Dopo le elezioni greche
Un bilancio necessario per una diversa prospettiva
Valerio Torre
Nove mesi. Nel tempo occorrente per far nascere un bambino, Alexis Tsipras ha messo in campo, per le ragioni che abbiamo evidenziato negli articoli in precedenza pubblicati su questo sito[1], tutte le sue risorse per soffocare nella culla il processo rivoluzionario greco. Ma che ci sia riuscito non è dato al momento di sapere: solo la lotta di classe potrà dare una risposta. Intanto, però, al giovane leader di Syriza è riuscita la spregiudicata manovra che ne ha sancito la rielezione e gli ha consentito di riprendere il controllo del partito.
L’esito elettorale
Come avevamo infatti segnalato nel secondo dei due articoli richiamati nella nota 1, le ragioni delle repentine dimissioni di Tsipras e della rapidissima convocazione di nuove elezioni[2] erano piuttosto evidenti: trasformare definitivamente il NO popolare espresso nel referendum, che costituiva pur sempre un pericoloso fantasma che aleggiava sulla realtà politica greca turbando i sogni del premier, in un rotondo SÌ istituzionale al nuovo pacchetto di feroci misure di austerità; ottenere un mandato popolare per portare avanti le misure imposte dall’UE; liberarsi per sempre della fastidiosa opposizione interna.
D’altro canto, le istituzioni europee avevano in mente un astuto calcolo: l’influenza di Tsipras e Syriza sulla classe lavoratrice e le masse popolari li rendeva i più “legittimati” ad applicare il memorandum molto meglio dei gravemente screditati Nea Dimokratia e Pasok. Ecco perché doveva essere proprio l’affidabile Tsipras a portare avanti questa partita, come non si faceva scrupolo di confermare, incontrando la presidente del Brasile Dilma Rousseff, la cancelliera tedesca Angela Merkel: «Le dimissioni di Tsipras sono parte della soluzione, non della crisi». Il che stava chiaramente a significare che la mossa del premier greco era stata concordata con le autorità europee, da cui era venuto il via libera.
Ed ecco anche perché, subito dopo il risultato elettorale, sono piovute le congratulazioni degli avvoltoi dell’Ue, da Juncker a Dijsselbloem[3], mentre lo stesso giornale vicino a Syriza, Avgi, segnalava con enfasi il giudizio del direttore dell’Istituto tedesco dell’Economia, Michael Chiter, secondo cui il risultato elettorale indicherebbe che l’uscita della Grecia dalla crisi è più vicina[4]. Dal canto suo, la stampa italiana evidenziava con soddisfazione che la vittoria di Syriza aveva rassicurato le borse europee[5], rimarcando che «dopo aver debuttato al potere da estremista di sinistra, Tsipras è riuscito a farsi rieleggere … nei panni del perfetto realista. Addirittura con un mandato a governare dai contenuti diametralmente opposti al primo: cioè per fare le riforme delle pensioni, del mercato del lavoro, della pubblica amministrazione e della giustizia, privatizzazioni a tappeto e per aumentare le tasse»[6].
Chi ha vinto davvero le elezioni?
Torneremo in seguito sull’aspetto delle misure che dovranno ora essere adottate in Grecia. Ma è importante per il momento soffermarsi sul dato elettorale. Perché, se è vero che Syriza ha ottenuto quasi la stessa percentuale di voti di gennaio, il risultato numerico dei consensi va approfondito per comprendere le possibili dinamiche della prossima fase.
Il 35,46% di settembre rappresenta, rispetto al 36,34% di gennaio, non (come parrebbe) un modesto arretramento di un punto percentuale ma una perdita secca di oltre 320.000 voti. Così come Nea Dimokratia ne ha persi quasi 193.000; Alba Dorata quasi 9.000; To Potàmi quasi 152.000; il Kke 36.500; Anel (partito nazionalista di destra in coalizione con Syriza sia nel precedente che nell’attuale gabinetto Tsipras) 93.000. Gli unici ad aver guadagnato sono stati il Pasok (+ 52.000 voti) e l’Unione di centro (+ 76.000) che è riuscita a superare la clausola di sbarramento del 3% entrando per la prima volta in parlamento con 9 deputati, a differenza invece degli scissionisti della sinistra di Syriza – costituiti in Unità Popolare – che ne sono rimasti fuori con 155.242 voti e il 2,86%.
Ma a dispetto del risultato elettorale – e delle lodi cantate dalla stampa borghese e da quella della sinistra riformista – il vero vincitore di questa tornata non è Tsipras, ma ce ne sono invece altri due. Uno è il partito dell’astensione, passato dal 36% di gennaio al 44% di settembre: rispetto alle precedenti elezioni, oltre 750.000 greci che avevano allora votato si sono oggi astenuti. È del tutto evidente che la capitolazione di Tsipras culminata nell’accettazione del terzo Memorandum ha prodotto un effetto di demoralizzazione sia sull’elettorato di Syriza che su quello di altri schieramenti politici, determinando una diffusa disillusione e un rifiuto del sistema politico.
L’altro “vincitore” è un partito che non si è presentato alle elezioni, ma agiva dietro le quinte: quello dei creditori internazionali e delle loro istituzioni. Un partito che, avendo vinto nei fatti, ha già insediato il suo primo ministro a Megaro Maximou[7]. Si chiama Maarten Verwey ed è un economista olandese installato ad Atene direttamente dalla Troika addirittura da un mese prima delle elezioni. È a capo di uno staff di 20 membri e avrà il compito, attraverso i poteri straordinari che gli sono stati conferiti, di porre il governo greco sotto la stretta supervisione di Bruxelles. La task force diretta da Verwey avrà il compito di scrivere i provvedimenti relativi ai più importanti settori di politica di governo in Grecia: in materia di imposte, welfare, sistema sanitario e mercato del lavoro[8].
Qualsiasi atto dell’esecutivo a guida Syriza dovrà essere preliminarmente sottoposto al controllo di Verwey[9] che avrà accesso diretto all’ufficio di Tsipras, come espressamente richiesto da Juncker[10]. Ed è curioso notare che non si tratta di una sorpresa per il neoeletto capo del governo, visto che è una misura già prevista nel Memorandum approvato dal precedente governo Tsipras.
Il luogotenente e il proconsole
È chiaro che aver trasformato da parte di Tsipras le elezioni in un dibattito su quale partito e quale premier dovessero applicare il Memorandum già approvato in parlamento lo scorso agosto, presentandolo come qualcosa di inevitabile e lasciando all’elettorato la sola scelta tra lui e il leader di Nea Dimokratia, Meimarakis, ha ridotto il voto alla scelta del male minore e ha ritagliato per lo stesso Tsipras il ruolo di premier “facente funzioni” (verrebbe quasi da dire “facente finta”), cioè di luogotenente della Troika sotto il severo e occhiuto controllo del proconsole Verwey.
Ecco perché, subito dopo il risultato elettorale, Anthimos Thomopoulos, amministratore delegato della più grande banca greca, la Piraeus Bank, ha dichiarato: «Essenzialmente ci troviamo allo stesso punto in cui eravamo circa cinque anni fa riguardo a ciò che deve essere fatto. Solo che ora disponiamo di un primo ministro entusiasta e dinamico, con un mandato popolare per farlo. E questo è positivo»[11].
Cioè, è positivo per la borghesia che “l’entusiasta e dinamico” Tsipras, eletto una prima volta con un programma che voleva rompere con l’austerità e porre fine alle politiche di tagli e privatizzazioni, sostenuto poi dalla schiacciante volontà popolare che aveva espresso il suo NO al Memorandum, ne abbia alla fine firmato uno molto più duro e selvaggio dei precedenti, che prevede maggiori privatizzazioni, la cessione completa della sovranità alla Troika, più tagli ai diritti, e che porterà – come sostengono tutti gli economisti – più miseria alle classi popolari. Non solo: è ancor più positivo per i capitalisti che il ministro delle Finanze del governo provvisorio uscente, Georgios Choularakis (graditissimo ai creditori e al quale sarà assegnato il compito di sovraintendere all’applicazione del Memorandum e di intrattenere i rapporti con la Troika: una sorta di “superministro”) abbia passato le consegne al rientrante Tsakalotos per portare a termine l’attuazione del Memorandum stesso; e che proprio il solerte Tsipras, partendo per New York, abbia sollecitato i propri ministri a darsi da fare per quest’obiettivo, più che partecipare ai programmi televisivi della mattina.
Una solerzia mostrata anche dal ministro dell’Economia, Giorgos Stathakis, che ha dichiarato che la priorità del nuovo governo è quella di «rispettare il piano di riforme concordato con i creditori»[12].
Le prospettive della prossima fase
Il Memorandum – è noto – rappresenta un condensato di misure “lacrime e sangue”[13]. Proprio per questo, il neoeletto premier si è guardato bene dal citarlo nel discorso di festeggiamento della vittoria la sera del 20 settembre, benché esso costituisca l’ombra che si proietterà sulla Grecia per i prossimi anni, la “Costituzione materiale” che determinerà l’asservimento definitivo del Paese agli avvoltoi capitalisti dell’Unione europea.
Il documento delinea nei minimi dettagli i compiti del nuovo esecutivo a cui viene assegnato un ruolo puramente notarile: dovrà, già nel mese di ottobre, presentare un bilancio suppletivo per il 2015, un progetto di bilancio per il 2016 e un “percorso di bilancio” fino al 2019, sostenuto da un pacchetto di misure parametriche e di riforme strutturali di grande ampiezza. Il testo prevede, in particolare: entro il 1° gennaio 2016, una nuova riforma delle pensioni attraverso l’aumento dei contributi e la riduzione degli assegni, oltre all’abolizione delle prestazioni pensionistiche supplementari per i pensionati più poveri; nel mese di dicembre 2015, drastici tagli al sistema sanitario e la revisione del sistema delle prestazioni sociali; annualmente, fino al 2018, raggiungimento di consistenti avanzi primari di bilancio, rilevanti tagli di spesa e misure per far fronte a entrate fiscali inferiori alle attese[14]; disponibilità del governo a «prendere tutte le misure che possano apparire appropriate se le circostanze cambiano»[15].
È evidente che quando le misure del Memorandum entreranno in vigore si determinerà un ciclo di ulteriore pesante recessione con l’ulteriore impoverimento di ampie fasce della popolazione. Continueranno allora Tsipras e Syriza a godere del consenso popolare?
La lotta di classe non è un esperimento in laboratorio e non obbedisce a leggi meccaniche; non necessariamente la recrudescenza di una crisi porta a processi rivoluzionari. Eppure, non è escluso che le condizioni materiali di una rottura nella società greca possano accumularsi come fascine, pronte ad accendersi con una sola scintilla.
È necessario, però, che, a partire dalle organizzazioni del movimento operaio, si cominci da subito una lotta aperta contro il nuovo governo Tsipras, con mobilitazioni popolari contro le misure imposte dal Memorandum, e si percorra la strada obbligata di un fronte unico che si ponga come il catalizzatore del profondo, radicale e generalizzato rifiuto dell’austerità e del ricatto da parte dei Paesi imperialisti, oggi però soffocato da una cappa di disillusione e rassegnazione di quegli ampi settori di massa che, pur costituendo la base elettorale che ha proiettato Syriza al governo del Paese, saranno quelli che per primi e più profondamente verranno colpiti dalle sue misure, adottate quale agente della Troika.
Nel vivo di queste mobilitazioni dovranno porsi le basi per l’edificazione del partito rivoluzionario che rappresenti i lavoratori e le loro aspirazioni di reale cambiamento. È necessario, insomma, costruire un’opposizione di massa sulla base dell’indipendenza di classe dal governo borghese uscito dalle urne per trasformare, con la protesta generalizzata nelle piazze, il NO espresso nel referendum in un processo rivoluzionario che punti apertamente alla presa del potere, all’espulsione della Troika e alla realizzazione in Grecia di un governo dei lavoratori e per i lavoratori, primo passo per la costruzione di un’autentica Europa dei lavoratori e dei popoli.
(28/9/2015)
Note
[1] “Cosa può offrire il governo Tsipras ai lavoratori della Grecia?” (1/3/2015) e “Cronaca di una vittoria referendaria tradita” (27/8/2015).
[2] La fretta nel convocare le elezioni si giustificava anche col fatto che i crudeli provvedimenti del memorandum entreranno in vigore in ottobre. È facile immaginare che una campagna elettorale nel pieno vigore di nuove misure lacrime e sangue sarebbe stata tutt’altro che vincente!
[3] “EU welcomes Tsipras victory, says no ‘time to lose’ on reforms”, E Kathimerini, 21/9/2015.
[4] E Avgi, 21/9/2015.
[5] La Repubblica, 21/9/2015. Ancora più esplicito è Il Sole 24 Ore, 24/9/2015, con l’articolo “Grecia, è proprio un altro Tsipras. I tassi dei bond scendono sotto l’8%”.
[6] “Cinque lezioni dal successo inatteso di Tsipras”, Il Sole 24 Ore, 22/9/2015.
[7] La residenza del capo del governo greco.
[8] “Eurozone’s enforcer ready to keep Greece’s new leader in line”, The Guardian, 18/9/2015.
[9] Secondo il Memorandum, infatti, il governo greco dovrà «consultarsi e accordarsi con le istituzioni europee su tutti i disegni di legge nelle aree sensibili, con il giusto anticipo prima che queste vengano sottoposte all’attenzione pubblica o al Parlamento».
[10] “A Dutchman ‘in control’ of the Greek government”, Enikos.gr, 8/9/2015.
[11] “Tsipras victory fails to allay doubts on Greece bailout reforms”, Financial Times, 21/9/2015.
[12] “Si riparte da banche e privatizzazioni”, Il Sole 24 Ore, 22/9/2015.
[13] Così Il Sole 24 Ore nell’articolo citato nella nota precedente; mentre persino il quotidiano tedesco Der Spiegel non si è fatto scrupolo di definirlo “un catalogo di crudeltà”.
[14] E nel caso di ingressi fiscali superiori alle aspettative, il 30% delle maggiori somme incassate dovrà essere posto a riserva per il rimborso del debito.
[15] Il che significa essere alla completa mercé della Troika.