Benché il suo partito, Unidas Podemos, abbia ottenuto un piccolo aumento sia in termini di voti che di seggi alle elezioni tenutesi pochi giorni orsono nella Comunità autonoma di Madrid, è stato Pablo Iglesias, il capo indiscusso di quell’organizzazione, ad uscire politicamente sconfitto dalle consultazioni.
Iglesias aveva gettato tutto il proprio peso nella campagna elettorale per tentare di invertire la forte tendenza verso destra del voto popolare che già si percepiva. E per farlo aveva rinunciato al suo incarico di vicepremier del governo nazionale, ma la mossa disperata non è servita. In una conferenza stampa immediatamente convocata, il leader di Podemos ha annunciato – in un clima da psicodramma – il proprio abbandono della politica attiva e le dimissioni dagli incarichi di partito. Si è consumata così la triste parabola declinante, non solo di Iglesias, ma del suo stesso partito, di cui egli era il padre‑padrone.
Nato come partito “antisistema” sull’onda delle enormi manifestazioni di protesta iniziate in Spagna il 15 maggio 2011, da cui sorse il movimento degli Indignados, Podemos si è progressivamente accomodato su posizioni di compatibilità verso quello stesso sistema. Il “manifesto” di questo esito venne declinato proprio da Iglesias in un famoso video del 2016, in cui egli ripudiava come “sciocchezze” le idee portate avanti «quando eravamo di estrema sinistra»: il “nuovo corso” di Podemos non era più nelle strade, ma nelle istituzioni, perché «è da dentro che si cambiano le cose».
Ma in realtà l’anima riformista di quest’organizzazione, che si traduceva in una chiara pulsione alla collaborazione di classe con la borghesia, era evidente da molto prima. Per questo, Podemos è stato perfettamente funzionale al mantenimento del sistema spagnolo: è stato un cavallo su cui la stessa borghesia ha puntato senza soverchie resistenze, considerando le prove di “affidabilità” che Iglesias le forniva costantemente.
Un piccolo, ma significativo, esempio di quanto diciamo sta nella campagna elettorale del 2015, quando Podemos candidò nelle proprie liste l’ex Capo di Stato Maggiore spagnolo, il generale Julio Rodríguez, vale a dire il vertice della cupola militare dello Stato borghese: una scelta che non si è limitata alla sola candidatura di un esponente dell’istituzione repressiva, ma che si è spinta fino ad inglobarlo nella direzione esecutiva del partito, rendendolo così “organico” al partito stesso.
Presentiamo perciò ai nostri lettori questo gustosissimo testo ironico scritto dal compagno Antonio Liz, valente storiografo marxista, in cui l’autore immagina la telefonata fra Iglesias e il generale Rodríguez, al momento di proporgli la candidatura alle elezioni del 2015.
Buona lettura.
La redazione
Come Pablo Iglesias candidò l’ex Capo di Stato Maggiore
Antonio Liz[*]
Driiinnn. Driiinnn. Driiinnn.
-Pronto?
-Buongiorno, mio generale.
-Perbacco, Pablito, come stai?
-Ecco, mio generale, sto organizzando le liste di Podemos per le prossime elezioni. Un lavoro che non mi fa dormire ma che mi dà una certa soddisfazione.
-Molto bene, amico, molto bene. Coraggio, vedo che stai diventando una persona responsabile. Lo avevo già detto ai miei amici che avevi molto senso dello Stato.
-Sì, mio generale. Proprio per questo La chiamo, voglio che Lei si candidi nella nostra lista per le prossime elezioni politiche.
-Cazzo, Pablito, che stai dicendo?
-Il fatto è che voglio formare un Esercito Rivoluzionario composto solo da figli della classe lavoratrice e voglio che sia Lei ad addestrarli. Voglio che siano all’altezza delle tecniche difensive quando andremo a dichiarare lo Stato della Nuova Economia. Così daremo al mondo una lezione su come si possono fare le cose, costruendo il futuro ma contando sui migliori elementi del passato.
-Non prendermi per il culo, Pablito, dici davvero?
-Ma mio generale, come si può bere questa frottola? Guarda un po’: Lei è l’unico che mi prende sul serio.
-Ah, cazzo. Ancora un po’ e mi avresti spaventato. Ancora mi ricordo di quando parlavi della “casta” e io dovetti difenderti con i miei amici: “Ma no, ma no, è un ragazzo serio, il fatto è che quando uno entra in politica deve dire certe cose diverse perché altrimenti non lo cagano di striscio. E quale miglior modo di mettere sotto pressione i popolari e i socialisti rovinandogli un po’ le uova nel paniere? Tranquilli, è un bravo ragazzo, rispondo io per lui”, dissi loro.
-Grazie mio generale, Lei mi ha sempre compreso.
-Ma è chiaro, amico. Proprio l’altro giorno ci siamo fatti un sacco di risate i miei amici ed io quando hai detto una cosa del tipo “sosterrò i poveri senza attaccare i ricchi”. Davvero, è stato geniale. Abbiamo detto: questo ragazzo ha una grandissima intelligenza naturale.
-Sì, mio generale. Sa, quando uno entra in politica deve coniare degli slogan che suonino bene benché non dicano nulla, poiché è con la forma che si conservano le persone: a chi cavolo interessano adesso misure programmatiche?
-Hai proprio ragione, Pablito. Certo, come si vede che sei un professore universitario, con che naturalezza utilizzi l’espressione “misure programmatiche”! Bene, amico. Dimmi perché mi hai chiamato. Mi aspettano per una partita a poker e, come sai, mi piace essere puntuale.
-Non La intratterrò molto. In realtà, L’ho chiamata perché faccia parte delle nostre liste.
-Ah, è uno scherzo?
-No mio generale, no. Vogliamo trasmettere un’idea di serietà. Su, che non siamo antisistema. E quale migliore esempio che candidare nelle nostre liste l’ex Capo di Stato Maggiore del nostro esercito, colui che si occupa in ultima analisi della nostra sicurezza, colui che ci protegge …
-Suvvia Pablito, noi ci conosciamo. Ma tu davvero credi che io ti possa essere utile? Non sembrerà piuttosto una buffonata? Guarda che sono molto orgoglioso della mia funzione di militare, come sai bene.
-Proprio per questo, mio generale, perché Lei rappresenta il nuovo tipo di militare che vogliamo per il Nuovo Stato. Un uomo con conoscenze militari e con una grande vocazione democratica.
-Bene, amico, bene. Farò tutto il possibile. Ma hai già parlato con i tuoi amici? Come è parsa a loro la tua idea?
-Lei già lo sa, mio generale, chi decide sono io. L’unica cosa che voglio sapere è se Lei è contento di sostenere il mio programma di cambiamento. Il resto lo sistemerò io.
-Bene, amico, in realtà mi hai un po’ sorpreso. Però, cazzo, pensandoci bene per me sarà una nuova esperienza, in fondo oggi comandare civili non è molto diverso che comandare militari.
-Dunque, accetta, mio generale?
-Ma sì, Pablito. Accetto.
-La ringrazio infinitamente, mio generale. La candiderò a Saragozza, cioè nella città della patrona di Spagna. Bisogna arraffare voti in ogni modo.
-Cavolo, pensi a tutto. Non mi meraviglia che tu stia dove sei. Bene, allora aspetto una tua chiamata per le questioni formali.
-Non si preoccupi, mio generale, sarà mia cura.
-Molto bene, Pablito, allora mi informerai. Cazzo, sto pensando che i miei amici ci rimarranno di sasso.
-Anche Lei ha molto polso, mio generale.
-Sì, Pablito, sì. Bene, allora ti saluto.
-Ricambio, mio generale.
NOTA DELL’AUTORE: questa conversazione telefonica mi è stata fornita dai miei amici di WikiLeaks, e così la riproduco.
(Traduzione di Valerio Torre)
[*] Antonio Liz è uno storiografo. Militante marxista spagnolo, ha scritto numerosi libri, tra cui Trotski y su tiempo (1879‑1940), Revolución y Contrarrevolución. La II República y la Guerra Civil española (1931–39), Octubre de 1934: insurrecciones y Revolución.