Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Lotta di classe, Politica nazionale, Teoria

L’accumulazione originaria

Guido Barilla

È da tem­po in atto una mar­tel­lan­te cam­pa­gna media­ti­ca tesa a pre­sen­ta­re i gio­va­ni come bam­boc­cio­ni (così gli ex mini­stri Toma­so Padoa‑Schioppa e poi Rena­to Bru­net­ta), sfi­ga­ti (Michel Mar­to­ne, ex vice­mi­ni­stro del Lavo­ro) e “choo­sy”, cioè “schiz­zi­no­si” (l’ex mini­stro Elsa For­ne­ro): una cam­pa­gna tesa a dele­git­ti­ma­re il c.d. “posto fis­so” (con­trap­po­nen­do alla sua pre­te­sa “mono­to­nia” la “dina­mi­ci­tà” del pre­ca­ria­to) e a col­pe­vo­liz­za­re i padri che, per il fat­to di esse­re trop­po “garan­ti­ti”, sareb­be­ro respon­sa­bi­li del­la disoc­cu­pa­zio­ne dei pro­pri figli. Tut­to, insom­ma, allo sco­po di smon­ta­re pez­zo a pez­zo – aumen­tan­do così i pro­fit­ti del padro­na­to – le garan­zie e i dirit­ti che la clas­se lavo­ra­tri­ce ha con­qui­sta­to con decen­ni di lotte.
Ma da qual­che set­ti­ma­na quest’operazione media­ti­ca ha fat­to un sal­to di qua­li­tà. L’obiettivo, oggi, è il c.d. “red­di­to di cit­ta­di­nan­za”, cioè quel­la misu­ra che fu il caval­lo di bat­ta­glia del pri­mo gover­no Con­te e, in par­ti­co­la­re, del Movi­men­to 5 Stel­le. Al di là del­la valu­ta­zio­ne cri­ti­ca che da un pun­to di vista poli­ti­co pos­sia­mo dar­ne, resta il fat­to che un sia pur così limi­ta­to prov­ve­di­men­to ha rap­pre­sen­ta­to una boc­ca­ta d’ossigeno per oltre un milio­ne di nuclei fami­lia­ri. Ebbe­ne, nel­le ulti­me set­ti­ma­ne è par­ti­to un vio­len­tis­si­mo attac­co a que­sta misu­ra da par­te del padro­na­to e dei suoi rap­pre­sen­tan­ti isti­tu­zio­na­li. Lo sco­po è, in tut­ta evi­den­za, recu­pe­ra­re i 12,3 miliar­di di euro che essa è costa­ta per desti­nar­li ai capi­ta­li­sti sem­pre più affa­ma­ti di risor­se pub­bli­che per far fron­te a una cri­si eco­no­mi­ca che, aggra­va­ta dal­la pan­de­mia, ha ridot­to i loro uti­li. Oltre a que­sto, c’è l’obiettivo di ave­re un mer­ca­to del lavo­ro sem­pre più pre­ca­rio per poter dispor­re di una mano­do­pe­ra ancor meno cara, e così aumen­ta­re ulte­rior­men­te i profitti.
Ecco che abbia­mo assi­sti­to, ampli­fi­ca­te dai media, a inter­vi­ste fat­te a bari­sti, risto­ra­to­ri, alber­ga­to­ri e tito­la­ri di altri pub­bli­ci eser­ci­zi, in cui si met­te­va in cor­re­la­zio­ne la per­ce­zio­ne del red­di­to di cit­ta­di­nan­za con la dif­fi­col­tà nel repe­ri­re lavo­ra­to­ri (ovvia­men­te iper‑precarizzati e sot­to­pa­ga­ti). E il loro “gri­do di dolo­re” si accom­pa­gna­va al defi­ni­ti­vo giu­di­zio: “c’è poca voglia di lavorare!”.
Uno degli alfie­ri di que­sta cam­pa­gna è il pre­si­den­te del­la regio­ne Cam­pa­nia, quel Vin­cen­zo De Luca che, con un tono sem­pre più rin­ghian­te, ha incol­pa­to chi non accet­ta di esse­re schia­viz­za­to per pochi spic­cio­li di esse­re un fan­nul­lo­ne. Non pote­va esi­mer­si dal far­gli eco, il segre­ta­rio del­la Lega, Sal­vi­ni, che ha “assol­to” dall’accusa di esse­re uno sfrut­ta­to­re l’imprenditore che vuol paga­re un came­rie­re con l’astronomica cifra di 600 euro.
Ma l’acme di que­sta mar­tel­lan­te cam­pa­gna è sta­ta toc­ca­ta con l’intervista rila­scia­ta da Gui­do Baril­la, pre­si­den­te dell’omonima mul­ti­na­zio­na­le dell’alimentazione, che ha invi­ta­to i gio­va­ni a “rinun­cia­re ai sus­si­di faci­li” e a “met­ter­si in gio­co”, anche “accet­tan­do lavo­ri poco remu­ne­ra­ti”. E nel men­tre dif­fon­de­va all’indirizzo dei ragaz­zi il suo pater­na­li­sti­co “Ver­bo”, il Baril­la non si è fat­to scru­po­lo di chie­de­re che lo Sta­to finan­zi però l’attività del­la sua azienda.

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Ora, tut­ti gli epi­so­di che abbia­mo fin qui sin­te­tiz­za­to han­no pro­vo­ca­to una più che legit­ti­ma indi­gna­zio­ne, espres­sa per­lo­più sui social e in qual­che dibat­ti­to tele­vi­si­vo. Ma noi, e in par­ti­co­la­re i gio­va­ni che sono i desti­na­ta­ri di quest’attacco con­cen­tri­co, non pos­sia­mo accon­ten­tar­ci di espri­me­re indi­gna­zio­ne. Anzi, dob­bia­mo dare a que­sto giu­sto sen­ti­men­to – se non voglia­mo limi­tar­ci a mani­fe­sta­re uno ste­ri­le sde­gno – una “veste teo­ri­ca” per pote­re avan­za­re nel­la lot­ta di clas­se, uni­co stru­men­to per con­tra­sta­re le poli­ti­che padronali.
Se ana­liz­zia­mo meglio il discor­so di Baril­la, vedia­mo che egli ripro­po­ne un argo­men­to che era già sta­to con­fu­ta­to nel 1867 da Karl Marx, nel pri­mo Libro del­la sua ope­ra più famo­sa, Il Capi­ta­le. I padro­ni, cioè, tac­cio­no imba­raz­za­ti sul­le ori­gi­ni del­le pro­prie for­tu­ne e sosten­go­no che que­ste sareb­be­ro il frut­to del loro lavo­ro, e che chi “ha voglia di lavo­ra­re”, chi “vuo­le met­ter­si in gio­co” (per dir­la col Baril­la), chi non vuo­le esse­re “choo­sy” (per ripren­de­re il con­cet­to di For­ne­ro), può costrui­re da sé il pro­prio desti­no (e noi sap­pia­mo qua­le: quel­lo di lavo­ra­to­re iper‑sfruttato, sot­to­pa­ga­to e con sem­pre meno dirit­ti). Baril­la tace sul fat­to che egli non ha costrui­to col pro­prio lavo­ro la sua azien­da, ma l’ha ere­di­ta­ta; e che quel­li che l’hanno pre­ce­du­to, a loro vol­ta, non han­no affat­to “lavo­ra­to” per far­ne la mul­ti­na­zio­na­le che è oggi, ma han­no sfrut­ta­to il lavo­ro di colo­ro che inve­ce – essi sì – l’hanno costrui­ta e però non ne sono i proprietari.
Ma sba­glie­rem­mo se ci fer­mas­si­mo alle vicen­de di Gui­do Baril­la e del­la sua fami­glia. Egli è solo uno dei rap­pre­sen­tan­ti di un’infima mino­ran­za di que­sta socie­tà capi­ta­li­sti­ca che non costrui­sce asso­lu­ta­men­te nul­la, ma accu­mu­la for­tu­ne sfrut­tan­do il lavo­ro altrui. Voglia­mo inve­ce par­la­re – per tener fede al pro­po­si­to di dare, come abbia­mo appe­na det­to, una veste teo­ri­ca all’indignazione che han­no susci­ta­to le sue paro­le – di quel pro­ces­so attra­ver­so il qua­le tut­ti i Baril­la di que­sto pia­ne­ta pos­so­no oggi ripe­te­re sif­fat­te scioc­chez­ze: ci rife­ria­mo al pro­ces­so del­la “accu­mu­la­zio­ne ori­gi­na­ria” che Marx ha mira­bil­men­te descrit­to nel­la sua opera.
E ci appre­stia­mo a far­lo pub­bli­can­do, tra­dot­to in ita­lia­no, un bre­ve sag­gio del­lo stu­dio­so mar­xi­sta argen­ti­no Ariel Mayo (di cui abbia­mo già pre­sen­ta­to alcu­ni scrit­ti su que­sto sito), trat­to da una sua lezio­ne ad un cor­so di studi.
Ci augu­ria­mo che que­sto testo pos­sa ser­vi­re a meglio inqua­dra­re, dal pun­to di vista del pro­le­ta­ria­to, le vicen­de che han­no for­ni­to lo spun­to a que­sta nostra intro­du­zio­ne, per­ché se ne pos­sa­no trar­re le giu­ste conclusioni.
Buo­na lettura.
La redazione

L’accumulazione originaria


Ariel Mayo [*]

 

Sic­co­me sia­mo abi­tua­ti a vive­re nel qua­dro di rap­por­ti socia­li capi­ta­li­sti­ci, finia­mo per con­si­de­rar­li come natu­ra­li, come “il modo natu­ra­le di vive­re”. Un esem­pio: nel 1991, mi tro­vai a par­te­ci­pa­re come addet­to al Cen­si­men­to nazio­na­le del­la popo­la­zio­ne e del­le abi­ta­zio­ni. In una del­le case in cui mi recai, mi tro­vai di fron­te una don­na visi­bil­men­te stre­ma­ta, con un bam­bi­no in grem­bo e altri due che giron­zo­la­va­no per casa. Quan­do le doman­dai se lavo­ras­se, mi rispo­se sen­za esi­ta­zio­ni: “No”. La rispo­sta con­tra­sta­va con la sua situa­zio­ne. Però ave­va un sen­so: il lavo­ro che essa svol­ge­va in casa non era remu­ne­ra­to, non lo face­va die­tro com­pen­so; dun­que, non era lavo­ro. Da che nascia­mo, il capi­ta­li­smo ci inse­gna che lavo­ro è solo quel­lo che si rea­liz­za in cam­bio di un sala­rio, il lavo­ro sala­ria­to.
Que­sta “natu­ra­lez­za” del capi­ta­li­smo vie­ne smon­ta­ta se andia­mo indie­tro nel tem­po. Tro­via­mo socie­tà che non sono sta­te capi­ta­li­ste. A que­sto pun­to si pone un pro­ble­ma: come si è arri­va­ti al capi­ta­li­smo? Come si è pro­dot­to il pas­sag­gio dal­le socie­tà pre­ca­pi­ta­li­ste alla socie­tà capitalista?
A que­sto riguar­do, dob­bia­mo sof­fer­mar­ci sull’analisi del capi­to­lo ven­ti­quat­tre­si­mo del Libro pri­mo de Il Capi­ta­le. Marx par­te dal­la pro­spet­ti­va microe­co­no­mi­ca[1] uti­liz­za­ta dagli impren­di­to­ri quan­do for­ni­sco­no spie­ga­zio­ni a pro­po­si­to dell’origine del­la loro ricchezza:

«Nell’economia poli­ti­ca quest’accumulazione ori­gi­na­ria fa all’incirca la stes­sa par­te del “pec­ca­to ori­gi­na­le” nel­la teo­lo­gia: Ada­mo det­te un mor­so alla mela e con ciò il pec­ca­to col­pì il gene­re uma­no. Se ne spie­ga l’origine rac­con­tan­do­la come un aned­do­to del pas­sa­to. C’era una vol­ta, in una età da lun­go tem­po tra­scor­sa, da una par­te una “éli­te” dili­gen­te, intel­li­gen­te e soprat­tut­to rispar­mia­tri­ce, e dall’altra c’erano degli scia­gu­ra­ti ozio­si che sper­pe­ra­va­no tut­to il pro­prio e anche più. Però la leg­gen­da del pec­ca­to ori­gi­na­le teo­lo­gi­co ci rac­con­ta come l’uomo sia sta­to con­dan­na­to a man­gia­re il suo pane nel sudo­re del­la fron­te; inve­ce la sto­ria del pec­ca­to ori­gi­na­le eco­no­mi­co ci rive­la come mai vi sia del­la gen­te che non ha affat­to biso­gno di fati­ca­re. Fa lo stes­so! Così è avve­nu­to che i pri­mi han­no accu­mu­la­to ric­chez­za e che gli altri non han­no avu­to all’ultimo altro da ven­de­re che la pro­pria pel­le. E da que­sto pec­ca­to ori­gi­na­le data la pover­tà del­la gran mas­sa che, ancor sem­pre, non ha altro da ven­de­re fuor­ché se stes­sa, nono­stan­te tut­to il suo lavo­ro, e la ric­chez­za di pochi che cre­sce con­ti­nua­men­te, ben­ché da gran tem­po essi abbia­no ces­sa­to di lavo­ra­re»[2].

Dob­bia­mo tener pre­sen­te che qui Marx non sta descri­ven­do il pro­ces­so di tran­si­zio­ne dal feu­da­le­si­mo al capi­ta­li­smo, ma ripor­ta inve­ce la spie­ga­zio­ne di que­sto pro­ces­so così come la for­mu­la­no gli impren­di­to­ri. Per essi, la loro ric­chez­za è il risul­ta­to del­lo sfor­zo per­so­na­le. Allo stes­so tem­po, la pover­tà è il pro­dot­to di (cat­ti­ve) deci­sio­ni indi­vi­dua­li: ci sono per­so­ne che sono scan­sa­fa­ti­che e per­tan­to fini­ran­no per esse­re pove­re. La spie­ga­zio­ne, dun­que, si basa sul­le azio­ni degli indi­vi­dui, sul­la loro con­dot­ta; di tal­ché, quel­lo che è un pro­ces­so socia­le si tra­sfor­ma nel­la con­se­guen­za del­le deci­sio­ni e del­le azio­ni del­le persone.
La ric­chez­za e la pover­tà sareb­be­ro frut­to del­le deci­sio­ni degli indi­vi­dui. Il ric­co è tale per la sua capa­ci­tà di lavo­ro; il pove­ro è tale per la sua pigri­zia. Tut­to sem­pli­ce, tut­to facile.
Disto­glie­re l’attenzione dall’aspetto socia­le per indi­riz­zar­la inve­ce ver­so quel­lo indi­vi­dua­le ha un’altra con­se­guen­za. I ric­chi sareb­be­ro ric­chi gra­zie ai loro sfor­zi, sen­za che la vio­len­za svol­ga alcu­na fun­zio­ne nell’accumulazione del­la ricchezza.

«Nel­la sto­ria rea­le la par­te impor­tan­te è rap­pre­sen­ta­ta, come è noto, dal­la con­qui­sta, dal sog­gio­ga­men­to, dall’assassinio e dal­la rapi­na, in bre­ve dal­la vio­len­za. Nel­la mite eco­no­mia poli­ti­ca ha regna­to da sem­pre l’idillio. Dirit­to e “lavo­ro” sono sta­ti da sem­pre gli uni­ci mez­zi di arric­chi­men­to, facen­do­si ecce­zio­ne, come è ovvio, vol­ta per vol­ta, per “que­sto anno”. Di fat­to i meto­di dell’accumulazione ori­gi­na­ria son tut­to quel che si vuo­le fuor­ché idil­li­ci»[3].

In que­sto modo, Marx comin­cia a con­fu­ta­re l’abituale argo­men­to sull’accumulazione capi­ta­li­sta. La vio­len­za è inse­pa­ra­bi­le dal pro­ces­so. Cono­scia­mo i meto­di vio­len­ti uti­liz­za­ti per espel­le­re i con­ta­di­ni dal­le loro ter­re. Nel cor­so del capi­to­lo, Marx for­ni­sce nume­ro­se pro­ve del ruo­lo del­la violenza.
Ma non si trat­ta sol­tan­to di mostra­re l’utilizzo del­la vio­len­za: biso­gna mostra­re la fun­zio­ne che essa svolge.
Per ren­der­se­ne con­to biso­gna com­pren­de­re il signi­fi­ca­to del­la nozio­ne di accu­mu­la­zio­ne ori­gi­na­ria. In prin­ci­pio, par­tia­mo da ciò che già cono­scia­mo: il capi­ta­li­smo non è la for­ma “natu­ra­le” dell’organizzazione del­la socie­tà. Se le cose stan­no così, né la ter­ra né gli stru­men­ti di pro­du­zio­ne sono capi­ta­le; un lavo­ra­to­re non è per natu­ra un sala­ria­to. In que­sto modo, biso­gna spie­ga­re come la ter­ra, gli stru­men­ti, i lavo­ra­to­ri, diven­ta­no mer­ci e, così, diven­ta­no capi­ta­le e lavo­ro salariato.
L’accumulazione ori­gi­na­ria è il pro­ces­so, media­to dal­la vio­len­za, di tra­sfor­ma­zio­ne del­la ter­ra e degli stru­men­ti di pro­du­zio­ne in capi­ta­le, e del lavo­ro in lavo­ro salariato.
Nel testo di Marx, il pas­sag­gio chia­ve è il seguente:

«Dena­ro e mer­ce non sono capi­ta­le fin da prin­ci­pio, come non lo sono i mez­zi di pro­du­zio­ne e di sus­si­sten­za. Occor­re che sia­no tra­sfor­ma­ti in capi­ta­le. Ma anche que­sta tra­sfor­ma­zio­ne può avve­ni­re sol­tan­to a cer­te con­di­zio­ni che con­ver­go­no in que­sto: deb­bo­no tro­var­si di fron­te e met­ter­si in con­tat­to due spe­cie diver­sis­si­me di pos­ses­so­ri di mer­ce, da una par­te pro­prie­ta­ri di dena­ro e di mez­zi di pro­du­zio­ne e di sus­si­sten­za, ai qua­li impor­ta di valo­riz­za­re median­te l’acquisto di forza‑lavoro altrui la som­ma di valo­ri pos­se­du­ta; dall’altra par­te ope­rai libe­ri, ven­di­to­ri del­la pro­pria forza‑lavoro e quin­di ven­di­to­ri di lavo­ro. Ope­rai libe­ri nel dupli­ce sen­so che essi non fan­no par­te diret­ta­men­te dei mez­zi di pro­du­zio­ne come gli schia­vi, i ser­vi del­la gle­ba ecc., né ad essi appar­ten­go­no i mez­zi di pro­du­zio­ne, come al con­ta­di­no col­ti­va­to­re diret­to ecc., anzi ne sono libe­ri, pri­vi, sen­za. Con que­sta pola­riz­za­zio­ne del mer­ca­to del­le mer­ci si han­no le con­di­zio­ni fon­da­men­ta­li del­la pro­du­zio­ne capi­ta­li­sti­ca»[4].

Secon­do Marx, affin­ché ci sia capi­ta­li­smo è neces­sa­rio che i mez­zi di pro­du­zio­ne si con­cen­tri­no in un polo del­la socie­tà (i capi­ta­li­sti) e che i lavo­ra­to­ri sia­no libe­ri in un dop­pio sen­so: libe­ri da ogni for­ma di dipen­den­za per­so­na­le (schia­vi­tù, ser­vi­tù del­la gle­ba) e libe­ri dal­la pro­prie­tà dei mez­zi di produzione.

«Il rap­por­to capi­ta­li­sti­co ha come pre­sup­po­sto la sepa­ra­zio­ne fra i lavo­ra­to­ri e la pro­prie­tà del­le con­di­zio­ni di rea­liz­za­zio­ne del lavo­ro. Una vol­ta auto­no­ma, la pro­du­zio­ne capi­ta­li­sti­ca non solo man­tie­ne quel­la sepa­ra­zio­ne, ma la ripro­du­ce su sca­la sem­pre cre­scen­te. Il pro­ces­so che crea il rap­por­to capi­ta­li­sti­co non può dun­que esse­re null’altro che il pro­ces­so di sepa­ra­zio­ne del lavo­ra­to­re dal­la pro­prie­tà del­le pro­prie con­di­zio­ni di lavo­ro, pro­ces­so che da una par­te tra­sfor­ma in capi­ta­le i mez­zi socia­li di sus­si­sten­za e di pro­du­zio­ne, dall’altra tra­sfor­ma i pro­dut­to­ri diret­ti in ope­rai sala­ria­ti. Dun­que, la cosid­det­ta accu­mu­la­zio­ne ori­gi­na­ria non è altro che il pro­ces­so sto­ri­co di sepa­ra­zio­ne del pro­dut­to­re dai mez­zi di pro­du­zio­ne. Esso appa­re “ori­gi­na­rio” per­ché costi­tui­sce la pre­i­sto­ria del capi­ta­le e del modo di pro­du­zio­ne ad esso cor­ri­spon­den­te»[5].

Affin­ché ci sia il capi­ta­li­smo è neces­sa­rio sepa­ra­re il lavo­ra­to­re dai mez­zi di pro­du­zio­ne. Tom­ma­so Moro ce ne dà un esem­pio rac­con­tan­do di come i con­ta­di­ni veni­va­no espul­si dal­le ter­re che essi abi­ta­va­no da tem­po imme­mo­ra­bi­le[6]. Sepa­ra­ti dal­la ter­ra, i con­ta­di­ni era­no pri­vi di mez­zi pro­pri per gua­da­gnar­si da vive­re. Non resta­va loro altro se non impie­gar­si come lavo­ra­to­ri sala­ria­ti[7].
La vio­len­za uti­liz­za­ta nel pro­ces­so di espro­pria­zio­ne dei pro­dut­to­ri (i con­ta­di­ni) fu enor­me. E non si trat­tò sol­tan­to dei con­ta­di­ni ingle­si: l’accumulazione ori­gi­na­ria si veri­fi­cò in tut­ti i Pae­si in cui pre­se pie­de il capi­ta­li­smo. Nell’esercizio del­la vio­len­za svol­se un ruo­lo fon­da­men­ta­le lo Stato.
Innan­zi­tut­to, lo Sta­to ebbe un ruo­lo cen­tra­le nel con­trol­lo del­le mas­se di con­ta­di­ni espul­si. In pro­po­si­to, Marx scrive:

«Non era pos­si­bi­le che gli uomi­ni scac­cia­ti dal­la ter­ra per lo scio­gli­men­to dei segui­ti feu­da­li e per l’espropriazione vio­len­ta e a scat­ti, dive­nu­ti esle­ge, fos­se­ro assor­bi­ti dal­la mani­fat­tu­ra al suo nasce­re con la stes­sa rapi­di­tà con la qua­le quel pro­le­ta­ria­to veni­va mes­so al mon­do. D’altra par­te, nep­pu­re que­gli uomi­ni lan­cia­ti all’improvviso fuo­ri dall’orbita abi­tua­le del­la loro vita pote­va­no adat­tar­si con altret­tan­ta rapi­di­tà alla disci­pli­na del­la nuo­va situa­zio­ne. Si tra­sfor­ma­ro­no così, in mas­sa, in men­di­can­ti, bri­gan­ti, vaga­bon­di, in par­te per incli­na­zio­ne, ma nel­la mag­gior par­te dei casi sot­to la pres­sio­ne del­le cir­co­stan­ze. Alla fine del seco­lo XV e duran­te tut­to il seco­lo XVI si ha per­ciò in tut­ta l’Europa occi­den­ta­le una legi­sla­zio­ne san­gui­na­ria con­tro il vaga­bon­dag­gio. I padri del­l’at­tua­le clas­se ope­ra­ia furo­no puni­ti, in un pri­mo tem­po, per la tra­sfor­ma­zio­ne in vaga­bon­di e in mise­ra­bi­li che ave­va­no subì­to»[8].

I con­ta­di­ni era­no per­se­gui­ta­ti come delin­quen­ti. Si trat­ta­va di impie­ga­re la vio­len­za con­tro di loro per evi­ta­re che diven­tas­se­ro un peri­co­lo per l’ordine socia­le, quel­lo stes­so ordi­ne socia­le che era respon­sa­bi­le del­la loro cac­cia­ta dal­le ter­re e del­la loro tra­sfor­ma­zio­ne in criminali.
Lo Sta­to appa­re così come il rap­pre­sen­tan­te del­la clas­se domi­nan­te, in que­sto caso la nobil­tà feu­da­le che sta­va adot­tan­do sem­pre più atteg­gia­men­ti mer­can­ti­li. Il suo ruo­lo con­si­ste­va nel garan­ti­re le con­di­zio­ni di dominazione.
Marx ci descri­ve la situazione:

«Così la popo­la­zio­ne rura­le espro­pria­ta con la for­za, cac­cia­ta dal­la sua ter­ra, e resa vaga­bon­da, veni­va spin­ta con leg­gi fra il grot­te­sco e il ter­ro­ri­sti­co a sot­to­met­ter­si, a for­za di fru­sta, di mar­chio a fuo­co, di tor­tu­re, a quel­la disci­pli­na che era neces­sa­ria al siste­ma del lavo­ro sala­ria­to»[9].

A noi sem­bra natu­ra­le anda­re a lavo­ra­re, rispet­ta­re l’orario di lavo­ro, ordi­na­re i rit­mi del­la nostra vita in fun­zio­ne del lavo­ro. Tut­ta­via, quan­do andia­mo indie­tro nel tem­po, quan­do stu­dia­mo la sto­ria, ci ren­dia­mo con­to che quel­lo che ci appa­re “natu­ra­le” ha richie­sto enor­mi quan­ti­tà di vio­len­za e disci­pli­na­men­to[10].
Marx rias­su­me il ruo­lo del­lo Sta­to in un para­gra­fo che meri­ta di esse­re let­to con attenzione:

«Non basta che le con­di­zio­ni di lavo­ro si pre­sen­ti­no come capi­ta­le a un polo e che all’altro polo si pre­sen­ti­no uomi­ni che non han­no altro da ven­de­re che la pro­pria forza‑lavoro. E non basta nep­pu­re costrin­ge­re que­sti uomi­ni a ven­der­si volon­ta­ria­men­te. Man mano che la pro­du­zio­ne capi­ta­li­sti­ca pro­ce­de, si svi­lup­pa una clas­se ope­ra­ia che per edu­ca­zio­ne, tra­di­zio­ne, abi­tu­di­ne, rico­no­sce come leg­gi natu­ra­li ovvie le esi­gen­ze di quel modo di pro­du­zio­ne. L’organizzazione del pro­ces­so di pro­du­zio­ne capi­ta­li­sti­co svi­lup­pa­to spez­za ogni resi­sten­za; la costan­te pro­du­zio­ne di una sovrap­po­po­la­zio­ne rela­ti­va tie­ne la leg­ge dell’offerta e del­la doman­da di lavo­ro, e quin­di il sala­rio lavo­ra­ti­vo, entro un bina­rio che cor­ri­spon­de ai biso­gni di valo­riz­za­zio­ne del capi­ta­le; la silen­zio­sa coa­zio­ne dei rap­por­ti eco­no­mi­ci appo­ne il sug­gel­lo al domi­nio del capi­ta­li­sta sull’operaio. Si con­ti­nua, è vero, sem­pre ad usa­re la for­za extrae­co­no­mi­ca, imme­dia­ta, ma solo per ecce­zio­ne. Per il cor­so ordi­na­rio del­le cose l’operaio può rima­ne­re affi­da­to alle “leg­gi natu­ra­li del­la pro­du­zio­ne”, cioè alla sua dipen­den­za dal capi­ta­le, che nasce dal­le stes­se con­di­zio­ni del­la pro­du­zio­ne, e che vie­ne garan­ti­ta e per­pe­tua­ta da esse. Altri­men­ti van­no le cose duran­te la gene­si sto­ri­ca del­la pro­du­zio­ne capi­ta­li­sti­ca. La bor­ghe­sia, al suo sor­ge­re, ha biso­gno del pote­re del­lo Sta­to, e ne fa uso, per “rego­la­re” il sala­rio, cioè per costrin­ger­lo entro limi­ti con­ve­nien­ti a chi vuol fare del plu­sva­lo­re, per pro­lun­ga­re la gior­na­ta lavo­ra­ti­va e per man­te­ne­re l’operaio stes­so a un gra­do nor­ma­le di dipen­den­za. È que­sto un momen­to essen­zia­le del­la cosid­det­ta accu­mu­la­zio­ne ori­gi­na­ria»[11].

Quan­to fin qui espo­sto ci for­ni­sce un pano­ra­ma sin­te­ti­co dell’accumulazione originaria […].

Vil­la del Par­que, 4 giu­gno 2020.


Note
(Tut­te le note, ad ecce­zio­ne del­la n. 6, sono dell’Autore del sag­gio. Per i rife­ri­men­ti all’opera di Marx abbia­mo fat­to rife­ri­men­to all’edizione italiana)

[1] Con “pro­spet­ti­va microe­co­no­mi­ca” mi rife­ri­sco agli stu­di e ricer­che che si rea­liz­za­no dal­la pro­spet­ti­va di indi­vi­dui o di pic­co­li grup­pi. È l’opposto rispet­to alla pro­spet­ti­va macroe­co­no­mi­ca, che stu­dia inve­ce i gran­di gruppi.
[2] K. Marx, Il capi­ta­le, Libro pri­mo, cap. 24, Edi­to­ri Riu­ni­ti, 1994, pp. 777‑778.
[3] Ivi, p. 778.
[4] Ibi­dem.
[5] Ivi, pp. 778‑779.
[6] Tho­mas More (ita­lia­niz­za­to in Tom­ma­so Moro) fu un uma­ni­sta, scrit­to­re e poli­ti­co ingle­se (1478‑1535). Nel­la sua ope­ra più famo­sa – Uto­pia – for­mu­lò una cri­ti­ca mol­to aspra alla pro­prie­tà pri­va­ta e in par­ti­co­la­re descris­se il pro­ces­so di espul­sio­ne dei con­ta­di­ni dal­le ter­re per adi­bir­le a pasco­lo del­le peco­re in fun­zio­ne del­lo svi­lup­po del­la pro­du­zio­ne di lana e del­la rela­ti­va spe­cu­la­zio­ne. In con­se­guen­za di ciò, ai con­ta­di­ni cac­cia­ti dai pode­ri non resta­va altro che vaga­bon­da­re dedi­can­do­si alla men­di­ci­tà o ai fur­ti. Il fur­to veni­va puni­to con la mor­te (N.d.T.).
[7] Ma c’era un pro­ble­ma: non esi­ste­va un mer­ca­to del lavo­ro capa­ce di assor­bi­re la mas­sa di con­ta­di­ni espul­si. Per­tan­to, mol­ti di loro diven­ne­ro vaga­bon­di, ladri, pro­sti­tu­te, ecc. Tom­ma­so Moro descri­ve det­ta­glia­ta­men­te que­sto pro­ces­so. Fu neces­sa­rio atten­de­re il XVIII seco­lo per­ché lo svi­lup­po del­la pro­du­zio­ne mani­fat­tu­rie­ra (e poi del­la pro­du­zio­ne indu­stria­le) per­met­tes­se la con­ver­sio­ne dei con­ta­di­ni in ope­rai salariati.
[8] K. Marx, op. cit., p. 797.
[9] Ivi, p. 800.
[10] Una let­tu­ra con­si­glia­ta a pro­po­si­to di que­sti pro­ces­si di disci­pli­na­men­to è Sor­ve­glia­re e puni­re, del filo­so­fo fran­ce­se Michel Fou­cault (1926‑1984).
[11] K. Marx, op. cit., pp. 800‑801.


(Tra­du­zio­ne di Vale­rio Tor­re e Andrea Di Benedetto)


[*] Ariel Mayo, stu­dio­so mar­xi­sta argen­ti­no, inse­gna all’Università Nazio­na­le di San Mar­tín (Unsam) e all’Istituto Supe­rio­re di For­ma­zio­ne Docen­te “Dr. Joa­quín V. González”.