Perché ancora oggi torniamo sulla crisi greca del 2015, sulle drammatiche trattative fra Tsipras e Varoufakis da un lato e i membri della Troika europea dall’altro; sul referendum che riempì di speranza il popolo greco e i lavoratori europei che guardavano da un versante di classe alle dolorose vicende del Paese ellenico; sulla vergognosa capitolazione del governo di Syriza che tradì il responso popolare espressosi con l’όχι (NO) al memorandum capestro imposto dall’Ue? È ancora il caso di parlarne, oggi che quegli avvenimenti sembrano morti e sepolti?
La risposta è indubbiamente affermativa: perché quella crisi non fu solo “greca”, ma fece scricchiolare le fondamenta di quella macchina da guerra contro i lavoratori di tutto il Vecchio continente che è l’Unione europea. I primi nove mesi del 2015, da gennaio a settembre, hanno fatto balenare davanti agli occhi delle borghesie capitaliste d’Europa, dei loro governi e dei loro strumenti repressivi (la c.d. Troika), lo spettro di una possibile frantumazione della loro costruzione. C’è stato un momento, durante le trattative con il governo Tsipras, in cui quelli che sembravano gli onnipotenti signori dell’Ue erano incerti sul da farsi.
Quella non fu solo la “crisi greca”. Fu invece una particolare e acutissima congiuntura di crisi del capitalismo all’interno della più ampia crisi scoppiata nel 2008‑2009. E, come sempre, queste fasi di acuta crisi rappresentano anche un momento di estrema debolezza del sistema. Ma se in queste fasi non c’è un adeguato progetto che stimoli e diriga una spinta rivoluzionaria, il sistema guadagna tempo per ristrutturarsi.
E in quel 2015, Syriza e il suo governo “regalarono” il tempo necessario perché il sistema capitalistico si ristrutturasse chiudendo quella fase potenzialmente distruttiva.
Sia chiaro, a dispetto della lettura che una parte della sinistra ne ha dato, quello non fu un “tradimento”: Syriza non era un partito rivoluzionario, non voleva rovesciare il capitalismo; voleva soltanto addolcirne gli effetti. Con la convocazione del referendum sul terribile Memorandum d’intesa con la Troika Tsipras non intendeva ottenere il mandato per “espellerla” dal Paese, ma solo una via d’uscita dal cul de sac in cui s’era cacciato. Le successive dimissioni dell’esecutivo non rappresentavano una presa d’atto della sconfitta politica di Syriza, ma unicamente una maniera per riprendere, attraverso nuove elezioni, le redini del governo per gestire senza opposizione interna le nuove e più atroci politiche “lacrime e sangue” imposte alla Grecia.
E allora si capisce perché la risposta alle domande iniziali sia affermativa. Perché dalle sconfitte – e quella dei lavoratori e delle masse popolari elleniche lo è stata – si debbono trarre lezioni. Però quella sconfitta non fu solo del movimento operaio greco, ma di quello dell’intero continente europeo: che non è stato in grado, per la sua stessa debolezza, di imporre alle proprie organizzazioni politiche e sindacali di imprimere una politica diversa, che potesse riverberarsi sull’azione delle masse greche, rimaste sole di fronte al Moloch capitalistico.
Oggi, in Italia settori ancora marginali della sinistra combattiva hanno iniziato a discutere modalità per unire lavoratori che comunque, sia pur divisi, stanno lottando. A partire da ciò, sembra emergere una pulsione organizzativa, sebbene al momento confusa ed embrionale, ma nondimeno importante.
Noi crediamo che, al di là delle forme che questa pulsione vorrà e potrà assumere, sia importante tenere a mente ciò che la crisi greca ci ha mostrato. Qualunque tipo di costruzione si intenderà intraprendere a partire da questo percorso ancora agli inizi, non si potrà prescindere dagli insegnamenti che dobbiamo trarre dagli avvenimenti che hanno visto il movimento operaio greco protagonista, sia nelle imponenti mobilitazioni che nella sconfitta. Una sconfitta che ha un nome ben preciso: riformismo.
Perciò presentiamo la traduzione in italiano del puntuale articolo del noto economista marxista Michael Roberts, il quale, attraverso il commento a un libro di Eric Toussaint, ripercorre la vicenda greca evidenziando proprio la necessità – se si ha in mente un progetto di trasformazione socialista della società – di trarre da quella vicenda gli insegnamenti utili per non battere una strada sbagliata commettendo di nuovo errori che peserebbero come macigni sulle spalle delle classi lavoratrici.
Buona lettura.
La redazione
Capitolazione fra adulti
Michael Roberts[*]
Durante il confinamento dovuto alla pandemia, ho avuto l’opportunità di leggere una serie di nuovi libri di economia, tra i quali alcuni marxisti. Sembra che molti dei più importanti economisti abbiano pubblicato nuovi lavori negli ultimi due mesi. Nelle prossime settimane pubblicherò alcune recensioni di questi.
Comincio con Sellouts in the Room, di Eric Toussaint. Pubblicato nel marzo 2020 dapprima in francese con il titolo Capitulation entre Adultes (Capitolazione tra adulti), e in greco, il libro sarà disponibile in inglese entro la fine del 2020. Eric Toussaint ci riporta agli eventi della crisi del debito greco quando la Troika (Commissione europea, Bce e Fmi) cercò di imporre un drastico programma di austerità al popolo greco in cambio di “fondi di salvataggio” per coprire i debiti contratti dalle banche e dal governo greco verso creditori stranieri, visto che le possibilità di finanziamento per la Grecia sui mercati si erano esaurite e il Paese marciava verso il default.
All’inizio del 2015, il popolo greco aveva mandato al governo il partito di sinistra Syriza, che si era impegnato a resistere alle misure di austerità. Il nuovo primo ministro Tsipras aveva nominato come ministro delle Finanze il già ben noto economista di sinistra Yanis Varoufakis per negoziare un accordo con la Troika. Come oggi sappiamo, Varoufakis non fu in grado di persuadere la Troika e i leader dell’Ue a rinunciare alle loro richieste di austerità. Tsipras indisse allora un referendum perché il popolo greco si esprimesse sull’opportunità di accettare le richieste della Troika. Nonostante una massiccia campagna mediatica da parte della stampa capitalista e le terribili minacce della Troika e lo strangolamento dell’economia e delle banche greche da parte della Bce, con il 60% dei voti il popolo greco decise di respingere il piano della Troika. Ma subito dopo il voto, Tsipras capitolò alla Troika e ha accettò le sue richieste.
Varoufakis si dimise da ministro delle Finanze e in seguito scrisse un resoconto dei suoi negoziati con la Troika, dal titolo Adulti nella stanza. Anche Éric Toussaint era in Grecia all’epoca. Stava coordinando il lavoro di una commissione di revisione del debito istituito dal presidente del parlamento ellenico nel 2015 per esaminare la natura del debito che i greci dovevano a banche europee, fondi speculativi e altri governi. «Ho vissuto quasi tre mesi ad Atene tra febbraio e luglio 2015, e, nell’ambito del mio lavoro di coordinatore scientifico dell’audit del debito greco, ero in contatto diretto con un certo numero di membri del governo Tsipras». Toussaint ha ora scritto una visione alternativa di quegli eventi rispetto a quella raccontata da Varoufakis. E rappresenta una critica devastante del governo Syriza e della strategia e tattica di Varoufakis nel 2015.
Ciò che accadde allora ha ancora importanza? Toussaint ritiene di sì, perché ci sono lezioni importanti da imparare dalla crisi del debito greco. L’opinione comune oggi è che Syriza non avesse altra alternativa, se non sottomettersi alla Troika; in caso contrario, le banche greche sarebbero collassate, l’economia si sarebbe sgretolata e la Grecia, abbandonata al suo destino, sarebbe stata espulsa dall’Unione Europea. Ad esempio, Paul Mason, giornalista e scrittore britannico di sinistra, scrisse nel 2017: «Continuo a credere che Tsipras avesse ragione a chinare il capo di fronte all’ultimatum dell’Ue, e che Varoufakis avesse torto per il modo in cui aveva progettato la sua strategia basandola sulla “teoria dei giochi”».
Toussaint rifiuta la narrativa del TINA (“there is no alternative”: non c’è alternativa), sostenendo che c’era una strategia alternativa che Syriza avrebbe potuto seguire; e, in particolare, ascrive a Varoufakis la responsabilità di non averla individuata o adottata nel suo ruolo di ministro delle Finanze. Dal punto di vista di Toussaint, Varoufakis è partito dalla premessa di dover persuadere i membri della Troika ad agire da “adulti” allo scopo di ottenere un ragionevole compromesso. Fin dall’inizio Varoufakis ha formulato controproposte estremamente minime alle misure di austerità della Troika: «Varoufakis ha rassicurato i suoi interlocutori che il governo greco non avrebbe chiesto una riduzione dello stock del debito, e non ha mai messo in discussione la legittimità o la legalità del debito il cui rimborso è stato chiesto alla Grecia». Non ha mai rivendicato il diritto e la volontà del governo greco di procedere a una verifica dei debiti della Grecia, dice Toussaint.
E Varoufakis non solo ha detto che il governo da lui rappresentato non avrebbe messo in discussione le privatizzazioni realizzate dal 2010, ma ha anche aperto alla possibilità che se ne facessero altre. In effetti, Varoufakis ha ripetutamente detto ai leader europei che il 70% delle misure previste nel Memorandum d’Intesa della Troika erano accettabili. Mentre Varoufakis discuteva con questi “adulti in una stanza”, il governo di Syriza continuava a pagare diversi miliardi di euro di debiti tra febbraio e il 30 giugno 2015, mentre la Troika non ha messo a disposizione un solo euro. Le casse pubbliche hanno continuato ad essere svuotate, principalmente a beneficio del Fmi.
Quando, alla fine di febbraio 2015, raggiunsero un accordo con la Troika per estendere il secondo Memorandum d’Intesa, Varoufakis e la cerchia ristretta attorno a Tsipras non mostrarono mai la minima volontà di agire se i creditori si fossero rifiutati di fare concessioni. E invece questi ultimi diedero ampia dimostrazione di disprezzo per il governo greco.
Soprattutto, dice Toussaint, i ministri del governo di Syriza non presero tempo per incontrare il popolo greco, per parlare alle manifestazioni in cui erano rappresentate le masse popolari greche. Non hanno viaggiato per il Paese per incontrare e parlare con gli elettori e spiegare cosa stava succedendo durante i negoziati o le misure che il governo voleva prendere per combattere la crisi umanitaria e riavviare l’economia nazionale. Hanno totalmente omesso di fare appello ai lavoratori d’Europa e di altri Paesi per avere sostegno. Invece, Varoufakis e gli altri ministri greci competenti hanno continuato a perseguire la strada della “diplomazia segreta” a porte chiuse, incoraggiando così la Troika a «persistere nell’usare le peggiori forme di ricatto».
Il referendum del 5 luglio 2015 rappresentò il culmine di quei negoziati. Ovviamente, Tsipras si aspettava che il popolo greco si piegasse alle pressioni dei media e alla minaccia di disastro economico e di espulsione dall’Ue accettando le richieste della Troika. Ma non accadde questo. Toussaint afferma che il risultato del referendum costituiva un’occasione ideale per mobilitare il popolo greco perché respingesse il ricatto della Troika e rifiutasse il suo ultimatum, e per rispondere invece sospendendo il pagamento del debito in attesa di un audit. Il governo avrebbe dovuto annunciare la nazionalizzazione delle banche e attuare controlli sui capitali per fermarne la fuga e assumere il controllo del sistema dei pagamenti.
Come sottolinea Toussaint: «Quando una coalizione o un partito di sinistra arriva al governo, non prende il potere reale. Il potere economico (che deriva dalla proprietà e dal controllo sui gruppi finanziari e industriali, i principali media privati, la grande distribuzione, ecc.) rimane nelle mani della classe capitalista, l’1% più ricco della popolazione. La classe capitalista controlla lo Stato, i tribunali e la polizia, i ministeri dell’Economia e delle Finanze, la Banca centrale, i principali organi decisionali».
Tutto ciò è stato ignorato o negato dal governo di Syriza, compreso il suo ministro‑rockstar delle Finanze, che partiva invece dalla premessa che i rappresentanti del capitale nella Troika potessero essere convinti a mostrarsi ragionevoli, ad agire da adulti. La natura di classe dello scontro era stata del tutto omessa. Come dice Toussaint: «In realtà, un’importante scelta strategica del governo di Syriza – quella che portò poi alla sua caduta – è stata quella di evitare costantemente il conflitto con la classe capitalista greca. Non solo Syriza e il governo non cercarono la mobilitazione popolare contro la borghesia greca, che sosteneva apertamente le politiche neoliberiste dell’Ue, ma addirittura perseguirono apertamente politiche di conciliazione con essa».
Toussaint propone nel suo libro la possibile strategia alternativa. Il governo Syriza «avrebbe dovuto seguire con decisione la strada della violazione dei trattati europei e del rifiuto di sottomettersi ai diktat dei creditori. Al contempo avrebbe dovuto assumere l’offensiva contro i capitalisti greci, gravandoli di tasse e sanzioni, soprattutto nei settori degli armamenti navali, della finanza, dei media e della grande distribuzione. Era anche importante far pagare imposte alla Chiesa ortodossa, la principale proprietaria immobiliare del Paese. Come mezzo per rafforzare queste politiche, il governo avrebbe dovuto incoraggiare lo sviluppo di processi di auto‑organizzazione nei progetti collettivi esistenti in vari ambiti (ad esempio, ambulatori sanitari autogestiti per affrontare la crisi sociale e umanitaria o associazioni che lavoravano per soddisfare i bisogni alimentari delle persone più vulnerabili».
Questo rimanda alla questione dell’adesione della Grecia all’Unione europea. Fino al referendum, a parte il Partito comunista, nessuna forza politica si era battuta per uscire dall’Ue come soluzione alla crisi. La stragrande maggioranza dei greci non era per questa soluzione. Dopo la capitolazione di Syriza, la direzione del partito si è divisa, e coloro che si opponevano alla capitolazione (con l’eccezione di Varoufakis) hanno proposto Grexit come principale proposta politica e soluzione. Nelle successive elezioni, queste fazioni non sono riuscite a entrare in parlamento e il governo Tsipras è rimasto al suo posto.
Secondo Toussaint, il governo di Syriza avrebbe dovuto optare per l’attivazione dell’articolo 50 del trattato costitutivo dell’Ue come mezzo per uscire dall’Unione. Questa norma è quella che è stata successivamente utilizzata dal governo del Regno Unito per la sua uscita dopo il referendum del 2016. Toussaint ritiene che l’utilizzo di questo strumento avrebbe dato alla Grecia due anni per discutere con l’Ue, un lasso temporale in cui avrebbe rifiutato di pagare altri debiti. Io non sono così sicuro che questa sarebbe stata una buona tattica. Come sottolinea Toussaint, nessuno Stato membro dell’Ue può essere espulso e ci sono ben poche sanzioni che la stessa Ue potrebbe comunque imporre a un qualunque governo greco, a parte il blocco dell’accesso al credito della Bce, cosa che comunque era già in atto. Invocando l’articolo 50, Syriza avrebbe fatto intendere al popolo greco che il governo mirava a lasciare volontariamente l’Ue (cosa che la maggioranza dei greci non voleva); e avrebbe anche servito su un piatto d’argento ai leader dell’Unione una facile scappatoia per sbarazzarsi della Grecia, cosa che, come sottolinea Varoufakis nel suo racconto, il ministro delle finanze tedesco Schauble volentieri avrebbe fatto.
Nei miei articoli scritti durante la crisi greca, ho sostenuto che il governo di Syriza avrebbe dovuto rifiutarsi di pagare il debito; prendere il controllo delle banche e delle grandi imprese greche, mobilitando le classi popolari a occupare i luoghi di lavoro e introdurre il controllo dei lavoratori; bloccare il movimento di capitali da parte dei ricchi e delle imprese; e fare appello al movimento operaio in Europa per il sostegno contro le politiche dei loro governi. Fare in modo, insomma, che quei governi cercassero di espellere la Grecia; ma non fornire loro un’arma costituzionale per farlo.
Toussaint si sofferma in modo particolare sul ruolo di Varoufakis, non certo per animosità personale, ma perché questo “marxista irregolare”, come Varoufakis stesso si definisce, era al centro degli eventi e ha tramutato in un best‑seller il suo personale racconto di ciò che era successo. Varoufakis ha poi fondato un partito politico paneuropeo Diem 25, ed è stato infine rieletto come parlamentare nel parlamento greco nelle recenti elezioni del 2019 che hanno visto il partito conservatore tornare al potere.
Perché Varoufakis, come ministro delle Finanze, ha adottato fin dall’inizio la strategia di cercare di persuadere i leader della Troika ad essere ragionevoli, piuttosto che mobilitare il popolo greco a lottare contro le pretese della Troika? La risposta, credo, va ricercata nella visione che Varoufakis ha della realizzabilità del socialismo. Prima di essere nominato ministro delle Finanze da Tsipras, non era neanche membro di Syriza, ma un professore universitario. All’epoca, scriveva: «Come si può vedere, in fin dei conti non c’è posto per politiche socialiste radicali. È invece dovere storico della sinistra, in questo particolare momento, stabilizzare il capitalismo; salvare il capitalismo europeo da se stesso e dagli inetti gestori dell’inevitabile crisi dell’Eurozona». Aveva scritto quella che veniva chiamata una modesta proposta per risolvere la crisi dell’euro con l’accademico socialdemocratico Stuart Holland e il suo stretto collega e amico, il post-keynesiano James Galbraith: una proposta di cui Varoufakis diceva con orgoglio che «non contiene un solo grammo di marxismo».
Questo “marxista irregolare” vedeva il suo incarico di ministro delle Finanze greco come uno strumento per «salvare il capitalismo europeo da se stesso», in modo da «ridurre al minimo il costo umano non necessario derivante da questa crisi per le innumerevoli vite le cui prospettive saranno ulteriormente schiacciate senza alcun beneficio per le future generazioni di europei». Apparentemente, per Varoufakis il socialismo non è in grado di farlo perché «non siamo affatto pronti, con un sistema socialista funzionante, a far fronte al baratro che un capitalismo europeo al collasso aprirà». Con “noi”, intende i lavoratori, ma in pratica si riferisce a se stesso.
Varoufakis va addirittura oltre. «Un’analisi marxista, sia del capitalismo europeo che della condizione attuale della sinistra, ci obbliga a lavorare in direzione di un’ampia coalizione, anche con figure di destra, il cui scopo dovrebbe essere la risoluzione della crisi della zona euro e la stabilizzazione del Unione Europea … Ironia della sorte, quelli di noi che detestano l’Eurozona hanno l’obbligo morale di salvarla!». Così ha propagandato la sua “modesta proposta” per l’Europa con «giornalisti del calibro di Bloomberg e del New York Times, di membri conservatori del parlamento, di finanzieri preoccupati delle difficili condizioni dell’Europa».
In Capitolazione tra adulti, Eric Toussaint critica aspramente questo approccio sbagliato del “marxista irregolare”. Per molti versi è una lettura penosa, poiché capitolo dopo capitolo Toussaint descrive il desolante percorso di Varoufakis, o il suo arretramento. In una recente intervista, a Varoufakis è stato chiesto cosa avrebbe fatto di diverso con le informazioni che aveva in quel momento. «Penso – ha risposto – che avrei dovuto essere molto meno conciliante con la Troika. Avrei dovuto essere molto più duro. Non avrei dovuto cercare un accordo provvisorio. Avrei dovuto dare un ultimatum: “una ristrutturazione del debito, o oggi stesso siamo fuori dall’euro».
Sfortunatamente, non serve a granché il senno di poi, se non ad evitare gli stessi errori quando si presenta un’altra opportunità. In questo senso, il libro di Toussaint può rappresentare una guida. Nel frattempo, dopo i terribili anni che hanno preceduto e che sono seguiti alla capitolazione del 2015, il popolo greco sta ora affrontando pure l’ennesimo round di austerità e depressione dovuto alla crisi del coronavirus. Secondo le previsioni del Fmi per il 2020, il reddito nazionale greco dovrebbe tornare ai livelli di 25 anni fa!
[*] Michael Roberts è un noto economista marxista britannico che ha lavorato per oltre quarant’anni come analista finanziario nella City londinese. È autore, tra gli altri, dei libri The Great Recession: A Marxist View (2009), The Long Depression (2016) e Marx 200: a review of Marx’s economics (2018).
Traduzione di Ernesto Russo