ci pos­sie­de i mez­zi di pro­du­zio­ne che impie­ga, cir­co­stan­za che gli con­sen­te di esse­re pro­prie­ta­rio del pro­dot­to che immet­te nel mer­ca­to. Di con­se­guen­za, nel mer­ca­to rea­liz­za il valo­re che ha gene­ra­to con il suo lavo­ro. Il cir­cui­to è Merce‑Denaro‑Merce. È un libe­ro pro­dut­to­re, che nel mer­ca­to si con­fron­ta con altri libe­ri pro­dut­to­ri, pro­prie­ta­ri dei loro mez­zi di pro­du­zio­ne e dei pro­dot­ti del loro lavo­ro. In que­sta rela­zio­ne socia­le non ha sen­so par­la­re di acqui­sto o ven­di­ta di for­za lavo­ro. E ha sen­so inve­ce dire che egli vive del suo lavoro.
Il lavo­ra­to­re sala­ria­to, inve­ce, non è pro­prie­ta­rio dei mez­zi di pro­du­zio­ne (secon­do l’espressione di Marx, è sta­to “libe­ra­to” dal loro pos­ses­so o dal­la loro pro­prie­tà) ed è quin­di obbli­ga­to a ven­de­re la sua for­za lavo­ro al capi­ta­le. Il suo rap­por­to è quin­di con il capi­ta­le, che si pone di fron­te a lui come pro­prie­ta­rio dei mez­zi di pro­du­zio­ne. Ciò signi­fi­ca che nel­la com­pra­ven­di­ta di for­za lavo­ro si pre­sup­po­ne la pre­sen­za di un com­pra­to­re capi­ta­li­sta e di un ven­di­to­re lavo­ra­to­re sala­ria­to. In altri ter­mi­ni, la rela­zio­ne di clas­se tra capi­ta­li­sta e lavo­ra­to­re sala­ria­to «è dun­que già pre­sen­te, già pre­sup­po­sta nel momen­to in cui entram­bi si con­trap­pon­go­no nell’atto Denaro‑Forza lavo­ro» (K. Marx, Il Capi­ta­le, t. II). Pos­sia­mo dire che il lavo­ra­to­re sala­ria­to è tale in oppo­si­zio­ne al capi­ta­le. Que­sto non signi­fi­ca nega­re che anche il sala­ria­to viva del suo lavo­ro. Ma può far­lo fin­ché accet­ta di esse­re sfruttato.
Sot­to­li­neia­mo che le dif­fe­ren­ze tra la rela­zio­ne capi­ta­li­sta e la sem­pli­ce pro­du­zio­ne di mer­ci sono qua­li­ta­ti­ve. Il sem­pli­ce pro­dut­to­re di mer­ci rice­ve in dena­ro, quan­do ven­de il suo pro­dot­to (di cui è pro­prie­ta­rio), l’equivalente del valo­re che ha gene­ra­to. Il lavo­ra­to­re sala­ria­to non è pro­prie­ta­rio del pro­dot­to che ha rea­liz­za­to con il suo lavo­ro; rice­ve solo una par­te del valo­re che ha pro­dot­to con il suo lavo­ro. In altre paro­le, la rela­zio­ne capitale‑lavoro pre­sup­po­ne che il lavo­ra­to­re ceda lavo­ro a tito­lo gra­tui­to al capi­ta­li­sta. Ciò non acca­de nel caso del sem­pli­ce produttore.
Per­tan­to, il cir­cui­to “For­za lavo­ro – Dena­ro – Mez­zi di con­su­mo” è subor­di­na­to al cir­cui­to del capi­ta­le, “Dena­ro – Mer­ce – Dena­ro valo­riz­za­to”. Inol­tre, lo scam­bio di equi­va­len­ti For­za lavo­ro – Dena­ro impli­ca uno scam­bio con­flit­tua­le, poi­ché l’uso (o l’abuso) del­la for­za lavo­ro acqui­si­ta dal capi­ta­li­sta sarà ogget­to, in varia misu­ra, di resi­sten­za da par­te del lavo­ra­to­re. Il con­flit­to di clas­se è insi­to in que­sta rela­zio­ne. Nul­la di tut­to que­sto acca­de nel caso del sem­pli­ce pro­dut­to­re di merci.
Un altro modo di vede­re la que­stio­ne è la logi­ca che pre­sie­de alla pro­du­zio­ne di mer­ci e quel­la che gover­na il pro­ces­so di pro­du­zio­ne capi­ta­li­sti­co: «Il pro­ces­so di pro­du­zio­ne, in quan­to uni­tà di pro­ces­so lavo­ra­ti­vo e di pro­ces­so di crea­zio­ne di valo­re, è pro­ces­so di pro­du­zio­ne di mer­ci; in quan­to uni­tà di pro­ces­so lavo­ra­ti­vo e di pro­ces­so di valo­riz­za­zio­ne, è pro­ces­so di pro­du­zio­ne capi­ta­li­sti­co, ossia for­ma capi­ta­li­sti­ca del­la pro­du­zio­ne di mer­ci» (K. Marx, Il Capi­ta­le, t. I). La spin­ta ad aumen­ta­re con­ti­nua­men­te il plu­sla­vo­ro (cioè il plu­sva­lo­re) è pro­pria del pro­ces­so capi­ta­li­sti­co, non del­la sem­pli­ce pro­du­zio­ne di merci.
Quan­to fin qui spie­ga­to riguar­da anche la distin­zio­ne tra lavo­ro pro­dut­ti­vo e impro­dut­ti­vo. «Lavo­ro pro­dut­ti­vo, nel sen­so del­la pro­du­zio­ne capi­ta­li­sti­ca, è il lavo­ro sala­ria­to che, nel­lo scam­bio con la par­te varia­bi­le del capi­ta­le […], non solo ripro­du­ce que­sta par­te del capi­ta­le […], ma oltre a ciò pro­du­ce plu­sva­lo­re per il capi­ta­li­sta. Solo per que­sta via la mer­ce, o il dena­ro, è tra­sfor­ma­ta in capi­ta­le, è pro­dot­ta come capi­ta­le. […] Dun­que è pro­dut­ti­va solo la capa­ci­tà lavo­ra­ti­va la cui valo­riz­za­zio­ne è mag­gio­re del suo valo­re» (K. Marx, Teo­rie sul plu­sva­lo­re, t. 1). Più avan­ti Marx chia­ri­sce che tra i lavo­ra­to­ri pro­dut­ti­vi rien­tra­no «tut­ti colo­ro che col­la­bo­ra­no d’une maniè­re ou d’une autre[1] alla pro­du­zio­ne del­la mer­ce, dal vero e pro­prio lavo­ra­to­re manua­le fino al mana­ger, all’engineer (in quan­to sono distin­ti dal capi­ta­li­sta)» (ivi). Come ave­va già sot­to­li­nea­to Adam Smith, il lavo­ro pro­dut­ti­vo vie­ne scam­bia­to diret­ta­men­te con il capi­ta­le. È il lavo­ro del sala­ria­to (inclu­dia­mo quei lavo­ra­to­ri che con­tri­bui­sco­no alla rea­liz­za­zio­ne del plu­sva­lo­re). Al con­tra­rio, il lavo­ro impro­dut­ti­vo «non si scam­bia con capi­ta­le, ma … si scam­bia diret­ta­men­te con red­di­to, quin­di con sala­rio o pro­fit­to» (ibi­dem). In gene­re, il lavo­ro del sem­pli­ce pro­dut­to­re di mer­ci rien­tra in que­sta defi­ni­zio­ne. Anco­ra una vol­ta, appa­re la dif­fe­ren­za qua­li­ta­ti­va tra la con­di­zio­ne socia­le del sem­pli­ce pro­dut­to­re di mer­ci e quel­la del lavo­ra­to­re salariato.
La dif­fe­ren­za tra le due for­me socia­li è evi­den­te anche quan­do si pas­sa dal­la pro­du­zio­ne di plu­sva­lo­re alla ripro­du­zio­ne del capi­ta­le. Nel­la rela­zio­ne capi­ta­li­sti­ca il capi­ta­li­sta, in con­di­zio­ni nor­ma­li, uti­liz­ze­rà par­te del plu­sva­lo­re per acqui­sta­re altri mez­zi di pro­du­zio­ne e for­za lavo­ro. Ecco per­ché «il pro­ces­so di pro­du­zio­ne capi­ta­li­sti­co, con­si­de­ra­to nei suoi lega­mi intrin­se­ci, ossia come pro­ces­so di ripro­du­zio­ne, non pro­du­ce dun­que sol­tan­to mer­ci, non pro­du­ce sol­tan­to plu­sva­lo­re, ma pro­du­ce e ripro­du­ce il rap­por­to capi­ta­li­sti­co stes­so, il rap­por­to socia­le con il capi­ta­li­sta da una par­te e l’ope­ra­io sala­ria­to dall’altra» (K. Marx, Il Capi­ta­le, t. 1). Ma que­sto non è il caso del lavo­ro del sem­pli­ce pro­dut­to­re di merci.

Alcu­ne con­se­guen­ze del­la defi­ni­zio­ne di Antunes
Innan­zi­tut­to, si per­de di vista il signi­fi­ca­to sto­ri­co del­la cosid­det­ta accu­mu­la­zio­ne ori­gi­na­ria, che dà ori­gi­ne al rap­por­to capi­ta­li­sti­co. «Il pro­ces­so che crea il rap­por­to capi­ta­li­sti­co non può … esse­re nient’altro che il pro­ces­so di sepa­ra­zio­ne del lavo­ra­to­re dal­la pro­prie­tà del­le pro­prie con­di­zio­ni di lavo­ro. […] Il pro­ces­so di sepa­ra­zio­ne da un lato tra­sfor­ma in capi­ta­le i mez­zi socia­li di vita e di pro­du­zio­ne, dall’ altro tra­sfor­ma i pro­dut­to­ri diret­ti in ope­rai sala­ria­ti» (K. Marx, Il Capi­ta­le, t. 1). Ma que­sto pro­ces­so è incom­pren­si­bi­le se non si distin­guo­no le tre clas­si: i pro­dut­to­ri diret­ti di mer­ci, i lavo­ra­to­ri sala­ria­ti sus­sun­ti nel capi­ta­le e i capi­ta­li­sti. Chia­ria­mo che il ragio­na­men­to si appli­ca anche ai casi in cui la pro­du­zio­ne per il mer­ca­to del pro­dut­to­re sem­pli­ce si com­bi­na con la pro­du­zio­ne per il pro­prio con­su­mo, come acca­de anco­ra oggi in mol­te comu­ni­tà con­ta­di­ne di tipo precapitalistico.
In secon­do luo­go, e col­le­ga­to a quan­to det­to sopra, nel­la nozio­ne di clas­se pro­pu­gna­ta da Antu­nes, scom­pa­re il pro­ces­so di pro­le­ta­riz­za­zio­ne che accom­pa­gna l’espansione del­la rela­zio­ne capitale‑lavoro. Lo espri­mia­mo con alcu­ni esem­pi attua­li: il pas­sag­gio dal medi­co o dal den­ti­sta che era­no pro­prie­ta­ri dei loro stu­di al medi­co o al den­ti­sta che sono lavo­ra­to­ri dipen­den­ti – e gene­ra­no plu­sva­lo­re – negli ospe­da­li e nel­le cli­ni­che pri­va­te. Un altro: il pas­sag­gio da pro­prie­ta­ri di taxi, auto­bus e camion a lavo­ra­to­ri sala­ria­ti nel­le azien­de capi­ta­li­ste di taxi, auto­bus e camion. Un altro: il pic­co­lo nego­zian­te che fal­li­sce a cau­sa del­la con­cor­ren­za del­le gran­di cate­ne e dei nego­zi e diven­ta sala­ria­to per loro. Un altro: il pic­co­lo pro­dut­to­re rura­le che per­de il suo appez­za­men­to di ter­re­no e diven­ta un sala­ria­to per il gran­de capi­ta­le agri­co­lo. E così via. Que­sti sono cam­bia­men­ti nel­la situa­zio­ne di clas­se.
In ter­zo luo­go, la dif­fe­ren­za di pro­gram­ma nel­la pro­spet­ti­va del socia­li­smo. Il pro­gram­ma socia­li­sta fa appel­lo ai lavo­ra­to­ri sala­ria­ti affin­ché assu­ma­no il con­trol­lo dei mez­zi di pro­du­zio­ne capi­ta­li­sti­ci e orga­niz­zi­no social­men­te la pro­du­zio­ne e la distri­bu­zio­ne. Il pro­gram­ma socia­li­sta nei con­fron­ti del pic­co­lo con­ta­di­no, dell’artigiano, del pic­co­lo pro­dut­to­re, inve­ce, ha le sue spe­ci­fi­ci­tà, poi­ché que­sti set­to­ri sono gene­ral­men­te aggrap­pa­ti alla loro pro­prie­tà pri­va­ta. Non svi­lup­pia­mo il pun­to in que­sta sede (un esem­pio di discus­sio­ne sul pro­gram­ma e sul­la tat­ti­ca nei con­fron­ti dei con­ta­di­ni si tro­va in “Il pro­ble­ma con­ta­di­no in Fran­cia e in Ger­ma­nia” di Engels del 1894). Ci limi­tia­mo a sot­to­li­nea­re che la dif­fe­ren­za di clas­se tra il pro­dut­to­re sem­pli­ce e il lavo­ra­to­re sala­ria­to si riflet­te anche nel pro­gram­ma e nel­la poli­ti­ca dei par­ti­ti socialisti.
Anche in que­sto caso, que­sto approc­cio ha rile­van­za per l’analisi e la poli­ti­ca del socia­li­smo rispet­to alle comu­ni­tà pre­ca­pi­ta­li­sti­che in cui la pro­du­zio­ne di mer­ca­to sem­pli­ce si com­bi­na con la pro­du­zio­ne per l’autoconsumo.
In quar­to luo­go, e ciò che for­se è più impor­tan­te, can­cel­lan­do le dif­fe­ren­ze di clas­se tra il pic­co­lo pro­dut­to­re pri­va­to e i lavo­ra­to­ri sala­ria­ti, si per­de l’asse del­la poli­ti­ca socia­li­sta: la lot­ta per l’indipendenza di clas­se. Nel mar­xi­smo, que­sta lot­ta ha come pun­to car­di­na­le la teo­ria del plu­sva­lo­re e la cri­ti­ca del regi­me socia­le basa­to sul lavo­ro sala­ria­to. In altre paro­le, l’affermazione fon­da­men­ta­le del mar­xi­smo non è che l’operaio vive del suo lavo­ro, come il sem­pli­ce pic­co­lo pro­dut­to­re, ma che è sfrut­ta­to. Ecco per­ché la sosti­tu­zio­ne del­la nozio­ne scien­ti­fi­ca (basa­ta sui rap­por­ti di pro­du­zio­ne) di clas­se ope­ra­ia con la “defi­ni­zio­ne let­te­ra­ria” di Antu­nes non è inno­cen­te dal pun­to di vista poli­ti­co. Can­cel­lan­do le dif­fe­ren­ze di clas­se tra lavo­ra­to­ri sala­ria­ti e pic­co­la bor­ghe­sia, si get­ta­no le basi per lo svi­lup­po di ogni sor­ta di popu­li­smo socia­li­sta e di pro­po­ste degli infal­li­bi­li “ami­ci del popo­lo”. E il carat­te­re di clas­se del par­ti­to socia­li­sta (mar­xi­sta) si offu­sca. Una vol­ta assi­mi­la­ta la nuo­va defi­ni­zio­ne, esso sareb­be defi­ni­to come l’organizzazione che espri­me – teo­ri­ca­men­te, poli­ti­ca­men­te e pro­gram­ma­ti­ca­men­te – gli inte­res­si del “popo­lo lavo­ra­to­re”, inte­so come “colo­ro che vivo­no del pro­prio lavo­ro”. È per que­sto che il gior­na­le del PTS ripro­du­ce la defi­ni­zio­ne di clas­se ope­ra­ia di Antu­nes sen­za com­men­ti o osservazioni?
Per con­clu­de­re, ripor­to un pas­so di Lenin che Tro­tsky ripro­dus­se favo­re­vol­men­te nel­la sua cri­ti­ca alla poli­ti­ca dell’Internazionale Comu­ni­sta in Cina negli anni Ven­ti[2].

«Nel 1906 Lenin scri­ve­va: “Un ulti­mo con­si­glio: pro­le­ta­ri e semi­pro­le­ta­ri del­le cit­tà e del­le cam­pa­gne, orga­niz­za­te­vi sepa­ra­ta­men­te. Non fida­te­vi di nes­sun pic­co­lo pro­prie­ta­rio ter­rie­ro, per quan­to pic­co­lo, nem­me­no di un ‘ope­ra­io’ … Noi soste­nia­mo pie­na­men­te il movi­men­to con­ta­di­no, ma dob­bia­mo ricor­da­re che è il movi­men­to di un’altra clas­se, non di quel­la che può e vuo­le rea­liz­za­re la tra­sfor­ma­zio­ne socia­li­sta”»[3].


Note

[1] In un modo o in un altro (N.d.T.).
[2] Que­sto lavo­ro di Tro­tsky, che in lin­gua spa­gno­la è noto come Sta­lin, el gran orga­ni­za­dor de der­ro­tas, in ita­lia­no reca il tito­lo La Ter­za Inter­na­zio­na­le dopo Lenin, Sch­warz edi­to­re (N.d.T.).
[3] Que­sto testo di Rolan­do Asta­ri­ta può ben esse­re rite­nu­to un com­ple­men­to del suo ben più cospi­cuo lavo­ro sul­la clas­se ope­ra­ia in gene­re, che pure abbia­mo pub­bli­ca­to su que­sto sito e al qua­le rin­via­mo il lettore.

 

[*] Rolan­do Asta­ri­ta è uno stu­dio­so mar­xi­sta di eco­no­mia. Inse­gna all’Università di Quil­mes e di Bue­nos Aires, in Argentina.