Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Politica internazionale: Nord Africa e Medio Oriente

Cosa possiamo fare per la Siria

 

Cosa possiamo fare per la Siria

San­tia­go Alba Rico e Car­los Varea

(Pub­bli­ca­to nel­la pagi­na web Comune‑info.net)

Le imma­gi­ni, ormai, le abbia­mo viste tut­ti. Per mol­ti anni, però, per esem­pio quan­do cin­que anni e mez­zo fa comin­ciò la rivo­lu­zio­ne siria­na, abbia­mo fat­to fin­ta di non vede­re. Ades­so fac­cia­mo fin­ta di non capi­re: la tra­ge­dia si è fat­ta trop­po com­ples­sa. Non è pia­ce­vo­le guar­da­re l’orrore, è più dif­fi­ci­le anco­ra capir­ci qual­co­sa. Cosa voglia­mo per la Siria? E cosa pos­sia­mo fare? Pri­mo, non sem­pli­fi­ca­re, dico­no in que­sto arti­co­lo mol­to pre­zio­so (che pre­ghia­mo viva­men­te i let­to­ri di Comu­ne di leg­ge­re fino in fon­do) San­tia­go Alba Rico e Car­los Varea. “Il mon­do oggi è un pro­ble­ma siria­no, come la Siria è un pro­ble­ma mon­dia­le” han­no scrit­to, a ragio­ne, gli arti­sti e gli intel­let­tua­li siria­ni … Ecco, potrem­mo comin­cia­re ad ascol­ta­re i siria­ni che lot­ta­no per le stes­se cose per cui lot­tia­mo noi, quel­li che voglio­no giu­sti­zia, auto­de­ter­mi­na­zio­ne, dirit­ti uma­ni e demo­cra­zia, quel­li che scom­met­to­no di poter spez­za­re il ciclo di inter­ven­ti mul­ti­na­zio­na­li, le dit­ta­tu­re loca­li e il ter­ro­ri­smo jiha­di­sta. Lo sa bene Assad e lo san­no tut­ti i respon­sa­bi­li del fiu­me di san­gue che scor­re: la vio­len­za è uti­lis­si­ma, fun­zio­na, impe­di­sce di ricor­da­re e non per­met­te che la socie­tà civi­le si orga­niz­zi. Per­ché la socie­tà e la guer­ra sono incom­pa­ti­bi­li. E anche la resi­sten­za civi­le e la guer­ra sono incom­pa­ti­bi­li. Ci sono per­so­ne “nor­ma­li” che in Siria lot­ta­no per le stes­se cose per le qua­li noi lot­tia­mo in Euro­pa. Ci sono e sono anco­ra miglia­ia. È basta­ta una bre­ve tre­gua, a feb­bra­io, per­ché uscis­se­ro nuo­va­men­te in stra­da, a mani­fe­sta­re con­tro il regi­me e con­tro l’Isis, e anche con­tro Jab­hat Al-Nusra nel­la pro­vin­cia di Idlib, dan­do vita a un movi­men­to che resi­ste anco­ra. Basta un momen­to di pace, una sospen­sio­ne del­lo tsu­na­mi assas­si­no, per­ché le stra­de – le rovi­ne – risuo­ni­no di resi­sten­za civi­le e volon­tà di orga­niz­za­zio­ne poli­ti­ca. Non è asso­lu­ta­men­te vero che non ci sia­no inter­lo­cu­to­ri che potrem­mo appog­gia­re aper­ta­men­te. Pri­ma che ven­ga­no ucci­si tutti.

Ogni vol­ta che scri­via­mo sul­la Siria è per aggiun­ge­re mor­ti e rovi­ne ad una lista infi­ni­ta. I bom­bar­da­men­ti indi­scri­mi­na­ti su Alep­po del­le ulti­me set­ti­ma­ne e la situa­zio­ne stes­sa del­la cit­tà, asse­dia­ta e affa­ma­ta dal regi­me e dai suoi allea­ti, dife­sa da mili­zie ribel­li diver­se e tal­vol­ta con­trap­po­ste tra loro, dan­no la misu­ra esat­ta del­la tra­ge­dia che la Siria sta viven­do e del­la com­ples­si­tà cre­scen­te che la guer­ra ali­men­ta. A ogni mor­to aumen­ta­no le ten­sio­ni incro­cia­te, si aggra­va la respon­sa­bi­li­tà di tut­ti gli atto­ri, si allon­ta­na la pace e con lei, natu­ral­men­te, la giu­sti­zia e la demo­cra­zia. Come dice­va un mani­fe­sto fir­ma­to a metà set­tem­bre da 150 arti­sti e scrit­to­ri siria­ni, “il mon­do oggi è un pro­ble­ma siria­no, come la Siria oggi è un pro­ble­ma mondiale”.
Si trat­ta indub­bia­men­te di una que­stio­ne com­ples­sa. E quan­do, dall’Europa, si affron­ta una que­stio­ne com­ples­sa, è neces­sa­rio por­si due doman­de. La pri­ma è: cosa voglia­mo. La secon­da è: cosa pos­sia­mo fare.
Sicu­ra­men­te in una situa­zio­ne com­ples­sa non potre­mo mai otte­ne­re tut­to quel­lo che voglia­mo, ma è bene sape­re cos’è. Cosa voglia­mo per la Siria? Le stes­se cose che voglia­mo per qual­sia­si altro Pae­se del mon­do, le stes­se cose per le qua­li lot­tia­mo nei nostri Pae­si: sovra­ni­tà eco­no­mi­ca, giu­sti­zia socia­le, rispet­to dei dirit­ti uma­ni, demo­cra­zia pie­na, un futu­ro per i nostri figli e figlie.
Cosa pos­sia­mo fare? Pri­ma di tut­to, se rico­no­scia­mo che si trat­ta di una situa­zio­ne com­ples­sa, pos­sia­mo fare una cosa: non sem­pli­fi­car­la. Ciò impli­ca rico­no­sce­re che gli osta­co­li che si frap­pon­go­no tra noi e quel­lo che voglia­mo – sovra­ni­tà, giu­sti­zia, dirit­ti uma­ni, demo­cra­zia – sono mol­ti e intri­ca­ti, e non si lascia­no imbri­glia­re in un rac­con­to linea­re. Cin­que anni e mez­zo fa, quan­do ebbe ini­zio la rivo­lu­zio­ne siria­na, le cose era­no più sem­pli­ci. L’ostacolo era prin­ci­pal­men­te uno: il regi­me dina­sti­co degli Assad, con­tro il qua­le buo­na par­te del popo­lo siria­no si sol­le­vò pacificamente.
Cin­que anni e mez­zo dopo, con la Siria tra­sfor­ma­ta in un poli­go­no di tiro di deci­ne di mili­zie e più di ses­san­ta pae­si, quel regi­me – insie­me ai suoi allea­ti – con­ti­nua ad esse­re il respon­sa­bi­le del­la mag­gior par­te del­le vit­ti­me civi­li (fino al 95%), del­la mag­gior par­te del­le vio­la­zio­ni di dirit­ti uma­ni (alme­no 6.786 dete­nu­ti mor­ti sot­to tor­tu­ra), del­la mag­gior par­te dei rifu­gia­ti ester­ni e inter­ni (rispet­ti­va­men­te 5 e 12 milio­ni), di 287 sui 346 attac­chi com­piu­ti con­tro strut­tu­re sani­ta­rie e di 667 sui 705 mor­ti tra il per­so­na­le sani­ta­rio, non­ché dell’assedio che affa­ma vil­lag­gi e cit­tà con cen­ti­na­ia di miglia­ia di abi­tan­ti, sem­pre secon­do fon­ti pie­na­men­te affi­da­bi­li. Nem­me­no lo Sta­to colom­bia­no è arri­va­to mai a tan­to con­tro il suo popo­lo; for­se solo Fran­co, duran­te e subi­to dopo la guer­ra civi­le spa­gno­la. Ma que­sto per la Siria non è solo il pas­sa­to: con­ti­nua ad esse­re il suo pre­sen­te, e la più ele­men­ta­re decen­za dovreb­be impe­dir­ci di dimenticarlo.
Ma cin­que anni e mez­zo dopo ci sono anco­ra altri osta­co­li. Se par­lia­mo del regi­me, è indub­bio che que­sto sareb­be sta­to scon­fit­to già da tem­po se non ci fos­se­ro sta­ti gli inter­ven­ti del­la Rus­sia, dell’Iran e di Hez­bol­lah che occu­pa­no let­te­ral­men­te il Pae­se e deter­mi­na­no sia il cor­so del­la guer­ra, con le loro bom­be e le loro trup­pe, sia la poli­ti­ca di Bachir Assad. Non è mol­to diver­so quel­lo che accad­de in Iraq, quan­do gli occu­pan­ti sta­tu­ni­ten­si per­mi­se­ro che alcu­ni tra que­sti stes­si atto­ri distrug­ges­se­ro il tes­su­to socia­le resi­sten­te, pun­tel­lan­do così il regi­me nato dall’invasione. Sono gli stes­si che man­ten­go­no in pie­di la dit­ta­tu­ra in vir­tù di inte­res­si diver­si che a vol­te si tra­du­co­no anche in pic­co­li con­flit­ti sotterranei.
La Rus­sia, il cui Par­la­men­to ha da poco appro­va­to la pre­sen­za per­ma­nen­te di basi rus­se in Siria, man­tie­ne il pol­so fer­mo con gli USA e con l’Unione Euro­pea ai qua­li fa scon­ta­re l’aggressiva e sba­glia­ta poli­ti­ca anti-rus­sa in Euro­pa, con lo sguar­do pun­ta­to più che altro sull’Ucraina. Ma la Rus­sia è un allea­to fon­da­men­ta­le di Israe­le e ha impe­di­to che l’Iran instal­las­se una base logi­sti­ca vici­no alle altu­re del Golan occu­pa­to, men­tre l’Iran, che ha nego­zia­to con gli USA la que­stio­ne nuclea­re, è con­si­de­ra­to da Israe­le – e con­si­de­ra Israe­le – come un nemi­co irri­du­ci­bi­le. La Rus­sia, in ogni caso, è diret­ta­men­te respon­sa­bi­le del­la mor­te di miglia­ia di civi­li in tut­ta la Siria e in par­ti­co­la­re ad Alep­po, cit­tà con­tro la qua­le ha sca­te­na­to nel­le ulti­me set­ti­ma­ne un’offensiva aerea indiscriminata.
Un altro osta­co­lo rile­van­te è ovvia­men­te lo Sta­to Isla­mi­co, oggi in riti­ra­ta, uti­liz­za­to come un jol­ly da tut­ti quel­li che uffi­cial­men­te dico­no di com­bat­ter­lo: a par­ti­re dal regi­me siria­no al qua­le inte­res­sa­va radi­ca­liz­za­re il con­flit­to mili­ta­re e che ha attac­ca­to mol­to poco il grup­po di Al-Bagh­da­di, per arri­va­re alla Tur­chiaallea­ta dell’UE e degli USA, mol­to com­pia­cen­te ver­so i jiha­di­sti, dei qua­li si è ser­vi­ta nel­la sua guer­ra con­tro i cur­di. Accan­to allo Sta­to Isla­mi­co, atro­ce padro­ne di se stes­so, ci sono altri grup­pi isla­mi­sti dipen­den­ti da poten­ze regio­na­li che osta­co­la­no un pro­get­to di sovra­ni­tà e demo­cra­zia e che com­pli­ca­no anco­ra di più la situa­zio­ne. Il più cono­sciu­to di tut­ti, e il più for­te, è Jab­hat Fath Al-Sham, già Jab­hat-al-Nusra, fino a qual­che mese fa dira­ma­zio­ne siria­na di Al Qae­da. Le mili­zie di Abu Moha­med al-Jola­ni han­no fago­ci­ta­to altri grup­pi e raf­for­za­to la pro­pria influen­za gra­zie ai finan­zia­men­ti pro­ve­nien­ti dai Pae­si del Gol­fo, soprat­tut­to dall’Arabia Sau­di­ta ed anche per­ché, a dif­fe­ren­za dell’autistico Sta­to Isla­mi­co nel suo ter­ri­to­rio paral­le­lo, com­bat­to­no sen­za sosta con­tro il regi­me e con­tro gli eser­ci­ti occupanti.
Infi­ne, ad osta­co­la­re la pace e la demo­cra­zia, c’è Israe­le, mol­to com­pia­ciu­ta dell’agonia siria­na, che gesti­sce il caos a distan­za e intan­to con­so­li­da l’occupazione del­la Pale­sti­na e asfis­sia silen­zio­sa­men­te i pale­sti­ne­si; c’è la Tur­chia, la cui prio­ri­tà è quel­la di com­bat­te­re i cur­di, appog­gia­ti dagli USA (un’altra con­trad­di­zio­ne spes­so igno­ra­ta) e che, dopo il con­tro-gol­pe di Erdo­gan, in cadu­ta libe­ra ver­so la dit­ta­tu­ra, si avvi­ci­na alla Rus­sia, all’Iran e per­fi­no al regi­me di Assad; c’è l’Unione Euro­pea, inu­ti­le e nar­ci­si­sta, pre­oc­cu­pa­ta solo degli atten­ta­ti sul suo ter­ri­to­rio e dell’arrivo dei rifu­gia­ti, due pro­ble­mi che essa stes­sa aggra­va con le sue poli­ti­che anti­ter­ro­ri­ste; e natu­ral­men­te ci sono gli Sta­ti Uni­ti, padri di tut­te le mise­rie, che nel 2003 inva­se­ro l’Iraq per “ragio­ni uma­ni­ta­rie” apren­do la por­ta ai cava­lie­ri dell’Apocalisse e che, come già fat­to con Israe­le e Pale­sti­na, abban­do­na­no ora i siria­ni nel­le mani di Bachir Assad non­ché, indi­ret­ta­men­te, del jiha­di­smo finan­zia­to dai loro allea­ti: gli inte­res­si di Washing­ton non pas­sa­va­no, e non pas­sa­no, dal­la demo­cra­tiz­za­zio­ne del­la Siria. Quan­do gli USA sono alla fine inter­ve­nu­ti, lo han­no fat­to per tra­sfor­ma­re la Siria in un fal­so cam­po di bat­ta­glia del­la “guer­ra glo­ba­le con­tro il ter­ro­ri­smo”, rile­git­ti­man­do il ruo­lo di Assad e sgan­cian­do bom­be che, come già dimo­stra­to in pas­sa­to, oltre ad ucci­de­re per­so­ne inno­cen­ti, fun­go­no da lie­vi­to per la vio­len­za che dico­no di voler com­bat­te­re. Biso­gna ripe­te­re anco­ra una vol­ta che l’espansione del­lo Sta­to Isla­mi­co, sia in Iraq che in Siria, è la con­se­guen­za e non la cau­sa del­la pre­ce­den­te demo­li­zio­ne del­lo sta­to socia­le che inva­so­ri, regi­mi e agen­ti regio­na­li han­no por­ta­to a ter­mi­ne coscien­zio­sa­men­te per con­so­li­da­re il pro­prio domi­nio ed evi­ta­re un cam­bia­men­to in sen­so demo­cra­ti­co nel­la regio­ne. Giu­sti­fi­ca­re il man­te­ni­men­to dei regi­mi di Dama­sco e di Bagh­dad, ille­git­ti­mi, cri­mi­na­li e cor­rot­ti, con l’espansione del­lo Sta­to Isla­mi­co (idea sul­la qua­le con­ver­go­no gli USA e alcu­ni set­to­ri del­la sini­stra euro­pea) è una pau­ro­sa dimo­stra­zio­ne di cini­smo o di igno­ran­za: è fal­sa, così come è peri­co­lo­sa la dico­to­mia tra il regi­me di Bachir Assad e lo Sta­to Isla­mi­co. Ed è cer­to che gli USA, che han­no finan­zia­to ed adde­stra­to in Gior­da­nia le mili­zie che com­bat­to­no con­tro Assad, han­no finan­zia­to ed adde­stra­to anche le mili­zie scii­te ira­che­ne che lo sostengono.

Cosa pos­sia­mo fare di fron­te a un pro­ble­ma com­ples­so, che sta costan­do miglia­ia di vite uma­ne? Pri­ma di tut­to, non sem­pli­fi­ca­re. Le righe che pre­ce­do­no costi­tui­sco­no, ci sem­bra, un pic­co­lo cam­pio­na­rio del­le com­ples­si­tà che biso­gna affron­ta­re e che non pos­so­no ridur­si a una cifra gesti­bi­le con un abra­ca­da­bra geo­po­li­ti­co del XX seco­lo. Se voglia­mo per la Siria le stes­se cose che voglia­mo per noi – giu­sti­zia, sovra­ni­tà, dirit­ti uma­ni, demo­cra­zia, un futu­ro per i nostri figli e figlie – è neces­sa­rio com­pren­de­re, a par­ti­re da que­sti dati, che la solu­zio­ne pas­sa dal­la rot­tu­ra del ciclo “intervento/ dit­ta­tu­re locali/ jiha­di­smo ter­ro­ri­sta”, come si è cer­ca­to di fare duran­te le rivol­te del 2011 e che que­sto esclu­de, rea­li­sti­ca­men­te, qua­lun­que ruo­lo del­la dina­stia Assad dal futu­ro del­la Siria.
Come ripe­te instan­ca­bil­men­te la nostra ammi­re­vo­le Lei­la Nacha­wa­ti: “più Assad, più Sta­to Isla­mi­co” e quin­di, aggiun­gia­mo noi, più inter­ven­ti ester­ni. Né l’etica né la poli­ti­ca, e tan­to meno una com­mi­stio­ne del­le due, può con­ce­de­re – per prin­ci­pio o per prag­ma­ti­smo geo­stra­te­gi­co – un solo cen­ti­me­tro del timo­ne a un cri­mi­na­le di guer­ra che la mag­gio­ran­za del popo­lo non accet­ta più come gover­nan­te e con il qua­le non è dispo­sta a nego­zia­re. Gli USA devo­no tene­re fer­ma l’Arabia Sau­di­ta (e Israe­le), ma sono la Rus­sia e l’Iran gli uni­ci che pos­so­no sbloc­ca­re la situa­zio­ne tiran­do fuo­ri Assad dal palaz­zo di Dama­sco. In que­sto sen­so, è mol­to tri­ste che una par­te del­la sini­stra euro­pea con­ti­nui ad alli­near­si con l’estrema destra a favo­re del regi­me siria­no e del­la Rus­sia di Putin, e che si espri­ma in que­sto sen­so per­fi­no al Par­la­men­to Euro­peo. Come abbia­mo già evi­den­zia­to altro­ve, se non bastas­se l’attuale azio­ne geno­ci­da con­tro il suo popo­lo, c’è il pas­sa­to di que­sta dina­stia, il suo ruo­lo di gen­dar­me regio­na­le, la sua com­pli­ci­tà con Israe­le e il suo appog­gio agli USA duran­te la pri­ma e la secon­da guer­ra del Gol­fo, a ren­de­re anco­ra più scioc­co l’atteggiamento di que­sta sini­stra che si può attri­bui­re ormai solo ad un rifles­so pavlo­via­no ere­di­ta­to dall’eclissata Guer­ra Fredda.
E allo­ra, cosa pos­sia­mo fare? Non sem­pli­fi­ca­re e tira­re del­le con­clu­sio­ni. Ma pos­sia­mo fare anche di più. Pos­sia­mo ascol­ta­re i siria­ni che lot­ta­no per le stes­se cose per cui lot­tia­mo noi, però gio­can­do­si la vita; quel­li che voglio­no giu­sti­zia, auto­de­ter­mi­na­zio­ne, dirit­ti uma­ni e demo­cra­zia, quel­li che scom­met­to­no di poter spez­za­re il ciclo di inter­ven­ti mul­ti­na­zio­na­li, dit­ta­tu­re loca­li e ter­ro­ri­smo jiha­di­sta. Lo sa mol­to bene Bachir Assad, come lo han­no sem­pre sapu­to mol­to bene gli Sta­ti Uni­ti: la vio­len­za è uti­lis­si­ma, la vio­len­za fun­zio­na, la vio­len­za rin­no­va tut­te le pul­sio­ni e impe­di­sce di ricor­da­re i moti­vi del­la lot­ta e impe­di­sce anche che, a par­ti­re da quel ricor­do, la socie­tà civi­le si orga­niz­zi. La socie­tà e la guer­ra sono incom­pa­ti­bi­li. La resi­sten­za civi­le e la guer­ra sono incom­pa­ti­bi­li. For­se non ci sono dei siria­ni nor­ma­li che lot­ta­no in Siria per le stes­se cose per le qua­li noi lot­tia­mo in Euro­pa? Ci sono e sono anco­ra miglia­ia. È basta­ta una bre­ve tre­gua a feb­bra­io per­ché uscis­se­ro nuo­va­men­te in stra­da, a mani­fe­sta­re con­tro il regi­me e con­tro l’Isis, e anche con­tro Jab­hat Al-Nusra nel­la pro­vin­cia di Idlib, dan­do vita a un movi­men­to che resi­ste anco­ra. Altret­tan­to è suc­ces­so duran­te la più recen­te e pre­ca­ria tre­gua, dopo l’accordo ‑già rot­to- tra Rus­sia e USA: basta un momen­to di pace, una sospen­sio­ne del­lo tsu­na­mi assas­si­no, per­ché le stra­de ‑le rovi­ne- risuo­ni­no di resi­sten­za civi­le e volon­tà di orga­niz­za­zio­ne politica.
Il ricer­ca­to­re Félix Legrand, in un lavo­ro mol­to meti­co­lo­so, ana­liz­za la stra­te­gia di Jab­hat Al-Nusra nei diver­si ter­ri­to­ri e mostra un rap­por­to diret­ta­men­te pro­por­zio­na­le tra le tre­gue e l’indebolimento del­la sua legit­ti­ma­zio­ne socia­le. La con­clu­sio­ne di Legrand è che a Jab­hat-al-Nusra, così come al regi­me ed ai suoi allea­ti rus­si, non inte­res­sa­no le tre­gue: la dit­ta­tu­ra e i jiha­di­sti pos­so­no respi­ra­re solo in bat­ta­glia. Entram­bi san­no che appe­na ces­sa­no di cade­re bom­be su una cit­tà, la socie­tà civi­le super­sti­te ripren­de ter­re­no con le sue richie­ste di pace e demo­cra­zia con­tro, al tem­po stes­so, il regi­me di Assad, gli inter­ven­ti mul­ti­na­zio­na­li ed i jiha­di­sti. Non è vero, non è asso­lu­ta­men­te vero che non ci sia un inter­lo­cu­to­re socia­le, poli­ti­co e mili­ta­re siria­no che potrem­mo appog­gia­re aper­ta­men­te: non lo vedia­mo for­se tut­ti i gior­ni? Non voglia­mo veder­lo tut­ti gior­ni, sot­to l’atroce vio­len­za che il popo­lo siria­no subi­sce da cin­que anni e mez­zo? Chi ha anco­ra qual­che dub­bio in pro­po­si­to, che non ne abbia sul fat­to che il silen­zio o la com­pli­ci­tà rea­le di alcu­ni set­to­ri del­la sini­stra euro­pea stan­no con­tri­buen­do a far sì che que­sto inter­lo­cu­to­re si dis­sol­va, impo­ten­te, tra le onda­te di rifu­gia­ti e le mon­ta­gne di cadaveri.

Pos­sia­mo quin­di capi­re, trar­re con­clu­sio­ni e soli­da­riz­za­re con i siria­ni che sof­fro­no e, in par­ti­co­la­re, con quel­li che sof­fro­no per­ché ambi­sco­no alle stes­se cose cui ambia­mo noi: sì, pro­prio le nostre stes­se coseÈ ver­go­gno­so che la destra gover­nan­te euro­pea, che sof­fia sul fuo­co, si sia impa­dro­ni­ta del discor­so sul­la Siria, in ter­mi­ni osce­na­men­te “uma­ni­ta­ri”, men­tre una par­te del­la sini­stra non solo glie­lo con­se­gna, ma “repri­me” le mobi­li­ta­zio­ni con­tro la guer­ra e cri­mi­na­liz­za quel­li che si rifiu­ta­no di fare distin­zio­ni tra le bom­be del­la Rus­sia e quel­le degli USA, quan­do entram­be ucci­do­no bam­bi­ni e impe­di­sco­no la demo­cra­tiz­za­zio­ne e l’autodeterminazione nell’area.
Men­tre l’Arabia Sau­di­ta appog­gia­va le mili­zie più retro­gra­de e assas­si­ne, la sini­stra spa­gno­la, in buo­na com­pa­gnia dei fasci­sti fran­ce­si, polac­chi o ita­lia­ni, soste­ne­va Bachir Assad e visi­ta­va il suo palaz­zo. Nel frat­tem­po la sini­stra siria­na (pen­sia­mo a Yas­sin Al Haj Saleh o a Sala­meh Kei­leh, anco­ra vivi) per­de­va logi­ca­men­te la bat­ta­glia sul fron­te inter­no; e la mino­ran­za super­sti­te, deci­ma­ta dall’esilio e dal­la mor­te, insie­me al popo­lo siria­no maciul­la­to, con­ti­nua a lot­ta­re con­tro tut­ti i nemi­ci del mon­do, com­pre­si quei sini­stror­si euro­pei che tan­to han­no gri­da­to, giu­sta­men­te, con­tro l’invasione dell’Iraq e ora tac­cio­no davan­ti ai cri­mi­ni del­la Russia.