Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Lotta di classe

Può il 2020 essere il 1905 degli Stati Uniti?

Può il 2020 essere il 1905 degli Stati Uniti?

 

Erne­sto Rus­so e Andrea Di Benedetto

 

«Que­sta not­te dei fucili
inson­no­li­ti dal­lo sciopero.
Que­sta not­te è stata
la nostra fanciullezza
e la gio­vi­nez­za dei nostri maestri»
(B. Paster­nak, “L’anno millenovecentocinque”)

 

 

Cer­to, si trat­ta di un para­go­ne sug­ge­sti­vo. Ma ci è venu­to in men­te ricor­dan­do l’analisi che Tro­tsky fece del pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio rus­so e che costi­tui­sce una leg­ge sto­ri­ca per defi­ni­re una rivoluzione:

«La carat­te­ri­sti­ca più incon­te­sta­bi­le del­la rivo­lu­zio­ne è l’intervento diret­to del­le mas­se negli avve­ni­men­ti sto­ri­ci. […] La sto­ria del­la rivo­lu­zio­ne è per noi, innan­zi­tut­to, la sto­ria dell’irrompere vio­len­to del­le mas­se sul ter­re­no dove si deci­do­no le loro sor­ti»[1].

È indub­bio, al di là di tut­te le dif­fe­ren­ze che pos­so­no rin­ve­nir­si fra la Rus­sia del 1905 e gli Usa del gior­no d’oggi (su alcu­ne del­le qua­li ci sof­fer­me­re­mo nel­le righe che seguo­no), che l’assassinio di Geor­ge Floyd da par­te di una pat­tu­glia del­la poli­zia di Min­nea­po­lis – ulti­mo epi­so­dio di una lun­ga serie di ucci­sio­ni e vio­len­ze ai dan­ni del­la popo­la­zio­ne afroa­me­ri­ca­na – abbia sca­te­na­to un’irruzione di mas­sa nel­le piaz­ze del Pae­se che più di tut­ti gli altri rap­pre­sen­ta il sim­bo­lo del capi­ta­li­smo impe­ria­li­sta a livel­lo mon­dia­le. Dal­le mega­lo­po­li alle pic­co­le cit­ta­di­ne del­la peri­fe­ria, gli Sta­ti Uni­ti sono sta­ti inva­si da una vera e pro­pria marea uma­na che, incu­ran­te del­la mili­ta­riz­za­zio­ne del­le stra­de, del­la fero­ce repres­sio­ne e per­fi­no del copri­fuo­co, sta pro­te­stan­do con­tro il raz­zi­smo che inner­va l’insieme del­le isti­tu­zio­ni ame­ri­ca­ne, e di cui quel­lo poli­zie­sco rap­pre­sen­ta solo il feno­me­no più evidente.
Le mani­fe­sta­zio­ni, inne­sca­te dall’efferato omi­ci­dio di Floyd, han­no mes­so a fer­ro e fuo­co l’intera nazio­ne: non sono rima­ste con­te­nu­te nei limi­ti di una pro­te­sta con­tro la bru­ta­li­tà del­la poli­zia, ma, unen­do set­to­ri di popo­la­zio­ne bian­ca e nera, han­no assun­to – alme­no embrio­nal­men­te, e soprat­tut­to nei pri­mi gior­ni – un carat­te­re di con­te­sta­zio­ne più pro­fon­da ver­so il siste­ma. Sono appar­se sui muri dei nego­zi sac­cheg­gia­ti fra­si ripre­se da ope­re di Karl Marx e, sui car­tel­li di pic­co­le orga­niz­za­zio­ni d’avanguardia, slo­gan inneg­gian­ti alla rivo­lu­zio­ne[2].

«Quan­do ver­rà il nostro tur­no non dovre­mo cer­ca­re del­le scu­se per il ter­ro­re» (K. Marx)

Ed ecco per­ché ci è tor­na­to alla men­te quell’episodio sto­ri­co e da que­sto sia­mo par­ti­ti nell’affrontare que­sto scritto.

San Pie­tro­bur­go, 9 gen­na­io 1905
Ma per veri­fi­ca­re se e fino a che pun­to esso pos­sa esse­re raf­fron­ta­to con quan­to sta acca­den­do in que­ste set­ti­ma­ne negli Usa gio­va ricor­da­re bre­ve­men­te quei fatti.
A San Pie­tro­bur­go, il 9 gen­na­io 1905 – pas­sa­to poi alla sto­ria come la “Dome­ni­ca di san­gue” – un cor­teo ope­ra­io di cir­ca 200.000 per­so­ne, gui­da­to da un pre­te – il pope Gapon – e nel qua­le era­no sta­ti vie­ta­ti inni e ban­die­re (soprat­tut­to ros­se), men­tre veni­va­no inve­ce por­ta­te in pro­ces­sio­ne ico­ne reli­gio­se, giun­se fino alle por­te del Palaz­zo d’Inverno per con­se­gna­re allo zar in per­so­na una sup­pli­ca scrit­ta con­te­nen­te richie­ste per miglio­ra­re la vita mise­ra­bi­le dei lavo­ra­to­ri. Sen­za far­si il mini­mo scru­po­lo, lo zar die­de ordi­ne alla trup­pa di spa­ra­re sul cor­teo. Fu una car­ne­fi­ci­na, con diver­se miglia­ia di morti.
Il ten­ta­ti­vo di con­se­gna­re la peti­zio­ne allo zar cul­mi­nò dun­que in un bagno di san­gue. Tut­ta­via, quel­la del 9 gen­na­io 1905 fu la scin­til­la del­la pri­ma rivo­lu­zio­ne rus­sa: una rivo­lu­zio­ne che ven­ne poi liqui­da­ta ver­so la fine dell’anno. Ma nei mesi suc­ces­si­vi alla “Dome­ni­ca di san­gue” ven­ne­ro tra­sci­na­te nel­la lot­ta cen­ti­na­ia di miglia­ia di ope­rai che fino a quel momen­to era­no sta­ti ras­se­gna­ti e pas­si­vi, come pure set­to­ri dell’esercito e del­la marina.
Si trat­tò del­la “pro­va gene­ra­le” del­la Rivo­lu­zio­ne dell’ottobre del 1917, il pri­mo atto di un pro­ces­so che fu in gesta­zio­ne per dodi­ci anni pas­san­do tra alter­ne vicen­de. In sostan­za, fu la brec­cia aper­ta in un muro che, pur sem­bran­do indi­strut­ti­bi­le, si sbri­cio­lò poi fino a crollare.

L’assassinio di Geor­ge Floyd: un fiam­mi­fe­ro in una polveriera
Cer­to, anche un sin­go­lo epi­so­dio – come quel­lo dell’assassinio di Geor­ge Floyd – può esse­re la scin­til­la in gra­do di appic­ca­re il fuo­co alle fasci­ne da tem­po accu­mu­la­te, ma che negli ulti­mi mesi ave­va­no pro­dot­to una situa­zio­ne inso­ste­ni­bi­le per un’ampia fet­ta di popo­la­zio­ne sta­tu­ni­ten­se. Il coro­na­vi­rus, infat­ti, ha col­pi­to mol­to di più le etnie afroa­me­ri­ca­ne, lati­ne e indi­ge­ne, rispet­to a quel­la bian­ca: stu­di indi­pen­den­ti dimo­stra­no che il tas­so di mor­ta­li­tà fra i neri è di 2,4 vol­te più alto rispet­to ai bian­chi. L’emergenza sani­ta­ria, inol­tre, ha esa­cer­ba­to le dispa­ri­tà eco­no­mi­che già in pre­ce­den­za esi­sten­ti: nel solo mese di apri­le sono anda­ti per­du­ti 20,5 milio­ni di posti di lavo­ro (col tas­so di disoc­cu­pa­zio­ne che è sali­to al 14,7%). Secon­do i dati Gal­lup dei gior­ni scor­si, il 37% dei lavo­ra­to­ri meno istrui­ti e appar­te­nen­ti a fami­glie a bas­so red­di­to (cioè, i cui introi­ti sono infe­rio­ri a 36.000 dol­la­ri all’anno) ha già per­so il lavo­ro a cau­sa del Covid‑19 e un altro 58% ha subi­to un decre­men­to red­di­tua­le. E fra chi è sta­to licen­zia­to solo il 30% ha fino­ra rice­vu­to un’indennità di disoccupazione.
Dun­que, la situa­zio­ne era già ai limi­ti dell’esplosività quan­do Geor­ge Floyd è sta­to bru­tal­men­te ammaz­za­to, e le imma­gi­ni del­la sua lun­ga ago­nia sot­to il ginoc­chio del poli­ziot­to che insie­me al resto del­la pat­tu­glia lo ha assas­si­na­to ne sono sta­te il detonatore.
Che non si sia trat­ta­to del­lo stes­so tipo di pro­te­ste occor­se in pas­sa­to con­tro le vio­len­ze – soprat­tut­to a sfon­do raz­zia­le – del­le bru­ta­li for­ze dell’ordine sta­tu­ni­ten­si, lo si è capi­to subi­to: non solo e non tan­to per l’estrema radi­ca­li­tà del­le azio­ni di piaz­za, quan­to per la loro rapi­da espan­sio­ne di mas­sa in tut­to il Pae­se e la com­po­si­zio­ne gio­va­ni­le e inte­ret­ni­ca del­le mani­fe­sta­zio­ni. Se da un lato sono anda­ti in sce­na i latra­ti da cane rab­bio­so da par­te di Donald Trump, che ave­va minac­cia­to di schie­ra­re l’esercito nel­le stra­de con­tro i mani­fe­stan­ti, dall’altro i set­to­ri più avve­du­ti dell’establishment han­no opta­to, pur se fau­to­ri e fian­cheg­gia­to­ri di una comun­que vio­len­ta repres­sio­ne dei cor­tei, per un atteg­gia­men­to più con­ci­lian­te e in gra­do di cana­liz­za­re la pro­te­sta in un alveo più con­trol­la­to: ecco per­ché abbia­mo visto gene­ra­li dis­sua­de­re il pre­si­den­te dall’idea di met­te­re in cam­po le for­ze arma­te; gover­na­to­ri riti­ra­re dal­le stra­de la Guar­dia nazio­na­le in un pri­mo tem­po schie­ra­ta; giu­di­ci arre­sta­re a furor di popo­lo i quat­tro poli­ziot­ti respon­sa­bi­li dell’assassinio di Geor­ge Floyd; poli­ziot­ti fra­ter­niz­za­re e sin­da­ci soli­da­riz­za­re coi mani­fe­stan­ti; isti­tu­zio­ni loca­li assu­me­re la paro­la d’ordine del “defun­ding poli­ce” (cioè, il taglio dei gene­ro­si finan­zia­men­ti ai bilan­ci del­le for­ze dell’ordine); con­si­gli comu­na­li (come quel­lo di Min­nea­po­lis) dichia­ra­re la volon­tà di pre­sen­ta­re ordi­ni del gior­no per “sman­tel­la­re” il dipar­ti­men­to di poli­zia[3].

E ora? Una pro­spet­ti­va necessaria
E allo­ra, pos­sia­mo cer­ca­re di dare una pri­ma e appros­si­ma­ti­va rispo­sta all’interrogativo che ha aper­to, dan­do­gli il tito­lo, que­sto scrit­to. Può que­sto 2020 esse­re il 1905 degli Sta­ti Uni­ti? Può esse­re già da oggi l’inizio di un’auspicabile rivo­lu­zio­ne nel cuo­re del capi­ta­li­smo impe­ria­li­sta mondiale?
Se non si vuo­le fini­re nel­le sec­che di una peri­co­lo­sa – e dan­no­sa per il movi­men­to – let­tu­ra impres­sio­ni­sti­ca del­le pro­te­ste, la rispo­sta è obbli­ga­ta. Ed è, allo sta­to del­le cose, un roton­do “no”.
A San Pie­tro­bur­go, e pra­ti­ca­men­te in tut­to il ter­ri­to­rio dell’impero rus­so, il 1905 vide for­mar­si, su un retro­ter­ra for­ma­to dal­le idee del mar­xi­smo che nei decen­ni pre­ce­den­ti era­no sta­te semi­na­te, un movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio di mas­sa con­no­ta­to da gigan­te­schi e dura­tu­ri scio­pe­ri gene­ra­li dal carat­te­re poli­ti­co, con orga­ni­smi di autor­ga­niz­za­zio­ne ope­ra­ia – i soviet – che sor­se­ro nel vivo del pro­ta­go­ni­smo ope­ra­io e agi­va­no come embrio­ni di dop­pio pote­re; la clas­se ope­ra­ia, e per­fi­no i con­ta­di­ni in alcu­ne regio­ni, era­no in cam­po con tut­ta la loro for­za para­liz­zan­do l’economia del Pae­se; e, come se non bastas­se, i bol­sce­vi­chi acqui­si­ro­no, nel cor­so del­la lot­ta, un’influenza sul­le mas­se che si rive­lò poi deter­mi­nan­te nel­l’in­di­riz­za­re il pro­ces­so che por­tò infi­ne i lavo­ra­to­ri al pote­re nell’ottobre del 1917.
Negli Sta­ti Uni­ti di que­ste set­ti­ma­ne, se da una par­te assi­stia­mo a impor­tan­ti feno­me­ni di autor­ga­niz­za­zio­ne (ad esem­pio, cit­ta­di­ni – soprat­tut­to neri – che crea­no pat­tu­glie arma­te per difen­de­re le loro comu­ni­tà dagli attac­chi di supre­ma­ti­sti bian­chi), dall’altra non c’è al momen­to l’irruzione in sce­na del­la clas­se ope­ra­ia in quan­to tale.
I sin­da­ca­ti sta­tu­ni­ten­si sono par­ti­co­lar­men­te rea­zio­na­ri e, come ha evi­den­zia­to l’inchiesta del “The Cen­ter for Public Inte­gri­ty”, lega­ti a filo dop­pio con quel­li del­la poli­zia, per cui non sem­bra­no ave­re, in fun­zio­ne del­la loro con­no­ta­zio­ne buro­cra­ti­ca e del­la pres­so­ché tota­le inte­gra­zio­ne nel­lo Sta­to capi­ta­li­sta, alcu­na inten­zio­ne di sof­fia­re sul fuo­co del­la pro­te­sta dei lavo­ra­to­ri: i qua­li, se para­liz­zas­se­ro l’economia – un’economia, è bene ricor­dar­lo, che sta già viven­do una fase di pro­fon­da reces­sio­ne dovu­ta alla pan­de­mia – potreb­be­ro dav­ve­ro impri­me­re alla pur mas­sic­cia pro­te­sta un carat­te­re di clas­se e dare un signi­fi­ca­to mol­to più “poli­ti­co” alle riven­di­ca­zio­ni di giu­sti­zia socia­le che ven­go­no oggi agi­ta­te nel­le piaz­ze, inqua­dran­do­le in una pro­spet­ti­va com­ples­si­va­men­te rivoluzionaria.
D’altro can­to, i poli­ti­ci libe­ral stan­no svol­gen­do il ruo­lo di pom­pie­ri del­la giu­sta rab­bia popo­la­re fin­gen­do di imme­de­si­mar­si nel dolo­re col­let­ti­vo allo sco­po di impa­dro­nir­si del­le pro­te­ste e inca­na­lar­le nel­le urne del­le pros­si­me ele­zio­ni pre­si­den­zia­li, capi­ta­liz­zan­do così un con­sen­so costrui­to sul­le aspet­ta­ti­ve di giu­sti­zia socia­le del­la popo­la­zio­ne. Non a caso, i son­dag­gi sem­bra­no rico­no­sce­re un impor­tan­te van­tag­gio allo sfi­dan­te demo­cra­ti­co Joe Biden su Donald Trump: quel­lo stes­so Biden che ha dichia­ra­to che la poli­zia dovreb­be esse­re adde­stra­ta a spa­ra­re alle gam­be, piut­to­sto che al petto.
E, ad aggra­va­re que­sto qua­dro, non c’è alcu­na orga­niz­za­zio­ne rivo­lu­zio­na­ria che abbia una sia pur mini­ma influen­za di mas­sa per indi­riz­za­re la dina­mi­ca in atto ver­so una rea­le pro­spet­ti­va di rottura.
Que­sto signi­fi­ca allo­ra che il desti­no è già scrit­to e che le impo­nen­ti mani­fe­sta­zio­ni cui abbia­mo assi­sti­to riflui­ran­no sen­za lascia­re il segno? Asso­lu­ta­men­te no.
Il desti­no del­le mas­se lavo­ra­tri­ci è, come sem­pre, nel­le loro stes­se mani e noi, come mar­xi­sti, sia­mo otti­mi­sti e fidu­cio­si cir­ca il loro istin­to di clas­se e le loro poten­zia­li­tà rivo­lu­zio­na­rie. Come abbia­mo già segna­la­to, allo sta­to, non sem­bra­no esser­vi gli ele­men­ti per dare una rispo­sta affer­ma­ti­va qui e ora all’interrogativo che dà il tito­lo a que­sto scrit­to. Ma la clas­se ope­ra­ia non deve esse­re impa­zien­te: quel­lo che è acca­du­to in que­ste set­ti­ma­ne si va sedi­men­tan­do nel­le coscien­ze del­le mas­se popo­la­ri e costi­tui­rà la base su cui nuo­ve lot­te sor­ge­ran­no, con anco­ra più for­za, per abbat­te­re il siste­ma capi­ta­li­sta. Le mobi­li­ta­zio­ni di pro­te­sta a par­ti­re dall’assassinio di Geor­ge Floyd già oggi sono ser­vi­te come pri­mo tas­sel­lo per costrui­re quel­la coscien­za di sé in quan­to clas­se che fino ad oggi a quel­le mas­se è mancata.
Cre­dia­mo, insom­ma, che quel­la brec­cia nel muro si stia comin­cian­do ad aprire.
Poten­zial­men­te, que­sto 2020 potrà esse­re per gli Sta­ti Uni­ti non solo un 1905, ma, quan­do saran­no matu­re le con­di­zio­ni, un 1917.


Note

[1] L. Tro­tsky, Sto­ria del­la Rivo­lu­zio­ne rus­sa, Arnol­do Mon­da­do­ri edi­to­re, 1978, vol. 1, p. 9 e s.
[2] “It ain’t a riot. It’s a revo­lu­tion” (Non è una rivol­ta. È una rivo­lu­zio­ne), ripren­den­do il famo­so dia­lo­go fra Lui­gi XVI e il duca di Lian­court alla noti­zia del­la pre­sa del­la Basti­glia: “C’est une révol­te?”. “Non, Sire, c’est une révo­lu­tion”.
[3] Un impe­gno, que­sto, asso­lu­ta­men­te gene­ri­co e in con­cre­to lon­ta­nis­si­mo da un’idea di disar­mo e sop­pres­sio­ne dei cor­pi di polizia.