Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Storia del movimento operaio

La rivoluzione ungherese dei consigli operai

Insulting remarks were scrawled over the fragmented parts of the statue.

Come ave­va­mo anti­ci­pa­to nel bre­ve post “La rivo­lu­zio­ne d’Ungheria del 1956”, pub­bli­chia­mo ora la splen­di­da ana­li­si di quei tra­gi­ci fat­ti svol­ta dal­lo sto­rio­gra­fo mar­xi­sta Pier­re Broué, per­ché, sia pure in un testo abba­stan­za lun­go, rivi­si­ta da un ver­san­te di clas­se lo svol­ger­si degli avve­ni­men­ti riat­tri­buen­do loro i carat­te­ri del­la veri­tà sto­ri­ca, can­cel­la­ti da tut­ti colo­ro che ave­va­no inte­res­se a depri­va­re la rivo­lu­zio­ne unghe­re­se del poten­zia­le anti­bu­ro­cra­ti­co di una rivo­lu­zio­ne poli­ti­ca che vole­va rove­scia­re l’oppressivo siste­ma sta­li­ni­sta per tor­na­re all’autentico signi­fi­ca­to del­la rivo­lu­zio­ne socia­li­sta del 1917: da una par­te, il capi­ta­li­smo, che inten­de­va così “dimo­stra­re” agli occhi del­le mas­se occi­den­ta­li che l’esperimento socia­li­sta era fal­li­men­ta­re; dall’altra, la cric­ca buro­cra­ti­ca sta­li­nia­na (dell’Urss in pri­mo luo­go, ma anche inter­na­zio­na­le), che prov­ve­de­va così — con la fero­ce repres­sio­ne del ten­ta­ti­vo del­le mas­se popo­la­ri e dei lavo­ra­to­ri magia­ri di libe­rar­si dal­la mor­sa del regi­me sta­li­ni­sta — alla pro­pria auto­con­ser­va­zio­ne e autoperpetuazione.
Si potreb­be allo­ra pen­sa­re che, da que­sto pun­to di vista, alla rie­vo­ca­zio­ne fat­ta da Broué pos­sa attri­buir­si solo un inte­res­se sto­ri­co. Noi, però, non ne sia­mo affat­to con­vin­ti, poi­ché cre­dia­mo inve­ce che essa ser­va anche a far emer­ge­re tut­te le con­trad­di­zio­ni nel­la posi­zio­ne di chi nel cam­po del­la sini­stra non rifor­mi­sta, pur richia­man­do­si for­mal­men­te al bol­sce­vi­smo, di fat­to nutre di esso — anche cer­can­do di met­ter­la in pra­ti­ca, per lo più con risul­ta­ti grot­te­schi — una con­ce­zio­ne “mili­ta­re”. Costo­ro, infat­ti, riven­di­ca­no sì il pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio unghe­re­se, ma sor­vo­la­no alle­gra­men­te sul fat­to che essa fu con­dot­ta dai lavo­ra­to­ri magia­ri pro­prio con­tro quel­la con­ce­zio­ne “mili­ta­re” e per ripor­ta­re la rivo­lu­zio­ne nell’alveo di un bol­sce­vi­smo auten­ti­co, con­ce­pi­to da Lenin e dai suoi come un siste­ma coe­ren­te per giun­ge­re alla libe­ra­zio­ne del­l’uo­mo, non alla sua irre­gi­men­ta­zio­ne in un’organizzazione buro­cra­ti­ca­men­te ottusa.
Tut­ta­via, ciò costi­tui­rà mate­ria per un pros­si­mo testo. Frat­tan­to, augu­ria­mo buo­na let­tu­ra, segna­lan­do che l’originale in fran­ce­se dell’articolo di Broué che qui pro­po­nia­mo si tro­va alla pagi­na web Marxists.org, men­tre noi ci sia­mo avval­si del­la tra­du­zio­ne in ita­lia­no fat­ta dai com­pa­gni di Marxpedia.org, che abbia­mo rive­du­to e mar­gi­nal­men­te cor­ret­to in alcu­ni punti.

La rivoluzione ungherese dei consigli operai

Pier­re Broué

 

Rivoluzione a Budapest

Il 20 e 21 otto­bre 1956 i lavo­ra­to­ri polac­chi, mobi­li­ta­ti all’interno del­le loro fab­bri­che, si pre­pa­ra­no a resi­ste­re alla minac­cia mili­ta­re rus­sa. La sera del 21 Radio-Var­sa­via pro­cla­ma la vit­to­ria del­la “Pri­ma­ve­ra d’ottobre”. Mosca ha cedu­to. Il suo sgher­ro Rokos­so­w­sky è sta­to eli­mi­na­to dal Polit­bu­ro e diven­ta segre­ta­rio il vete­ra­no Gomul­ka, get­ta­to in pri­gio­ne da Sta­lin. I lavo­ra­to­ri polac­chi festeg­gia­no in un cli­ma di gio­ia la loro vittoria.
I lavo­ra­to­ri e la gio­ven­tù unghe­re­se ven­go­no a cono­scen­za di que­sta gran­de noti­zia. Lot­ta­no già da mesi. Gli intel­let­tua­li han­no pre­so la paro­la per pri­mi: han­no riven­di­ca­to liber­tà nell’arte e, di fron­te all’impatto entu­sia­sman­te che si è pro­dot­to, han­no par­la­to di liber­tà tout court. La gio­ven­tù li ha accla­ma­ti. «Non sono sta­to io ad aver spin­to la gio­ven­tù ver­so la liber­tà – dichia­re­rà lo scrit­to­re comu­ni­sta Gyu­la Hay – ma è sta­ta lei a spin­ger­mi … Io cri­ti­ca­vo gli ecces­si del­la buro­cra­zia, i pri­vi­le­gi, le distor­sio­ni, e più anda­vo avan­ti più sen­ti­vo di esse­re asse­con­da­to da un’ondata di sen­ti­men­ti e di affet­to … Si orien­ta­va ver­so di noi, scrit­to­ri, un desi­de­rio irre­fre­na­bi­le di liber­tà»[1]. Gli scrit­to­ri comu­ni­sti han­no for­mu­la­to le riven­di­ca­zio­ni dei gio­va­ni. «È ora di finir­la con que­sto regi­me di gen­dar­mi e di buro­cra­ti», ha pro­cla­ma­to Tibor Déry[2]. Gyu­la Haj­du, mili­tan­te comu­ni­sta, 74 anni, 50 anni di mili­tan­za, ha mes­so a nudo i buro­cra­ti: «Come potreb­be­ro mai sape­re quel­lo che suc­ce­de i diri­gen­ti comu­ni­sti? Non vivo­no mai tra i lavo­ra­to­ri e la gen­te del popo­lo, non li incon­tra­no sull’autobus per­ché tut­ti pos­seg­go­no la loro auto, non li incon­tra­no nei nego­zi o al mer­ca­to per­ché usu­frui­sco­no di pro­pri magaz­zi­ni spe­cia­li, non li incon­tra­no all’ospedale per­ché dispon­go­no di sana­to­ri par­ti­co­la­ri»[3]. La gio­va­ne gior­na­li­sta Judith Mariás­sy rispon­de con fie­rez­za ai buro­cra­ti che l’hanno redar­gui­ta: «La ver­go­gna non sta nel par­la­re di que­sti magaz­zi­ni di lus­so e di que­ste case cir­con­da­te dal filo spi­na­to. La ver­go­gna è che que­sti nego­zi e que­ste case esi­sta­no. Abo­li­te i pri­vi­le­gi e non ne par­le­re­mo più»[4].
Al cir­co­lo Petö­fi, tri­bu­na di discus­sio­ne crea­ta alla fine del 1955 dall’organizzazione del­la gio­ven­tù (DISZ), alcu­ni gran­di dibat­ti­ti han­no per­mes­so di por­re pub­bli­ca­men­te i pro­ble­mi poli­ti­ci che toc­ca­no tut­ti gli unghe­re­si e spe­cial­men­te la gio­ven­tù, uti­liz­zan­do i risul­ta­ti del XX con­gres­so del PCUS in cui Kru­sciov, il 23 feb­bra­io 1956, ha espo­sto il noto “rap­por­to segre­to”: si ini­zia con un dibat­ti­to sull’economia mar­xi­sta in mar­zo, sul­la scien­za sto­ri­ca e la filo­so­fia mar­xi­sta a mag­gio e a giu­gno, un incon­tro dei gio­va­ni coi vec­chi mili­tan­ti comu­ni­sti dell’illegalità usci­ti in buo­na par­te dal­le pri­gio­ni di Sta­lin e Ráko­si, il 18 giu­gno, dibat­ti­ti sul­la stam­pa e l’informazione il 28 giu­gno … dibat­ti­ti in cui ven­go­no coin­vol­te miglia­ia di par­te­ci­pan­ti. In mol­ti dibat­ti­ti il sem­pli­ce con­tat­to tra mili­tan­ti di ori­gi­ni socia­li, gene­ra­zio­ne ed espe­rien­za dif­fe­ren­ti è suf­fi­cien­te per far emer­ge­re la real­tà socia­le, il castel­lo di men­zo­gne del pre­sun­to socia­li­smo sta­li­nia­no. Il 18 giu­gno la signo­ra Láz­ló Rajk, vedo­va del diri­gen­te comu­ni­sta assas­si­na­to nel 1949 come “titi­sta” e “agen­te dell’imperialismo” dopo un pro­ces­so costrui­to da Ráko­si per ordi­ne di Sta­lin, indi­can­do i buro­cra­ti che sie­do­no alla tri­bu­na escla­ma: «Non sol­tan­to ave­te ucci­so mio mari­to, ma ave­te anche ucci­so il sen­so del­la decen­za in que­sto pae­se. Ave­te distrut­to da cima a fon­do la vita poli­ti­ca, eco­no­mi­ca e mora­le dell’Ungheria. Non si pos­so­no ria­bi­li­ta­re gli assas­si­ni: biso­gna punir­li!». Dopo l’intervento di Gyu­la Haj­du, deci­ne di miglia­ia di gio­va­ni ini­zia­no a ripe­te­re: «I diri­gen­ti devo­no andar­se­ne». Agli occhi degli intel­let­tua­li e dei comu­ni­sti che ani­ma­no il cir­co­lo Petö­fi un uomo incar­na il cam­bia­men­to di poli­ti­ca, la “rifor­ma” del par­ti­to: Imre Nagy, vete­ra­no del par­ti­to, per lun­go tem­po in URSS ma lega­to alla ten­den­za “bucha­ri­nia­na” e che, dopo il suo bre­ve perio­do al pote­re nel 1953, con­so­li­da nel par­ti­to e nei cir­co­li di sim­pa­tiz­zan­ti le spe­ran­ze degli avver­sa­ri di Ráko­si. Secon­do il filo­so­fo Györ­gy Lukács, per gli ani­ma­to­ri del movi­men­to chia­ma­to “comu­ni­sta libe­ra­le” o del “comu­ni­smo nazio­na­le”, per i comu­ni­sti impri­gio­na­ti con l’accusa di titi­smo ai tem­pi di Sta­lin e da poco ria­bi­li­ta­ti, gli Jánós Kádár e i Geza Losonc­zy, ed anche per i gio­va­ni che dan­no loro fidu­cia, si trat­ta di cam­bia­re la dire­zio­ne del par­ti­to, sosti­tuen­do il grup­po Ráko­si-Gerö con quel­lo attor­no a Nagy: sarà allo­ra pos­si­bi­le met­ter­si in mar­cia ver­so il socia­li­smo auten­ti­co, libe­ra­to dal­le sco­rie del­lo stalinismo.
La “desta­li­niz­za­zio­ne” ha decu­pli­ca­to le spe­ran­ze. Ha crea­to le con­di­zio­ni per­ché ci si potes­se espri­me­re alla luce del gior­no. I risul­ta­ti sono però asfit­ti­ci. Cer­to Ráko­si è sta­to allon­ta­na­to, ma Gerö è rima­sto segre­ta­rio gene­ra­le del par­ti­to. Gerö, l’uomo del­la GPU[5]. Rajk è sta­to ria­bi­li­ta­to ma dai suoi assas­si­ni, i qua­li han­no pure por­ta­to la sua bara sul­le spal­le. Déry e Tar­dos sono sta­ti espul­si dal par­ti­to il 30 giu­gno 1956, ben dopo il rap­por­to Kru­sciov. Il tetro Far­kas e suo figlio, “il tor­tu­ra­to­re”, sono libe­ri. Gerö è anda­to a Bel­gra­do per chie­de­re a Tito un cer­ti­fi­ca­to di “desta­li­niz­za­zio­ne”. Il “titoi­sta” Kádár lo ha accom­pa­gna­to. Non è que­sta la desta­li­niz­za­zio­ne che voglio­no i gio­va­ni e i loro por­ta­vo­ce, gli scrit­to­ri comu­ni­sti. Voglio­no inve­ce una desta­li­niz­za­zio­ne auten­ti­ca, voglio­no finir­la con gen­dar­mi e buro­cra­ti, voglio­no un socia­li­smo vera­men­te demo­cra­ti­co. San­no anche, da qual­che tem­po, di ave­re al pro­prio fian­co i lavo­ra­to­ri, più len­ti a met­ter­si in movi­men­to ma che andran­no fino in fon­do. Nel­la sede di Iro­dal­mi Ujság, il gior­na­le dell’Unione degli Scrit­to­ri, il tor­ni­to­re Pál Lász­ló dichia­ra, in nome dei 40.000 ope­rai di Cse­pel, Cse­pel-la-ros­sa: «Fino­ra sia­mo rima­sti in silen­zio. Duran­te que­sti tem­pi tra­gi­ci abbia­mo impa­ra­to ad esse­re silen­zio­si e ad anda­re avan­ti con mol­ta cau­te­la. In pas­sa­to basta­va una pic­co­la osser­va­zio­ne per­ché l’operaio fos­se puni­to e per­des­se il suo pane quo­ti­dia­no … Dopo il XX con­gres­so le por­te si sono aper­te. Tut­ta­via, fino­ra, par­lia­mo solo di respon­sa­bi­li mino­ri. Ci chie­dia­mo se non sia giun­ta l’ora di get­ta­re pie­na luce sui pri­mi e veri col­pe­vo­li. Voglia­mo sape­re la veri­tà. Non sia­mo asse­ta­ti di san­gue ma di veri­tà. Sia­te sicu­ri, par­le­re­mo anche noi»[6].
Così gli ope­rai uni­sco­no la loro for­za tran­quil­la al movi­men­to degli intel­let­tua­li. Cse­pel ha appe­na dato la sua cau­zio­ne a Iro­dal­mi Ujzag, pro­prio come a Var­sa­via la fab­bri­ca di Zeran l’ha por­ta­ta alla reda­zio­ne di Po Pro­stu. In Polo­nia que­sta con­giun­zio­ne ha deci­so la vit­to­ria. Ma a Buda­pe­st c’è Gerö e die­tro di lui la poli­zia poli­ti­ca, l’AVH. I buro­cra­ti del Cre­mi­no tira­no le som­me. Han­no appe­na subi­to una pri­ma scon­fit­ta e sono, come sem­pre, pron­ti ad ogni tipo di cri­mi­ne per evi­ta­re una secon­da vit­to­ria rivo­lu­zio­na­ria che lasce­reb­be alla buro­cra­zia i gior­ni contati.

21 e 22 ottobre
Il 21 gli stu­den­ti del Poli­tec­ni­co di Buda­pe­st orga­niz­za­no un’assemblea. Come a Var­sa­via, gli stu­den­ti del­le clas­si supe­rio­ri dell’insegnamento tec­ni­co sono l’avanguardia del movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio. Chie­do­no la liber­tà di stam­pa, l’abolizione del­la pena di mor­te, l’abolizione dei cor­si obbli­ga­to­ri di “mar­xi­smo”, un pro­ces­so pub­bli­co per Far­kas. Come i loro com­pa­gni di Sze­ged, che, in più, han­no richie­sto la ridu­zio­ne degli alti sala­ri, quel­li dei buro­cra­ti, minac­cia­no di soste­ne­re il pro­prio pro­gram­ma con mani­fe­sta­zio­ni di piaz­za se le loro riven­di­ca­zio­ni non ver­ran­no sod­di­sfat­te[7].
Nel­la cit­tà indu­stria­le di Györ si tie­ne un’assemblea pub­bli­ca che il gior­na­le loca­le del PC unghe­re­se descri­ve come «il pri­mo dibat­ti­to pub­bli­co del tut­to libe­ro». Gyu­la Háy cita gli esem­pi cine­se e jugo­sla­vo, recla­ma la «chiu­su­ra del­le basi sovie­ti­che in Unghe­ria» come par­te inte­gran­te di una poli­ti­ca di indi­pen­den­za nazio­na­le, affer­ma che la stam­pa è diret­ta «in manie­ra inet­ta» e dipin­ge l’espulsione di Déry e Tar­dos come un atto inti­mi­da­to­rio desti­na­to a pre­pa­ra­re il ter­re­no a nuo­ve misu­re con­tro lo stes­so Imre Nagy. Due­mi­la per­so­ne lo accla­ma­no[8].
Il 22 all’università Lóránd Eöt­vös di Buda­pe­st si svol­ge un’assemblea degli stu­den­ti del Poli­tec­ni­co. Alcu­ni gior­ni pri­ma, i mee­ting all’università poli­tec­ni­ca di Var­sa­via sono sta­ti il cuo­re del­la rivo­lu­zio­ne. È là che sono inter­ve­nu­ti i rivo­lu­zio­na­ri di Zeran. È là che la gio­ven­tù rivo­lu­zio­na­ria di Var­sa­via ha dato il suo appog­gio a Gomul­ka. I gio­va­ni unghe­re­si riu­ni­ti al Poli­tec­ni­co di Buda­pe­st sono ansio­si di gio­ca­re lo stes­so ruo­lo. La riu­nio­ne è tur­bo­len­ta. Gli ora­to­ri, tra cui si nota uno stu­den­te anzia­no, Joszef Szi­lá­gyi, un vec­chio comu­ni­sta ami­co di Imre Nagy, recla­ma­no il ritor­no al pote­re di Nagy. Anche la gio­ven­tù unghe­re­se cer­ca il suo Gomul­ka. L’obiettivo del­la gio­ven­tù unghe­re­se è una «socie­tà socia­li­sta vera­men­te indi­pen­den­te»; essa pen­sa di arri­var­ci attra­ver­so il cam­bia­men­to del­la dire­zio­ne del par­ti­to che richie­de a gran voce. Gli obiet­ti­vi imme­dia­ti sono fis­sa­ti in una riso­lu­zio­ne pro­gram­ma­ti­ca di 16 pun­ti – i 16 pun­ti del­la gio­ven­tù – che pro­va si sfor­za di toc­ca­re tut­te le riven­di­ca­zio­ni imme­dia­te del­la nazio­ne ungherese.

  1. «Esi­gia­mo il riti­ro imme­dia­to dall’Ungheria di tut­te le trup­pe sovie­ti­che, in con­for­mi­tà col trat­ta­to di pace sigla­to nel 1947 tra URSS e Ungheria.
  2. Esi­gia­mo l’elezione a scru­ti­nio segre­to di tut­ti i diri­gen­ti del par­ti­to, ad ogni livel­lo, dal bas­so ver­so l’alto, affin­ché que­sti con­vo­chi­no appe­na pos­si­bi­le un con­gres­so del par­ti­to che eleg­ge­rà una nuo­va dire­zio­ne centrale.
  3. Esi­gia­mo la for­ma­zio­ne di un gover­no pre­sie­du­to dal com­pa­gno I. Nagy e che sia­no sosti­tui­ti tut­ti i diri­gen­ti cri­mi­na­li dell’epoca stalino-rákosista.
  4. Esi­gia­mo dibat­ti­ti pub­bli­ci sul caso Far­kas, Micha­ly e com­pa­gni, e così pure il loro rien­tro nel nostro Pae­se e un giu­di­zio davan­ti al tri­bu­na­le del popo­lo per Mátyas Ráko­si, prin­ci­pa­le respon­sa­bi­le del fal­li­men­to del Pae­se e dei cri­mi­ni com­mes­si nell’ultimo periodo.
  5. Esi­gia­mo l’elezione a scru­ti­nio segre­to ed ugua­le, con la par­te­ci­pa­zio­ne di più par­ti­ti, di una nuo­va Assem­blea nazio­na­le. Esi­gia­mo che sia garan­ti­to il dirit­to di scio­pe­ro per i lavoratori.
  6. Esi­gia­mo un nuo­vo accor­do e la revi­sio­ne del­le rela­zio­ni cul­tu­ra­li, eco­no­mi­che e poli­ti­che jugo­sla­vo-unghe­re­si e sovie­ti­co-unghe­re­si, sul­la base del prin­ci­pio di non inter­ven­to reci­pro­co nel­le que­stio­ni inter­ne e di una pie­na ugua­glian­za eco­no­mi­ca e politica.
  7. Esi­gia­mo la rior­ga­niz­za­zio­ne di tut­ta la vita eco­no­mi­ca unghe­re­se con la par­te­ci­pa­zio­ne dei nostri spe­cia­li­sti. Esi­gia­mo la rior­ga­niz­za­zio­ne di tut­to il siste­ma eco­no­mi­co sul­la base del pia­no, in modo da uti­liz­za­re le risor­se nazio­na­li per gli inte­res­si vita­li del nostro popolo.
  8. Esi­gia­mo che sia­no resi pub­bli­ci i trat­ta­ti riguar­dan­ti il com­mer­cio con l’estero e i dati rea­li sull’entità dei dan­ni di guer­ra. Esi­gia­mo una infor­ma­zio­ne pub­bli­ca e com­ple­ta sul­le con­ces­sio­ni pro­po­ste ai rus­si, sul­lo sfrut­ta­men­to e lo stoc­cag­gio dell’uranio del nostro pae­se. Esi­gia­mo che l’Ungheria pos­sa fis­sa­re libe­ra­men­te, in mone­ta for­te, il prez­zo di ven­di­ta del suo ura­nio sul­la base del prez­zo vigen­te sul mer­ca­to mondiale.
  9. Esi­gia­mo la revi­sio­ne com­ple­ta del­le nor­me sui rit­mi di lavo­ro nell’industria, come anche il sod­di­sfa­ci­men­to del­le riven­di­ca­zio­ni sala­ria­li dei lavo­ra­to­ri manua­li e intel­let­tua­li. I lavo­ra­to­ri pre­ten­do­no che sia fis­sa­to un mini­mo vitale.
  10. Esi­gia­mo una nuo­va orga­niz­za­zio­ne del siste­ma del­le con­se­gne obbli­ga­to­rie e l’utilizzo razio­na­le dei pro­dot­ti agri­co­li. Esi­gia­mo un trat­ta­men­to pari­ta­rio per i pic­co­li con­ta­di­ni lavoratori.
  11. Esi­gia­mo la revi­sio­ne davan­ti a Tri­bu­na­li, real­men­te indi­pen­den­ti, di tut­ti i pro­ces­si eco­no­mi­ci e poli­ti­ci e la ria­bi­li­ta­zio­ne di tut­ti gli inno­cen­ti con­dan­na­ti. Esi­gia­mo il tra­sfe­ri­men­to imme­dia­to in Unghe­ria di tut­ti i cit­ta­di­ni e i pri­gio­nie­ri tra­sfe­ri­ti coat­ti­va­men­te in URSS, com­pre­si i condannati.
  12. Esi­gia­mo una radio libe­ra, la com­ple­ta liber­tà di stam­pa, di paro­la e di opi­nio­ne e l’uscita di un nuo­vo quo­ti­dia­no a gran­de tira­tu­ra, orga­no del­la MEFESZ (l’organizzazione indi­pen­den­te degli stu­den­ti che si era appe­na costituita).
  13. Esi­gia­mo che la sta­tua di Sta­lin, sim­bo­lo dell’oppressione poli­ti­ca e del­la dit­ta­tu­ra sta­li­ni­sta, sia abbat­tu­ta al più pre­sto e che al suo posto sia eret­to un monu­men­to ai mar­ti­ri e agli eroi del­la lot­ta per la liber­tà del 1848–1849.
  14. Al posto di sim­bo­li del tut­to estra­nei al popo­lo unghe­re­se, esi­gia­mo il ritor­no alle vec­chie inse­gne di Kos­suth. Esi­gia­mo una nuo­va uni­for­me degna del­le tra­di­zio­ni nazio­na­li del­la Hon­ved (eser­ci­to unghe­re­se, NdT). Esi­gia­mo che il 5 mag­gio, anni­ver­sa­rio del­la pro­cla­ma­zio­ne dell’indipendenza nel 1848 sia festa nazio­na­le e gior­no festi­vo e che il 6 otto­bre, gior­no dei fune­ra­li solen­ni di Rajk, sia gior­no di lut­to e con­ge­do scolastico.
  15. La gio­ven­tù del­le uni­ver­si­tà poli­tec­ni­che di Buda­pe­st pro­cla­ma con entu­sia­smo una­ni­me la sua soli­da­rie­tà com­ple­ta con la clas­se ope­ra­ia e la gio­ven­tù di Var­sa­via e del­la Polo­nia nel­la sua rela­zio­ne col movi­men­to polac­co per l’indipendenza.
  16. Gli stu­den­ti dell’università poli­tec­ni­ca del­le costru­zio­ni costrui­sco­no da subi­to le orga­niz­za­zio­ni loca­li del­la MEFESZ ed han­no altre­sì deci­so di con­vo­ca­re a Buda­pe­st per saba­to 27 otto­bre un Par­la­men­to del­la Gio­ven­tù in cui tut­ti i gio­va­ni del pae­se saran­no rap­pre­sen­ta­ti da pro­pri dele­ga­ti».

La riso­lu­zio­ne è invia­ta al par­ti­to ed al gover­no. Gli stu­den­ti ne chie­do­no la pub­bli­ca­zio­ne sul­la stam­pa e la let­tu­ra alla radio. In segui­to mani­fe­sta­no la «loro sim­pa­tia fra­ter­na ai com­pa­gni polac­chi in lot­ta per la sovra­ni­tà e la libe­ra­zio­ne»[9]. Come a Var­sa­via, dove l’assemblea del Poli­tec­ni­co del 19 otto­bre ha par­la­to a nome di tut­ta la gio­ven­tù rivo­lu­zio­na­ria, gli stu­den­ti unghe­re­si con que­sto gesto sot­to­li­nea­no la cari­ca di inter­na­zio­na­li­smo pro­le­ta­rio che ani­ma que­sti gio­va­ni. Pro­fes­so­ri e allie­vi dell’Accademia mili­ta­re “Miklos Zri­nyi”, scuo­la di for­ma­zio­ne per uffi­cia­li, adot­ta­no i 16 pun­ti. Col mede­si­mo spi­ri­to di sim­pa­tia mili­tan­te ver­so la rivo­lu­zio­ne polac­ca, il cir­co­lo Petö­fi lan­cia per l’indomani, 23 otto­bre, la paro­la d’ordine di una mani­fe­sta­zio­ne pub­bli­ca in soli­da­rie­tà con la Polo­nia. Il cir­co­lo vota una riso­lu­zio­ne in cui chie­de la con­vo­ca­zio­ne urgen­te di un comi­ta­to cen­tra­le, l’esclusione di Ráko­si dal CC e dall’Assemblea nazio­na­le, un pro­ces­so pub­bli­co per Far­kas, l’appello a Imre Nagy, rein­te­gra­to il 14 otto­bre nel par­ti­to, per­ché diri­ga il pae­se ed un cam­bia­men­to com­ples­si­vo del­la poli­ti­ca gover­na­ti­va per mez­zo di una infor­ma­zio­ne com­ple­ta e di un dibat­ti­to pubblico.

La mani­fe­sta­zio­ne paci­fi­ca del 23 ottobre
L’indomani, l’appello del cir­co­lo Petö­fi è ripro­dot­to sul­la stam­pa, cosa che al con­tem­po con­tri­bui­sce alla mobi­li­ta­zio­ne e all’ottimismo, mostran­do che il cam­bia­men­to è pos­si­bi­le. Nel frat­tem­po Imre Nagy, rien­tra­to in fret­ta e furia dal­le rive del lago Bala­ton dove si sta­va ripo­san­do, appren­de dai suoi ami­ci il cor­so degli avve­ni­men­ti: spin­to da Miklós Gimes a pren­de­re la testa dei mani­fe­stan­ti onde evi­ta­re il peg­gio, si tira indie­tro osti­na­ta­men­te ipo­tiz­zan­do i rischi di una pro­vo­ca­zio­ne orga­niz­za­ta con­tro di lui da Gerö. Alle 13 il mini­stro degli Inter­ni annun­cia che la mani­fe­sta­zio­ne è vie­ta­ta. Il suo por­ta­vo­ce si fa fischia­re dagli stu­den­ti. Alle 14.30 il divie­to è annul­la­to quan­do si vie­ne a sape­re del­la deci­sio­ne del­la Gio­ven­tù Comu­ni­sta di ade­ri­re alla mani­fe­sta­zio­ne in soli­da­rie­tà con i lavo­ra­to­ri polac­chi. Il divie­to non ha inde­bo­li­to la mani­fe­sta­zio­ne: in ogni caso, i gio­va­ni era­no deci­si a sfi­dar­lo. Il comi­ta­to cen­tra­le del­la Gio­ven­tù comu­ni­sta (DISZ) l’ha affer­ma­to con net­tez­za: «Chi chie­de che la nostra gio­ven­tù espri­ma il suo pun­to di vista con pru­den­za e cau­te­la igno­ra lo svi­lup­po sto­ri­co e l’autentica posi­zio­ne del­la gio­ven­tù unghe­re­se»[10].
La mani­fe­sta­zio­ne ini­zia alle 15. Il suo ini­zia­le divie­to, più vol­te ripe­tu­to alla radio, e poi la deci­sio­ne improv­vi­sa di auto­riz­zar­la, han­no pro­dot­to uno choc. Tut­ta la popo­la­zio­ne ha sen­ti­to l’esitazione dei diri­gen­ti e con­si­de­ra la deci­sio­ne fina­le del­le auto­ri­tà come un cedi­men­to davan­ti alla for­za del movi­men­to. Tut­ta Buda­pe­st è in piaz­za. In testa, alcu­ni gio­va­ni por­ta­no immen­si ritrat­ti di Lenin[11]. Ci sono mol­te ban­die­re unghe­re­si ed una sola ban­die­ra ros­sa, quel­la degli allie­vi dell’Istituto Lenin che scan­di­sco­no gli stes­si slo­gan dei loro com­pa­gni: «Nagy al pote­re», «Via i rus­si», «Pro­ces­so per Ráko­si». Gli stu­den­ti han­no pro­dot­to stri­scio­ni enor­mi: «Non ci fer­mia­mo a metà stra­da: liqui­dia­mo lo sta­li­ni­smo», «Voglia­mo nuo­vi diri­gen­ti: abbia­mo fidu­cia in Nagy», «Indi­pen­den­za e liber­tà» e, ovvia­men­te, «Viva i polac­chi». Si can­ta la Mar­si­glie­se, per gli unghe­re­si can­to rivo­lu­zio­na­rio, e vie­ne scan­di­to il poe­ma di San­dor Petö­fi “La liber­tà o la mor­te”. A pie­di o dal­le piat­ta­for­me degli auto­bus, gli stu­den­ti dif­fon­do­no i volan­ti­ni ciclo­sti­la­ti clan­de­sti­na­men­te che ripro­du­co­no la riso­lu­zio­ne del gior­no pri­ma. Ai pie­di del­la sta­tua a Petö­fi si decla­ma un suo poe­ma, si leg­ge la riso­lu­zio­ne dell’università, dopo­di­ché un gio­va­ne, solen­ne­men­te, scri­ve la data “23 otto­bre 1956” sul basa­men­to. Ai pie­di del­la sta­tua dedi­ca­ta al gene­ra­le Bem, eroe polac­co dell’indipendenza unghe­re­se, tie­ne un discor­so Péter Veres, pre­si­den­te dell’Unione degli Scrit­to­ri. Si can­ta. Sono le 17.45 e i mani­fe­stan­ti ini­zia­no a deflui­re. Si potreb­be pen­sa­re che sia tut­to fini­to. In real­tà, tut­to comin­cia. Uffi­ci e fab­bri­che si svuo­ta­no. Impie­ga­ti ed ope­rai si uni­sco­no agli stu­den­ti. «Mar­te­dì noi abbia­mo lavo­ra­to – rac­con­ta un gio­va­ne elet­tri­ci­sta di Ujpe­st – ma men­tre lavo­ra­va­mo par­la­va­mo. Abbia­mo par­la­to di sala­ri e dei risul­ta­ti del­la riu­nio­ne degli scrit­to­ri. Ave­va­mo del­le copie del­la loro dichia­ra­zio­ne e sape­va­mo quel­lo che inten­de­va­no dire quan­do affer­ma­va­no che non pote­va con­ti­nua­re così. Non riu­sci­va­mo più a vive­re del nostro lavo­ro. Fini­to il lavo­ro abbia­mo visto gli stu­den­ti che mani­fe­sta­va­no e li abbia­mo rag­giun­ti»[12].
Allo­ra ope­rai, impie­ga­ti e stu­den­ti riem­pio­no le stra­de. Gli auto­bus si fer­ma­no. Tut­ta Buda­pe­st è in stra­da. Tut­ta Buda­pe­st dice che la misu­ra è col­ma. Ci vuo­le un cam­bia­men­to. Si for­ma­no dei grup­pi, si met­to­no in pie­di pic­co­li cor­tei. Ci si spar­pa­glia ovun­que. Non c’è una dire­zio­ne ma una volon­tà comu­ne di mani­fe­sta­re, una una­ni­mi­tà con­tro i diri­gen­ti sta­li­ni­sti e i loro padro­ni del­la buro­cra­zia rus­sa. Alla fine, la mas­sa si diri­ge ver­so il Par­la­men­to scan­den­do ripe­tu­ta­men­te «Nagy! Nagy!».
Davan­ti al Par­la­men­to, la fol­la è impa­zien­te, sem­pre più nume­ro­sa, scal­pi­ta fre­men­te e si irri­ta. Dopo un po’ vie­ne annun­cia­to che Gerö è rien­tra­to da Bel­gra­do e par­le­rà alla popo­la­zio­ne dal­la radio. È il momen­to tan­to atte­so dal­la mag­gio­ran­za dei mani­fe­stan­ti. Per tut­ta la gior­na­ta si sono visti in mez­zo a loro repor­ter e foto­gra­fi. Non ci sono sta­ti inci­den­ti con la poli­zia. Gerö par­le­rà. Gerö cede­rà, annun­cian­do una riu­nio­ne del comi­ta­to cen­tra­le che desi­gne­rà Nagy alla testa del gover­no. I lavo­ra­to­ri di Buda­pe­st aspet­ta­no che Gerö san­ci­sca la loro vit­to­ria chi­nan­do­si davan­ti alla loro volon­tà. Le mani­fe­sta­zio­ni di piaz­za avran­no impo­sto il cam­bia­men­to nel­la dire­zio­ne del PC: i comu­ni­sti libe­ra­li pren­de­ran­no in mano la situazione.
Così, alle 20, Gerö par­la: par­la da buro­cra­te qua­le egli è, ser­vi­le ver­so i suoi padro­ni, arro­gan­te coi lavo­ra­to­ri. Cer­to rico­no­sce che il par­ti­to ed il gover­no han­no for­se com­piu­to alcu­ni erro­ri. Con­vo­ca cer­to il comi­ta­to cen­tra­le ma per il 31 otto­bre, otto gior­ni dopo: tan­ta acqua scor­re­rà sot­to i pon­ti del Danu­bio. Però, più gra­ve anco­ra, non si accon­ten­ta di tem­po­reg­gia­re ma minac­cia e insul­ta: «Chi pre­ten­de che i nostri rap­por­ti eco­no­mi­ci e poli­ti­ci non sono basa­ti sull’uguaglianza men­te spu­do­ra­ta­men­te». Il vec­chio tor­tu­ra­to­re dei rivo­lu­zio­na­ri di Bar­cel­lo­na affer­ma sen­za indu­gi che non vuo­le «immi­schiar­si nel­le que­stio­ni inter­ne polac­che». Par­la di «cana­glie», di «mani­fe­sta­zio­ni nazio­na­li­ste». Doman­da: «Vole­te apri­re la por­ta ai capi­ta­li­sti?». Con­clu­de affer­man­do che le mani­fe­sta­zio­ni di piaz­za «non fer­me­ran­no il par­ti­to e il gover­no nel per­se­gui­men­to degli sfor­zi che por­te­ran­no alla demo­cra­zia socia­li­sta»[13]. Ha par­la­to il buro­cra­te, l’uomo di Mosca: la “desta­li­niz­za­zio­ne” sarà gui­da­ta dagli sta­li­ni­sti; se i lavo­ra­to­ri non sono con­ten­ti, è per­ché sono con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ri e ver­rà loro rispo­sto come con­vie­ne. Gli sgher­ri dell’AVH[14] avreb­be­ro ben pre­sto mostra­to con­cre­ta­men­te la natu­ra del­la san­gui­no­sa rispo­sta di Gerö.

L’AVH spa­ra: è l’inizio dell’insurrezione
Tut­ta Buda­pe­st ave­va ascol­ta­to Gerö. Tut­ta Buda­pe­st si sen­tì insul­ta­ta dal suo discor­so. I lavo­ra­to­ri e gli stu­den­ti, deci­ne di miglia­ia di gio­va­ni e di adul­ti ave­va­no appe­na mani­fe­sta­to con chia­rez­za la loro volon­tà, e Gerö li ave­va insul­ta­ti. Han­no però il con­trol­lo del­la stra­da, lo avver­to­no e sono inten­zio­na­ti a mostrar­lo e ad appro­fit­tar­ne. Nagy, di fron­te al Par­la­men­to, cer­ca di pro­nun­cia­re paro­le di paci­fi­ca­zio­ne, pro­met­te che agi­rà per anti­ci­pa­re la riu­nio­ne del CC. Uno stu­den­te dà una per­so­na­le inter­pre­ta­zio­ne del­la sua tat­ti­ca: «Non è che un pri­va­to cit­ta­di­no e ha pau­ra di pro­nun­ciar­si sul­le nostre riven­di­ca­zio­ni a cau­sa di Gerö»[15]. Una par­te dei gio­va­ni si era già reca­ta pres­so la sede del­la radio per esi­ge­re la dif­fu­sio­ne del­la riso­lu­zio­ne appro­va­ta in Uni­ver­si­tà. Una dele­ga­zio­ne esi­ge­va la let­tu­ra dei “sedi­ci pun­ti” e un «micro­fo­no aper­to in mez­zo alla mani­fe­sta­zio­ne» per con­sen­ti­re al popo­lo di espri­me­re le sue idee. A miglia­ia i mani­fe­stan­ti si era­no diret­ti ver­so la piaz­za dove si erge­va la gigan­te­sca sta­tua di Sta­lin e ini­zia­va­no ad appli­ca­re il loro pro­gram­ma but­tan­do­la giù. Sic­co­me la dele­ga­zio­ne – accom­pa­gna­ta da Péter Erdös del cir­co­lo Petö­fi – tar­da ad usci­re dal palaz­zo del­la radio, l’ansia si impa­dro­ni­sce dei loro com­pa­gni fer­mi davan­ti alla por­ta: for­se i dele­ga­ti sono sta­ti arrestati?
Il discor­so di Gerö pro­du­ce l’effetto dell’olio get­ta­to sul fuo­co, con­fer­man­do le pau­re dei più pes­si­mi­sti. I gio­va­ni mani­fe­stan­ti ini­zia­no a sfon­da­re le por­te per libe­ra­re i loro com­pa­gni. Nel­la con­fu­sio­ne che si gene­ra par­to­no i pri­mi spa­ri. Gli uomi­ni dell’AVH appo­sta­ti nel­le vici­nan­ze del palaz­zo spa­ra­no: ci sono tre mor­ti … È un gio­va­ne archi­tet­to a par­la­re, era tra i mani­fe­stan­ti: «Fu il col­po fina­le. Nel­la mas­sa alcu­ni ave­va­no del­le cara­bi­ne pre­ce­den­te­men­te pre­se ad alcu­ni uffi­cia­li del­la MOHOSZ (“Fede­ra­zio­ne unghe­re­se dei volon­ta­ri del­la dife­sa”, un’organizzazione spor­ti­va para­mi­li­ta­re soste­nu­ta dal par­ti­to). Rispo­se­ro al fuo­co dell’AVH come meglio pote­ro­no. Fu allo­ra che mol­ti camion e car­ri arma­ti si mos­se­ro da Buda ma né gli uffi­cia­li né i sol­da­ti spa­ra­ro­no sul popo­lo. Non fu dira­ma­to nes­sun ordi­ne e i mili­ta­ri resta­ro­no sui camion. Comin­cia­ro­no a far sci­vo­la­re le loro armi nel­le mani che si pro­trae­va­no ver­so di loro». Più tar­di, in sera­ta, men­tre i com­bat­ti­men­ti con­ti­nua­no, due uffi­cia­li dell’esercito unghe­re­se smon­ta­no da un car­ro e, nell’intenzione chia­ra di inter­por­si, avan­za­no disar­ma­ti ver­so l’immobile del­la radio. Sono abbat­tu­ti dall’AVH.
Le fuci­la­te del­la radio sono la scin­til­la del­la bat­ta­glia gene­ra­le. I lavo­ra­to­ri si arma­no: le cara­bi­ne del­la MOHOSZ e le armi pre­le­va­te dal­le arme­rie ser­vo­no come capi­ta­le di par­ten­za. Si diri­go­no davan­ti alle caser­me. Come a Bar­cel­lo­na nel 1936, sol­da­ti apro­no le por­te degli arse­na­li e dei magaz­zi­ni oppu­re lan­cia­no fuci­li e mitra­glia­tri­ci dal­le fine­stre. Altri por­ta­no in stra­da camion pie­ni di armi e muni­zio­ni e le distri­bui­sco­no. Altro­ve, come alla caser­ma Hadik, i grup­pi di ope­rai che voglio­no armar­si tro­va­no una resi­sten­za sol­tan­to for­ma­le. Si spa­ra dap­per­tut­to nel­le stra­de di Buda­pe­st e com­pa­io­no le pri­me bar­ri­ca­te. Fino­ra l’esercito è rima­sto neu­tra­le ma ora il gover­no gli dà l’ordine di inter­ve­ni­re con­tro gli insor­ti. Il rac­con­to che segue, ripre­so da un testi­mo­ne ingle­se, descri­ve il momen­to alta­men­te dram­ma­ti­co in cui un’unità dell’esercito pas­sa nel­le file del­la rivo­lu­zio­ne: «Le trup­pe del­la Hon­véd­ség[16] ave­va­no pre­so posi­zio­ne in un pun­to stra­te­gi­co, un incro­cio. Una mas­sa d’insorti si era fer­ma­ta a cir­ca 60 metri da quel pun­to e un dia­lo­go si aprì tra loro ed un uffi­cia­le – scam­bio di idee che non era fat­to di insul­ti ma di argo­men­ta­zio­ni poli­ti­che. L’ufficiale, assi­cu­ran­do loro che le riven­di­ca­zio­ni avreb­be­ro otte­nu­to sod­di­sfa­zio­ne, li invi­ta­va ripe­tu­ta­men­te a tor­na­re nel­le loro case. Era evi­den­te che avreb­be fat­to tut­to per evi­ta­re l’uso del­la for­za. Nel lun­go silen­zio duran­te la discus­sio­ne si udì la voce di una don­na che into­na­va l’inno nazio­na­le di Kos­suth. L’effetto fu ful­mi­neo. Tut­ta la mas­sa, ope­rai, tas­si­sti, stu­den­ti e ragaz­zi si tol­se­ro il cap­pel­lo e si mise­ro in ginoc­chio: in un atti­mo tut­ti si era­no mes­si a can­ta­re l’inno con la don­na. I sol­da­ti era­no anch’essi com­mos­si e ter­ri­bil­men­te tesi. Qual­cu­no alzò la ban­die­ra tri­co­lo­re unghe­re­se da cui era sta­ta strap­pa­ta la stel­la ros­sa. I sol­da­ti abban­do­na­ro­no i ran­ghi e cor­se­ro ad unir­si ai mani­fe­stan­ti»[17]. Una don­na che can­ta, uno sco­no­sciu­to che alza una ban­die­ra: un eser­ci­to che si squa­glia sot­to il fuo­co del­la rivo­lu­zio­ne, ope­rai e con­ta­di­ni in divi­sa si uni­sco­no ai loro fra­tel­li di classe …
Men­tre i com­bat­ti­men­ti si ina­spri­sco­no in tut­ta la cit­tà, i dele­ga­ti stu­den­te­schi, incon­tra­ti­si dopo il discor­so di Gerö, deci­do­no di costi­tuir­si in orga­ni­smo per­ma­nen­te. Si for­ma così il Comi­ta­to rivo­lu­zio­na­rio degli stu­den­ti, che vie­ne pre­sie­du­to da un mili­tan­te comu­ni­sta, Ferenc Mérey, pro­fes­so­re di psicologia.
Il comi­ta­to instal­la il suo quar­tier gene­ra­le nel­la Facol­tà di let­te­re e ini­zia a fun­zio­na­re, cen­tra­liz­zan­do le infor­ma­zio­ni, l’attività dei grup­pi arma­ti, l’azione dei grup­pi che con­tat­ta­no i sol­da­ti, dif­fon­den­do i volan­ti­ni, facen­do appel­lo al popo­lo per­ché si uni­sca alla rivo­lu­zio­ne ed alla lot­ta arma­ta con­tro i poli­ziot­ti dell’AVH di Gerö. Infat­ti, con­tro i gio­va­ni e i lavo­ra­to­ri di Buda­pe­st, sono rima­sti solo i dete­sta­ti poli­ziot­ti dell’AVH. Ver­so le 11, Sza­bad Nep, orga­no del par­ti­to, fa usci­re un volan­ti­no per annun­cia­re la riu­nio­ne del CC e dichia­ra: «La reda­zio­ne di Sza­bad Nep assi­cu­ra al par­ti­to e al popo­lo che essa non soster­rà mai quel­li che voglio­no rispon­de­re con le fuci­la­te e il ter­ro­re alla voce e alle richie­ste del popo­lo»[18]. Il comi­ta­to cen­tra­le deli­be­ra. Tut­ta Buda­pe­st si batte.

Combattenti per la libertà e consigli operai

Nel­la not­te tra il 23 ed il 24, men­tre i rivo­lu­zio­na­ri arma­ti attac­ca­no gli Avos dap­per­tut­to, il comi­ta­to cen­tra­le del PC deli­be­ra. Non sap­pia­mo nul­la di pre­ci­so sui suoi dibat­ti­ti, all’infuori del fat­to che vi si sono oppo­ste due ten­den­ze in meri­to al modo più effi­ca­ce per far tor­na­re l’ordine: attra­ver­so la repres­sio­ne bru­ta­le o per mez­zo di alcu­ne con­ces­sio­ni. Cono­scia­mo sol­tan­to le deci­sio­ni adot­ta­te, segna­te dal­la poli­ti­ca di Gerö e dei suoi padro­ni mosco­vi­ti. Poco impor­ta che sia­no sta­te o meno il frut­to di una tele­fo­na­ta con Kru­sciov. È cer­to inve­ce che, com­por­tan­do la deci­sio­ne dell’entrata in sce­na del­le trup­pe rus­se per schiac­cia­re l’insurrezione, esse non pos­so­no esse­re sta­te pre­se sen­za l’accordo di Mosca.

L’astuzia del­la GPU: Nagy sostie­ne l’intervento russo
Men­tre i mili­tan­ti comu­ni­sti di Buda­pe­st spa­ra­no con­tro gli Avos, quan­do solo gli Avos si bat­to­no per difen­de­re dal­la gio­ven­tù rivo­lu­zio­na­ria il dete­sta­to regi­me di Gerö e dei suoi burat­ti­nai del Cre­mi­no, il comi­ta­to cen­tra­le del par­ti­to con­ti­nua ad esse­re lo stru­men­to fida­to del­la GPU. Quan­do le mas­se, arma­te, si sol­le­va­no con­tro il regi­me dei gen­dar­mi e dei buro­cra­ti, l’azione dell’organismo “diri­gen­te” del par­ti­to mostra quan­te illu­sio­ni nutris­se­ro nei suoi con­fron­ti quei comu­ni­sti fidu­cio­si che una sua con­vo­ca­zio­ne anti­ci­pa­ta avreb­be por­ta­to un “cam­bia­men­to di linea” e un “cam­bia­men­to di direzione”.
In segui­to alla defe­zio­ne dell’esercito e del­la poli­zia, la gran­de deci­sio­ne pre­sa in not­ta­ta è l’appello alle trup­pe rus­se per “man­te­ne­re l’ordine” e la pro­cla­ma­zio­ne del­la leg­ge mar­zia­le. I buro­cra­ti del Cre­mi­no e i loro agen­ti dell’apparato unghe­re­se sono deci­si a con­ser­va­re ad ogni costo il con­trol­lo del­la situa­zio­ne e ad affo­ga­re nel san­gue la rivo­lu­zio­ne nascen­te. Dal­le 4.30 del­la mat­ti­na i blin­da­ti sovie­ti­ci si diri­go­no ver­so Buda­pe­st di cui bloc­ca­no le usci­te. I sol­da­ti rus­si sono sta­ti infor­ma­ti di dover anda­re a com­bat­te­re una «con­tro­ri­vo­lu­zio­ne fasci­sta appog­gia­ta dal­le trup­pe occi­den­ta­li»[19]. Gli Avos rice­vo­no rin­for­zi con­si­de­re­vo­li: blin­da­ti, arti­glie­ria e fan­te­ria si river­sa­no nel­la capi­ta­le insorta.
Qual­che ora pri­ma il comi­ta­to cen­tra­le ha deci­so di fare appel­lo a Imre Nagy per for­ma­re un nuo­vo gover­no: Géza Losonc­zy, Ferenc Donáth, Györ­gy Lukács, Zol­tán Szán­tó, tut­ti segua­ci di Nagy, entra­no nel CC. Donáth, Nagy, Szán­tó diven­ta­no mem­bri del nuo­vo Polit­bu­ro di 11 mem­bri da cui sono sta­ti allon­ta­na­ti alcu­ni sta­li­ni­sti più noti. Ma nul­la di essen­zia­le è cam­bia­to. Gerö man­tie­ne la cari­ca di segre­ta­rio gene­ra­le del par­ti­to non­ché il con­trol­lo dell’apparato. I comu­ni­sti oppo­si­to­ri sono sem­pli­ci ostag­gi in seno alla nuo­va dire­zio­ne. Imre Nagy è la coper­tu­ra all’ombra del­la qua­le Gerö, padro­ne dell’apparato, con­ti­nua a por­ta­re avan­ti la poli­ti­ca dei buro­cra­ti del Cre­mi­no. Ma c’è di più: il decre­to che isti­tui­sce la leg­ge mar­zia­le e l’appello alle trup­pe rus­se sono deci­sio­ni che si sup­po­ne sia­no sta­te pre­se dal nuo­vo gover­no Nagy. Nagy ha le mani lega­te, lega­te nel san­gue dei lavo­ra­to­ri. È in suo nome che rus­si ed Avos si appre­sta­no a mitra­glia­re gli insor­ti che han­no chie­sto e chie­do­no anco­ra la sua asce­sa al pote­re. Il desti­no dei soste­ni­to­ri del­la “rifor­ma” del par­ti­to si deli­nea: la buro­cra­zia si ser­ve del­la loro popo­la­ri­tà per diso­rien­ta­re e disar­ma­re i rivo­lu­zio­na­ri; ostag­gi dell’apparato, por­ta­no assie­me ad esso la respon­sa­bi­li­tà dei suoi crimini.

Nagy par­la
Imre Nagy, che ave­va rifiu­ta­to di pren­de­re la paro­la alla mani­fe­sta­zio­ne del­la mat­ti­na del 23, che ave­va rifiu­ta­to di par­la­re – mal­gra­do l’intervento insi­sten­te del suo ami­co Géza Losonc­zy – la sera del 23 per lan­cia­re un appel­lo alla cal­ma, que­sta vol­ta è invi­ta­to a par­la­re dagli stes­si diri­gen­ti, dal comi­ta­to cen­tra­le. Su richie­sta del Polit­bu­ro, in tar­da sera­ta, ha cer­ca­to di arrin­ga­re i mani­fe­stan­ti che sta­zio­na­va­no davan­ti al Par­la­men­to, in piaz­za Kos­suth, pri­ma di recar­si al palaz­zo del comi­ta­to cen­tra­le dove è infor­ma­to del­la deci­sio­ne che lo riguar­da­va pre­sa nel frat­tem­po. Quel palaz­zo, cir­con­da­to di car­ri arma­ti rus­si, Nagy non lo abban­do­ne­rà per diver­si gior­ni, iso­la­to mate­rial­men­te non solo dal­la real­tà, di fron­te al movi­men­to rivo­lu­zio­na­rio che debor­da, dal­la repres­sio­ne che lo col­pi­sce in suo nome, ma anche dai suoi ami­ci che riu­sci­ran­no a ripren­de­re con­tat­to con lui solo alcu­ni gior­ni dopo, mesco­lan­do­si alle dele­ga­zio­ni ope­ra­ie che Nagy sarà auto­riz­za­to a ricevere.
Eppu­re, nel cor­so del­la not­te, all’indomani del­la sua “nomi­na”, sul­le onde di Radio Kos­suth Buda­pe­st, egli si rivol­ge al popo­lo unghe­re­se: «Su ordi­ne del comi­ta­to cen­tra­le, sono sta­to nomi­na­to pre­si­den­te del Con­si­glio. Unghe­re­si, ami­ci e com­pa­gni, vi par­lo in un’ora gra­ve … pos­so garan­tir­vi che ho la pos­si­bi­li­tà di rea­liz­za­re il mio pro­gram­ma poli­ti­co basa­to sul popo­lo unghe­re­se gui­da­to dal par­ti­to comu­ni­sta … Sono pre­si­den­te del Con­si­glio ed avre­mo pre­sto la pos­si­bi­li­tà di rea­liz­za­re la demo­cra­zia in tut­to il pae­se. Pre­go tut­ti gli uomi­ni e le don­ne ed ogni gio­va­ne di non per­de­re la testa»[20]. La bat­ta­glia con­ti­nua e si esten­de sen­za tre­gua. La radio lan­cia appel­li impau­ri­ti agli ope­rai, agli stu­den­ti, ai gio­va­ni. Ai micro­fo­ni di Radio Kos­suth pas­sa­no rap­pre­sen­tan­ti del­la Chie­sa, dei vec­chi par­ti­ti, come il “pic­co­lo pro­prie­ta­rio” Zol­tan Til­dy, il social­de­mo­cra­ti­co Sza­ka­si­ts, dei sin­da­ca­ti. I diri­gen­ti del cir­co­lo Petö­fi dichia­ra­no di non aver volu­to il “bagno di san­gue” e chie­do­no ai gio­va­ni di get­ta­re le armi. Il gover­no pro­met­te un’amnistia com­ple­ta a chi abban­do­ne­rà le armi pri­ma del­le ore 14. Poi ven­go­no con­ces­se nuo­ve sca­den­ze e si alter­na­no pro­mes­se e minac­ce. La radio dif­fon­de gli appel­li del­le madri ai figli com­bat­ten­ti, invi­ta ad apri­re le fine­stre per­ché gli insor­ti pos­sa­no ascol­ta­re dal­la stra­da le pro­mes­se che il gover­no fa alla radio. Nes­su­na mano­vra modi­fi­ca alcun­ché. Tut­ta Buda­pe­st si batte.

Quel­li che si bat­to­no: gli operai
Le tra­smis­sio­ni di Buda­pe­st su Radio Kos­suth e Radio Petö­fi sono signi­fi­ca­ti­ve: il gros­so dei com­bat­ti­men­ti si svol­ge attor­no alle fab­bri­che. I loro nomi tor­na­no in tut­ti gli appel­li ed i comu­ni­ca­ti gover­na­ti­vi: Cse­pel, Cse­pel-la-Ros­sa, le fab­bri­che di Ganz, Lang, le fab­bri­che “Kle­ment Gott­wald”, “Jac­ques Duclos”, i quar­tie­ri di Ujpe­st, Angya­fold. I quar­tie­ri pro­le­ta­ri sono i bastio­ni dell’insurrezione. Come dichia­ra ad un cor­ri­spon­den­te dell’Obser­ver un “com­bat­ten­te del­la liber­tà” rifu­gia­to in Austria: «Gli stu­den­ti han­no comin­cia­to la lot­ta ma, quan­do si è svi­lup­pa­ta, non ave­va­no né il nume­ro né la capa­ci­tà di bat­ter­si così dura­men­te come i gio­va­ni ope­rai»[21]. Lascia­mo la paro­la a uno di loro, 21 anni, che rac­con­ta le vicen­de di mer­co­le­dì vis­su­te nel­la sua fab­bri­ca di Ujpe­st: «Mer­co­le­dì mat­ti­na (24 otto­bre) è ini­zia­ta la rivol­ta nel­la nostra fab­bri­ca. Era spon­ta­nea e non orga­niz­za­ta. Se fos­se sta­ta orga­niz­za­ta, l’AVH avreb­be sapu­to e l’avrebbe schiac­cia­ta pri­ma che esplo­des­se. I gio­va­ni ope­rai han­no rot­to il ghiac­cio e gli altri li han­no segui­ti … Di soli­to ini­zia­mo il tur­no di lavo­ro alle set­te. Chi di noi vie­ne in tre­no dai quar­tie­ri peri­fe­ri­ci aspet­ta l’arrivo degli altri ope­rai in fab­bri­ca. Appe­na pri­ma del­le 7.00, un camion cari­co di gio­va­ni ope­rai arma­ti è arri­va­to davan­ti alla por­ta. Quan­do uno di loro ha ini­zia­to a spa­ra­re con­tro la stel­la ros­sa al di sopra del­la fab­bri­ca un mem­bro dell’amministrazione ha dato l’ordine di chiu­de­re le por­te. Era­va­mo divi­si in due grup­pi, quel­li all’interno e quel­li all’esterno. Noi che era­va­mo den­tro abbia­mo sfon­da­to le por­te del loca­le del­la Mohosz e pre­so le cara­bi­ne. Una respon­sa­bi­le comu­ni­sta, una don­na, ha cer­ca­to di fer­mar­ci piaz­zan­do una guar­dia davan­ti alle armi. Non pote­va fun­zio­na­re per­ché tut­ti – com­pre­si i capi­re­par­to – era­no uni­ti. Sia­mo usci­ti dal­la fab­bri­ca coi fuci­li ed abbia­mo mar­cia­to ver­so la cit­tà. Quan­do abbia­mo ini­zia­to la nostra azio­ne non ave­va­mo con­tat­ti con nes­su­no. Non ave­va­mo col­le­ga­men­ti con nes­su­na fab­bri­ca. Però, men­tre avan­za­va­mo, era­va­mo rag­giun­ti da altri ope­rai, sem­pre più nume­ro­si, alcu­ni in armi. All’angolo di via Rakoc­zih, uno stu­den­te uni­ver­si­ta­rio ha comin­cia­to ad orga­niz­zar­ci in pic­co­li grup­pi ed a spie­gar­ci le paro­le d’ordine che biso­gna­va lan­cia­re»[22].
Si for­gia­va così, nel­le stra­de, la fusio­ne dei gio­va­ni com­bat­ten­ti rivo­lu­zio­na­ri. Con­tem­po­ra­nea­men­te, il Comi­ta­to rivo­lu­zio­na­rio degli stu­den­ti, diven­ta­to “Comi­ta­to rivo­lu­zio­na­rio degli stu­den­ti in armi”, si allar­ga­va. Un posti­no del comi­ta­to rac­con­ta: «All’inizio era for­ma­to da stu­den­ti del­le scuo­le di eccel­len­za e dell’università ma in segui­to vi entra­ro­no sol­da­ti e gio­va­ni ope­rai. Pen­so che tut­ti fos­se­ro elet­ti da comi­ta­ti di base, a loro vol­ta espres­sio­ne di sin­go­le orga­niz­za­zio­ni di stu­den­ti, ope­rai e sol­da­ti»[23]. Pare che nel­le pri­me ore del­la mat­ti­na­ta l’Accademia Kos­suth, scuo­la mili­ta­re con 800 allie­vi, si sia uni­ta all’insurrezione, coi suoi qua­dri tec­ni­ci e le sue armi.

25 otto­bre: le fuci­la­te davan­ti al Parlamento
Le fuci­la­te in piaz­za del Par­la­men­to ci sono sta­te gio­ve­dì. Que­sto epi­so­dio dimo­stra­va ai lavo­ra­to­ri di Buda­pe­st anco­ra esi­tan­ti, con chia­rez­za e in modo defi­ni­ti­vo, che per otte­ne­re la rea­liz­za­zio­ne del­le loro riven­di­ca­zio­ni non c’era alter­na­ti­va alla lot­ta rivo­lu­zio­na­ria arma­ta, e che depor­re le armi sareb­be sta­to un sui­ci­dio a favo­re di Gerö. Miglia­ia di ope­rai e stu­den­ti disar­ma­ti si reca­ro­no in piaz­za del Par­la­men­to per esi­ge­re la depo­si­zio­ne di Gerö, la libe­ra­zio­ne dei loro diri­gen­ti arre­sta­ti a par­ti­re dal 23 e un incon­tro imme­dia­to con Imre Nagy. In piaz­za i gio­va­ni accer­chia­va­no i car­ri arma­ti rus­si fra­ter­niz­zan­do coi sol­da­ti. Gli Avos, nasco­sti sui tet­ti del palaz­zo del mini­ste­ro degli Inter­ni, di fron­te al Par­la­men­to, apri­ro­no il fuo­co. Anche i blin­da­ti ini­zia­ro­no a spa­ra­re; così, i mani­fe­stan­ti si tro­va­ro­no pre­si tra due fuo­chi e tre­cen­to cada­ve­ri resta­ro­no sul ter­re­no. Pro­prio in quel momen­to alla radio, il capo del futu­ro gover­no – Nagy sen­za pote­re, Nagy ostag­gio dell’apparato, Nagy pri­gio­nie­ro – mol­ti­pli­ca­va gli appel­li alla cal­ma ed alla resa … Por­tan­do sul­le spal­le i cada­ve­ri dei loro com­pa­gni, bran­den­do ban­die­re impre­gna­te del loro san­gue, quel­li che riu­sci­ro­no a sfug­gi­re si spar­se­ro per tut­ta la cit­tà al gri­do di «ucci­do­no gli ope­rai»[24]. Non era più pos­si­bi­le dubi­ta­re, ormai: agli occhi dei gio­va­ni rivo­lu­zio­na­ri di Buda­pe­st era chia­ro che Nagy era sen­za pote­re, fos­se o meno pri­gio­nie­ro, ed altre­sì che Gerö dete­ne­va il pote­re rea­le e, die­tro di lui, i rus­si, e, non ulti­mo, che ci si dove­va bat­te­re, qual­sia­si cosa Nagy affer­mas­se, con­tro gli Avos ed i rus­si. Nien­te sin­te­tiz­za meglio que­sto sta­to d’animo che il volan­ti­no dif­fu­so nel pome­rig­gio, dopo il mas­sa­cro, fir­ma­to “Gli stu­den­ti e gli ope­rai rivo­lu­zio­na­ri”: «Chia­mia­mo tut­ti gli unghe­re­si allo scio­pe­ro gene­ra­le. Fin­ché il gover­no non sod­di­sfa le nostre riven­di­ca­zio­ni, fin­ché gli assas­si­ni non sono chia­ma­ti a ren­de­re con­to, rispon­de­re­mo al gover­no con lo scio­pe­ro gene­ra­le. Viva il nuo­vo gover­no sot­to la dire­zio­ne di Imre Nagy!»[25]. Nel­lo stes­so fran­gen­te, in nome del gover­no, Radio Kos­suth pro­cla­ma­va che lo scio­pe­ro sareb­be sta­to un atto controrivoluzionario …
In nome del Comi­ta­to rivo­lu­zio­na­rio degli stu­den­ti sono stam­pa­ti e distri­bui­ti ai sol­da­ti sovie­ti­ci 100.000 volan­ti­ni in lin­gua rus­sa. Que­sti volan­ti­ni dico­no ai sol­da­ti dell’Armata Ros­sa che sono sta­ti chia­ma­ti a inter­ve­ni­re con­tro i lavo­ra­to­ri, i gio­va­ni ed i sol­da­ti unghe­re­si, i qua­li non sono né rea­zio­na­ri né con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ri né fasci­sti ma com­bat­to­no per il socia­li­smo democratico.
«Non spa­ra­te con­tro di noi, non spa­ra­te sui vostri fra­tel­li di clas­se!» con­clu­de­va il volantino.

Nuo­ve concessioni
Di fron­te alla nuo­va fiam­ma­ta di col­le­ra sca­te­na­ta dal mas­sa­cro del­la piaz­za del Par­la­men­to, di fron­te allo scio­pe­ro gene­ra­le insur­re­zio­na­le este­so a tut­to il pae­se, l’apparato deci­de di orien­tar­si a nuo­ve con­ces­sio­ni. La deci­sio­ne peral­tro non è pre­sa in auto­no­mia ma in segui­to a discus­sio­ni ser­ra­te con due emis­sa­ri del gover­no di Mosca, Michail Suslov e Ana­sta­se Mikoyan, pre­ci­pi­ta­ti­si in Unghe­ria per cer­ca­re di sal­va­re una situa­zio­ne ai loro occhi com­pro­mes­sa dagli erro­ri di Gerö. Men­tre nuo­vi ter­mi­ni ven­go­no accor­da­ti agli insor­ti per­ché depon­ga­no le armi, quest’ultimo, eso­ne­ra­to dal suo inca­ri­ca­to di segre­ta­rio gene­ra­le del par­ti­to, con­ser­va anco­ra per set­ti­ma­ne il suo uffi­cio … Jánós Kádár è nomi­na­to al suo posto.
Kádár è popo­la­re: vec­chio mili­tan­te ope­ra­io, ha lot­ta­to in Unghe­ria duran­te la guer­ra, nel­la clan­de­sti­ni­tà, men­tre Ráko­si e Gerö era­no a Mosca. Benin­te­so, Rajk è sta­to tor­tu­ra­to e assas­si­na­to men­tre era mini­stro degli Inter­ni, ma poi Kádár è sta­to a sua vol­ta arre­sta­to e tor­tu­ra­to con fero­cia in base all’accusa di “titi­smo”. Ria­bi­li­ta­to in tem­pi recen­ti, si è bat­tu­to per la “rifor­ma” del par­ti­to ripar­ten­do da un quar­tie­re ope­ra­io di Buda­pe­st dove è sta­to nomi­na­to segre­ta­rio loca­le. Eppu­re ha accet­ta­to di par­te­ci­pa­re al gover­no Hege­düs, dopo il crol­lo di Ráko­si, ed ha accom­pa­gna­to Gerö a Bel­gra­do. Kádár par­la alla radio gio­ve­dì 25 otto­bre: «Sono sta­to nomi­na­to in un momen­to reso mol­to dif­fi­ci­le da un’accozzaglia di sog­get­ti che han­no lavo­ra­to con­tro di noi. Il gover­no e il par­ti­to han­no deci­so che dob­bia­mo scon­fig­ge­re quest’accozzaglia con ogni mez­zo a nostra dispo­si­zio­ne … Fac­cia­mo appel­lo agli ope­rai e ai gio­va­ni per­ché sosten­ga­no il nostro pun­to di vista»[26]. Non è con­vin­cen­te. Par­lan­do anco­ra alla vigi­lia di “con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ri” in lot­ta con­tro il «pote­re del­la clas­se ope­ra­ia», minac­cian­do «i pro­vo­ca­to­ri che lavo­ra­no nell’ombra», salu­tan­do «gli allea­ti e fra­tel­li sovie­ti­ci», e sot­to­li­nean­do oggi che «la dire­zio­ne del par­ti­to ha pre­so posi­zio­ne all’unanimità riguar­do alla neces­si­tà di usa­re ogni mez­zo per stron­ca­re l’aggressione arma­ta con­tro il pote­re del­la nostra repub­bli­ca popo­la­re», sen­za nep­pu­re men­zio­na­re le riven­di­ca­zio­ni degli insor­ti, pre­sen­ta a chi lo ascol­ta una ver­sio­ne appe­na più atte­nua­ta del­le minac­ce di Gerö che han­no susci­ta­to la sol­le­va­zio­ne. Imre Nagy, inve­ce, sem­bra aver affer­ra­to meglio la situa­zio­ne quan­do inter­vie­ne a sua vol­ta alla radio. Il suo discor­so del 25 otto­bre dimo­stra che pare aver com­pre­so la deter­mi­na­zio­ne dei com­bat­ten­ti e la neces­si­tà di fare con­ces­sio­ni poli­ti­che per otte­ne­re la fine dei com­bat­ti­men­ti: «Dichia­ro che il gover­no unghe­re­se intra­pren­de­rà tra poco dei nego­zia­ti con l’Unione Sovie­ti­ca per:

  1. otte­ne­re il riti­ro del­le trup­pe sovie­ti­che dall’Ungheria;
  2. fon­da­re l’amicizia sovie­ti­co-unghe­re­se sul­la base dei prin­ci­pi di ugua­glian­za e di indi­pen­den­za nazionale.

[…] Pro­met­tia­mo di trat­ta­re con magna­ni­mi­tà colo­ro che – gio­va­ni, civi­li e mem­bri dell’esercito – ces­se­ran­no da subi­to di com­bat­te­re … La leg­ge col­pi­rà sol­tan­to chi con­ti­nue­rà …»[27].

Quel­li che si bat­to­no: gli studenti
Oggi sap­pia­mo in che modo si sono bat­tu­ti i gio­va­ni unghe­re­si con­tro i blin­da­ti rus­si. È impor­tan­te chia­ri­re l’atteggiamento dei gio­va­ni “Com­bat­ten­ti per la liber­tà” – nome che si sono dati essi stes­si, mutuan­do­lo dal­la rivo­lu­zio­ne demo­cra­ti­ca e dal­la guer­ra d’indipendenza del 1848. A quell’epoca i “Com­bat­ten­ti per la liber­tà” costi­tui­ro­no l’esercito di Kos­suth, “la Hon­véd­ség”, “l’esercito dei difen­so­ri del­la patria”, per con­tra­sta­re l’invasione del­le arma­te di Jela­chich, degli eser­ci­ti impe­ria­le e zari­sta. Due gio­va­ni, con la loro mitra­gliet­ta – la “chi­tar­ra” – in mano, due stu­den­ti, Fer­kó e Pista, han­no rispo­sto duran­te i com­bat­ti­men­ti di Buda­pe­st alle doman­de di un gior­na­li­sta bri­tan­ni­co che cono­sce­va l’ungherese: «I Com­bat­ten­ti del­la liber­tà, dico­no loro, han­no arre­sta­to tut­ti gli Avos che sono riu­sci­ti a sco­va­re. In que­sta ope­ra­zio­ne mol­ti mem­bri del­la poli­zia poli­ti­ca sono sta­ti ucci­si, ma ben pochi a tito­lo di rap­pre­sa­glia: la mag­gior par­te sono sta­ti ucci­si in azio­ne. L’apparato del par­ti­to è sta­to com­ple­ta­men­te disin­te­gra­to sin dal pri­mo gior­no dell’insurrezione ma non c’è sta­to alcun mas­sa­cro dei qua­dri del par­ti­to. Abbia­mo inva­so i loca­li del par­ti­to, seque­stra­to le armi e det­to a tut­ti di tor­na­re a casa. Ne abbia­mo cat­tu­ra­ti alcu­ni. Mol­ti si sono uni­ti a noi»[28].
Gio­ve­dì il “Comi­ta­to rivo­lu­zio­na­rio degli stu­den­ti in armi”, rap­pre­sen­ta­to dal suo pre­si­den­te Ferenc Mérey, si incon­tra con Nagy[29]. Si man­tie­ne il pro­gram­ma pre­sen­ta­to dagli stu­den­ti alla vigi­lia del­la rivo­lu­zio­ne aggiun­gen­do alcu­ne con­di­zio­ni neces­sa­rie per depor­re le armi: «Gover­no prov­vi­so­rio com­pren­den­te tut­ti i loro diri­gen­ti», «riti­ro imme­dia­to del­le trup­pe rus­se», «pro­ces­so pub­bli­co per i respon­sa­bi­li dei mas­sa­cri», «liber­tà per tut­ti i pri­gio­nie­ri poli­ti­ci», «scio­gli­men­to dell’AVH»[30]. Inol­tre Mérey pre­ci­sa: «Non sia­mo insor­ti per cam­bia­re la base del­la socie­tà unghe­re­se, ma voglia­mo un socia­li­smo e un comu­ni­smo che cor­ri­spon­da­no a ciò che vera­men­te vuo­le l’Ungheria. Su que­sto pun­to sia­mo tut­ti d’accordo»[31].

Quel­li che si bat­to­no: l’esercito
Dal­la sera del 24 non c’è più nes­su­na uni­tà mili­ta­re unghe­re­se che obbe­di­sca al gover­no. Non ce n’è nean­che una che com­bat­ta con­tro gli insor­ti al fian­co degli Avos e dei rus­si. Il 25 otto­bre mol­te acca­de­mie mili­ta­ri, dopo aver costi­tui­to comi­ta­ti rivo­lu­zio­na­ri di uffi­cia­li e sol­da­ti, si bat­to­no con gli insor­ti con­tro gli Avos. Una di esse strap­pa alla poli­zia poli­ti­ca il palaz­zo del­la stam­pe­ria del gior­na­le dell’esercito. Nel­la sera­ta del 25 camio­net­te mili­ta­ri dif­fon­do­no il seguen­te volantino:

«Giu­ria­mo davan­ti ai cada­ve­ri dei nostri mar­ti­ri che in que­ste ore cri­ti­che con­qui­ste­re­mo la liber­tà per il nostro pae­se. I diri­gen­ti del par­ti­to e del gover­no si sono pre­oc­cu­pa­ti sol­tan­to di con­ser­va­re il loro pote­re. Che dire­zio­ne poli­ti­ca è quel­la che pren­de misu­re timi­de sol­tan­to sot­to la pres­sio­ne del­le masse?
I loro atti arbi­tra­ri ci sono costa­ti trop­pi sacri­fi­ci in que­sti ulti­mi die­ci anni. Ora han­no chia­ma­to l’esercito sovie­ti­co con l’obiettivo di repri­me­re il popo­lo ungherese.
Cit­ta­di­ni, noi chiediamo:

  1. Un nuo­vo eser­ci­to rivo­lu­zio­na­rio prov­vi­so­rio e un nuo­vo gover­no nazio­na­le rivo­lu­zio­na­rio prov­vi­so­rio, in cui sia­no inclu­si i diri­gen­ti del­la gio­ven­tù insorta.
  2. L’abolizione imme­dia­ta del­la leg­ge marziale.
  3. L’annullamento imme­dia­to del Pat­to di Var­sa­via ed il riti­ro imme­dia­to e paci­fi­co del­le trup­pe sovie­ti­che dal­la nostra patria.
  4. La testa dei veri respon­sa­bi­li del bagno di san­gue, la libe­ra­zio­ne dei pri­gio­nie­ri poli­ti­ci e un’amnistia generalizzata.
  5. Una base auten­ti­ca­men­te demo­cra­ti­ca per il socia­li­smo unghe­re­se; nel frat­tem­po l’esercito unghe­re­se por­te­rà la respon­sa­bi­li­tà per il man­te­ni­men­to dell’ordine ed il disar­mo del­la poli­zia poli­ti­ca, l’AVH».

Lo stes­so volan­ti­no pro­se­gue affer­man­do che «i com­pa­gni Imre Nagy e Jánós Kádár sono mem­bri del nuo­vo gover­no rivo­lu­zio­na­rio dell’esercito»[32], con­fer­man­do anco­ra una vol­ta la volon­tà dei rivo­lu­zio­na­ri di dis­so­cia­re Nagy dall’apparato.

La pro­vin­cia: scio­pe­ro gene­ra­le e nasci­ta dei con­si­gli operai
A Buda­pe­st le orga­niz­za­zio­ni stu­den­te­sche era­no il moto­re dell’agitazione poli­ti­ca. È al loro comi­ta­to rivo­lu­zio­na­rio che si sono uni­te le dele­ga­zio­ni ope­ra­ie che si sono lan­cia­te nel­la bat­ta­glia. In pro­vin­cia la rivo­lu­zio­ne è ini­zia­ta con uno scio­pe­ro gene­ra­le insur­re­zio­na­le sca­te­na­to dall’intervento rus­so. La rivo­lu­zio­ne ha imme­dia­ta­men­te pre­so la for­ma di con­si­gli ope­rai che han­no pre­so il pote­re. Così, per la pri­ma vol­ta dopo alcu­ni decen­ni, i lavo­ra­to­ri unghe­re­si, in lot­ta con­tro la buro­cra­zia, ritro­va­va­no spon­ta­nea­men­te le for­me di orga­niz­za­zio­ne e di pote­re pro­le­ta­rie. Ritro­va­va­no la tra­di­zio­ne dei soviet (la paro­la rus­sa che signi­fi­ca con­si­glio) del 1905 e del 1917 ed anche del­la pri­ma Repub­bli­ca unghe­re­se dei con­si­gli (mar­zo 1919). I con­si­gli, elet­ti dal bas­so, con dele­ga­ti revo­ca­bi­li in ogni momen­to e respon­sa­bi­li davan­ti alla pro­pria base, sono la rea­liz­za­zio­ne auten­ti­ca e con­cre­ta del­la demo­cra­zia pro­le­ta­ria e del pote­re degli ope­rai arma­ti. Per descri­ve­re i con­si­gli unghe­re­si pos­sia­mo ripren­de­re un pas­sag­gio di Tro­tsky sul soviet di Pie­tro­gra­do del 1905:

«Il soviet è il pote­re orga­niz­za­to del­la stes­sa mas­sa, al di sopra di tut­te le sue fra­zio­ni. È la demo­cra­zia auten­ti­ca e non fal­si­fi­ca­ta, sen­za le due Came­re, sen­za buro­cra­zia di mestie­re ma che garan­ti­sce agli elet­to­ri di sosti­tui­re, quan­do lo deci­do­no, i depu­ta­ti da loro elet­ti. Il soviet, per mez­zo dei suoi mem­bri, attra­ver­so i depu­ta­ti che gli ope­rai han­no elet­to, pre­sie­de diret­ta­men­te a tut­te le atti­vi­tà socia­li del pro­le­ta­ria­to nel suo insie­me o nei suoi grup­pi, orga­niz­za la sua azio­ne, gli dà una paro­la d’ordine ed una ban­die­ra».

Il Con­si­glio di Miskolc
Situa­ta nel­la regio­ne nord‑occidentale dell’Ungheria, nel­la zona indu­stria­le di Bor­sod, vici­no alle minie­re di car­bo­ne e alle accia­ie­rie, nel cuo­re dell’industria side­rur­gi­ca e metal­mec­ca­ni­ca, Miskolc, cit­tà di 100.000 abi­tan­ti, è la pri­ma ad annun­cia­re la costi­tu­zio­ne di un con­si­glio ope­ra­io. Nel­la not­te tra il 24 e il 25 otto­bre, gli insor­ti, padro­ni del­la radio, annun­cia­no che han­no pre­so il pote­re ed esi­go­no un «nuo­vo gover­no nel­lo spi­ri­to di Bela Kun e Lász­ló Rajk»[33]. Il rife­ri­men­to a que­sti due diri­gen­ti comu­ni­sti, entram­bi assas­si­na­ti da Sta­lin – Kun pre­si­den­te nel 1919 del­la Repub­bli­ca dei con­si­gli assas­si­na­to duran­te i pro­ces­si di Mosca, Rajk impic­ca­to in quan­to “titi­sta” nel 1949 – è signi­fi­ca­ti­va dell’orientamento poli­ti­co del movi­men­to. Il 25 otto­bre i Comi­ta­ti ope­rai del­le fab­bri­che han­no elet­to un con­si­glio ope­ra­io del­la cit­tà, il cui pro­gram­ma è dif­fu­so dal­la radio loca­le: «Noi chie­dia­mo che ai posti di mag­gior respon­sa­bi­li­tà del par­ti­to e del­lo Sta­to sia­no mes­si dei comu­ni­sti devo­ti al prin­ci­pio dell’internazionalismo pro­le­ta­rio, che sia­no innan­zi tut­to unghe­re­si e rispet­ti­no le nostre tra­di­zio­ni nazio­na­li ed il nostro pas­sa­to mil­le­na­rio. Chie­dia­mo l’apertura di un’inchiesta sull’istituzione che garan­ti­sce la sicu­rez­za del­lo Sta­to (l’AVH) e l’eliminazione di tut­ti quel­li che, diri­gen­ti o fun­zio­na­ri, sia­no in qual­che misu­ra com­pro­mes­si. Chie­dia­mo che i cri­mi­ni di Far­kas e dei suoi sgher­ri sia­no inda­ga­ti in un pro­ces­so pub­bli­co davan­ti a un tri­bu­na­le indi­pen­den­te, anche qua­lo­ra si doves­se­ro chia­ma­re in cau­sa alti diri­gen­ti. Chie­dia­mo che i respon­sa­bi­li del­la cat­ti­va dire­zio­ne e ammi­ni­stra­zio­ne del pia­no eco­no­mi­co sia­no subi­to sosti­tui­ti. Chie­dia­mo un aumen­to dei sala­ri rea­li. Voglia­mo otte­ne­re la garan­zia che il Par­la­men­to non resti anco­ra a lun­go una mac­chi­na del voto, coi par­la­men­ta­ri ridot­ti a mero pez­zo di quell’ingranaggio»[34]. Il 25 il con­si­glio ope­ra­io e il “par­la­men­to stu­den­te­sco” pren­do­no il pote­re nell’agglomerazione urba­na di Miskolc e dall’indomani l’autorità del con­si­glio ope­ra­io è rico­no­sciu­ta in tut­ta la pro­vin­cia di Borsod.
Il 26 Rudolf Föld­va­ri, segre­ta­rio regio­na­le del PC, mem­bro del con­si­glio ope­ra­io, dichia­ra a Radio Miskolc che il gover­no Nagy ha accet­ta­to le riven­di­ca­zio­ni del Con­si­glio. Miskolc fa appel­lo ai lavo­ra­to­ri del­la regio­ne per­ché eleg­ga­no con­si­gli in tut­te le fab­bri­che sen­za con­si­de­ra­re l’affiliazione poli­ti­ca dei can­di­da­ti[35]. Lo stes­so gior­no si for­ma, attra­ver­so la fede­ra­zio­ne dei con­si­gli loca­li, il con­si­glio ope­ra­io del­la pro­vin­cia di Bor­sod. Il con­si­glio ope­ra­io con­trol­la la regio­ne. La sua dele­ga­zio­ne a Buda­pe­st recla­ma da Nagy: aumen­to imme­dia­to dei sala­ri, del­le pen­sio­ni e degli asse­gni fami­lia­ri, la fine del rial­zo dei prez­zi, l’abolizione del­la tas­sa sul­le fami­glie sen­za bam­bi­ni, il pro­ces­so a Far­kas e un par­la­men­to che non sia un’assemblea di “yes‑men”, il riti­ro del­le trup­pe sovie­ti­che e la pub­bli­ca­zio­ne del Trat­ta­to di com­mer­cio sovie­ti­co-unghe­re­se, la cor­re­zio­ne degli “erro­ri” del pia­no eco­no­mi­co[36]. La mat­ti­na del 28 la radio annun­cia che i con­si­gli ope­rai han­no sciol­to tut­te le orga­niz­za­zio­ni comu­ni­ste del­la regio­ne di Bor­sod. Nel­le cam­pa­gne i con­ta­di­ni, sot­to­po­sti a una col­let­ti­viz­za­zio­ne for­za­ta, han­no cac­cia­to i respon­sa­bi­li dei Kol­koz e han­no pro­ce­du­to alla distri­bu­zio­ne del­le ter­re. I con­si­gli ope­rai appro­va­no la loro azio­ne[37]. Pri­mo a costi­tuir­si, il Con­si­glio ope­ra­io di Miskolc è con­sa­pe­vo­le del­le pro­prie respon­sa­bi­li­tà. Cer­ca di esten­de­re a tut­to il pae­se ciò che ha sta­bi­li­to nel­la regio­ne di Bor­sod, il pote­re dei con­si­gli. Il 28 Radio Miskolc «chie­de ai con­si­gli ope­rai del­le cit­tà del­la pro­vin­cia di coor­di­na­re i pro­pri sfor­zi nell’obiettivo di for­gia­re un solo e poten­te movi­men­to»[38]. Vie­ne pro­po­sto come base comu­ne il seguen­te programma:

  1. «Edi­fi­ca­zio­ne di un’Ungheria libe­ra, sovra­na, indi­pen­den­te, demo­cra­ti­ca e socialista.
  2. Una leg­ge che isti­tui­sca ele­zio­ni libe­re a suf­fra­gio universale.
  3. Par­ten­za imme­dia­ta del­le trup­pe sovietiche.
  4. Ela­bo­ra­zio­ne di una Costituzione.
  5. Sop­pres­sio­ne dell’AVH, il gover­no dovrà appog­giar­si su due for­ze in armi: l’esercito nazio­na­le e la polizia.
  6. Amni­stia com­ple­ta per chi ha imbrac­cia­to le armi e pro­ces­so per Gerö e i suoi complici.
  7. Ele­zio­ni libe­re entro due mesi con la par­te­ci­pa­zio­ne di più par­ti­ti»[39].

I con­si­gli di Györ e di Trans­da­ne­lia sono i pri­mi a rispon­de­re all’appello.

Il con­si­glio di Györ
Györ è una cit­tà di 100.000 abi­tan­ti. È la cit­tà del­la gigan­te­sca fab­bri­ca di vago­ni e loco­mo­ti­ve Wilhelm-Pieck (Gyö­ri-Mávag). L’insurrezione ha avu­to ini­zio con uno scio­pe­ro gene­ra­le. La guar­ni­gio­ne rus­sa ha accet­ta­to di buon gra­do di riti­rar­si sen­za com­bat­te­re. Un Comi­ta­to nazio­na­le rivo­lu­zio­na­rio, elet­to nel­le fab­bri­che, diri­ge la regio­ne assie­me ad un Comi­ta­to mili­ta­re ai suoi ordi­ni. Il Comi­ta­to com­pren­de 20 mem­bri di dif­fe­ren­te pro­ve­nien­za poli­ti­ca. Il pre­si­den­te è un metal­mec­ca­ni­co, in pas­sa­to respon­sa­bi­le del par­ti­to social­de­mo­cra­ti­co, Györ­gy Sza­bó, ma la per­so­na­li­tà più in vista è Atti­la Szi­ge­ti, un vec­chio diri­gen­te del Par­ti­to nazio­na­le con­ta­di­no[40], depu­ta­to e ami­co di Imre Nagy. Nel Comi­ta­to si svi­lup­pa anche un’opposizione, diret­ta dal vec­chio sin­da­co del­la cit­tà, Lud­wig Poc­sa, elet­to dal­la fab­bri­ca in cui lavo­ra[41]. Sul­le riven­di­ca­zio­ni imme­dia­te, però, il Comi­ta­to è com­pat­to: esi­ge che sia fis­sa­ta una data per ele­zio­ni libe­re entro 2–3 mesi ed il riti­ro del­le trup­pe rus­se dall’Ungheria[42]. I dele­ga­ti dei mina­to­ri chie­do­no «la garan­zia che l’esercito sovie­ti­co abban­do­ni imme­dia­ta­men­te il pae­se, come pure l’assicurazione che ven­ga­no auto­riz­za­te ele­zio­ni libe­re con la par­te­ci­pa­zio­ne di tut­ti i par­ti­ti»[43]. Radio Györ dichia­ra solen­ne­men­te il 28:

«Agli insor­ti si sono mesco­la­ti ele­men­ti baca­ti con ten­den­ze fasci­ste e con­tro­ri­vo­lu­zio­na­rie. Noi non voglia­mo che ritor­ni il vec­chio siste­ma capi­ta­li­sta; voglia­mo un’Ungheria libe­ra e indi­pen­den­te»[44].

Il Con­si­glio di Sopron
Nel­la cit­ta­di­na indu­stria­le di Sopron, Unghe­ria occi­den­ta­le, il con­si­glio ope­ra­io è sta­to elet­to a scru­ti­nio segre­to nel­le impre­se e nel­la scuo­la fore­sta­le. Il socia­li­sta austria­co Peter Stras­ser ha assi­sti­to alle riu­nio­ni e assi­cu­ra: «Sono deci­sa­men­te con­tra­ri alla restau­ra­zio­ne del vec­chio regi­me di Hor­thy (dit­ta­to­re del pae­se fra le due guer­re mon­dia­li: ndt)»[45]. Il con­si­glio ha orga­niz­za­to il con­trol­lo dell’ordine pub­bli­co median­te la for­ma­zio­ne di pat­tu­glie miste com­po­ste da un ope­ra­io, un sol­da­to e uno stu­den­te[46]. Il con­si­glio ha invia­to in Austria due dele­ga­zio­ni di gio­va­ni comu­ni­sti per svi­lup­pa­re una cam­pa­gna di soli­da­rie­tà orien­ta­ta ver­so il movi­men­to ope­ra­io inter­na­zio­na­le[47].

Il Con­si­glio di Magyarovar
Il Con­si­glio di Magya­ro­var è sta­to anch’esso elet­to a scru­ti­nio segre­to. Com­pren­de 26 mem­bri, tra cui 4 comu­ni­sti, dei sen­za par­ti­to e alcu­ni rap­pre­sen­tan­ti dei vec­chi par­ti­ti rifor­mi­sti, social­de­mo­cra­ti­ci, nazio­nal-con­ta­di­ni e pic­co­li pro­prie­ta­ri. Il suo pre­si­den­te è un ope­ra­io comu­ni­sta, Gera, il qua­le dichia­ra: «Ci sono sostan­zial­men­te due gran­di pro­ble­mi: i rus­si devo­no andar­se­ne e si devo­no tene­re ele­zio­ni demo­cra­ti­che». Allo stu­pi­to gior­na­li­sta ame­ri­ca­no pre­ci­sa: «I comu­ni­sti che sono nel Con­si­glio sono bra­ve per­so­ne. Non oppri­mo­no nes­su­no e il popo­lo unghe­re­se lo sa»[48]. Il pro­gram­ma del Con­si­glio di Magya­ro­var chie­de ele­zio­ni libe­re e demo­cra­ti­che sot­to il con­trol­lo dell’ONU, la liber­tà dei par­ti­ti demo­cra­ti­ci, la liber­tà di stam­pa e di riu­nio­ne, l’indipendenza dei sin­da­ca­ti, la libe­ra­zio­ne dei dete­nu­ti, lo scio­gli­men­to dell’AVH, la par­ten­za dei rus­si, lo scio­gli­men­to del­le azien­de agri­co­le col­let­ti­ve impo­ste con l’uso del­la for­za, la sop­pres­sio­ne del­le dif­fe­ren­ze di clas­se[49].

Il pro­gram­ma dei consigli
Non è pos­si­bi­le con­ti­nua­re oltre misu­ra l’elenco. In ogni cit­tà indu­stria­le dell’Ungheria si sono for­ma­ti con­si­gli ope­rai: a Duna­pen­te­le, la vec­chia Szta­lin­vá­ros, “per­la” dell’industrializzazione del perio­do Ráko­si, a Szol­nok, nodo fer­ro­via­rio del pae­se, a Pécs, nel­le minie­re del sud‑ovest, a Debrec­zen e a Sze­ged. Entro il 1° novem­bre si sono for­ma­ti in tut­to il pae­se, in ogni loca­li­tà, con­si­gli che assu­mo­no il com­pi­to di sal­va­guar­da­re le con­qui­ste socia­li­ste e assi­cu­ra­re il rifor­ni­men­to del­la capi­ta­le in lot­ta. Tut­ti han­no le stes­se carat­te­ri­sti­che: elet­ti dai lavo­ra­to­ri nel vivo del­lo scio­pe­ro gene­ra­le insur­re­zio­na­le, essi garan­ti­sco­no il man­te­ni­men­to dell’ordine e la lot­ta con­tro i rus­si e gli Avos con mili­zie com­po­ste di ope­rai e stu­den­ti arma­ti; han­no sciol­to gli orga­ni­smi del PC ed epu­ra­to le ammi­ni­stra­zio­ni ora sot­to­po­ste alla loro auto­ri­tà. Sono l’espressione del pote­re degli ope­rai in armi. Ecco uno dei tan­ti esem­pi pos­si­bi­li del­lo spi­ri­to del­la popo­la­zio­ne di cui espri­mo­no la volon­tà. Il 29 otto­bre alle 10.20 Radio Györ libe­ra annuncia:

«Comu­ni­chia­mo il mes­sag­gio del­le don­ne del vil­lag­gio Gyir­mot alla radio di Györ libera:
“Le con­ta­di­ne di Gyir­mot fan­no appel­lo alle don­ne dell’area di Györ. Ieri abbia­mo appre­so, da una di noi che tor­na­va dal mer­ca­to di Györ, un fat­to ver­go­gno­so che ci ha disgu­sta­te. Ecco­lo: alcu­ne con­ta­di­ne pre­sen­ti al mer­ca­to, davan­ti alla doman­da smi­su­ra­ta, han­no ven­du­to il lat­te desti­na­to alla distri­bu­zio­ne ordi­na­ria a 6 fio­ri­ni al litro inve­ce di 3. Dun­que, non sol­tan­to esse non han­no adem­piu­to ai loro dove­ri, e ci sarà meno lat­te per gli ope­rai di Györ, ma in più ne han­no appro­fit­ta­to per fare pro­fit­to. Ana­lo­ga­men­te sia­mo scan­da­liz­za­te per l’aumento del prez­zo dell’anatra, ven­du­ta da una con­ta­di­na a 30 fio­ri­ni al chi­lo … Una don­na sif­fat­ta non è un’ungherese!
Don­ne, non per­met­te­te che cose del gene­re pos­sa­no acca­de­re di nuo­vo! Non dimen­ti­ca­te che chi com­pra è il com­bat­ten­te in lot­ta per il nostro futu­ro!”».

Il pro­gram­ma dei con­si­gli, mal­gra­do alcu­ne for­mu­la­zio­ni dif­fe­ren­ti, è straor­di­na­ria­men­te coe­ren­te: tut­ti esi­go­no la par­ten­za imme­dia­ta dei rus­si, lo scio­gli­men­to dell’AVH, la pro­mes­sa di ele­zio­ni libe­re, la liber­tà per i par­ti­ti demo­cra­ti­ci, l’indipendenza dei sin­da­ca­ti e il dirit­to di scio­pe­ro, la liber­tà di stam­pa e di riu­nio­ne, la revi­sio­ne del pia­no e l’aumento dei sala­ri, la liber­tà in cam­po arti­sti­co e cul­tu­ra­le. Tut­ti, per la loro stes­sa esi­sten­za, riven­di­ca­no il dirit­to dell’operaio unghe­re­se di pren­de­re in mano la sua vita. Tut­ti esi­go­no un gover­no rivo­lu­zio­na­rio che inclu­da i rap­pre­sen­tan­ti degli insor­ti. Col loro esem­pio, con la loro azio­ne, sono un peri­co­lo mor­ta­le per la buro­cra­zia come per l’imperialismo. Nell’immediato sono i pri­mi respon­sa­bi­li del­le rivol­te anti­bu­ro­cra­ti­che che si veri­fi­ca­no nell’esercito russo.

L’esercito rus­so si squa­glia al fuo­co del­la rivoluzione
I sol­da­ti rus­si inter­ve­nu­ti con­tro la rivo­lu­zio­ne unghe­re­se, come abbia­mo ricor­da­to, era­no sta­ti pre­ce­den­te­men­te infor­ma­ti che avreb­be­ro com­bat­tu­to una «con­tro­ri­vo­lu­zio­ne fasci­sta appog­gia­ta da trup­pe occi­den­ta­li». Però, di stan­za nel pae­se da mesi, si sono rapi­da­men­te resi con­to del lavo­ro che veni­va loro richie­sto. Non han­no visto eser­ci­ti occi­den­ta­li, non han­no visto fasci­sti o con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ri, ma un inte­ro popo­lo insor­to: ope­rai, stu­den­ti, sol­da­ti. Dal secon­do gior­no dell’insurrezione un cor­ri­spon­den­te bri­tan­ni­co sot­to­li­nea che alcu­ni equi­pag­gi dei car­ri arma­ti han­no tol­to dal­la loro ban­die­ra lo stem­ma sovie­ti­co e si bat­to­no, così, a fian­co dei rivo­lu­zio­na­ri unghe­re­si sot­to la «ban­die­ra ros­sa del comu­ni­smo»[50]. Un testi­mo­ne dichia­ra di aver visto car­ri rus­si unir­si agli insor­ti: «Di soli­to l’equipaggio di un car­ro pren­de­va una deci­sio­ne col­let­ti­va. I sol­da­ti abbas­sa­va­no la ban­die­ra sovie­ti­ca ed issa­va­no al suo posto la ban­die­ra unghe­re­se. Gli unghe­re­si li copri­va­no di fio­ri»[51]. Il 28 otto­bre il gior­na­le dei sin­da­ca­ti unghe­re­si, Népsza­va, esi­ge­va il dirit­to di asi­lo per i sol­da­ti rus­si pas­sa­ti nel­le file dei rivo­lu­zio­na­ri. In altre zone mol­te uni­tà rima­se­ro neu­tra­li; abbia­mo visto la guar­ni­gio­ne di Györ riti­rar­si … Un testi­mo­ne bri­tan­ni­co ha visto nel­la peri­fe­ria di Buda­pe­st insor­ti che por­ta­va­no lat­te negli accam­pa­men­ti rus­si: «Lat­te per i bam­bi­ni rus­si», spie­ga­va­no. «Han­no sti­pu­la­to un accor­do. Ogni gior­no i patrio­ti por­ta­no 50 litri di lat­te per i bam­bi­ni rus­si»[52]. Il fat­to è che i rivo­lu­zio­na­ri unghe­re­si ogni vol­ta che pos­so­no cir­con­da­no i sol­da­ti rus­si, gli mostra­no le loro mani cal­lo­se di ope­rai: «Guar­da le mie mani, com­pa­gno … Sono le mani di un ope­ra­io. Mi sono bat­tu­to con­tro i vostri car­ri. Ho mani da fasci­sta?»[53].
In que­ste con­di­zio­ni, davan­ti alla resi­sten­za deter­mi­na­ta dei rivo­lu­zio­na­ri unghe­re­si, l’utilizzo dell’esercito rus­so per fini repres­si­vi diven­ta­va sem­pre più peri­co­lo­so. La repres­sio­ne ave­va biso­gno di trup­pe fre­sche e sicu­re. Ciò basta a spie­ga­re la svol­ta del 28 otto­bre, quan­do chia­ra­men­te Imre Nagy ha ricon­qui­sta­to la sua liber­tà d’azione e ha smes­so di esse­re un ostag­gio in mano ai rus­si. È nei gior­ni seguen­ti che si con­clu­de­rà la chia­ri­fi­ca­zio­ne poli­ti­ca, men­tre sarà con­fer­ma­to dall’entourage stes­so di Nagy che dal suo arri­vo al “pote­re” egli era sta­to un ostag­gio dei russi.
Il 27, in effet­ti, Imre Nagy rice­ve una dele­ga­zio­ne degli ope­rai di Angyal­föld a cui si sono uni­ti mol­ti dei suoi ami­ci poli­ti­ci, tra cui Miklós Gimes e Józ­sef Szi­lá­gyi, a cui egli garan­ti­sce di non aver fat­to appel­lo alle trup­pe rus­se anche se Gerö – dopo la sua sosti­tu­zio­ne del 25 – ha cer­ca­to di far­gli fir­ma­re un docu­men­to in que­sto sen­so. Nagy inol­tre pro­met­te loro che il gior­no seguen­te, il 28, farà una dichia­ra­zio­ne sul signi­fi­ca­to del­la rivo­lu­zio­ne, «demo­cra­ti­co-nazio­na­le e non con­tro­ri­vo­lu­zio­ne», sul riti­ro del­le trup­pe rus­se da Buda­pe­st e su altre impor­tan­ti misure.

I giorni dell’indipendenza

Il secon­do gover­no Nagy
Il 27, Nagy annun­cia la for­ma­zio­ne di un nuo­vo gover­no desti­na­to a sod­di­sfa­re le riven­di­ca­zio­ni degli insor­ti. I socia­li­sti han­no rifiu­ta­to di par­te­ci­par­vi, ma alcu­ni noti sta­li­ni­sti sono sta­ti mes­si da par­te: Ist­ván Bata, del­la Dife­sa Nazio­na­le, Hege­dus, Dar­vas … Il filo­so­fo Lukács e Geza Losonc­zy sono rico­no­sciu­ti inve­ce come oppo­si­to­ri comu­ni­sti. Il gene­ra­le Káro­ly Jan­za, mili­ta­re di pro­fes­sio­ne, sem­bra sul pun­to di unir­si ai qua­dri diri­gen­ti dell’esercito. Da Béla Kovács e da Zol­tán Til­dy, lea­der dei pic­co­li pro­prie­ta­ri, Nagy senz’altro spe­ra che otter­ran­no l’appoggio dei con­ta­di­ni al suo governo.
Ma sono spe­ran­ze vane. Da par­te degli insor­ti, l’accoglienza è mol­to fred­da. Il 27 otto­bre Radio Miskolc dichia­ra: «Imre Nagy gode oggi del­la fidu­cia del popo­lo. È suf­fi­cien­te? […] Imre Nagy dovreb­be ave­re il corag­gio di sba­raz­zar­si dei poli­ti­can­ti i qua­li non pos­so­no che appog­giar­si sul­le armi, che uti­liz­za­no per oppri­me­re il popo­lo». L’indomani, sul­la stes­sa fre­quen­za, il con­si­glio ope­ra­io di Bor­sod argo­men­ta così: «Imre Nagy ha dichia­ra­to che, duran­te i com­bat­ti­men­ti, si era for­ma­to un gover­no di uni­tà nazio­na­le demo­cra­ti­co, per l’indipendenza ed il socia­li­smo, espres­sio­ne dell’autentica volon­tà popo­la­re. I lavo­ra­to­ri di Bor­sod riten­go­no sia dav­ve­ro l’ora che il gover­no Nagy espri­ma appe­na pos­si­bi­le la volon­tà del popo­lo con atti con­cre­ti. Il gover­no pro­met­te di basar­si sul­la for­za ed il con­trol­lo del popo­lo, e spe­ra di con­qui­sta­re la fidu­cia del popo­lo. La for­za popo­la­re soster­rà Nagy se il suo gover­no pas­sa da subi­to alla rea­liz­za­zio­ne del­le legit­ti­me riven­di­ca­zio­ni del popo­lo, sen­za alcu­na ulte­rio­re esi­ta­zio­ne»[54]. Szi­ge­ti, in nome del con­si­glio di Györ, dichia­ra di con­si­de­ra­re Nagy un patrio­ta ma che alcu­ni mem­bri del suo gover­no sono inac­cet­ta­bi­li[55]. Il por­ta­vo­ce del con­si­glio di Magya­ro­var dichia­ra: «Sia­mo dispo­ni­bi­li ad appog­gia­re il nuo­vo gover­no, ma esso ci deve pri­ma di tut­to dimo­stra­re il suo spi­ri­to per­ché noi gli dia­mo pie­na fidu­cia …»[56]. I Con­si­gli di Debrec­zen e Duna­pen­te­le sosten­go­no il gover­no Nagy ma quel­lo di Sze­ged richie­de a gran voce l’eliminazione del­lo sta­li­ni­sta Antal Apró dal­la com­pa­gi­ne; i fer­ro­vie­ri di Pécs non accet­ta­no Bebrics come mini­stro del­le Comu­ni­ca­zio­ni ed il Con­si­glio Rivo­lu­zio­na­rio dell’Università esi­ge che sia cac­cia­to dal gover­no Ferenc Mün­nich, mini­stro degli Inter­ni, con­si­de­ra­to un agen­te del Cremino.

Le deci­sio­ni del 28 ottobre
Nel­la not­te tra il 27 ed il 28, Imre Nagy ha ripre­so con­tat­to coi rap­pre­sen­tan­ti del “Comi­ta­to rivo­lu­zio­na­rio degli stu­den­ti in armi”, i qua­li man­ten­go­no tut­te le loro riven­di­ca­zio­ni ini­zia­li. Ades­so Nagy le accet­ta, pro­prio come il gior­no pri­ma ave­va accet­ta­to quel­le di Miskolc. Si fis­sa una tre­gua. Il quo­ti­dia­no del PC Sza­bad Nép affer­ma: «Il popo­lo vuo­le ordi­ne e, in pri­mis, la par­ten­za del­le trup­pe sovie­ti­che … Noi voglia­mo una demo­cra­zia unghe­re­se, eco­no­mi­ca­men­te, social­men­te e poli­ti­ca­men­te indi­pen­den­te … Era un giu­sto movi­men­to nazio­na­le». Nagy annun­cia diret­ta­men­te alla radio le ulti­me novi­tà. Egli dichia­ra che il gover­no sovie­ti­co accet­ta di eva­cua­re Buda­pe­st e che ci sono nego­zia­ti per la par­ten­za del­le trup­pe rus­se dall’Ungheria. Nagy rico­no­sce i con­si­gli ope­rai a cui chie­de col­la­bo­ra­zio­ne. L’AVH è sciol­ta. Nasce una nuo­va for­za arma­ta, con un Ese­cu­ti­vo Nazio­na­le: è una sor­ta di mili­zia o guar­dia nazio­na­le dove entre­ran­no, a fian­co del vec­chio eser­ci­to e del­la vec­chia poli­zia, i rivo­lu­zio­na­ri arma­ti, ope­rai e stu­den­ti. Nagy annun­cia anche il rista­bi­li­men­to del­la ban­die­ra nazio­na­le e che il gover­no farà tut­to il pos­si­bi­le per sod­di­sfa­re le riven­di­ca­zio­ni dei rivoluzionari.
I con­si­gli rispon­do­no: quel­lo di Györ doman­da ai con­si­gli del­la regio­ne di desi­gna­re colo­ro che par­te­ci­pe­ran­no alla nuo­va mili­zia[57]. Joszef Kiss, pre­si­den­te del con­si­glio ope­ra­io di Bor­sod, pro­cla­ma a Miskolc: «L’insurrezione nazio­na­le è vit­to­rio­sa, il gover­no sod­di­sfe­rà le nostre richie­ste, non spa­ra­te né con­tro le trup­pe sovie­ti­che né con­tro quel­le gover­na­ti­ve»[58]. Radio Miskolc chia­ma gli insor­ti ad arruo­lar­si nel­la nuo­va mili­zia nazio­na­le. Ma nes­su­no di que­sti con­si­gli vuo­le rico­no­sce­re il gover­no Nagy pri­ma di aver acqui­si­to la cer­tez­za che esso cer­chi vera­men­te di otte­ne­re la par­ten­za dei rus­si. Tut­ti dichia­ra­no che non con­se­gne­ran­no le armi pri­ma dell’evacuazione com­ple­ta del paese.
Nel con­tem­po, da tut­te le regio­ni del pae­se dele­ga­zio­ni dei con­si­gli par­to­no per Buda­pe­st e fan­no sape­re a Nagy le con­di­zio­ni poste dai lavo­ra­to­ri per rico­no­sce­re il suo gover­no. Sono que­sti incon­tri che pro­dur­ran­no, nei gior­ni seguen­ti, le fer­me pre­se di posi­zio­ne da par­te di Nagy. Davan­ti alla scel­ta tra le esi­gen­ze dei rus­si e quel­le degli ope­rai rivo­lu­zio­na­ri, Nagy si ricor­da del­la lezio­ne del­la set­ti­ma­na appe­na tra­scor­sa e sce­glie la rivo­lu­zio­ne, con­tro la buro­cra­zia e l’apparato.

Il pro­ble­ma del­la par­ten­za dei russi
La tre­gua pre­ca­ria con­clu­sa il 26 rischia di fal­li­re. Il coman­do mili­ta­re rus­so, pri­ma di riti­rar­si da Buda­pe­st, esi­ge­va la con­se­gna del­le armi da par­te degli insor­ti. Al rifiu­to oppo­sto da que­sti ulti­mi i com­bat­ti­men­ti ripre­se­ro nel­la not­te tra il 29 e il 30.
Così il 29, alle 20.50, Radio Györ libe­ra proclama:

«Con­tra­ria­men­te all’informazione for­ni­ta da Radio Kos­suth, il popo­lo di Buda­pe­st con­ti­nua la sua lot­ta arma­ta per la libe­ra­zio­ne. Noi, con­si­gli ope­rai dei mina­to­ri di Pécs, Dorog, Tokod, Tata­bá­nya, Tata, Miskolc abbia­mo pre­so le deci­sio­ni seguen­ti: non potre­mo strap­pa­re la nostra riven­di­ca­zio­ne – il riti­ro dei rus­si dal nostro pae­se – che con l’arma del­lo sciopero!
I con­si­gli ope­rai si sono impe­gna­ti, par­lan­do a nome del popo­lo, a sospen­de­re la pro­du­zio­ne di car­bo­ne fin­ché reste­ran­no sol­da­ti rus­si in Unghe­ria! La gio­ven­tù di Györ non ripren­de­rà il lavo­ro pri­ma che l’ultima uni­tà rus­sa abbia abban­do­na­to il nostro paese …
Avan­ti ver­so lo scio­pe­ro per una Unghe­ria libe­ra ed indipendente!».

Infi­ne, i rus­si cedet­te­ro e comin­cia­ro­no il riti­ro men­tre gli insor­ti, sot­to asse­dio dall’inizio del­la rivo­lu­zio­ne, usci­va­no con le loro armi. Fu così che, in par­ti­co­la­re, Buda­pe­st e l’Ungheria conob­be­ro il nome del colon­nel­lo Malé­ter, uffi­cia­le comu­ni­sta che ave­va diret­to per 6 gior­ni i 1200 insor­ti, ope­rai stu­den­ti e sol­da­ti, asse­dia­ti dai rus­si nel­la caser­ma Kilian. Quest’ufficiale, là invia­to per repri­mer­li, era pas­sa­to assie­me ai suoi sol­da­ti dal­la par­te degli insorti.
Allo stes­so tem­po un comu­ni­ca­to gover­na­ti­vo toglie­va dal­le spal­le di Nagy la respon­sa­bi­li­tà per i decre­ti isti­tu­ti­vi del­la leg­ge mar­zia­le e di appel­lo alle trup­pe russe:

«Radio Kos­suth, 30 otto­bre, ore 18.30, comu­ni­ca­to mol­to importante:
Unghe­re­si, la nostra tri­stez­za, la nostra ver­go­gna, il sur­ri­scal­dar­si degli ani­mi era­no pro­vo­ca­ti da due decre­ti che han­no fat­to ver­sa­re il san­gue di cen­ti­na­ia di per­so­ne: il pri­mo, l’appello per l’intervento a Buda­pe­st dell’esercito sovie­ti­co, l’altro, la leg­ge mar­zia­le con­tro i com­bat­ten­ti del­la libertà.
Assu­mia­mo la respon­sa­bi­li­tà di dichia­ra­re davan­ti alla sto­ria che Imre Nagy, pre­si­den­te del con­si­glio dei Mini­stri, non sape­va nul­la di que­ste due deci­sio­ni. La sua fir­ma non figu­ra a sug­gel­lo di que­sti due decre­ti. La respon­sa­bi­li­tà per que­sti due decre­ti è por­ta­ta da Ernö Gerö e András Hege­dus»[59].

Nagy lo con­fer­ma in un gran­de discor­so pro­nun­cia­to il gior­no seguen­te, 31 otto­bre, davan­ti a una fol­la in deli­rio. Dichia­ra: «La rivo­lu­zio­ne ha vin­to … La ban­da (Ráko­si-Gerö) ha cer­ca­to di insu­di­ciar­mi affer­man­do che ave­vo richie­sto l’intervento sovie­ti­co. È fal­so. Al con­tra­rio, esi­ge­vo la par­ten­za imme­dia­ta dell’esercito sovie­ti­co», aggiun­gen­do: «oggi ini­zia la con­fe­ren­za per l’abrogazione del Pat­to di Var­sa­via ed il riti­ro dei rus­si dal nostro pae­se». Ed è del 1° novem­bre, davan­ti ai movi­men­ti di trup­pe rus­se che vio­la­no for­mal­men­te le dichia­ra­zio­ni del loro gover­no, la riso­nan­te dichia­ra­zio­ne del riti­ro dell’Ungheria dal Pat­to di Var­sa­via e la pro­cla­ma­zio­ne del­la sua neu­tra­li­tà: «Ope­rai di Unghe­ria, pro­teg­ge­te il nostro pae­se, la nostra Unghe­ria libe­ra, indi­pen­den­te e demo­cra­ti­ca»[60].

Il pro­ble­ma del par­ti­to stalinista
Imre Nagy, in que­sti gior­ni deci­si­vi, inchi­nan­do­si alla volon­tà dei lavo­ra­to­ri unghe­re­si, ha smes­so di par­la­re come un uomo d’apparato. Sza­bad Nép, rispon­den­do in ter­mi­ni viva­ci alle accu­se del­la Pra­v­da, tie­ne un lin­guag­gio del tut­to diver­so da quel­lo del­la stam­pa sta­li­ni­sta di tut­to il mon­do. Il fat­to sostan­zia­le è che, sot­to la pres­sio­ne del­le mas­se, Nagy e i suoi com­pa­gni han­no rot­to con l’apparato stalinista.
Abbia­mo visto come quel­li defi­ni­ti i “comu­ni­sti libe­ra­li” si fos­se­ro bat­tu­ti, nel qua­dro del par­ti­to, per la rein­te­gra­zio­ne degli esclu­si ed il cam­bia­men­to del­la dire­zio­ne, in una paro­la per la rifor­ma e il cam­bia­men­to del cor­so del par­ti­to. Ma que­sta posi­zio­ne, dopo alcu­ni gior­ni di lot­ta arma­ta, si è rive­la­ta impraticabile.
Il 28 otto­bre, i con­si­gli ope­rai han­no intra­pre­so in tut­to il pae­se lo scio­gli­men­to del­le orga­niz­za­zio­ni di par­ti­to. Chi pote­va anco­ra cre­de­re in un cam­bia­men­to del par­ti­to da rea­liz­zar­si sot­to la dire­zio­ne del CC che ha man­te­nu­to e coper­to Gerö, coop­tan­do Nagy e i suoi segua­ci sol­tan­to per com­pro­met­ter­li col san­gue degli insor­ti in una repres­sio­ne ordi­na­ta da Mosca? Il comi­ta­to cen­tra­le si auto­scio­glie e nomi­na una dire­zio­ne prov­vi­so­ria inca­ri­ca­ta del­la pre­pa­ra­zio­ne del pros­si­mo con­gres­so. Il Pre­si­dium che ne risul­ta ha nel­le sue file solo mili­tan­ti impri­gio­na­ti o per­se­gui­ta­ti sot­to Sta­lin-Ráko­si. In suo nome, Jánós Kádár dichia­ra: «Potran­no esse­re mem­bri del par­ti­to rin­no­va­to solo colo­ro che non han­no alcu­na respon­sa­bi­li­tà nei cri­mi­ni pas­sa­ti»[61]. Nes­su­no può più par­la­re di “rifor­ma” davan­ti ad un rin­no­va­men­to così radi­ca­le. Due gior­ni dopo, Kádár fa appel­lo ai mili­tan­ti per­ché si uni­sca­no ai Com­bat­ten­ti per la liber­tà[62].
Il 1° novem­bre anche l’ipotesi del par­ti­to “rin­no­va­to” si dimo­stra impra­ti­ca­bi­le. Non c’è più un par­ti­to comu­ni­sta. L’apparato si è bat­tu­to dal­la par­te dei rus­si assie­me agli Avos. La gran par­te dei mili­tan­ti si è bat­tu­ta coi rivo­lu­zio­na­ri. Nes­su­no si sogna di unir­si ad un par­ti­to sta­li­ni­sta, per quan­to “rin­no­va­to”. Ansio­si di “rom­pe­re per sem­pre col pas­sa­to”, Nagy, Kádár, Lukács, Szán­tó for­ma­no un nuo­vo par­ti­to che rom­pe con l’organizzazione uffi­cia­le e che essi chia­ma­no Par­ti­to socia­li­sta ope­ra­io unghe­re­se. Han­no così rico­no­sciu­to il loro fal­li­men­to, l’impossibilità di rifor­ma­re un par­ti­to sta­li­ni­sta? Alme­no all’apparenza, si inchi­na­no al ver­det­to del­le mas­se unghe­re­si: comu­ni­sti e anti­sta­li­ni­sti fon­da­no un par­ti­to sul­la base del leni­ni­smo. Ma non è ancor più signi­fi­ca­ti­vo che un mili­tan­te come Miklós Gimes abbia rifiu­ta­to di unir­si ad una for­ma­zio­ne poli­ti­ca che non con­si­de­ra­va aves­se rot­to real­men­te con lo stalinismo?

Il pote­re dei consigli
Sin dal 28, annun­cian­do il ces­sa­te il fuo­co, Nagy ave­va rico­no­sciu­to i con­si­gli e pro­mes­so di garan­ti­re l’accoglimento del­le loro riven­di­ca­zio­ni. Andan­do oltre, «pro­po­ne ai con­si­gli ope­rai e ai comi­ta­ti rivo­lu­zio­na­ri di coor­di­na­re le loro atti­vi­tà e di for­ma­re gli Sta­ti gene­ra­li dell’insurrezione»[63]. Nasce­reb­be così un’autentica repub­bli­ca dei con­si­gli, una rea­le rap­pre­sen­tan­za dei lavo­ra­to­ri in armi per mez­zo di un Par­la­men­to ope­ra­io. Non si pote­va anda­re oltre sul­la via rivo­lu­zio­na­ria e, su que­sto pun­to, Nagy si col­le­ga­va al con­si­glio di Miskolc che ave­va rivol­to una pro­po­sta simi­le a tut­ti i con­si­gli di provincia.
Nell’esercito si sono for­ma­ti Comi­ta­ti rivo­lu­zio­na­ri dei sol­da­ti. La riu­nio­ne dei loro dele­ga­ti del 30 otto­bre al mini­ste­ro del­la Dife­sa costi­tui­sce in via defi­ni­ti­va il Comi­ta­to rivo­lu­zio­na­rio dell’esercito[64]. Vie­ne subi­to lan­cia­to un mani­fe­sto in cui si dichia­ra che l’esercito è al fian­co del popo­lo per difen­de­re le con­qui­ste del­la rivo­lu­zio­ne, dopo aver eli­mi­na­to un cer­to nume­ro di uffi­cia­li rea­zio­na­ri e men­tre si accin­ge al disar­mo degli Avos[65].
Lo stes­so gior­no si appren­de che il Comi­ta­to rivo­lu­zio­na­rio dei giu­ri­sti unghe­re­si ha appe­na costret­to alle dimis­sio­ni il pro­cu­ra­to­re gene­ra­le Györ­gy Non, in segui­to ad un esa­me del dos­sier riguar­dan­te la sua atti­vi­tà[66].
Si for­ma un Comi­ta­to rivo­lu­zio­na­rio al mini­ste­ro degli Este­ri. Fa pro­po­ste con­cre­te al gover­no per la rior­ga­niz­za­zio­ne del­la rap­pre­sen­tan­za unghe­re­se all’estero e richia­ma la dele­ga­zio­ne all’ONU per­ché non ha soste­nu­to il pun­to di vista dei rivoluzionari.
I fer­ro­vie­ri han­no otte­nu­to la revo­ca del mini­stro del­le Comu­ni­ca­zio­ni, Lajos Bebrics, ed il Con­si­glio rivo­lu­zio­na­rio dell’Università invo­ca quel­la di Mün­nich. A tut­ti i livel­li, in ogni loca­li­tà, in ogni ammi­ni­stra­zio­ne, i con­si­gli ope­rai ed i comi­ta­ti rivo­lu­zio­na­ri pren­do­no in mano la gestio­ne del­le cose. Si crea una nuo­va demo­cra­zia socia­li­sta, la demo­cra­zia ope­ra­ia auten­ti­ca dei con­si­gli, iden­ti­ca a quel­la dei soviet rus­si del 1917.

Il pro­gram­ma dei sindacati
Il 27 otto­bre su Nepsza­va ed il 3 novem­bre su Nepa­ka­rat, i sin­da­ca­ti unghe­re­si, epu­ra­ti per ope­ra dei lavo­ra­to­ri del­la loro dire­zio­ne sta­li­ni­sta, han­no pre­sen­ta­to un pro­gram­ma che riflet­te la volon­tà del­la clas­se lavo­ra­tri­ce e la ten­den­za del­la rivo­lu­zio­ne unghe­re­se in que­sta set­ti­ma­na deci­si­va: fine dei com­bat­ti­men­ti attra­ver­so nego­zia­ti coi capi del­la gio­ven­tù insor­ta, costi­tu­zio­ne di una Guar­dia Nazio­na­le con ope­rai e gio­va­ni per rin­for­za­re l’esercito e la poli­zia, nego­zia­ti per il riti­ro del­le trup­pe sovie­ti­che[67]. I sin­da­ca­ti, inol­tre, richie­do­no la costi­tu­zio­ne di con­si­gli ope­rai in tut­te le fab­bri­che, con dirit­to di opi­nio­ne sul­la pia­ni­fi­ca­zio­ne e la fis­sa­zio­ne del­le nor­me lavo­ra­ti­ve[68]. Que­sti con­si­gli con­sen­ti­ran­no di instau­ra­re un’autentica «dire­zio­ne ope­ra­ia» dell’economia, e di con­se­guen­za una «tra­sfor­ma­zio­ne radi­ca­le del siste­ma di pia­ni­fi­ca­zio­ne e di dire­zio­ne dell’economia». Coscien­ti del ruo­lo paras­si­ta­rio del­la buro­cra­zia instal­la­ta nel­le impre­se, i sin­da­ca­ti chie­do­no, assie­me all’aumento imme­dia­to dei sala­ri infe­rio­ri a 1.500 fio­ri­ni, lo sta­bi­li­men­to di un tet­to mas­si­mo di 3.500 fio­ri­ni per tut­ti i sala­ri. Que­sta riven­di­ca­zio­ne, ana­lo­ga a quel­la avan­za­ta dagli stu­den­ti di Sze­ged pri­ma dell’inizio dell’insurrezione, dimo­stra quan­to i lavo­ra­to­ri aves­se­ro pre­so coscien­za del ruo­lo gio­ca­to nel­la divi­sio­ne dei lavo­ra­to­ri dal­la dif­fe­ren­zia­zio­ne sala­ria­le, una del­le chia­vi di vol­ta del siste­ma buro­cra­ti­co sta­li­ni­sta. I sin­da­ca­ti esi­ge­va­no anche il dirit­to di scio­pe­ro e la denun­cia del­le nor­me di lavo­ro vigen­ti. Pro­cla­ma­va­no, il 3 novem­bre, la loro indi­pen­den­za rispet­to ad ogni par­ti­to poli­ti­co ed ogni gover­no, al pari del­la loro volon­tà di par­te­ci­pa­re alla dire­zio­ne degli orga­ni­smi rivo­lu­zio­na­ri ed alle futu­re ele­zio­ni gene­ra­li. Deci­de­va­no, infi­ne, di rom­pe­re con la Fede­ra­zio­ne Sin­da­ca­le Mon­dia­le – con­trol­la­ta dagli sta­li­ni­sti – che, per boc­ca di Sail­lant, suo pre­si­den­te, li ave­va insul­ta­ti, man­te­nen­do però con­tat­ti con tut­te le altre orga­niz­za­zio­ni sin­da­ca­li inter­na­zio­na­li[69].

Il pro­gram­ma degli intellettuali
Il pro­gram­ma adot­ta­to dal Comi­ta­to rivo­lu­zio­na­rio degli intel­let­tua­li, «costi­tui­to il 28 otto­bre nell’edificio cen­tra­le dell’Università Lóránd Eöt­vös di Buda­pe­st», che riu­ni­va «tut­te le orga­niz­za­zio­ni di intel­let­tua­li, scrit­to­ri, arti­sti, eru­di­ti e stu­den­ti», non è meno indi­ca­ti­va del­la volon­tà dei rivo­lu­zio­na­ri unghe­re­si di costrui­re un’autentica demo­cra­zia socia­li­sta che del­le pos­si­bi­li­tà che si offri­va­no di far emer­ge­re una dire­zio­ne ed un pro­gram­ma chia­ri per tut­ti i rivoluzionari:

  1. «Rego­la­men­to imme­dia­to del­le nostre rela­zio­ni con l’Unione Sovie­ti­ca. Riti­ro del­le trup­pe sovie­ti­che dal ter­ri­to­rio ungherese.
  2. Annul­la­men­to imme­dia­to di tut­ti gli accor­di com­mer­cia­li con­clu­si con Pae­si stra­nie­ri che por­ti­no dan­no alla nostra eco­no­mia nazio­na­le. Il pae­se deve esse­re infor­ma­to sul­la natu­ra di tali accor­di com­mer­cia­li, inclu­si quel­li rela­ti­vi alle espor­ta­zio­ni di ura­nio e bauxite.
  3. Ele­zio­ni gene­ra­li a scru­ti­nio segre­to. I can­di­da­ti devo­no esse­re nomi­na­ti dal popolo.
  4. Le minie­re e le fab­bri­che devo­no real­men­te appar­te­ne­re agli ope­rai. Le minie­re e le ter­re devo­no rima­ne­re pro­prie­tà del popo­lo e nien­te deve esse­re resti­tui­to ai capi­ta­li­sti e ai vec­chi gran­di pro­prie­ta­ri. Le fab­bri­che devo­no esse­re diret­te da Con­si­gli ope­rai libe­ra­men­te elet­ti. Il gover­no deve pro­teg­ge­re il dirit­to di eser­ci­zio di arti­gia­ni e pic­co­li commercianti
  5. Abo­li­zio­ne del vec­chio siste­ma pie­no di abu­si odio­si. I sala­ri trop­po bas­si e le pen­sio­ni devo­no esse­re aumen­ta­ti in base alle pos­si­bi­li­tà del­la nostra economia.
  6. I sin­da­ca­ti devo­no difen­de­re real­men­te gli inte­res­si del­la clas­se ope­ra­ia e i loro diri­gen­ti devo­no esse­re elet­ti libe­ra­men­te. I con­ta­di­ni potran­no crea­re i loro sindacati.
  7. Il gover­no deve assi­cu­ra­re la liber­tà del­la pro­du­zio­ne agri­co­la e aiu­ta­re i pic­co­li con­ta­di­ni e le coo­pe­ra­ti­ve for­ma­te su base volon­ta­ria. Biso­gna abo­li­re l’odioso siste­ma del­le con­se­gne obbligatorie.
  8. Biso­gna ren­de­re giu­sti­zia ai con­ta­di­ni che han­no subi­to la col­let­ti­viz­za­zio­ne for­za­ta ed indennizzarli.
  9. Il gover­no deve assi­cu­ra­re una com­ple­ta liber­tà di stam­pa e di riunione.
  10. Il 23 otto­bre, gior­no dell’insurrezione del nostro popo­lo per la sua libe­ra­zio­ne, deve esse­re pro­cla­ma­to festa nazio­na­le»[70].

La cac­cia agli Avos
La par­ten­za dei rus­si ave­va lascia­to a Buda­pe­st gli Avos iso­la­ti di fron­te agli insor­ti. I con­ti con loro furo­no pre­sto rego­la­ti. Avi­da di fat­ti ecla­tan­ti, la stam­pa bor­ghe­se a gran­de tira­tu­ra ha rac­con­ta­to tut­ti i det­ta­gli del­la cac­cia agli Avos in cui si lan­cia­ro­no i “Com­bat­ten­ti del­la liber­tà” nei gior­ni del­la loro effi­me­ra vit­to­ria. È inu­ti­le descri­ver­la nuo­va­men­te. Sono tutt’al più neces­sa­rie alcu­ne spiegazioni.
Dicia­mo innan­zi­tut­to che gli insor­ti han­no dato la cac­cia agli Avos per­ché li odia­va­no. Il cor­ri­spon­den­te a Buda­pe­st del Dai­ly Wor­ker, Char­lie Coutts, ha inti­to­la­to uno dei suoi arti­co­li “Per­ché si odia­va l’AVH”[71]. Spie e tor­tu­ra­to­ri, arro­gan­ti ed onni­po­ten­ti, per die­ci anni gli Avos ave­va­no con­cen­tra­to su di loro l’odio di un inte­ro popo­lo. La loro con­dot­ta sin dall’inizio dell’insurrezione, la spa­ra­to­ria alla Radio e quel­la al Par­la­men­to, le ese­cu­zio­ni som­ma­rie, tut­to ciò ha fat­to tra­ci­ma­re l’odio nei loro con­fron­ti duran­te le gior­na­te rivoluzionarie.
Inol­tre, gli Avos dove­va­no esse­re cac­cia­ti per­ché costi­tui­va­no un peri­co­lo rea­le. Fin­ché le trup­pe rus­se sta­zio­na­va­no in Unghe­ria, fin­ché Buda­pe­st resta­va alla por­ta­ta dei loro can­no­ni, fin­ché il loro ritor­no era pos­si­bi­le, la pre­sen­za di un Avos rap­pre­sen­ta­va un peri­co­lo mor­ta­le per ogni rivo­lu­zio­na­rio unghe­re­se. Nel­la Buda­pe­st libe­ra gli Avos era­no la Quin­ta Colon­na: gli insor­ti si sono volu­ti garan­ti­re al tem­po stes­so la loro sicu­rez­za e la loro retrovia.
Senz’altro, non tut­ti i rivo­lu­zio­na­ri han­no appro­va­to i meto­di sbri­ga­ti­vi con cui Buda­pe­st è sta­ta ripu­li­ta dagli Avos. Sap­pia­mo che la sera del 31 una dele­ga­zio­ne degli Avos sup­pli­cò l’Unione degli Scrit­to­ri di inter­ve­ni­re pres­so i Com­bat­ten­ti del­la Liber­tà per sigla­re un accor­do che sal­vas­se loro la pel­le. Ma l’intervento dell’Unione degli Scrit­to­ri – tra cui mol­ti, e dei miglio­ri, era­no sta­ti tor­tu­ra­ti dagli Avos – non pro­dus­se alcun effet­to. Ugual­men­te, il 3 novem­bre Bela Kira­ly, capo del­le for­ze mili­ta­ri rivo­lu­zio­na­rie di Buda­pe­st, con­fer­ma­va che gli ordi­ni del gover­no e dei comi­ta­ti era­no di non ucci­de­re nes­su­no sul posto ma di defe­ri­re tut­ti gli Avos arre­sta­ti davan­ti ai tri­bu­na­li[72]. Con­cre­ta­men­te, la cac­cia ai poli­ziot­ti dell’AVH si fer­ma sol­tan­to il 2 novem­bre, ormai in assen­za di pre­da[73].
La stam­pa dei par­ti­ti sta­li­ni­sti ha uti­liz­za­to que­sti fat­ti cer­can­do di trar­ne van­tag­gio per descri­ve­re una con­tro­ri­vo­lu­zio­ne bian­ca che dava la cac­cia ai mili­tan­ti comu­ni­sti nel­le stra­de di Buda­pe­st. Ma i mede­si­mi fat­ti da essa cita­ti smen­ti­sco­no tale tesi: scri­ven­do infat­ti che «un mili­tan­te del­la Fede­ra­zio­ne, il com­pa­gno Kele­men, è sta­to tol­to dal­la for­ca dal­la fol­la che l’ha rico­no­sciu­to»[74], André Stil, su L’Humanité, con­fes­sa in que­sto modo che la fol­la non ucci­de­va chi non cono­sce­va come Avos, quan­do sco­pri­va che si trat­ta­va inve­ce di un comu­ni­sta. La mor­te, dovu­ta ad una tra­gi­ca sot­to­va­lu­ta­zio­ne, del vete­ra­no comu­ni­sta Imre Mezo, segre­ta­rio del par­ti­to a Buda­pe­st, già nel­le Bri­ga­te Inter­na­zio­na­li in Spa­gna e nei par­ti­gia­ni FTP-MOI in Fran­cia, corag­gio­so avver­sa­rio di Ráko­si, non smen­ti­sce que­sta inter­pre­ta­zio­ne. Fu ucci­so pro­prio men­tre difen­de­va la sede del par­ti­to, dove sta­va rice­ven­do dele­ga­zio­ni di rivo­lu­zio­na­ri ma dove giun­se­ro degli Avos a cui si dava la cac­cia, per aver resi­sti­to all’ira del­le mas­se con le armi alla mano, tra­sci­nan­do alla mor­te gli altri occu­pan­ti del­la sede.
Fino ad oggi mas­sa­cri, ese­cu­zio­ni som­ma­rie e lin­ciag­gi, han­no accom­pa­gna­to ogni rivo­lu­zio­ne. Dob­bia­mo ricor­da­re i mas­sa­cri di set­tem­bre duran­te la rivo­lu­zio­ne fran­ce­se, le ese­cu­zio­ni di ostag­gi effet­tua­ti dal­la Comu­ne di Pari­gi ed i fat­ti ana­lo­ghi avve­nu­ti duran­te la rivo­lu­zio­ne rus­sa, la rivo­lu­zio­ne spa­gno­la o, in tut­ta Euro­pa, duran­te la Libe­ra­zio­ne? La ven­det­ta del­le mas­se è tan­to più ter­ri­bi­le quan­to più i con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ri che han­no sca­te­na­to la loro col­le­ra era­no sta­ti cru­de­li e bru­ta­li. Gli Avos han­no rac­col­to ciò che ave­va­no semi­na­to: sono sta­ti bru­cia­ti dall’incendio acce­so da quel­la buro­cra­zia di cui era­no sta­ti i fede­li servitori.

Ten­den­ze con­tro­ri­vo­lu­zio­na­rie: gli emigrati
Sin dall’annuncio dell’insurrezione unghe­re­se nume­ro­si emi­gra­ti han­no cer­ca­to di rien­tra­re nel loro pae­se; si trat­ta­va di ele­men­ti democratico‑borghesi, social­de­mo­cra­ti­ci, fasci­sti. È nota la tesi de L’Humanité, secon­do la qua­le que­ste ten­den­ze han­no for­ni­to i qua­dri al movi­men­to con­tro­ri­vo­lu­zio­na­rio, che avreb­be così trion­fa­to sot­to il basto­ne pro­tet­to­re di Nagy sen­za il prov­vi­den­zia­le inter­ven­to russo.
Un cer­to nume­ro di fat­ti con­trad­di­ce que­sta tesi. Innan­zi­tut­to un memo­ran­dum del gover­no austria­co, data­to 3 novem­bre, dichia­ra: «Il gover­no austria­co ha ordi­na­to di isti­tui­re una zona vie­ta­ta lun­go la fron­tie­ra austro-unghe­re­se … Il mini­stro del­la Dife­sa ha visi­ta­to que­sta zona assie­me ai dele­ga­ti mili­ta­ri del­le quat­tro gran­di poten­ze, com­pre­si quel­li dell’URSS. I dele­ga­ti mili­ta­ri han­no così potu­to assi­cu­rar­si del­le misu­re pre­se per pro­teg­ge­re la fron­tie­ra e garan­ti­re la neu­tra­li­tà austria­ca. Tut­te le pre­cau­zio­ni pos­si­bi­li sono così sta­te adot­ta­te alla fron­tie­ra occi­den­ta­le per impe­di­re l’infiltrazione di emi­gra­ti … Le auto­ri­tà austria­che han­no pre­ga­to il vec­chio pre­si­den­te del Con­si­glio, Ferenc Nagy (del Par­ti­to dei pic­co­li pro­prie­ta­ri), arri­va­to rapi­da­men­te a Vien­na, di abban­do­na­re il ter­ri­to­rio austria­co. Di ciò sono a cono­scen­za anche le auto­ri­tà sovie­ti­che. Il per­mes­so per rima­ne­re in Austria è rifiu­ta­to ai diri­gen­ti poli­ti­ci dell’emigrazione. L’ambasciatore austria­co a Mosca ha infor­ma­to di que­sti fat­ti il mini­ste­ro degli Este­ri dell’URSS». Nono­stan­te la cam­pa­gna del­la stam­pa sta­li­ni­sta, il gover­no rus­so non ha mai con­te­sta­to uffi­cial­men­te que­sti fat­ti pres­so il gover­no austria­co[75].
Allo stes­so modo, il vec­chio segre­ta­rio del­la gio­ven­tù socia­li­sta unghe­re­se, Ferenc Eröss, lino­ti­pi­sta a Bru­xel­les, non ha potu­to var­ca­re la fron­tie­ra unghe­re­se, essen­do sta­to respin­to pro­prio dagli insor­ti, che egli d’altronde appro­va per que­sta misu­ra cau­te­la­re[76].

Il prin­ci­pe Eszterházy
L’Humanité ha fat­to mol­to chias­so anche sul­la libe­ra­zio­ne del prin­ci­pe Esz­te­rhá­zy, il mag­gior pro­prie­ta­rio ter­rie­ro dell’Ungheria ante­guer­ra, la cui libe­ra­zio­ne indi­che­reb­be, secon­do il quo­ti­dia­no del PCF, il carat­te­re “hor­thy­sta” del movi­men­to. In veri­tà, libe­ra­to come ogni pri­gio­nie­ro poli­ti­co, libe­ra­to come tut­te le vit­ti­me di Ráko­si, il prin­ci­pe si è ben guar­da­to dal resta­re in que­sta ter­ra dove bru­cia la fiam­ma rivo­lu­zio­na­ria. È par­ti­to in fret­ta e furia e con discre­zio­ne per l’Austria, goden­do­vi­si in pace l’immensa for­tu­na con­ser­va­ta. Ha pro­va­to ad agi­re pub­bli­ca­men­te invian­do, dall’Austria, soc­cor­si e vesti­ti ai con­ta­di­ni dei suoi anti­chi pos­se­di­men­ti in Unghe­ria. Tut­to gli è sta­to rispe­di­to sen­za nem­me­no esse­re sta­to toc­ca­to[77]. È plau­si­bi­le imma­gi­na­re dei con­ta­di­ni che ver­sa­no il loro san­gue per resti­tui­re al prin­ci­pe i suoi pos­se­di­men­ti e che si bat­to­no per subi­re nuo­va­men­te il seco­la­re gio­go del­la servitù?

Il car­di­na­le Mindszenty
Il car­di­na­le Mindszen­ty ha for­ni­to mol­to mate­ria­le per le dichia­ra­zio­ni più sen­sa­zio­na­li­ste di chi, bor­ghe­si o sta­li­ni­sti, vole­va accre­di­ta­re l’idea di una con­tro­ri­vo­lu­zio­ne bian­ca in Unghe­ria. Radio Pra­ga, il 1° novem­bre, dà l’annuncio di un gover­no pre­sie­du­to dal pri­ma­te: l’informazione, rilan­cia­ta da AFP, farà la gio­ia del­la stam­pa rea­zio­na­ria e de L’Humanité, ben feli­ce di uti­liz­za­re le inven­zio­ni di Radio Free Euro­pe per le neces­si­tà del­la sua propaganda.
Mindszen­ty, car­di­na­le e pri­ma­te d’Ungheria, è un rea­zio­na­rio sen­za scru­po­li, un nemi­co incon­ci­lia­bi­le del­la rivo­lu­zio­ne. È sta­to però libe­ra­to, come Esz­te­rhá­zy, da una rivo­lu­zio­ne che, gene­ro­sa come ogni rivo­lu­zio­ne, apri­va le por­te del­le pri­gio­ni. Gli stes­si uomi­ni ave­va­no tor­tu­ra­to anche Rajk. Come Rajk anche Mindszen­ty ave­va con­fes­sa­to. Ria­bi­li­ta­to Rajk lo si dove­va liberare …
Si sono attri­bui­ti al car­di­na­le inten­zio­ni e pro­po­si­ti d’ogni sor­ta. In par­ti­co­lar modo la sua inter­vi­sta su Radio Buda­pe­st avreb­be pre­oc­cu­pa­to i rus­si spin­gen­do­li all’intervento. Il gior­na­li­sta bri­tan­ni­co Mer­vyn Jones ha cer­ca­to il reso­con­to ste­no­gra­fi­co del suo discor­so pro­nun­cia­to alla radio il 3 novem­bre. Il car­di­na­le ha par­la­to del­la «lot­ta per la liber­tà» che si svi­lup­pa­va in Unghe­ria e affer­ma­to che essa indi­ca­va la volon­tà di un popo­lo di sta­bi­li­re «una coe­si­sten­za paci­fi­ca fon­da­ta sul­la giu­sti­zia». Ha chie­sto la mes­sa sot­to accu­sa dei ráko­si­sti davan­ti a «tri­bu­na­li impar­zia­li e indi­pen­den­ti» e si è pro­nun­cia­to con­tro lo spi­ri­to di ven­det­ta. Ecco il suo pro­gram­ma: «Noi voglia­mo una socie­tà sen­za clas­si ed uno Sta­to in cui pre­val­ga la leg­ge, un Pae­se che svi­lup­pi le sue con­qui­ste demo­cra­ti­che, fon­da­to sul dirit­to alla pro­prie­tà pri­va­ta ristret­to giu­sta­men­te dagli inte­res­si del­la socie­tà e del­la giu­sti­zia». Non chie­de la resti­tu­zio­ne dei beni con­fi­sca­ti alla Chie­sa ma liber­tà di inse­gna­men­to reli­gio­so e liber­tà di stam­pa e di orga­niz­za­zio­ne per i cat­to­li­ci. Equi­va­le for­se ciò ad una con­ver­sio­ne del car­di­na­le ad una for­ma cri­stia­na di demo­cra­zia socia­li­sta? Cer­to che no, ma, come pen­sa Jones, «a cau­sa del fat­to che il domi­nio del­le for­ze demo­cra­ti­che era così schiac­cian­te e le pro­spet­ti­ve per la con­tro­ri­vo­lu­zio­ne così scar­se», il car­di­na­le non pote­va che assu­me­re quel lin­guag­gio[78]. Il gior­na­li­sta jugo­sla­vo Vla­do Tesic, in una nota d’agenzia in cui insi­ste sul peri­co­lo di «una evo­lu­zio­ne ver­so destra» soprat­tut­to a cau­sa del­la libe­ra­zio­ne di Mindszen­ty, for­ni­sce un’informazione pre­zio­sa: grup­pi di destra distri­bui­sco­no volan­ti­ni dal tito­lo «Non abbia­mo nul­la a che vede­re coi Con­si­gli ope­rai: i comu­ni­sti han­no il naso là den­tro». Pub­bli­ca­men­te, però, su que­sta que­stio­ne i vari Mindszen­ty tac­cio­no. Un altro cor­ri­spon­den­te jugo­sla­vo, Dju­ka Julius, ha nota­to un grup­po di gio­va­ni distri­bui­re volan­ti­ni scrit­ti a mano in cui si riven­di­ca l’eliminazione dei comu­ni­sti e la for­ma­zio­ne di un gover­no Mindszen­ty: «paro­le d’ordine mode­ra­ta­men­te fasci­ste», dice il gior­na­li­sta. L’indomani, in segui­to ad un incon­tro coi dele­ga­ti del­la side­rur­gia di Cse­pel assie­me al loro pre­si­den­te Elek Nagy, con­clu­de che l’appello dei fasci­sti a liqui­da­re «le con­qui­ste del socia­li­smo» non fa alcu­na signi­fi­ca­ti­va pre­sa tra la popo­la­zio­ne. Duran­te la sua con­fe­ren­za stam­pa del 3 novem­bre, Mindszen­ty, le cui pro­spet­ti­ve sono chia­ra­men­te di patro­ci­na­re la rico­stru­zio­ne di un par­ti­to demo­cra­ti­co cri­stia­no, si rifiu­ta di rispon­de­re alla doman­da di un gior­na­li­sta unghe­re­se su una sua even­tua­le can­di­da­tu­ra a pri­mo mini­stro, abban­do­nan­do la sala.

Joszef Dudás
L’Humanité, anco­ra gra­zie alla pen­na di André Stil, ha defi­ni­to Joszef Dudás, pre­si­den­te del Comi­ta­to Rivo­lu­zio­na­rio di Buda­pe­st, come uno dei diri­gen­ti del­la con­tro­ri­vo­lu­zio­ne “fasci­sta”[79].
Chi era vera­men­te Dudás? “Un gior­na­li­sta fasci­sta”, come scri­ve Stil? “Un inge­gne­re”, come scri­ve il suo com­pa­re sul Dai­ly Wor­ker? Lui stes­so si è pre­sen­ta­to ai gior­na­li­sti come un vec­chio mili­tan­te comu­ni­sta, mem­bro del PC duran­te l’occupazione nazi­sta, pas­sa­to nel 1947 al Par­ti­to dei pic­co­li pro­prie­ta­ri, arre­sta­to poco dopo, libe­ra­to nel 1956 e ria­bi­li­ta­to pochi gior­ni pri­ma dell’inizio del­la rivo­lu­zio­ne, anco­ra duran­te il regno di Gerö. Né L’HumanitéThe Dai­ly Wor­ker nega­no che per un perio­do egli si sia “infi­la­to” nel­le file del PC.
Dun­que, è pos­si­bi­le affer­ma­re che, nel­la misu­ra in cui Dudás si è espres­so pub­bli­ca­men­te duran­te le gior­na­te rivo­lu­zio­na­rie, nes­su­na del­le sue appa­ri­zio­ni spet­ta­co­la­ri con­sen­te di appiop­par­gli l’etichetta di fasci­sta. Nel suo gior­na­le, Füg­ge­tlen­tség (Indi­pen­den­za), ha pub­bli­ca­to quat­tro arti­co­li i cui temi era­no, secon­do Anna Kethly, «che non si met­ta mano alle rifor­me eco­no­mi­che del 1945, riti­ro del­le trup­pe sovie­ti­che, liber­tà di stam­pa e di asso­cia­zio­ne, libe­re ele­zio­ni»[80]. Ma sap­pia­mo anche che la testa­ta del suo gior­na­le del 30 otto­bre ave­va scrit­to «Non rico­no­scia­mo l’attuale gover­no» e che l’indomani è sta­to rice­vu­to da Nagy a cui avreb­be richie­sto il por­ta­fo­glio del mini­ste­ro degli Este­ri[81]. Rice­vu­to un rifiu­to, assie­me ai suoi segua­ci si è impa­dro­ni­to del mini­ste­ro per qual­che ora e, per que­sto, è sta­to arre­sta­to su ordi­ne del gover­no Nagy[82].
Si trat­ta­va di un avven­tu­rie­ro che cer­ca­va di trar­re van­tag­gio dal­la rivo­lu­zio­ne? Il suo com­por­ta­men­to può indur­re a pen­sar­lo. È comun­que l’ipotesi che si impo­ne dopo la let­tu­ra del­la nota del comu­ni­sta polac­co Woroszyl­ski, basa­ta sul rac­con­to del­la sua inter­vi­sta con Dudás, e dell’analisi che abboz­za in quel fran­gen­te. Ma que­sto pro­va che per otte­ne­re risul­ta­ti un avven­tu­rie­ro ambi­zio­so dove­va guar­dar­si bene dall’utilizzare un lin­guag­gio fasci­sta. Ciò pro­va pure che il 3 novem­bre il gover­no Nagy era suf­fi­cien­te­men­te soli­do e in sel­la da poter fare arre­sta­re un uomo che osten­ta­va fun­zio­ni rivo­lu­zio­na­rie impor­tan­ti come quel­le di Dudás. Stil, rac­con­tan­do la para­bo­la di Dudás, alla sua manie­ra, con­clu­de repen­ti­na­men­te: «È a quel pun­to che fu arre­sta­to»[83]. Non dice però da chi, et pour cau­se: se Dudás fos­se sta­to, come L’Humanité affer­ma, un auten­ti­co fasci­sta e con­tro­ri­vo­lu­zio­na­rio, come spie­ga­re poi che Nagy, secon­do Stil arte­fi­ce del­la con­tro­ri­vo­lu­zio­ne, l’abbia fat­to arre­sta­re? Que­ste men­zo­gne sono così gros­so­la­ne che basta sfio­rar­le per­ché si sbriciolino.

Pro­spet­ti­ve per la rivo­lu­zio­ne unghe­re­se dopo il 4 novembre
I fat­ti sono chia­ri. È cer­to che si sia­no espres­se ten­den­ze con­tro­ri­vo­lu­zio­na­rie. Non è meno chia­ro, come scri­ve il comu­ni­sta Peter Fryer, cor­ri­spon­den­te del Dai­ly Wor­ker, nel­la sua let­te­ra di dimis­sio­ni dal PC, che «il popo­lo in armi era del tut­to con­sa­pe­vo­le del peri­co­lo del­la con­tro­ri­vo­lu­zio­ne ma anche asso­lu­ta­men­te in gra­do di schiac­ciar­la esso stes­so»[84]. Dopo le dure bat­ta­glie del­la pri­ma set­ti­ma­na, l’Ungheria ha spe­ri­men­ta­to un’autentica esplo­sio­ne di liber­tà, tra­dot­ta­si in una fra­ter­ni­tà fra tut­te le clas­si che si era­no oppo­ste ai rus­si e in una cer­ta con­fu­sio­ne: nien­te è più tipi­co dell’apparire dei gior­na­li più diver­si, da quel­li “uffi­cia­li”, stam­pa­ti, a quel­li ciclo­sti­la­ti, dat­ti­lo­scrit­ti o per­si­no scrit­ti a mano e poi attac­ca­ti ai muri. In que­sta atmo­sfe­ra alcu­ni rea­zio­na­ri han­no potu­to infil­trar­si e “fic­ca­re il naso” nel movi­men­to. Nien­te più di que­sto. È com­par­so un solo gior­na­le rea­zio­na­rio: Vir­ra­dat (l’Aurora). Ne è usci­to un solo nume­ro per­ché il gior­no seguen­te gli ope­rai han­no rifiu­ta­to di stam­par­lo[85]. Ciò non ha trat­te­nu­to la stam­pa bor­ghe­se occi­den­ta­le dal par­la­re di esplo­sio­ne di gior­na­li anti­co­mu­ni­sti. A noi inve­ce basta ricor­da­re il gior­na­le Igaz­ság (La Veri­tà), orga­no del Par­ti­to del­la gio­ven­tù rivo­lu­zio­na­ria, diret­to dal gio­va­ne intel­let­tua­le comu­ni­sta Ober­so­vsz­ky, assie­me ai gio­va­ni redat­to­ri di Sza­bad Ibju­sag, gior­na­le del­la Gio­ven­tù Comu­ni­sta, ed avre­mo un’idea più chia­ra di che cos’era quel pre­te­so “anti­co­mu­ni­smo”.
Non men­zio­ne­re­mo che en pas­sant la tesi per cui la rivo­lu­zio­ne unghe­re­se si indi­riz­za­va ver­so una “demo­cra­zia all’occidentale”. Tut­to lo smen­ti­sce, tut­to l’ha smen­ti­to sin dall’inizio: la resi­sten­za ope­ra­ia, l’azione dei Con­si­gli, la repres­sio­ne dei rus­si con­tro i set­to­ri ope­rai del­la rivo­lu­zio­ne. Que­sta tesi, in ulti­ma ana­li­si, ha avu­to un’unica fun­zio­ne: for­ni­re agli sta­li­ni­sti argo­men­ti per giu­sti­fi­ca­re la loro repressione.
L’orientamento del­la rivo­lu­zio­ne unghe­re­se era così tra­vol­gen­te che nes­su­no in Unghe­ria è potu­to sfug­gi­re alla sua influen­za, nes­su­no ha agi­to sen­za tener­lo in con­si­de­ra­zio­ne. Sot­to que­sto aspet­to, le basi su cui in Unghe­ria si sono rico­sti­tui­ti i par­ti­ti pic­co­lo bor­ghe­si e rifor­mi­sti sono assai signi­fi­ca­ti­ve. Non è per que­sto deci­si­va la pre­sen­za di diri­gen­ti rifor­mi­sti come Béla Kovács per giu­di­ca­re cor­ret­ta­men­te il signi­fi­ca­to poli­ti­co del III gover­no Nagy: è uti­le inve­ce stu­dia­re il loro lin­guag­gio e il pro­gram­ma comu­ne a base dell’accordo. Di fron­te al pote­re nascen­te dei Con­si­gli ope­rai, la restau­ra­zio­ne gover­na­ti­va non pote­va pro­ce­de­re che uti­liz­zan­do un lin­guag­gio che tro­vas­se con­sen­so tra le mas­se insorte.

Il ter­zo gover­no Nagy
L’Ufficio Poli­ti­co del PCF ha par­la­to di «quel­li che furo­no gli allea­ti di Hitler, i rap­pre­sen­tan­ti del­la rea­zio­ne e del Vati­ca­no, rimes­si al gover­no dal tra­di­to­re Nagy»[86]. La stam­pa rea­zio­na­ria fran­ce­se è rima­sta esem­plar­men­te silen­zio­sa sul­la costi­tu­zio­ne di que­sto gover­no for­ma­to, come l’avevano richie­sto i con­si­gli, da rap­pre­sen­tan­ti di tut­ti i par­ti­ti demo­cra­ti­ci e dai capi degli insor­ti. A fian­co dei comu­ni­sti nagy­sti – Nagy, Kádár, Losonc­zy – acce­de­va­no in effet­ti al gover­no diri­gen­ti dei par­ti­ti rifor­mi­sti socia­li­sti e con­ta­di­ni che sot­to Ráko­si ave­va­no avu­to un’esistenza lega­le, seb­be­ne sol­tan­to teo­ri­ca, e gli eroi mili­ta­ri dell’insurrezione di Buda­pe­st, tra cui Malé­ter, con­si­de­ra­to come il rap­pre­sen­tan­te dei “Com­bat­ten­ti del­la libertà”.

I socia­li­sti
Anna Kethly ha lun­ga­men­te espo­sto il pun­to di vista del suo par­ti­to, sin dal­la sua par­ten­za dall’Ungheria. È impor­tan­te sot­to­li­nea­re che il 1° novem­bre, nel gior­na­le di par­ti­to, Népsza­va[87], dichia­ra­va: «Vigi­lia­mo sul­le nostre fab­bri­che e sul­le nostre minie­re, e anche sul­la ter­ra che deve resta­re nel­le mani dei con­ta­di­ni»[88].
Gyu­la Kele­men, segre­ta­rio del par­ti­to, uti­liz­za­va lo stes­so lin­guag­gio. Rice­ven­do una dele­ga­zio­ne di gior­na­li­sti jugo­sla­vi, dice­va che il par­ti­to socia­li­sta «lot­te­rà con la più gran­de deter­mi­na­zio­ne per man­te­ne­re le con­qui­ste del­la clas­se ope­ra­ia e soster­rà i con­si­gli ope­rai»[89].

I diri­gen­ti dei par­ti­ti contadini
Il 21 otto­bre a Pécs, nell’assemblea di rico­sti­tu­zio­ne del Par­ti­to dei pic­co­li pro­prie­ta­ri, Béla Kovács escla­ma­va: «La que­stio­ne è sape­re se il par­ti­to, rina­to, pro­cla­me­rà di nuo­vo le vec­chie idee. Nes­su­no può pen­sa­re di tor­na­re indie­tro al mon­do dei con­ti, dei ban­chie­ri e dei capi­ta­li­sti; que­sto vec­chio mon­do è mor­to, una vol­ta per tut­te. Un auten­ti­co mem­bro del Par­ti­to dei pic­co­li pro­prie­ta­ri non può pen­sa­re oggi nel­la manie­ra in cui pen­sa­va nel 1939 o nel 1945»[90].
Ferenc Far­kas, segre­ta­rio del par­ti­to nazio­nal-con­ta­di­no, rino­mi­na­to­si Par­ti­to Petö­fi, il 3 novem­bre sot­to­li­nea­va che «il gover­no man­ter­rà del­le rea­liz­za­zio­ni socia­li­ste tut­to ciò che può e deve esse­re uti­liz­za­to in un pae­se libe­ro, demo­cra­ti­co e socia­li­sta»[91].

Pál Malé­ter, eroe dell’insurrezione
Infi­ne, c’è Malé­ter, que­sto uffi­cia­le dell’esercito pas­sa­to con gli insor­ti sin dal­le pri­me ore. Il difen­so­re, con 1500 gio­va­ni ope­rai, stu­den­ti e sol­da­ti, del­la caser­ma Kilian; Malé­ter, l’eroe dei Com­bat­ten­ti del­la liber­tà. Chi è? Secon­do Stil si trat­ta di «un vec­chio uffi­cia­le hor­thy­sta che ha fin­to di aggre­gar­si al pote­re popo­la­re»[92]. In real­tà è un vec­chio comu­ni­sta gua­da­gna­to al comu­ni­smo duran­te la pri­gio­nia, già allie­vo del­le Acca­de­mie Mili­ta­ri rus­se, para­ca­du­ta­to in Unghe­ria duran­te la guer­ra quan­do fu capo di ban­de par­ti­gia­ne. L’inviato spe­cia­le del Dai­ly Herald, il labu­ri­sta Basil David­son, è anda­to ad inter­vi­star­lo. Rac­con­ta: «Por­ta­va anco­ra la sua pic­co­la stel­la di par­ti­gia­no del 1944 (e un’altra stel­la ros­sa otte­nu­ta per l’estrazione di car­bo­ne effet­tua­ta dal suo reg­gi­men­to a Tata­ba­nya), in momen­ti nei qua­li tut­ti gli uffi­cia­li toglie­va­no le mostri­ne di tipo sovie­ti­co». David­son gli chie­de del­le pro­spet­ti­ve del­la rivo­lu­zio­ne unghe­re­se. «“Se noi ci libe­re­re­mo dei rus­si – dice – non cre­dia­te che tor­ne­re­mo indie­tro, al pas­sa­to. E se ci sono del­le per­so­ne che pen­sa­no di tor­na­re indie­tro, allo­ra fare­mo i con­ti”. – E met­te la mano sul­la sua rivol­tel­la»[93].

Il gover­no del­la rivoluzione
L’atteggiamento del gio­va­ne capo comu­ni­sta dell’esercito unghe­re­se era chia­ro. Riflet­te­va l’immagine del gover­no di cui era mem­bro e che ave­va appe­na accet­ta­to il pro­gram­ma e le isti­tu­zio­ni del­la rivo­lu­zio­ne. In suo nome, il comu­ni­sta Géza Losonc­zy dichia­ra­va che non si sareb­be rimes­sa in discus­sio­ne «la nazio­na­liz­za­zio­ne del­le fab­bri­che, la rifor­ma agra­ria e le con­qui­ste socia­li». Si dichia­ra­va pron­to a bat­ter­si per «l’indipendenza nazio­na­le, l’eguaglianza dei dirit­ti e la costru­zio­ne del socia­li­smo non attra­ver­so la dit­ta­tu­ra ma sul­la base del­la demo­cra­zia»[94].
La rivo­lu­zio­ne dei con­si­gli ope­rai ave­va appe­na por­ta­to a ter­mi­ne con suc­ces­so la pri­ma tap­pa. Ovun­que regna­va l’ordine dei con­si­gli e degli ope­rai in armi. Gli unghe­re­si, nono­stan­te gli orro­ri e le distru­zio­ni, si pre­pa­ra­va­no a costrui­re “il sol dell’avvenire”. Mikoyan e Suslov, ritor­na­ti, era­no ripar­ti­ti per Mosca garan­ten­do a Imre Nagy il loro appog­gio. Era il 3 novem­bre. Quel­la stes­sa sera i rus­si cat­tu­ra­va­no a tra­di­men­to Malé­ter e il suo capo di sta­to mag­gio­re men­tre nego­zia­va­no il loro riti­ro. Il 4 lan­cia­ro­no con­tro la rivo­lu­zio­ne i loro obi­ci, i loro can­no­ni e i loro auto­blin­do, men­tre la stam­pa sta­li­ni­sta di tut­to il mon­do asse­con­da­va i pas­si degli assas­si­ni e suo­na­va la mar­cia fune­bre ai rivo­lu­zio­na­ri d’Ungheria.

Il dualismo di potere

La rivo­lu­zio­ne polac­ca ave­va sca­te­na­to la rivo­lu­zio­ne unghe­re­se. La vit­to­ria dei con­si­gli ope­rai, sul­la base del loro pro­gram­ma rivo­lu­zio­na­rio, è con­si­de­ra­ta dal­la buro­cra­zia dell’URSS alla stre­gua di un peri­co­lo mor­ta­le. L’8 novem­bre, Kru­sciov, in un discor­so ai gio­va­ni comu­ni­sti di Mosca, ha par­la­to del­la gio­ven­tù unghe­re­se sol­le­va­ta­si con­tro il regi­me con­clu­den­do sul­la neces­si­tà, anche in URSS, di «aumen­ta­re sen­za sosta la vigi­lan­za e attri­bui­re sem­pre più atten­zio­ne all’educazione del­la gio­ven­tù». L’effervescenza che carat­te­riz­za in quel momen­to (dicem­bre 1956‑gennaio 1957) l’ambiente uni­ver­si­ta­rio di Mosca lo pro­va: la dia­gno­si era cor­ret­ta. Il pro­gram­ma del­la gio­ven­tù rivo­lu­zio­na­ria polac­ca e di quel­la unghe­re­se è lo stes­so di quel­lo del­la gio­ven­tù tede­sca sol­le­va­ta­si il 17 giu­gno 1953 a Ber­li­no Est, lo stes­so dei gio­va­ni ceco­slo­vac­chi, rume­ni e rus­si. Nel 1940 Sta­lin ha assas­si­na­to Tro­tsky ma non ha potu­to assas­si­na­re il tro­tski­smo, le cui idee trion­fa­no oggi nei gran­dio­si som­mo­vi­men­ti rivo­lu­zio­na­ri del­la nostra epo­ca. I suc­ces­so­ri di Sta­lin han­no svol­to il loro com­pi­to assas­si­nan­do deci­ne di miglia­ia di mili­tan­ti rivo­lu­zio­na­ri unghe­re­si e depor­tan­do­ne in URSS altre deci­ne di miglia­ia. Ma la rivo­lu­zio­ne continua.

La lot­ta militare
Mal­gra­do una schiac­cian­te supe­rio­ri­tà nume­ri­ca, mal­gra­do una schiac­cian­te supe­rio­ri­tà nell’armamento pesan­te, i rus­si han­no impie­ga­to più di una set­ti­ma­na per fare ces­sa­re ogni for­ma di resi­sten­za mili­ta­re orga­niz­za­ta. «I mag­gio­ri cen­tri di resi­sten­za furo­no i quar­tie­ri ope­rai. Gli obiet­ti­vi che i sovie­ti­ci attac­ca­ro­no con una rab­bia ed una furia supe­rio­ri furo­no le fab­bri­che metal­mec­ca­ni­che del­la “peri­fe­ria ros­sa” di Buda­pe­st, i quar­tie­ri ope­rai e le indu­strie dove i comu­ni­sti unghe­re­si ave­va­no i loro bastio­ni e i loro mili­tan­ti più atti­vi», anno­ta un testi­mo­ne[95], e anco­ra: «Sono soprat­tut­to gli ope­rai, i comu­ni­sti, i gio­va­ni sot­to i vent’anni che si bat­te­ro­no dap­per­tut­to a Buda­pe­st con vec­chi fuci­li, mitra­glia­tri­ci o bot­ti­glie molo­tov, con­tro gli auto­blin­do rus­si. Fu la fab­bri­ca di Cse­pel, con le sue miglia­ia di ope­rai, avan­guar­die dei mili­tan­ti pro­le­ta­ri del PC unghe­re­se, che offrì la mag­gior resi­sten­za ai car­ri rus­si»[96]. Gli ope­rai di Cse­pel han­no depo­sto le armi sol­tan­to dopo die­ci gior­ni di com­bat­ti­men­ti acca­ni­ti e, il gior­no stes­so, han­no deci­so di pro­se­gui­re la lot­ta per le loro riven­di­ca­zio­ni, quel­le del­la rivo­lu­zio­ne ope­ra­ia. I lavo­ra­to­ri di Duna­pen­te­le, la vec­chia Sztá­lin­va­ros, si sono bat­tu­ti “per il socia­li­smo” sot­to la dire­zio­ne dei loro con­si­gli, fino a quan­do sono sta­ti tra­vol­ti dagli auto­blin­do e som­mer­si dal­le bom­be. I mina­to­ri di Pécs han­no resi­sti­to nel­le loro minie­re ed alcu­ni vi han­no tro­va­to volon­ta­ria­men­te la mor­te facen­do­si sal­ta­re in aria con esse. Depor­ta­zio­ni mas­sic­ce di gio­va­ni unghe­re­si rive­la­no l’impotenza dei rus­si davan­ti alla volon­tà indo­ma­bi­le del­la gio­ven­tù rivoluzionaria.

L’internazionalismo pro­le­ta­rio
A par­ti­re dal 4 novem­bre la buro­cra­zia del Crem­li­no ha deci­so di far inter­ve­ni­re trup­pe pro­ve­nien­ti dall’Asia sovie­ti­ca, nel­la spe­ran­za che la bar­rie­ra lin­gui­sti­ca impe­di­sca la fra­ter­niz­za­zio­ne tra gli ope­rai ed i con­ta­di­ni sovie­ti­ci in divi­sa e la gio­ven­tù rivo­lu­zio­na­ria unghe­re­se. Allo stes­so tem­po i buro­cra­ti face­va­no cre­de­re a que­ste trup­pe di esse­re invia­te a difen­de­re il cana­le di Suez, nazio­na­liz­za­to da Nas­ser, con­tro la spe­di­zio­ne degli impe­ria­li­sti anglo-fran­ce­si del 4 novem­bre; e ai Com­bat­ten­ti unghe­re­si toc­ca­va di spie­ga­re che il Danu­bio non era il cana­le di Suez …
Com­bat­ten­ti del­la liber­tà, con­vin­ti del­la loro cau­sa, con­ti­nua­ro­no i loro appel­li all’internazionalismo pro­le­ta­rio dei sol­da­ti dell’URSS. Il 7 novem­bre i lavo­ra­to­ri di Duna­pen­te­le indi­riz­za­ro­no un appel­lo alle trup­pe sovie­ti­che in occa­sio­ne del 39° anni­ver­sa­rio del­la rivo­lu­zio­ne rus­sa: «Sol­da­ti! Il vostro Sta­to è sta­to crea­to al prez­zo di una lot­ta san­gui­no­sa per­ché voi abbia­te la vostra liber­tà. Per­ché voler schiac­cia­re la nostra liber­tà? Pote­te con­sta­ta­re coi vostri occhi che a pren­de­re le armi con­tro di voi non sono sta­ti i padro­ni del­le fab­bri­che, i pro­prie­ta­ri ter­rie­ri, i bor­ghe­si ma il popo­lo unghe­re­se che com­bat­te per gli stes­si dirit­ti per i qua­li voi ave­te lot­ta­to nel 1917. Sol­da­ti sovie­ti­ci! Ave­te dimo­stra­to a Sta­lin­gra­do come era­va­te in gra­do di difen­de­re il vostro Pae­se. Sol­da­ti non vi ser­vi­te del­le vostre armi con­tro la nazio­ne unghe­re­se»[97]. La rispo­sta è arri­va­ta: a Buda­pe­st il coman­dan­te di un’unità di car­ri arma­ti rus­si si è arre­so ai Com­bat­ten­ti del­la liber­tà. Ave­va dovu­to spa­ra­re con­tro tre bam­bi­ni che cer­ca­va­no di incen­dia­re il suo car­ro con una bot­ti­glia di ben­zi­na e capì allo­ra che ave­va a che fare con una rivo­lu­zio­ne ope­ra­ia[98]. Miglia­ia di sol­da­ti rus­si disar­ma­ti sono ripor­ta­ti in URSS e siste­ma­ti in cam­pi. Alcu­ni si sono dati alla mac­chia ed altri nel Nord-Ove­st del Pae­se han­no libe­ra­to un tre­no cari­co di depor­ta­ti unghe­re­si[99]. La rivo­lu­zio­ne unghe­re­se e l’intervento arma­to rus­so diven­ta­no così un poten­te fat­to­re di radi­ca­liz­za­zio­ne del­le mas­se rus­se e del­la volon­tà rivo­lu­zio­na­ria del­la gioventù.

Il gover­no di Jánós Kádár
Quan­do l’esercito rus­so attac­ca­va la rivo­lu­zio­ne unghe­re­se, si dise­gna­va una mano­vra desti­na­ta ad ingan­na­re i lavo­ra­to­ri e a for­ni­re una coper­tu­ra all’opera con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ria del­la buro­cra­zia. Poche ore dopo l’ingresso sul­la sce­na dei blin­da­ti, Radio Buda­pe­st, con­trol­la­ta dai rus­si, annun­cia­va la for­ma­zio­ne di un «gover­no rivo­lu­zio­na­rio ope­ra­io e con­ta­di­no» pre­sie­du­to da Jánós Kádár. La per­so­na­li­tà di Kádár, la popo­la­ri­tà deri­va­ta­gli dal­le per­se­cu­zio­ni e dal­le tor­tu­re subi­te nell’era Ráko­si-Gerö ne ave­va­no fat­to un lea­der dei comu­ni­sti oppo­si­to­ri pri­ma del­la rivo­lu­zio­ne ed un luo­go­te­nen­te di Nagy duran­te il pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio. Anco­ra il 1° novem­bre ave­va dichia­ra­to all’ambasciatore sovie­ti­co Yuri Andro­pov che, se neces­sa­rio, avreb­be com­bat­tu­to «a mani nude»[100]. Quel­lo stes­so gior­no ave­va par­la­to alla radio in nome del gover­no Nagy di cui era mem­bro. Ben­ché come mini­stro degli Inter­ni aves­se comun­que pre­so par­te al pro­ces­so con­tro il suo com­pa­gno Rajk, ben­ché fos­se rima­sto estra­neo alle atti­vi­tà del cir­co­lo Petö­fi e aves­se accom­pa­gna­to Gerö a Bel­gra­do, nel cor­so dei gior­ni deci­si­vi sem­bra­va esser­si stac­ca­to dall’apparato sta­li­ni­sta con la stes­sa net­tez­za di Nagy e Losonc­zy. Cosa può spie­ga­re una vira­ta così bru­sca? Cosa è vera­men­te suc­ces­so? Kádár, spez­za­to dal­le tor­tu­re, è diven­ta­to for­se un cor­po pri­vo di pen­sie­ro, uno stru­men­to nel­le mani dei poli­ziot­ti sta­li­ni­sti?[101] Ha inve­ce sem­pli­ce­men­te agi­to come uomo d’apparato ceden­do alle pres­sio­ni del­la buro­cra­zia? Non è pos­si­bi­le sta­bi­lir­lo con cer­tez­za. È cer­to inve­ce che un gover­no con la pre­sen­za diri­gen­te di Kádár e for­ma­to dal nucleo duro degli sta­li­ni­sti – i vari Mün­nich, Apró e Maro­sán, di cui i con­si­gli ave­va­no richie­sto l’eliminazione – ser­vi­va alla buro­cra­zia del Cre­mi­no per crea­re con­fu­sio­ne tra i lavoratori.

Un pri­mo pas­so indie­tro di fron­te ai consigli
Nei pri­mi gior­ni di com­bat­ti­men­to seguen­ti al 4 novem­bre, sem­bra che l’iniziativa sia sta­ta nel­le mani degli ele­men­ti più con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ri del cam­po sta­li­ni­sta. In que­sti ter­mi­ni infat­ti il coman­dan­te unghe­re­se di Szom­ba­the­ly, uni­to­si ai rus­si, annun­cia­va trion­fal­men­te alla radio: «I lavo­ra­to­ri han­no col­pi­to. Nel­le fab­bri­che i con­si­gli ope­rai e i fasci­sti sono sta­ti liqui­da­ti»[102]. L’8 novem­bre lo sta­li­ni­sta Ferenc Mün­nich, mini­stro degli Inter­ni e del­le For­ze Arma­te del gover­no Kádár, espri­me­va pub­bli­ca­men­te la volon­tà del Crem­li­no di annien­ta­re il pote­re dei Con­si­gli ope­rai dis­sol­ven­do i Comi­ta­ti rivo­lu­zio­na­ri dell’esercito, esi­gen­do l’eliminazione di quel­li che defi­ni­va i “con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ri” dei con­si­gli. I con­si­gli era­no rico­no­sciu­ti ma il gover­no toglie­va loro ogni rile­van­za decre­tan­do che non ave­va­no alcun pote­re per nomi­na­re o licen­zia­re chiun­que all’interno dell’amministrazione, proi­ben­do loro di pren­de­re una qual­sia­si deci­sio­ne sen­za l’approvazione di un “com­mis­sa­rio poli­ti­co” che era ormai il loro tuto­re[103].
Ma in real­tà, man mano che gli ope­rai era­no costret­ti a ces­sa­re i com­bat­ti­men­ti, appa­ri­va con chia­rez­za che, nono­stan­te le ese­cu­zio­ni, gli arre­sti e le depor­ta­zio­ni, i con­si­gli era­no rima­sti in pie­di ovun­que, rin­no­va­ti­si per riem­pi­re i vuo­ti che si crea­va­no, por­ta­ti avan­ti e soste­nu­ti da quei lavo­ra­to­ri i qua­li non rico­no­sce­va­no altra auto­ri­tà ed altro pro­gram­ma eccet­to il loro. Set­te gior­ni di com­bat­ti­men­to non ave­va­no fat­to indie­treg­gia­re la volon­tà rivo­lu­zio­na­ria del­le mas­se. Biso­gna­va cam­bia­re tat­ti­ca. Jánós Kádár comin­ciò a gio­ca­re il ruo­lo che gli era sta­to affidato.

Kádár cer­ca di con­qui­sta­re i consigli
L’11 novem­bre Kádár ha dichia­ra­to alla radio che il gover­no avreb­be nego­zia­to il riti­ro dei rus­si. I mem­bri del pre­ce­den­te gover­no Nagy, a suo dire, «con­cor­da­no pie­na­men­te col suo pro­gram­ma rivo­lu­zio­na­rio» e han­no altre­sì mani­fe­sta­to la volon­tà di col­la­bo­ra­re stret­ta­men­te con lui. Kádár dice che mol­ti par­ti­ti poli­ti­ci potran­no par­te­ci­pa­re alla vita pub­bli­ca. Men­tre con­dan­na il regi­me instau­ra­to sot­to Ráko­si e Gerö, si lascia sfug­gi­re che «in Unghe­ria ci sono per­so­ne le qua­li temo­no che que­sto gover­no rein­tro­du­ca i meto­di del vec­chio par­ti­to comu­ni­sta e il suo siste­ma di dire­zio­ne. Non c’è un solo uomo in posi­zio­ne diri­gen­te che imma­gi­ni di agi­re in tal sen­so per­ché, anche qua­lo­ra lo desi­de­ras­se, sa che sareb­be spaz­za­to via dal­le mas­se»[104]. Il 12 novem­bre il quo­ti­dia­no del PC bri­tan­ni­co è auto­riz­za­to ad annun­cia­re che «il signor Kádár ha avu­to un col­lo­quio con Nagy»[105]. Il 14 novem­bre il diri­gen­te dei sin­da­ca­ti unghe­re­si, Sán­dor Gáspár, affer­ma che il gover­no ha rico­no­sciu­to i con­si­gli i qua­li avran­no il dirit­to, all’interno del­le fab­bri­che, di pren­de­re le deci­sio­ni che i diret­to­ri dovran­no ese­gui­re. Aggiun­ge che i con­si­gli dovran­no però esse­re con­fer­ma­ti coi loro nuo­vi pote­ri da nuo­ve ele­zio­ni[106].
Il 14 novem­bre a Buda­pe­st si era costi­tui­to il Con­si­glio cen­tra­le degli ope­rai di Buda­pe­st, elet­to dal­la tota­li­tà dei con­si­gli ope­rai del­la capi­ta­le. I com­po­nen­ti del Con­si­glio cen­tra­le sono mol­to gio­va­ni: la metà ha tra i 23 ed i 28 anni. Alcu­ni “anzia­ni” han­no cono­sciu­to la repres­sio­ne del regi­me fasci­sta di Hor­thy pri­ma anco­ra di quel­la di Ráko­si, alcu­ni sono sta­ti mili­tan­ti social­de­mo­cra­ti­ci pri­ma di ade­ri­re al par­ti­to “comu­ni­sta”: è il caso di Sán­dor Báli, dele­ga­to alla fab­bri­ca Belo­jan­nis di Buda­pe­st, mol­to ascol­ta­to all’interno del Con­si­glio cen­tra­le. Que­sto fab­bro, assie­me al fab­bro diven­ta­to inge­gne­re, Kar­sai, è la testa poli­ti­ca che ispi­ra la mag­gio­ran­za del Con­si­glio cen­tra­le dopo l’eliminazione, ini­zia­ta il 15 novem­bre, dell’ala filo‑Kádár diret­ta da Arpád Balász. Gli altri mili­tan­ti che diven­ta­no diri­gen­ti sono il gio­va­ne attrez­zi­sta Sán­dor Rácz, anch’egli dele­ga­to del­la fab­bri­ca Belo­jan­nis, l’ingegnere otti­co Miklós Sebe­styén, il fab­bro Ferenc Töke, il dele­ga­to del­la raf­fi­ne­ria di Cse­pel Györ­gy Kamoc­sai, il rap­pre­sen­tan­te dei fer­ro­vie­ri Endre Mester, tut­ti rap­pre­sen­tan­ti del­la gene­ra­zio­ne ope­ra­ia a cui il nuo­vo regi­me ha dato istru­zio­ne e qua­li­fi­ca pri­van­do­la al tem­po stes­so di ogni dirit­to demo­cra­ti­co. Dopo la repres­sio­ne segui­ta al 4 novem­bre, il Con­si­glio cen­tra­le è la sola auto­ri­tà real­men­te rico­no­sciu­ta a Buda­pe­st. Incar­na la rivo­lu­zio­ne ope­ra­ia ed è in con­tat­to costan­te coi Comi­ta­ti rivo­lu­zio­na­ri degli stu­den­ti e degli intel­let­tua­li. È al Con­si­glio cen­tra­le che Kádár – senz’altro pote­re che i blin­da­ti rus­si impo­ten­ti di fron­te allo scio­pe­ro – lan­cia un appel­lo per trat­ta­re la ripre­sa del lavo­ro. Come avreb­be dichia­ra­to in segui­to: «Il gover­no ha trat­ta­to più vol­te col Con­si­glio di Buda­pe­st valu­tan­do che esso avreb­be aiu­ta­to i con­si­gli di fab­bri­ca nel­la rea­liz­za­zio­ne dei loro com­pi­ti e sco­pi»[107].
Fin dal 14 novem­bre, il Con­si­glio cen­tra­le degli ope­rai di Buda­pe­st ren­de pub­bli­che le con­di­zio­ni che pone per la ripre­sa del lavo­ro. Sono le riven­di­ca­zio­ni del­la rivo­lu­zio­ne: rico­no­sci­men­to del dirit­to di scio­pe­ro, ritor­no al pote­re di Imre Nagy, riti­ro dei rus­si, ele­zio­ni libe­re e puli­te a suf­fra­gio uni­ver­sa­le, abo­li­zio­ne del par­ti­to uni­co e liber­tà per i par­ti­ti che accet­ta­no il regi­me eco­no­mi­co vigen­te, indi­pen­den­za com­ple­ta dall’URSS, neu­tra­li­tà dell’Ungheria rispet­to ai pat­ti mili­ta­ri inter­na­zio­na­li. Le rispo­ste di Kádár, eva­si­ve o posi­ti­ve, così come sono sta­te rese pub­bli­che l’indomani, testi­mo­nia­no innan­zi­tut­to del suo desi­de­rio di con­vin­ce­re i dele­ga­ti dei con­si­gli del­la purez­za del­le sue inten­zio­ni, ma anche dei suoi limi­ti … Kádár sot­to­li­nea le con­se­guen­ze eco­no­mi­ca­men­te disa­stro­se del pro­lun­ga­men­to del­lo scio­pe­ro, dichia­ra che «non si pone nep­pu­re la que­stio­ne del ritor­no al pote­re di Imre Nagy fin­ché si tro­ve­rà in ter­ri­to­rio stra­nie­ro» (cioè l’ambasciata jugo­sla­va). Si dice d’accordo, in linea di prin­ci­pio, col riti­ro dei rus­si: «quan­do sarà scon­fit­to il peri­co­lo rea­zio­na­rio, le trup­pe sovie­ti­che abban­do­ne­ran­no l’Ungheria». Kádár pro­met­te la costru­zio­ne di un «siste­ma poli­ti­co plu­ri­par­ti­ti­co», «a con­di­zio­ne che tut­ti i par­ti­ti rico­no­sca­no il regi­me socia­li­sta»; chie­de inol­tre ai Con­si­gli di esse­re pru­den­ti sul­la que­stio­ne di ele­zio­ni libe­re, «pun­to deli­ca­to», per­ché «il nostro par­ti­to potreb­be esse­re scon­fit­to». Non fa nes­su­na pro­mes­sa rispet­to all’uranio unghe­re­se che, così dice, «non potrem­mo comun­que sfrut­ta­re da soli», ma in com­pen­so si impe­gna a ren­de­re pub­bli­ci tut­ti i futu­ri accor­di eco­no­mi­ci con l’URSS. L’idea di neu­tra­li­tà, infi­ne, vie­ne cate­go­ri­ca­men­te rifiu­ta­ta. Al Con­si­glio in rivol­ta con­tro le depor­ta­zio­ni dichia­ra: «Abbia­mo rag­giun­to un accor­do col Coman­do sovie­ti­co sul­la base del qua­le nes­su­no deve esse­re depor­ta­to dall’Ungheria»[108].
Appe­na vie­ne resa nota, la rispo­sta di Kádár è discus­sa dai con­si­gli ope­rai. La sera di quel­la stes­sa gior­na­ta, il 15 novem­bre, i dele­ga­ti del Con­si­glio cen­tra­le di Buda­pe­st regi­stra­no la volon­tà ope­ra­ia di non por­re fine allo scio­pe­ro pri­ma di aver otte­nu­to il sod­di­sfa­ci­men­to del­le riven­di­ca­zio­ni essen­zia­li. In riu­nio­ne nel­la sede del­la Com­pa­gnia dei tra­spor­ti di Buda­pe­st, i dele­ga­ti vota­no la con­ti­nua­zio­ne del­lo scio­pe­ro gene­ra­le. L’ottenimento di due riven­di­ca­zio­ni cen­tra­li potreb­be, secon­do loro, moti­va­re un cam­bia­men­to del­la loro linea: il ritor­no al pote­re di Imre Nagy e l’allontanamento da Buda­pe­st e a bre­ve ter­mi­ne da tut­to il pae­se del­le trup­pe, ele­men­to chia­ve «nell’interesse del man­te­ni­men­to di una rela­zio­ne fra­ter­na con l’Unione Sovie­ti­ca»[109]. Vale ricor­da­re che il Con­si­glio cen­tra­le non abban­do­na le riven­di­ca­zio­ni pre­sen­ta­te il gior­no pri­ma. Ma il ritor­no al pote­re di Imre Nagy, di cui Kádár ha lascia­to intra­ve­de­re la pos­si­bi­li­tà, e la par­ten­za dei rus­si sareb­be­ro la garan­zia che i rus­si sono pron­ti ormai a con­sen­ti­re che la vita poli­ti­ca unghe­re­se si svi­lup­pi sen­za inter­ven­ti ester­ni. Rea­li­sta, il Con­si­glio ipo­tiz­za una riti­ra­ta gra­dua­le. Dif­fi­den­ti, i suoi dele­ga­ti avver­to­no Kádár che si riser­va­no il dirit­to di ricor­re­re nuo­va­men­te allo scio­pe­ro, se lo rite­nes­se­ro neces­sa­rio, al fine di otte­ne­re le altre riven­di­ca­zio­ni. È chia­ro che in quel momen­to i com­po­nen­ti del Con­si­glio di Buda­pe­st pen­sa­no che con­ti­nuan­do lo scio­pe­ro sia pos­si­bi­le che Kádár e i rus­si ceda­no sui due pun­ti fon­da­men­ta­li. Per par­te sua Kádár vuo­le man­te­ne­re que­sti «inter­lo­cu­to­ri cre­di­bi­li». In pie­na riu­nio­ne del Con­si­glio, la sala è inva­sa dai sol­da­ti rus­si appog­gia­ti da due car­ri e tre auto­blin­do[110]. Kádár, rag­giun­to tele­fo­ni­ca­men­te, si scu­sa coi dele­ga­ti ope­rai e inter­ce­de pres­so il Coman­do rus­so per­ché ven­ga­no riti­ra­te le trup­pe. Que­sto epi­so­dio indu­ce senz’altro alcu­ni mem­bri del Con­si­glio a pen­sa­re che Kádár sia il difen­so­re dei con­si­gli pres­so i rus­si e per­se­gua una poli­ti­ca del male mino­re con­ve­nien­te da caval­ca­re. In veri­tà il “gio­co” di Kádár, come in segui­to sareb­be sta­to evi­den­te, non con­si­ste­va nell’imporre ai rus­si il pun­to di vista dei con­si­gli ma al con­tra­rio ad impor­re ai con­si­gli la volon­tà dei russi.

Pri­mi frut­ti dell’azione di Kádár
La fame e il fred­do sta­va­no diven­tan­do gli allea­ti più pre­zio­si di Kádár. Le sof­fe­ren­ze sop­por­ta­te duran­te e dopo i com­bat­ti­men­ti, la stan­chez­za e le pri­va­zio­ni non avreb­be­ro potu­to, esse sole, demo­ra­liz­za­re i lavo­ra­to­ri. Ma, aggiun­gen­do­si alle pro­mes­se di Kádár che lascia­va intra­ve­de­re una pos­si­bi­le via d’uscita paci­fi­ca, esse han­no con­tri­bui­to ad ali­men­ta­re la demo­ra­liz­za­zio­ne nel­la clas­se ope­ra­ia. Sem­bra che pro­prio que­sti due ele­men­ti sia­no sta­ti deci­si­vi per spin­ge­re gli ope­rai di Cse­pel alla ripre­sa del lavoro.
I metal­mec­ca­ni­ci di Cse­pel era­no sta­ti l’ariete del­la rivo­lu­zio­ne. Si era­no bat­tu­ti fin dal 23 otto­bre. La mat­ti­na del 4 novem­bre resi­ste­va­no all’attacco por­ta­to dai rus­si con­tro la loro fab­bri­ca. Nel cor­so di quel­la bat­ta­glia acca­ni­ta gli ope­rai del­la Bil­lan­court[111] unghe­re­se han­no per­so mol­ti dei miglio­ri com­bat­ten­ti rivo­lu­zio­na­ri. Nono­stan­te ciò, il gior­no in cui con­se­gna­no le armi vota­no pure la con­ti­nua­zio­ne del­lo scio­pe­ro. I con­ta­di­ni li rifor­ni­sco­no[112]. Il gover­no vie­ta allo­ra ogni scam­bio di ali­men­ti al di fuo­ri del con­trol­lo dei suoi orga­ni­smi. Kádár mol­ti­pli­ca pro­mes­se e pres­sio­ni, facen­do intra­ve­de­re la pos­si­bi­li­tà di un accor­do: mol­ti lavo­ra­to­ri di Cse­pel, che han­no subi­to più di altri, vor­reb­be­ro cura­re le loro feri­te. È que­sta la pri­ma vit­to­ria di Kádár, par­zia­le sol­tan­to, ma che sfrut­te­rà sino in fon­do. I diri­gen­ti ope­rai del Con­si­glio di Cse­pel pen­sa­no di poter ripren­de­re il lavo­ro sen­za rinun­cia­re alle pro­prie riven­di­ca­zio­ni ope­ra­ie: «Voglia­mo cer­ta­men­te ripren­de­re il lavo­ro nel­le fab­bri­che di Cse­pel», dichia­ra il loro mani­fe­sto usci­to la sera del 15 novem­bre, «ma alla sola con­di­zio­ne che pro­se­gua­no le trat­ta­ti­ve tra gover­no e ope­rai e che le nostre riven­di­ca­zio­ni sia­no accet­ta­te. Con­ti­nue­re­mo la lot­ta per la rea­liz­za­zio­ne com­ple­ta del­le idee del­la nostra rivo­lu­zio­ne, poi­ché ci sen­tia­mo abba­stan­za for­ti per ese­gui­re il testa­men­to dei nostri eroi cadu­ti nel­la lot­ta di libe­ra­zio­ne … Nien­te al mon­do può pri­var­ci di quest’arma invin­ci­bi­le che è lo scio­pe­ro, qua­lo­ra i nego­zia­ti col gover­no fal­lis­se­ro»[113].
Il peso degli ope­rai di Cse­pel nel pro­le­ta­ria­to di Buda­pe­st e il peso dei suoi dele­ga­ti nel Con­si­glio cen­tra­le sem­bra­no aver­vi fat­to pen­de­re la bilan­cia a favo­re dei “con­ci­lia­to­ri”. Kádár fa pres­sio­ne sui dele­ga­ti in nome del­le neces­si­tà mate­ria­li. Ripe­te che la con­ti­nua­zio­ne del­lo scio­pe­ro è un «sui­ci­dio nazio­na­le». Ripe­te che la ripre­sa del lavo­ro, il «rista­bi­li­men­to dell’ordine», sono la pre­con­di­zio­ne di un qual­sia­si suc­ces­si­vo pas­so in avan­ti. Senz’altro alcu­ni con­ci­lia­to­ri pen­sa­no che si deb­ba “aiu­ta­re” Kádár, il qua­le, otte­nu­ta la fine del­lo scio­pe­ro, sareb­be in una posi­zio­ne di mag­gior for­za per strap­pa­re alcu­ne con­ces­sio­ni ai rus­si. Dopo una lun­ga not­te di discus­sio­ne sono i con­ci­lia­to­ri a ripor­ta­re la vit­to­ria, con una mag­gio­ran­za risicata.
La mat­ti­na del 16 novem­bre il Con­si­glio cen­tra­le degli ope­rai di Buda­pe­st lan­cia un appel­lo per la ripre­sa del lavoro:

«Con­sa­pe­vo­li del­la respon­sa­bi­li­tà ver­so la nostra patria e il nostro popo­lo, che han­no tan­to sof­fer­to, dob­bia­mo dire che nell’interesse dell’economia nazio­na­le, per ragio­ni socia­li e uma­ni­ta­rie, e in segui­to a deter­mi­na­te cir­co­stan­ze, si ren­de asso­lu­ta­men­te neces­sa­ria la ripre­sa del lavo­ro produttivo.
In que­sta tra­gi­ca situa­zio­ne, il vostro buon sen­so, la vostra con­sa­pe­vo­lez­za e il vostro spi­ri­to ope­ra­io vi ordi­na­no cate­go­ri­ca­men­te di ripren­de­re il lavo­ro, man­te­nen­do i vostri dirit­ti, per saba­to 17 novembre.
Pro­cla­mia­mo solen­ne­men­te che tale deci­sio­ne non signi­fi­ca in nes­sun modo che noi abbia­mo abban­do­na­to, fos­se pure una vir­go­la, degli obiet­ti­vi e del­le con­qui­ste del­la nostra insur­re­zio­ne nazionale.
I nego­zia­ti con­ti­nua­no e sia­mo con­vin­ti che, gra­zie agli sfor­zi reci­pro­ci, le que­stio­ni in sospe­so saran­no risol­te per il meglio.
Chie­dia­mo la vostra fidu­cia e il vostro una­ni­me aiu­to»[114].

È evi­den­te che tale posi­zio­ne è lun­gi dall’essere con­di­vi­sa da tut­ti gli ope­rai. Quel gior­no stes­so, la base revo­ca alcu­ni dele­ga­ti ai qua­li rim­pro­ve­ra di non aver rispet­ta­to le deci­sio­ni pre­se la vigi­lia dopo le discus­sio­ni tra gli ope­rai. Mol­ti con­si­gli pro­te­sta­no ricor­dan­do le con­di­zio­ni poste dal­lo stes­so Con­si­glio cen­tra­le per la ripre­sa del lavo­ro: ritor­no al pote­re di Imre Nagy e riti­ro dei rus­si da Buda­pe­st[115]. L’opposizione si espri­me pub­bli­ca­men­te: un volan­ti­no dif­fu­so il 17 rive­la che Kádár ha minac­cia­to di depor­ta­re i mem­bri del Con­si­glio nel caso in cui il lavo­ro non fos­se ripre­so. Il 18 una dele­ga­zio­ne ope­ra­ia chie­de al Con­si­glio cen­tra­le di fare un appel­lo a tut­ti i con­si­gli di pro­vin­cia per­ché eleg­ga­no un Con­si­glio nazio­na­le, un Par­la­men­to ope­ra­io che, elet­to dall’insieme dei lavo­ra­to­ri unghe­re­si, sareb­be l’unico orga­ni­smo col pote­re di trat­ta­re in nome di tutti.

Le ten­den­ze poli­ti­che all’interno dei consigli
Il Con­si­glio cen­tra­le di Buda­pe­st, som­mer­so da un’ondata di pro­te­ste e con­sta­tan­do che il suo appel­lo alla ripre­sa del lavo­ro non è sta­to segui­to, fa sua la pro­po­sta ed ini­zia a pre­pa­ra­re la riu­nio­ne del Con­si­glio nazio­na­le per la qua­le sol­le­ci­te­rà tra l’altro un’autorizzazione uffi­cia­le che ver­rà nega­ta[116]. La situa­zio­ne di Buda­pe­st sem­bra ana­lo­ga a quel­la di Cse­pel dove, il 19 novem­bre, il 30% degli ope­rai entra in fab­bri­ca ma nes­su­no lavo­ra. Un por­ta­vo­ce dichia­ra: «Rite­nia­mo che sia la sola cosa ragio­ne­vo­le che pos­sia­mo fare in que­sto momen­to. Sia­mo qui in fab­bri­ca per­ché abbia­mo biso­gno del nostro sala­rio ed anche per­ché la pre­sen­za in fab­bri­ca aiu­ta a rag­grup­par­ci. Se con­ti­nua­va­mo a resi­ste­re nel­le nostre case, i can­cel­li del­le fab­bri­che sareb­be­ro sta­ti chiu­si, ren­den­do più faci­le al gover­no il com­pi­to di occu­par­si di noi indi­vi­dual­men­te a casa nostra piut­to­sto che di far­lo nel­le fab­bri­che dove sia­mo riu­ni­ti»[117].
Ma la pro­vin­cia si rive­le­rà mol­to meno pro­pen­sa alla con­ci­lia­zio­ne del­la mag­gio­ran­za – ristret­ta, è vero – dei com­po­nen­ti del Con­si­glio cen­tra­le di Buda­pe­st. Il fat­to non ha nul­la di straor­di­na­rio. A Buda­pe­st i con­si­gli ope­rai sono nati quan­do l’insurrezione era già ini­zia­ta. I pri­mi com­bat­ten­ti ope­rai han­no rag­giun­to i distac­ca­men­ti for­ma­ti dal Comi­ta­to rivo­lu­zio­na­rio degli stu­den­ti. Lo scio­pe­ro gene­ra­le ha fat­to segui­to all’insurrezione pro­vo­ca­ta dall’attacco dell’AVH con­tro le mani­fe­sta­zio­ni del 23 otto­bre. Duran­te l’insurrezione i con­si­gli ope­rai, iso­la­ti gli uni dagli altri, non han­no avu­to modo di cen­tra­liz­zar­si. I lavo­ra­to­ri in lot­ta con gli insor­ti si sono mes­si sot­to gli ordi­ni di vari orga­ni­smi: il Comi­ta­to degli stu­den­ti, il Comi­ta­to nazio­na­le rivo­lu­zio­na­rio di Dudás, il Comi­ta­to dell’esercito. Mol­ti ope­rai mesco­la­ti agli altri Com­bat­ten­ti del­la liber­tà segui­va­no Malé­ter, altri anco­ra il gover­no Nagy. La for­za orga­niz­za­ta del­la clas­se ope­ra­ia, coi suoi con­si­gli elet­ti nel­le azien­de, le sue posi­zio­ni in fab­bri­ca – in altri ter­mi­ni, i suoi bastio­ni indu­stria­li – è appar­sa sol­tan­to quan­do la repres­sio­ne, abbat­ten­do gli orga­ni­smi nati dall’insurrezione e i comi­ta­ti loca­li, ha attac­ca­to diret­ta­men­te gli embrio­ni di un nuo­vo pote­re. I mili­tan­ti diri­gen­ti dei con­si­gli ope­rai han­no costi­tui­to il Con­si­glio cen­tra­le, su pro­po­sta del con­si­glio di Ujpe­st, per­ché era­no coscien­ti che solo l’organizzazione su base di clas­se dei con­si­gli pote­va dare alla clas­se ope­ra­ia la for­za per difen­de­re le con­qui­ste dell’Ottobre per con­to dell’intera popo­la­zio­ne. A pro­po­si­to del Con­si­glio cen­tra­le, è uti­le osser­va­re che se è diven­ta­to l’organismo più rap­pre­sen­ta­ti­vo del­la resi­sten­za ope­ra­ia orga­niz­za­ta, a Buda­pe­st si è scon­tra­to con una con­cen­tra­zio­ne spro­por­zio­na­ta di for­ze arma­te rus­se ed all’apparato ammi­ni­stra­ti­vo, ridot­to ma rea­le, for­ma­to da ex Avos che spal­leg­gia­va­no il gover­no Kádár. In pro­vin­cia, al con­tra­rio, l’insurrezione è sca­tu­ri­ta dal­lo scio­pe­ro gene­ra­le e i con­si­gli ope­rai, dopo aver­la diret­ta, han­no assun­to diret­ta­men­te il pote­re. Han­no spaz­za­to via l’amministrazione sta­li­ni­sta, dato ordi­ni alle for­ze arma­te, e il gover­no Nagy ha trat­to la pro­pria for­za dal loro appog­gio. Duran­te il perio­do del­la “indi­pen­den­za” han­no real­men­te eser­ci­ta­to il pote­re. Dopo l’attacco del 4 novem­bre sono rima­sti nei fat­ti la sola auto­ri­tà davan­ti ai Coman­di rus­si, una vol­ta squa­glia­ti­si l’apparato del par­ti­to e del­lo Sta­to. In alcu­ne cit­tà il Coman­do rus­so ha trat­ta­to con loro. Così a Miskolc la radio con­ti­nua a tra­smet­te­re libe­ra­men­te e i rus­si si rifiu­ta­no di inter­ve­ni­re per far rico­no­sce­re il gover­no Kádár, a pat­to che i suoi sol­da­ti non ven­ga­no attac­ca­ti[118]. I con­si­gli ope­rai di pro­vin­cia sono così mol­to meno incli­ni al com­pro­mes­so rispet­to al Con­si­glio cen­tra­le, sot­to­po­sto ad una mag­gio­re pres­sio­ne. Que­sti con­si­gli han­no il pote­re e l’esigeranno per tut­ti i consigli.
Lo scon­tro coi buro­cra­ti è ine­vi­ta­bi­le. Un por­ta­vo­ce dei sin­da­ca­ti, segua­ce di Kádár, dichia­ra in effet­ti il 19, secon­do quan­to ripor­ta Stil: «Ci sono anco­ra in Unghe­ria com­pa­gni i qua­li non cre­do­no che la for­ma­zio­ne dei con­si­gli sia posi­ti­va e non vedo­no che i peri­co­li del­la loro azio­ne … Fino­ra tali con­si­gli, allon­ta­nan­do­si dal loro ruo­lo di orga­ni­smo eco­no­mi­co loca­le, limi­ta­to alla sin­go­la impre­sa, pre­ten­den­do di assu­me­re una fun­zio­ne di pote­re poli­ti­co o di sosti­tuir­si ai sin­da­ca­ti, o di orga­niz­zar­si in comi­ta­ti cit­ta­di­ni, regio­na­li o nazio­na­li, han­no por­ta­to sol­tan­to ver­so una situa­zio­ne di caos anar­chi­co»[119]. La situa­zio­ne è chia­ra. All’interno del­la buro­cra­zia un’ala è tena­ce­men­te oppo­sta all’esistenza stes­sa dei con­si­gli, un’altra è pron­ta a tol­le­rar­li qua­lo­ra si limi­ti­no a “fun­zio­ni di orga­niz­za­zio­ne eco­no­mi­ca loca­le”. Una par­te dei Con­si­gli, di con­tro, è deci­sa a “gio­ca­re il ruo­lo di orga­ni­smo del pote­re poli­ti­co”. Aven­do il Con­si­glio di Buda­pe­st cedu­to alle pres­sio­ni dei buro­cra­ti, i lavo­ra­to­ri fan­no appel­lo al Con­si­glio nazio­na­le rispet­to alla deci­so­ne di por­re fine allo sciopero.

Il con­si­glio nazio­na­le operaio
La riu­nio­ne del con­si­glio nazio­na­le ope­ra­io, una sor­ta di Par­la­men­to ope­ra­io, dove­va ini­zia­re alle ore 9 del 21 novem­bre pres­so il Palaz­zo del­lo Sport di Buda­pe­st. Quan­do i dele­ga­ti si pre­sen­ta­ro­no tro­va­ro­no i lati del­la sala bloc­ca­ti dal­la poli­zia e dall’esercito, rin­for­za­ti dai car­ri rus­si. Deci­se­ro allo­ra di riu­nir­si al loca­le del Con­si­glio cen­tra­le, alla sede del­la Com­pa­gnia dei tra­spor­ti. Nes­sun gior­na­li­sta ha potu­to assi­ste­re a quel­la riu­nio­ne, dura­ta cin­que ore, nell’edificio accer­chia­to dal­la poli­zia che la tol­le­ra­va come ses­sio­ne “allar­ga­ta” del Con­si­glio di Budapest.
La pri­ma deci­sio­ne del Con­si­glio nazio­na­le fu di revo­ca­re l’ordine di ripre­sa del lavo­ro lan­cia­to dal Con­si­glio cen­tra­le di Buda­pe­st, segui­to peral­tro da non più di un quar­to dei lavo­ra­to­ri. Il Con­si­glio nazio­na­le ordi­na la ripre­sa del­lo scio­pe­ro per 48 ore, in segno di oppo­si­zio­ne alle misu­re adot­ta­te con­tro la sua riu­nio­ne ed ai ten­ta­ti­vi gover­na­ti­vi di impe­dir­la. L’ordine di scio­pe­ro è vali­do per tut­ta l’industria, sal­vo quel­la ali­men­ta­re. Al ter­mi­ne del­le 48 ore, la con­di­zio­ne per la ripre­sa del lavo­ro è il rico­no­sci­men­to da par­te del gover­no Kádár del Con­si­glio nazio­na­le ope­ra­io elet­to demo­cra­ti­ca­men­te come la sola rap­pre­sen­tan­za auten­ti­ca dei lavo­ra­to­ri unghe­re­si. Se que­sta doman­da è accet­ta­ta, il lavo­ro ripren­de­rà il 24 novem­bre con­tem­po­ra­nea­men­te ai nego­zia­ti tra il gover­no e i dele­ga­ti del con­si­glio nazio­na­le ope­ra­io. Que­sti avran­no come ogget­to le riven­di­ca­zio­ni del­la clas­se ope­ra­ia, le stes­se avan­za­te il 15 novem­bre dal Con­si­glio cen­tra­le: ritor­no al pote­re di Imre Nagy, libe­ra­zio­ne dei pri­gio­nie­ri tra cui figu­ra Malé­ter, riti­ro dei rus­si ed abban­do­no del pae­se, ele­zio­ni libe­re con tut­ti i par­ti­ti, liber­tà di stam­pa e di riu­nio­ne, indi­pen­den­za dell’Ungheria. Le discus­sio­ni tra il gover­no e il Con­si­glio dovran­no esse­re pub­bli­ca­te con esat­tez­za sul­la stam­pa. Il gover­no dovrà mani­fe­sta­re «la sua buo­na fede libe­ran­do imme­dia­ta­men­te i civi­li ed i mili­ta­ri fer­ma­ti, arre­sta­ti e depor­ta­ti»[120], «defe­ren­do davan­ti ai tri­bu­na­li unghe­re­si per giu­di­zi pub­bli­ci colo­ro che sono incol­pa­ti per delit­ti comu­ni»[121]. La rispo­sta del­la clas­se ope­ra­ia unghe­re­se era net­ta. Pri­ma di con­se­gna­re le armi esi­ge­va garan­zie serie. È ancor più signi­fi­ca­ti­va la riven­di­ca­zio­ne del Con­si­glio nazio­na­le di esse­re rico­no­sciu­to uni­ca auto­ri­tà in gra­do di rap­pre­sen­ta­re auten­ti­ca­men­te i lavo­ra­to­ri unghe­re­si. Con la for­ma­zio­ne del Con­si­glio nazio­na­le ope­ra­io pren­de­va for­ma quel movi­men­to “uni­co e poten­te” recla­ma­to sin dal 28 otto­bre da par­te del con­si­glio ope­ra­io di Miskolc, que­gli “sta­ti gene­ra­li dei con­si­gli ope­rai” che Nagy vole­va rea­liz­za­re. Si era davan­ti alla riven­di­ca­zio­ne soste­nu­ta dal­la clas­se ope­ra­ia di eser­ci­ta­re il pote­re per mez­zo del­le sue orga­niz­za­zio­ni auto­no­me di clas­se, dei suoi soviet, i con­si­gli loca­li e regio­na­li, del suo Con­si­glio nazio­na­le. Il brac­cio di fer­ro era ine­vi­ta­bi­le tra la clas­se ope­ra­ia e i buro­cra­ti, deter­mi­na­ti per loro con­to a sof­fo­ca­re o a svuo­ta­re di sostan­za i con­si­gli. Però, nel­lo scon­tro tra un gover­no che ave­va una stra­te­gia nei con­fron­ti dei lavo­ra­to­ri e pre­pa­ra­va scru­po­lo­sa­men­te i suoi col­pi, da una par­te, e una dire­zio­ne ope­ra­ia pri­va di espe­rien­za, sen­za qua­dri poli­ti­ci rivo­lu­zio­na­ri for­ma­ti, dall’altra, tra la buro­cra­zia dota­ta di poli­ti­can­ti capa­ci di mano­vra­re e i con­si­gli ope­rai cui man­ca­va il soste­gno e l’organizzazione di un par­ti­to rivo­lu­zio­na­rio come il par­ti­to bol­sce­vi­co del 1917, ci fu biso­gno di tem­po e di nume­ro­se esi­ta­zio­ni del­la gio­va­ne dire­zio­ne per­ché la situa­zio­ne diven­tas­se chiara.

Il gover­no Kádár mano­vra per gua­da­gna­re tempo
I buro­cra­ti capi­va­no che era trop­po pre­sto per pun­ta­re a una pro­va di for­za. I comi­ta­ti rivo­lu­zio­na­ri for­ma­ti­si ad ogni livel­lo dell’amministrazione e del­lo Sta­to costi­tui­va­no un osta­co­lo piut­to­sto ingom­bran­te per l’azione del­la buro­cra­zia. Dal 22 il gover­no deci­de di pas­sa­re all’attacco dei comi­ta­ti instal­la­ti nei mini­ste­ri, del­la rivo­lu­zio­ne inse­dia­ta­si ad instal­la­re nel cuo­re del­lo Sta­to. «I Comi­ta­ti rivo­lu­zio­na­ri dei mini­ste­ri voglio­no pren­de­re deci­sio­ni che van­no oltre la loro com­pe­ten­za e non favo­ri­sco­no né la ripre­sa del lavo­ro né il rista­bi­li­men­to dell’ordine», dichia­ra Radio Buda­pe­st, che aggiun­ge: «Il gover­no ha dato l’ordine ai diret­to­ri dei mini­ste­ri di ridur­re l’attività di que­sti comi­ta­ti e di accet­ta­re i loro sug­ge­ri­men­ti solo se sono real­men­te costrut­ti­vi»[122].
Quel­lo stes­so gior­no il Con­si­glio ope­ra­io di Cse­pel, fede­le alla linea con­den­sa­ta nel­la sua riso­lu­zio­ne del 16, si dichia­ra­va con­tra­rio allo scio­pe­ro di 48 ore deci­so dal Con­si­glio nazio­na­le e con­di­vi­so dal Con­si­glio ope­ra­io cen­tra­le di Buda­pe­st. Dopo aver pro­te­sta­to con­tro la deci­sio­ne gover­na­ti­va di met­te­re al ban­do il Con­si­glio nazio­na­le, dopo aver chie­sto di «por­re fine alle misu­re con­tro gli ope­rai ed i loro rap­pre­sen­tan­ti», il Con­si­glio di Cse­pel con­si­de­ra­va «un gra­ve erro­re» la paro­la d’ordine del­lo scio­pe­ro, poi­ché «ciò ren­de la situa­zio­ne eco­no­mi­ca anco­ra più dif­fi­ci­le». Si chie­de­va inol­tre al Con­si­glio di Buda­pe­st di «ammet­te­re che il perio­do dell’irruenza e del libe­ro sfo­go del­le pas­sio­ni è da archi­via­re» e che l’arma del­lo scio­pe­ro deve esse­re uti­liz­za­ta «in manie­ra più ragio­ne­vo­le»[123].
La pre­sa di posi­zio­ne dei lavo­ra­to­ri di Cse­pel sem­bra esse­re sta­ta, anco­ra una vol­ta, deci­si­va. La mat­ti­na del 23 Radio Buda­pe­st annun­cia che la not­te pre­ce­den­te è sta­to fir­ma­to un accor­do per la ripre­sa del lavo­ro tra Kádár ed il Con­si­glio ope­ra­io cen­tra­le di Buda­pe­st. Vie­ne rico­no­sciu­ta l’autorità dei Con­si­gli den­tro la fab­bri­ca, com­pre­sa la facol­tà di nomi­na dei diret­to­ri. Ripren­do­no le trat­ta­ti­ve tra gover­no e con­si­gli, ma il Con­si­glio si riser­va di ricor­re­re nuo­va­men­te all’arma del­lo scio­pe­ro[124]. Sen­za dub­bio gli ele­men­ti con­ci­lia­to­ri pote­va­no van­ta­re di esse­re rico­no­sciu­ti dal loro pro­prio con­si­glio, come impli­ca­va l’annuncio alla radio di un accor­do con­clu­so tra essi ed il gover­no Kádár. Tut­ta­via, sem­bra pro­prio che la dichia­ra­zio­ne del 23 novem­bre, quel­lo stes­so gior­no, da par­te dell’Unione degli Scrit­to­ri, indi­chi una posi­zio­ne più fer­ma di fron­te al gover­no, poi­ché dopo aver appro­va­to l’operato dei Con­si­gli «in dife­sa del­le con­qui­ste socia­li», l’Unione degli Scrit­to­ri «con­si­glia la ricer­ca di un accor­do per la ripre­sa del lavo­ro sen­za fare con­ces­sio­ni sul­le riven­di­ca­zio­ni fon­da­men­ta­li»[125]. Ancor più del­la pre­sa di posi­zio­ne degli scrit­to­ri, in cui ritro­via­mo l’influenza di Tibor Déry[126], l’opposizione ope­ra­ia è net­ta. Un gior­na­li­sta, dopo aver discus­so coi diri­gen­ti del Con­si­glio cen­tra­le di Buda­pe­st il 23, rife­ri­sce quan­to segue: «Il Con­si­glio rico­no­sce che l’ordine di ripre­sa non è sta­to segui­to; aggiun­ge di aver rice­vu­to cen­ti­na­ia di tele­fo­na­te che recla­ma­va­no la con­ti­nua­zio­ne del­lo scio­pe­ro con­tro il rapi­men­to di Imre Nagy»[127].

Il rapi­men­to di Imre Nagy
In effet­ti, il 4 novem­bre Nagy ave­va chie­sto asi­lo pres­so l’ambasciata jugo­sla­va a Buda­pe­st. Con lui c’erano i suoi ami­ci Géza Losonc­zy, Ferenc Donáth, Jánós Szi­lá­gyi, vete­ra­ni comu­ni­sti, la vedo­va di Rajk, Gabor Tanc­zos, il segre­ta­rio del cir­co­lo Petö­fi, in tota­le una tren­ti­na di per­so­ne. Tra loro figu­ra­va­no anche Lukács, il filo­so­fo, Zol­tán Szán­tó, ex amba­scia­to­re a Pari­gi e il vec­chio comu­ni­sta Zol­tán Vas. Que­sti ulti­mi tre ave­va­no lascia­to l’ambasciata sen­za più ricom­pa­ri­re in pub­bli­co. Il 21 novem­bre, però, era sta­to fir­ma­to un accor­do tra i gover­ni unghe­re­se e jugo­sla­vo per garan­ti­re a Nagy e ai suoi com­pa­gni la pos­si­bi­li­tà di rien­tra­re libe­ra­men­te al pro­prio domicilio.
Ave­va­mo già osser­va­to che il gior­na­le comu­ni­sta ingle­se annun­cia­va che Kádár si era incon­tra­to con Nagy. Già il 14 novem­bre, spaz­zan­do via le calun­nie a pro­po­si­to del “tra­di­to­re Nagy”, Kádár ave­va dichia­ra­to pub­bli­ca­men­te: «Non cre­do che Nagy abbia coscien­te­men­te aiu­ta­to la con­tro­ri­vo­lu­zio­ne. Né il gover­no né i rus­si desi­de­ra­no limi­ta­re la sua liber­tà»[128]. Davan­ti ai Con­si­gli ope­rai Kádár ave­va par­la­to di «nego­zia­ti» con Nagy appe­na egli fos­se rien­tra­to in ter­ri­to­rio unghe­re­se. L’accordo rea­liz­za­to tra il gover­no jugo­sla­vo e Kádár, rive­la­to da fon­te uffi­cia­le jugo­sla­va il 23 novem­bre, anda­va in dire­zio­ne del­le pro­mes­se di Kádár. La libe­ra­zio­ne di Nagy non pote­va che signi­fi­ca­re la ripre­sa del­le trat­ta­ti­ve con lui e la sod­di­sfa­zio­ne alme­no par­zia­le del­la richie­sta degli ope­rai i qua­li esi­ge­va­no il suo ritor­no al pote­re. Nagy, usci­to dall’ambasciata, ha real­men­te discus­so con Kádár alla sede del Par­la­men­to? Entram­bi, come ritie­ne il cor­ri­spon­den­te del­la Reu­ter, stu­dia­va­no l’ipotesi di un gover­no di coa­li­zio­ne. Un gover­no Nagy‑Kádár? Il ruo­lo di Kádár e le sue inten­zio­ni rea­li sono poco chia­re. Non è comun­que l’elemento deci­si­vo. I fat­ti sono indi­scu­ti­bi­li, che Kádár abbia agi­to coscien­te­men­te oppu­re no, che abbia ingan­na­to Nagy e gli jugo­sla­vi o che sia ser­vi­to da esca per atti­ra­re Nagy fuo­ri dal suo rifu­gio e per­met­te­re così ai rus­si di cat­tu­rar­lo. È infat­ti sul­la base del­la pro­mes­sa di Kádár che Nagy è usci­to ed è gra­zie a que­sta pro­mes­sa subi­to vio­la­ta che è sta­to arre­sta­to dai rus­si. Che sia sta­to o meno infor­ma­to dell’operazione, Kádár l’ha comun­que coper­ta facen­do annun­cia­re la par­ten­za volon­ta­ria di Nagy per la Roma­nia. Fa poi di più e rin­ne­ga le pro­prie dichia­ra­zio­ni del­la vigi­lia soste­nen­do: «Quest’uomo è diven­ta­to il fan­toc­cio dei con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ri e degli hor­thy­sti»[129].

Il Con­si­glio di Buda­pe­st ed il rapi­men­to di Nagy
Il rapi­men­to di Nagy da par­te dei rus­si ed il rin­ne­ga­men­to del­la paro­la data da par­te di Kádár con­dan­na­va­no sen­za appel­lo la pro­spet­ti­va dei con­ci­lia­to­ri. Nel­le paro­le di un por­ta­vo­ce del Con­si­glio in segui­to al discor­so di Kádár su Nagy, «Kádár, il qua­le ave­va det­to agli ope­rai una set­ti­ma­na fa: “Ripor­ta­te Nagy e sarò feli­ce di ceder­gli il posto”, si è ora alli­nea­to al pun­to di vista sovie­ti­co affer­man­do che “la que­stio­ne Nagy è chiu­sa”». Lo stes­so ope­ra­io con­sta­ta­va la fal­si­tà dell’opinione dif­fu­sa tra i con­ci­lia­to­ri che intro­du­ce­va una distin­zio­ne tra Kádár e i rus­si pre­ci­san­do: «Kádár ha ora un atteg­gia­men­to rigi­do ed uti­liz­za argo­men­ti fon­da­ti sul­la pre­sen­za di 5.000 car­ri arma­ti». Nono­stan­te ciò il Con­si­glio di Buda­pe­st man­te­ne­va le sue riven­di­ca­zio­ni sul ritor­no al pote­re di Nagy e sul riti­ro dei rus­si: «Non cede­re­mo e il gover­no lo sa. Il ritor­no al pote­re di Imre Nagy è sta­ta e resta la nostra riven­di­ca­zio­ne cen­tra­le. Qua­lun­que cosa acca­da, alla fine vin­ce­re­mo»[130]. L’appello tut­ta­via si chiu­de­va con una pro­va del­la volon­tà di arri­va­re ad ogni costo ad una con­ci­lia­zio­ne, aggiun­gen­do: «Nell’interesse del­la popo­la­zio­ne chie­dia­mo cio­no­no­stan­te ai Con­si­gli di con­ti­nua­re la pro­du­zio­ne ed anche di inten­si­fi­car­la»[131].
Allo­ra, men­tre si pote­va sup­por­re che il tra­di­men­to di Kádár ver­so Nagy avreb­be irri­gi­di­to la posi­zio­ne dei com­po­nen­ti del Con­si­glio di Buda­pe­st appe­na ingan­na­ti, si assi­ste inve­ce nei gior­ni suc­ces­si­vi a con­ti­nui cedi­men­ti. Il 20 novem­bre un por­ta­vo­ce del Con­si­glio lascia inten­de­re che gli ope­rai sono pron­ti a rinun­cia­re al ritor­no di Nagy se «que­sti affer­mas­se per­so­nal­men­te che rifiu­ta di gui­da­re un nuo­vo gover­no»[132]. Secon­do il pare­re dei dele­ga­ti che han­no discus­so con Kádár, sareb­be al momen­to pre­fe­ri­bi­le tra­la­scia­re la que­stio­ne del ritor­no al pote­re di Imre Nagy[133]: avver­to­no Kádár che «potreb­be­ro scop­pia­re scio­pe­ri spon­ta­nei se agli ope­rai unghe­re­si non fos­se det­ta la veri­tà su quel­lo che suc­ce­de ad Imre Nagy»[134]. Ben pre­sto, tut­ta­via, i buro­cra­ti distrug­ge­ran­no tut­te le illu­sio­ni sul loro con­to: otte­nu­to un pas­so indie­tro pas­sa­no all’attacco cer­can­do di demo­li­re i con­si­gli. Spa­ri­sco­no così i con­ci­lia­to­ri: davan­ti all’assenza di una conciliazione …

Il pro­ble­ma dell’esistenza dei consigli
Sam Rus­sel, cor­ri­spon­den­te del Dai­ly Wor­ker, orga­no del par­ti­to comu­ni­sta bri­tan­ni­co, è sta­to per con­to del suo gior­na­le a Cse­pel. Cer­ta­men­te spe­ra­va di tro­va­re nel­le con­ver­sa­zio­ni coi diri­gen­ti di quel con­si­glio la pro­va che gli ope­rai di Cse­pel ini­zia­va­no a soste­ne­re il gover­no. Inve­ce, suo mal­gra­do, ha dovu­to ripor­ta­re esat­ta­men­te il con­tra­rio. I diri­gen­ti degli ope­rai di Cse­pel, infat­ti, si sono oppo­sti allo scio­pe­ro ma non per soli­da­rie­tà con Kádár. Così Rus­sell descri­ve la “con­fu­sio­ne” che si sta pro­du­cen­do e annun­cia una lot­ta diret­ta tra Kádár ed i con­si­gli: «Ho par­la­to col segre­ta­rio del Con­si­glio ope­ra­io prov­vi­so­rio, Béla Sze­ne­tzy, col vice pre­si­den­te Pál Kupa e con un altro mem­bro del con­si­glio, Józ­sef Dévé­nyi. Dal­le con­ver­sa­zio­ni avu­te emer­ge chia­ra­men­te che c’è anco­ra mol­ta con­fu­sio­ne rispet­to al ruo­lo del con­si­glio ope­ra­io, dive­nu­to ormai un orga­ni­smo per­ma­nen­te in vir­tù del­la nuo­va leg­ge. È anco­ra viva l’idea che essi potreb­be­ro com­bi­na­re assie­me la fun­zio­ne di dato­ri di lavo­ro e di sin­da­ca­to assu­men­do una sor­ta di gene­ri­ca fun­zio­ne poli­ti­ca»[135]. Da ana­li­si come que­sta tro­via­mo la con­fer­ma che i con­si­gli, com­pre­so quel­lo di Cse­pel, voglio­no gio­ca­re un ruo­lo poli­ti­co, esse­re l’organo del pote­re ope­ra­io. Pre­stia­mo atten­zio­ne al gior­na­li­sta comu­ni­sta bri­tan­ni­co men­tre spie­ga le ragio­ni avan­za­te dal Con­si­glio ope­ra­io di Buda­pe­st per giu­sti­fi­ca­re la sua con­tra­rie­tà allo scio­pe­ro: «Con­ti­nua­re lo scio­pe­ro potreb­be fare più male che bene agli ope­rai. Era pre­fe­ri­bi­le gua­da­gna­re un po’ di sol­di per com­pra­re di che man­gia­re piut­to­sto che esse­re costret­ti dal­la fame a tor­na­re al lavo­ro»[136].
I diri­gen­ti di alcu­ni con­si­gli, par­ti­co­lar­men­te quel­li del Con­si­glio cen­tra­le di Buda­pe­st, sono con­vin­ti che lo scio­pe­ro sareb­be dan­no­so. Man­ten­go­no però la loro idea rispet­to al ruo­lo dei con­si­gli ope­rai, il ruo­lo del­la clas­se ope­ra­ia. E su quel pun­to non c’è alcu­na con­ci­lia­zio­ne che sia pro­po­ni­bi­le. In assen­za di un’organizzazione d’avanguardia che con­sen­ta di uni­fi­ca­re espe­rien­ze e pre­se di posi­zio­ne, c’è tut­ta­via biso­gno di tem­po per­ché un orga­ni­smo poli­ti­co come il Con­si­glio cen­tra­le rag­giun­ga l’omogeneità poli­ti­ca tra­du­cen­do quel­la del­la clas­se in azio­ne; il cli­ma crea­to dai com­bat­ti­men­ti di stra­da, e poi dal­la repres­sio­ne, non favo­ri­sce per nien­te il pre­va­le­re del­la demo­cra­zia poli­ti­ca, con­di­zio­ne per una chia­ri­fi­ca­zio­ne. Già il 14 novem­bre il pre­si­den­te del Con­si­glio ope­ra­io cen­tra­le, Arpád Balász, si era per­mes­so di lan­cia­re alla radio, in nome del Con­si­glio cen­tra­le, un appel­lo a favo­re del­la ripre­sa del lavo­ro. La mag­gio­ran­za del Con­si­glio ope­ra­io lo sol­le­va allo­ra dal­le sue fun­zio­ni rite­nen­do che gio­chi, coscien­te­men­te o no, a favo­re di Kádár, e vie­ta al tem­po stes­so che i suoi mem­bri fac­cia­no dichia­ra­zio­ni su que­stio­ni non sot­to­po­ste pre­ce­den­te­men­te ad una vota­zio­ne. Il nuo­vo pre­si­den­te del Con­si­glio cen­tra­le è elet­to tra i dele­ga­ti di Cse­pel: si trat­ta di Józ­sef Dévé­nyi. Alcu­ni gior­ni dopo, tut­ta­via, in segui­to ad atteg­gia­men­ti tem­po­reg­gia­to­ri, anche Dévé­nyi dà le dimis­sio­ni dopo esse­re sta­to mes­so in mino­ran­za e sot­to accu­sa davan­ti al Con­si­glio cen­tra­le. A quel pun­to, il gio­va­ne fab­bro di Belo­jan­nis, Saán­dor Raácz, di 23 anni, sarà il pre­si­den­te, affian­ca­to dal suo com­pa­gno di fab­bri­ca Báli e da Kar­sai come vice­pre­si­den­ti. Que­sti tre uomi­ni saran­no fino alla fine i por­ta­vo­ce del Con­si­glio ope­ra­io centrale.
Toc­ca al vice­pre­si­den­te, l’attrezzista fab­bro Sán­dor Báli, il 25 novem­bre, espri­me­re davan­ti al gover­no, per con­vin­cer­lo ad inta­vo­la­re nego­zia­ti, una con­ce­zio­ne del ruo­lo dei con­si­gli ope­rai che è, in tut­ta evi­den­za, il frut­to di un com­pro­mes­so occasionale:

«È la clas­se ope­ra­ia – dice – che ha mes­so in pie­di i con­si­gli ope­rai i qua­li, al momen­to, sono gli orga­ni­smi eco­no­mi­ci e poli­ti­ci che han­no die­tro di sé la clas­se ope­ra­ia […] Sap­pia­mo bene che i con­si­gli ope­rai non pos­so­no esse­re del­le orga­niz­za­zio­ni poli­ti­che. Sia chia­ro che ci ren­dia­mo per­fet­ta­men­te con­to del­la neces­si­tà di ave­re un par­ti­to poli­ti­co ed un sin­da­ca­to. Ma, visto che ora non abbia­mo la pos­si­bi­li­tà pra­ti­ca di costrui­re tali orga­niz­za­zio­ni, sia­mo obbli­ga­ti a con­cen­tra­re le nostre for­ze su un solo pun­to ed atten­de­re il segui­to degli avve­ni­men­ti. Non dob­bia­mo e non pos­sia­mo par­la­re di sin­da­ca­ti pri­ma che gli ope­rai unghe­re­si abbia­mo for­ma­to dal bas­so i loro sin­da­ca­ti e sia sta­to rida­to loro il dirit­to di scio­pe­ro»[137].

Tut­ta­via, i fat­ti spin­go­no ine­so­ra­bil­men­te il Con­si­glio ope­ra­io cen­tra­le a svol­ge­re un ruo­lo poli­ti­co. Nel­le paro­le di uno dei suoi com­po­nen­ti, Ferenc Töke, Kar­sai fu por­ta­to «a dire ai diri­gen­ti che noi ave­va­mo una mis­sio­ne eco­no­mi­ca da rea­liz­za­re, che non tene­va­mo per nien­te a svol­ge­re un’attività poli­ti­ca, ma che la loro dop­piez­za ci obbli­ga­va a far­lo»[138]. Così il 26 novem­bre il Con­si­glio cen­tra­le infor­ma Kádár che, oltre alle sue riven­di­ca­zio­ni ini­zia­li – ritor­no di Nagy al pote­re, par­ten­za dei rus­si, fine del­le depor­ta­zio­ni – por­ta avan­ti la volon­tà degli ope­rai di orga­niz­za­re una mili­zia ope­ra­ia arma­ta e di ave­re pro­pri gior­na­li[139]. I Con­si­gli han­no ben com­pre­so che il loro pote­re e la loro auto­ri­tà non var­ran­no nul­la fin­ché non dispor­ran­no di una pro­pria for­za arma­ta: tale for­za non può esse­re altro che il popo­lo in armi. Recla­ma­no l’organizzazione di mili­zie ope­ra­ie. Rifiu­ta­no il mono­po­lio sul­la stam­pa sta­bi­li­to a bene­fi­cio del­la buro­cra­zia che auto­riz­za solo i suoi gior­na­li di par­ti­to e sin­da­ca­li. I Con­si­gli voglio­no i loro gior­na­li per difen­de­re le loro posi­zio­ni, dare le loro paro­le d’ordine, fare bilan­ci, discu­te­re. Mani­fe­sta­no con chia­rez­za che han­no l’intenzione di oppor­si allo «Sta­to dei gen­dar­mi e dei buro­cra­ti» denun­cia­to da Déry: gli si voglio­no oppor­re, recla­ma­no una pro­pria for­za arma­ta e una pro­pria stam­pa. Kádár dichia­ra a L’Humanité che sono «gli ele­men­ti con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ri ad aver pre­sen­ta­to richie­ste non rea­li­sti­che»[140].
Dun­que, Kádár, dopo aver rico­no­sciu­to i con­si­gli, ha fat­to sape­re, una vol­ta lan­cia­to l’ordine di rien­tro al lavo­ro, che essi era­no auto­riz­za­ti a discu­te­re i «pro­ble­mi del lavo­ro»[141]. Il Con­si­glio ope­ra­io cen­tra­le pre­pa­ra, sot­to la dire­zio­ne di Sebe­styen, la pub­bli­ca­zio­ne del suo gior­na­le, Mun­ka­su­j­sag (Gaz­zet­ta ope­ra­ia): è con­fi­sca­to in stam­pe­ria assie­me ad un reso­con­to di una discus­sio­ne in cui Kádár ave­va dichia­ra­to: «Per me il vostro rico­no­sci­men­to con­ta poco. 200.000 sol­da­ti sovie­ti­ci sono die­tro di me. In Unghe­ria coman­do io»[142]. Il Con­si­glio fa allo­ra usci­re un foglio ciclo­sti­la­to: le auto­ri­tà rus­se per­qui­si­sco­no e con­fi­sca­no il ciclo­sti­le[143]. Per tut­ta rispo­sta, il Con­si­glio cen­tra­le orga­niz­za una gior­na­ta di boi­cot­tag­gio del gior­na­le di par­ti­to Népsza­bad­sag: i lavo­ra­to­ri lo com­pra­no e poi in stra­da lo strap­pa­no sen­za leg­ger­lo. Ferenc Töke potrà scri­ve­re: «Le per­so­ne cam­mi­na­va­no con le cavi­glie che affon­da­va­no nei fogli di gior­na­le»[144].
Il Con­si­glio cen­tra­le deci­de la distri­bu­zio­ne di volan­ti­ni tal­vol­ta det­ta­ti e rico­pia­ti a mano per dare infor­ma­zio­ne del­la pro­pria azio­ne e invi­ta tut­ti i con­si­gli ad imi­tar­lo[145]. I dele­ga­ti del Con­si­glio tor­na­no a vede­re Kádár. «Sarà una sera­ta deci­si­va, dichia­ra uno di loro alla stam­pa, se le trat­ta­ti­ve fal­li­sco­no non c’è alcu­na garan­zia che riu­sci­re­mo ad impe­di­re scio­pe­ri spon­ta­nei tra gli ope­rai»[146]. Chie­de­ran­no la modi­fi­ca del­la leg­ge sui con­si­gli e l’autorizzazione ad isti­tui­re con­si­gli non solo nel­le fab­bri­che ma in tut­te le impre­se sta­ta­li, dal­le fer­ro­vie alle poste, ecc. dove essi non sono autorizzati.
Népa­ka­rat, orga­no dei sin­da­ca­ti, è inca­ri­ca­to di rispon­de­re alle tre riven­di­ca­zio­ni fon­da­men­ta­li dei con­si­gli: pre­pon­de­ran­za poli­ti­ca dei con­si­gli ope­rai, crea­zio­ne di con­si­gli regio­na­li in ogni pro­vin­cia e pub­bli­ca­zio­ne di un gior­na­le cen­tra­le. A pare­re dell’organo dei sin­da­ca­ti si trat­ta di riven­di­ca­zio­ni “distrut­ti­ve”: i con­si­gli «non potreb­be­ro assu­me­re un qual­sia­si ruo­lo poli­ti­co ma uni­ca­men­te eco­no­mi­co»; il gior­na­le cen­tra­le dei con­si­gli non è asso­lu­ta­men­te «neces­sa­rio» e la crea­zio­ne di con­si­gli regio­na­li «non cor­ri­spon­de­reb­be ai com­pi­ti dei con­si­gli ope­rai». Que­sti com­pi­ti Népa­ka­rat li rias­su­me così: fare ciò che devo­no sul pia­no eco­no­mi­co rior­ga­niz­zan­do le offi­ci­ne[147]. La buro­cra­zia è dispo­sta ad accet­ta­re l’esistenza dei con­si­gli a pat­to che essi sia­no doci­li col­la­bo­ra­to­ri nell’amministrazione del­la fab­bri­ca. La buro­cra­zia inten­de con­ser­va­re il mono­po­lio del­la dire­zio­ne del­lo Sta­to, del­la vita poli­ti­ca e del­la stam­pa. O i con­si­gli si inchi­ne­ran­no ai suoi dik­tat o li distrug­ge­rà. Non c’è una via di mez­zo che per­met­ta una con­ci­lia­zio­ne. Per Kádár e i buro­cra­ti rus­si è neces­sa­rio che la clas­se ope­ra­ia e i suoi con­si­gli rinun­ci­no al potere.

L’offensiva dei burocrati
Il 4 dicem­bre il gover­no lan­cia la sua offen­si­va, diret­ta con­tro i comi­ta­ti rivo­lu­zio­na­ri. Fino a quel momen­to i soli ad esse­re sciol­ti sono sta­ti quel­li dell’esercito. Secon­do un comu­ni­ca­to gover­na­ti­vo i comi­ta­ti «non tene­va­no in con­si­de­ra­zio­ne le dispo­si­zio­ni gover­na­ti­ve che ave­va­no rego­la­men­ta­to la loro atti­vi­tà, deli­mi­ta­to il loro cam­po d’azione, fis­sa­to le loro attri­bu­zio­ni»[148]. «L’esperienza mostra che i comi­ta­ti non svol­ge­va­no alcu­na atti­vi­tà di inte­res­se pub­bli­co ma al con­tra­rio, quan­do c’erano, la loro azio­ne con­si­ste­va nell’ostacolare il lavo­ro del­le auto­ri­tà sta­ta­li e la rea­liz­za­zio­ne di com­pi­ti uti­li all’interesse pub­bli­co»[149]. I comi­ta­ti rivo­lu­zio­na­ri sono dun­que sciol­ti da un decre­to fir­ma­to da Ferenc Mün­nich, il qua­le al con­tem­po indi­ca l’esistenza e la dis­so­lu­zio­ne di un «Comi­ta­to ese­cu­ti­vo cen­tra­le dei comi­ta­ti rivo­lu­zio­na­ri»[150]. Miklós Gimes, rifiu­ta­to­si di emi­gra­re, è arre­sta­to il 5 dicembre.
A que­sto pun­to, pen­san­do che cede­ran­no davan­ti alla minac­cia e all’intimidazione, il gover­no lan­cia la poli­zia con­tro i diri­gen­ti dei con­si­gli ope­rai. Nel­la not­te del 6 dicem­bre ne sono arre­sta­ti più di un cen­ti­na­io. Il Con­si­glio cen­tra­le è «let­te­ral­men­te som­mer­so di pro­te­ste con­tro gli arre­sti di mem­bri di con­si­gli ope­rai»[151]. Il 7, il Con­si­glio cen­tra­le lan­cia un appel­lo. Agli ope­rai, ai qua­li denun­cia il «fron­te orga­niz­za­to in tut­to il pae­se con­tro i con­si­gli ope­rai», dichia­ra: «Se que­sto atteg­gia­men­to con­ti­nua, per­de­re­mo la sola pos­si­bi­li­tà di costrui­re una vita nor­ma­le e restau­ra­re l’ordine»[152]. Avver­te poi il gover­no: «Se quest’atteggiamento con­ti­nua, la fidu­cia degli ope­rai sarà per­du­ta e chi ci pro­vo­ca avrà defi­ni­ti­va­men­te sol­le­va­to la clas­se ope­ra­ia con­tro il gover­no»[153]. Scop­pia­no imme­dia­ta­men­te scio­pe­ri spon­ta­nei. La metà dei lavo­ra­to­ri di Cse­pel entra in scio­pe­ro. Chi ha cre­du­to alla con­ci­lia­zio­ne dichia­ra allo­ra con asprez­za: «Le nostre trat­ta­ti­ve col gover­no non sono sfo­cia­te nel risul­ta­to spe­ra­to. Pare che Jánós Kádár non abbia il pote­re di sba­raz­zar­si di alcu­ne per­so­ne del suo entou­ra­ge»[154]. Dopo un ulti­mo e vano ten­ta­ti­vo ver­so Kádár, il con­si­glio, sul­la base del reso­con­to del­la dele­ga­zio­ne capeg­gia­ta da Sán­dor Rácz, decre­ta 48 ore di scio­pe­ro gene­ra­le. La dele­ga­zio­ne deve denun­cia­re «la cam­pa­gna con­dot­ta con­tro il popo­lo e con­tro gli ope­rai dal gover­no Kádár, appog­gia­to dall’URSS» e che «vuo­le igno­ra­re tut­ta la popo­la­zio­ne unghe­re­se ed i suoi rap­pre­sen­tan­ti»[155].
Il Con­si­glio di Buda­pe­st, allar­ga­to nell’occasione a dele­ga­ti di con­si­gli di pro­vin­cia, si rivol­ge alla nazio­ne. Ai lavo­ra­to­ri del mon­do inte­ro chie­de «scio­pe­ri di soli­da­rie­tà con la loro lot­ta per una vita sen­za pau­ra e per la liber­tà indi­vi­dua­le»[156].
Il gover­no Kádár con­trat­tac­ca con l’imposizione del­la leg­ge mar­zia­le e la mes­sa al ban­do dei con­si­gli ope­rai, a par­ti­re da quel­lo di Buda­pe­st. Il suo cri­mi­ne: aver volu­to «fare del Con­si­glio cen­tra­le degli ope­rai l’organismo del pote­re cen­tra­le ese­cu­ti­vo»[157], «costrui­re un nuo­vo pote­re da oppor­re agli orga­ni ese­cu­ti­vi del­lo Sta­to»[158]. La buro­cra­zia dichia­ra guer­ra sen­za quar­tie­re al pote­re dei con­si­gli, al pote­re ope­ra­io. È lan­cia­ta una nuo­va pro­va di for­za. Que­sta vol­ta nel­la più tota­le chia­rez­za politica.

Sconfitta e vittoria

Lo scio­pe­ro gene­ra­le dell’11 e 12 dicem­bre, sul­la paro­la d’ordine del Con­si­glio cen­tra­le, ha con­fer­ma­to oltre ogni pre­vi­sio­ne l’indistruttibile volon­tà rivo­lu­zio­na­ria dei lavo­ra­to­ri unghe­re­si. Tota­le, mal­gra­do il ter­ro­re poli­zie­sco, lo scio­pe­ro espri­me in for­ma spet­ta­co­la­re l’avvenuta rot­tu­ra degli ulti­mi lega­mi sapien­te­men­te intes­su­ti dal­le astu­zie di Kádár, tra la buro­cra­zia e gli ele­men­ti con­ci­lia­to­ri del­la clas­se ope­ra­ia. Lo scio­pe­ro non è tut­ta­via riu­sci­to a spaz­za­re via il ter­ro­re con­tro­ri­vo­lu­zio­na­rio. Con esso si chiu­de la pri­ma fase del­la rivo­lu­zio­ne unghe­re­se: uno dopo l’altro spa­ri­sco­no, sot­to i col­pi del­la repres­sio­ne, i con­si­gli ope­rai nati dal­la Rivo­lu­zio­ne d’ottobre. La rivo­lu­zio­ne unghe­re­se indietreggia.

Il Con­si­glio cen­tra­le e lo scio­pe­ro generale
Il gover­no Kádár ave­va accu­sa­to il Con­si­glio cen­tra­le di voler «fare del Con­si­glio cen­tra­le degli ope­rai un orga­ni­smo di pote­re cen­tra­le ese­cu­ti­vo»[159]. In real­tà, se tale era in effet­ti la volon­tà degli ope­rai unghe­re­si a vol­te espres­sa dal loro Con­si­glio cen­tra­le, la sua posi­zio­ne pub­bli­ca non ha qua­si mai oltre­pas­sa­to l’affermazione di esse­re il rap­pre­sen­tan­te degli ope­rai per nego­zia­re col gover­no, sen­za par­la­re di rove­sciar­lo e pren­der­ne il posto. Ana­lo­ga­men­te, per un perio­do in Rus­sia i soviet non ave­va­no recla­ma­to il pote­re, essen­do i bol­sce­vi­chi i soli, con Lenin, ad avan­za­re la paro­la d’ordine «Tut­to il pote­re ai soviet». Il Con­si­glio cen­tra­le non ha recla­ma­to «Tut­to il pote­re ai con­si­gli».
Cer­to, biso­gna capi­re che la gran­de mag­gio­ran­za dei lavo­ra­to­ri ha a lun­go nutri­to illu­sio­ni, spe­ran­do in un cam­bia­men­to del­la poli­ti­ca rus­sa, con­tan­do sull’appoggio dell’ex “nagy­sta” Kádár al fine di ripor­ta­re per mez­zo di mano­vre gover­na­ti­ve quel­la vit­to­ria par­zia­le che la loro com­pat­tez­za face­va appa­ri­re vero­si­mi­le. Altri, sen­za dub­bio, han­no spe­ra­to di evi­ta­re nuo­vi com­bat­ti­men­ti san­gui­no­si, desi­de­ra­to di ripren­de­re fia­to, sen­za capi­re che Kádár, stru­men­to del­la buro­cra­zia rus­sa, avreb­be uti­liz­za­to tale pau­sa solo per col­pi­re meglio i lavo­ra­to­ri. È di tali illu­sio­ni e di tali sof­fe­ren­ze man­da­te giù che si è ali­men­ta­to il pen­sie­ro dei “con­ci­lia­to­ri”. La pro­lun­ga­ta sta­si del­le mas­se ha por­ta­to a uno scio­pe­ro che era, nel­lo spi­ri­to dei suoi diri­gen­ti, più una dife­sa dispe­ra­ta che una nuo­va offen­si­va: una dimo­stra­zio­ne del­la pro­pria volon­tà in cui però, sin dall’inizio, essi accet­ta­va­no la scon­fit­ta se il gover­no si rifiu­ta­va di cede­re. In tali con­di­zio­ni era ine­vi­ta­bi­le la scon­fit­ta imme­dia­ta: il gover­no Kádár non pote­va cede­re ma sol­tan­to col­pi­re anco­ra più duro. È ciò che ha fatto.
Il Con­si­glio cen­tra­le non fu per nul­la una­ni­me sul­la oppor­tu­ni­tà del­lo scio­pe­ro. Secon­do Radio Buda­pe­st, quat­tro dei suoi mem­bri sareb­be­ro anda­ti a con­fi­da­re a Kádár che a loro avvi­so la deci­sio­ne di scio­pe­ra­re «non era cor­ret­ta»[160]. Azio­ne spon­ta­nea? Ne pos­sia­mo dubi­ta­re: tre gior­ni dopo la deci­sio­ne … Balázs, già eli­mi­na­to dal­la pre­si­den­za il 14 novem­bre, avreb­be dato le sue dimis­sio­ni nel cor­so del­la riu­nio­ne allar­ga­ta ai dele­ga­ti del­la pro­vin­cia[161]. Ma se ci furo­no le dimis­sio­ni di Balázs, cosa comun­que non pro­va­ta, ciò non impli­ca un’adesione al gover­no Kádár di cui né la stam­pa né la radio dan­no trac­cia. Al con­tra­rio, il fer­ro­vie­re Endre Mester denun­cia i “con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ri” del Con­si­glio cen­tra­le[162] tre gior­ni dopo esse­re sta­to lui stes­so denun­cia­to da Kádár come il loro ispi­ra­to­re[163]. Dichia­ra­zio­ne sospet­ta, nel caso sia auten­ti­ca: que­ste “con­fes­sio­ni” tar­di­ve e que­sta “con­ver­sio­ne” improv­vi­sa non si pos­so­no spie­ga­re che con l’intervento di una poli­zia capa­ce di strap­pa­re con­fes­sio­ni e conversioni.
Il Con­si­glio cen­tra­le ha pre­so le sue misu­re per far fron­te alla repres­sio­ne: una radio clan­de­sti­na par­le­rà a suo nome e uno dei suoi com­po­nen­ti, Ist­ván Török, è invia­to all’estero per por­ta­re docu­men­ti ad Anna Kethly. Il gior­no 8 dicem­bre, Sán­dor Rácz ave­va rila­scia­to a un cor­ri­spon­den­te ita­lia­no un’intervista da pub­bli­ca­re nel caso fos­se sta­to arrestato:

«Ho la coscien­za tran­quil­la per­ché sono sta­to l’infelice inter­pre­te del­la volon­tà dei lavo­ra­to­ri e di quel­li che han­no lot­ta­to per l’ideale di un’Ungheria libe­ra, indi­pen­den­te e neu­tra­le e per uno Sta­to socia­li­sta … Tut­to ciò ci è sta­to nega­to. Il gover­no sa di non ave­re il Pae­se con lui e, con­sa­pe­vo­le che oggi l’unica for­za orga­niz­za­ta che ha fat­to vera­men­te la rivo­lu­zio­ne è la clas­se ope­ra­ia, vuo­le sman­tel­la­re il fron­te dei lavo­ra­to­ri. Pos­so però affer­mar­lo: non si riu­sci­rà mai a spez­za­re la volon­tà degli unghe­re­si che sono pron­ti a dare la vita»[164]. L’appello lan­cia­to dal­la radio clan­de­sti­na è ancor più pro­fon­da­men­te impre­gna­to di pes­si­mi­smo sull’esito imme­dia­to dei com­bat­ti­men­ti: «Il gover­no ha mostra­to che non con­ce­de e non con­ce­de­rà mai alcu­na atten­zio­ne al nostro lavo­ro. Ope­rai e con­ta­di­ni devo­no resta­re uni­ti. L’altro cam­po desi­de­ra la lot­ta aper­ta. Con­ti­nue­re­mo il com­bat­ti­men­to mal­gra­do la nostra posi­zio­ne di debo­lez­za … Noi, ope­rai, non sia­mo con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ri. Abbia­mo lot­ta­to per con­qui­sta­re la liber­tà. Abbia­mo crea­to dei con­si­gli ope­rai lega­li, respon­sa­bi­li di trat­ta­re col gover­no cen­tra­le. Sia­mo però sta­ti con­si­de­ra­ti dei fuo­ri­leg­ge. Tut­ti devo­no sape­re da qua­le par­te si tro­va la ragio­ne e saprà allo­ra come sia­mo sta­ti ingan­na­ti»[165].

Lo scio­pe­ro generale
La con­se­gna del Con­si­glio cen­tra­le era di ini­zia­re lo scio­pe­ro alla mez­za­not­te dell’11 dicem­bre. Nel­la gior­na­ta del 10 si ten­go­no assem­blee in tut­te le fab­bri­che di Buda­pe­st e del­la pro­vin­cia: anco­ra una vol­ta gli ope­rai discu­to­no demo­cra­ti­ca­men­te l’azione che intra­pren­de­ran­no[166]. Il gover­no mol­ti­pli­ca gli arre­sti, le reta­te e le per­qui­si­zio­ni. Dal­le ore 18 del 10, ancor pri­ma dell’inizio del­lo scio­pe­ro, vie­ne decre­ta­ta la leg­ge marziale.
Nono­stan­te ciò, l’11 e il 12 lo scio­pe­ro è gene­ra­le in tut­to il pae­se. Radio Buda­pe­st pro­cla­ma che il Con­si­glio di Cse­pel si è pro­nun­cia­to con­tro lo scio­pe­ro ma nel com­ples­so indu­stria­le lo scio­pe­ro è gene­ra­le, come con­fer­ma il comu­ni­sta Sam Rus­sel[167]. L’Humanité cita a ripe­ti­zio­ne il pre­si­den­te del Con­si­glio ope­ra­io di Mavag, con­tra­rio allo scio­pe­ro, ma lo scio­pe­ro è tota­le anche a Mavag …[168]. Nel pri­mo pome­rig­gio sono arre­sta­ti Sán­dor Rácz, pre­si­den­te del Con­si­glio cen­tra­le, e il suo com­pa­gno Sán­dor Báli, come lui mem­bro del con­si­glio e ope­ra­io nel­la fab­bri­ca di appa­rec­chi elet­tri­ci Belo­jan­nis. La pre­fet­tu­ra del­la poli­zia di Kádár annun­cia: «Que­ste due per­so­ne han­no gio­ca­to un ruo­lo di pri­mo pia­no nel­la tra­sfor­ma­zio­ne del Con­si­glio cen­tra­le di Buda­pe­st in uno stru­men­to del­la con­tro­ri­vo­lu­zio­ne … Han­no coman­da­to un’organizzazione ille­ga­le, pro­mos­so scio­pe­ri pro­vo­ca­to­ri; con le minac­ce han­no cer­ca­to di inti­mi­di­re gli ope­rai e i tec­ni­ci one­sti. Recen­te­men­te, han­no orga­niz­za­to una con­fe­ren­za nazio­na­le con la par­te­ci­pa­zio­ne di ele­men­ti con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ri pri­vi di alcun rap­por­to coi con­si­gli ope­rai. In quest’occasione han­no lan­cia­to un appel­lo per rove­scia­re il gover­no e, con que­sta fina­li­tà, han­no impo­sto un pro­vo­ca­to­rio scio­pe­ro gene­ra­le di 48 ore …». Lo stes­so comu­ni­ca­to accu­sa Rácz e Báli di aver «man­te­nu­to rela­zio­ni stret­te con Radio Free Euro­pe e con cor­ri­spon­den­ti del­la stam­pa occi­den­ta­le»[169]. Lo stes­so gior­no vie­ne sciol­to il Comi­ta­to rivo­lu­zio­na­rio degli intel­let­tua­li. La poli­zia per­qui­si­sce la sua sede e ne chiu­de i loca­li[170]. Que­ste misu­re poli­zie­sche non impres­sio­na­no però i lavo­ra­to­ri e lo scio­pe­ro sarà così gene­ra­le entram­bi i gior­ni. Addi­rit­tu­ra, il 13 ed il 14 lo scio­pe­ro con­ti­nue­rà sia alla Belo­jan­nis che a Cse­pel per pro­te­sta­re, in par­ti­co­la­re, con­tro l’arresto di Rácz e Báli [171].

La clas­se ope­ra­ia resi­ste ancora
È dif­fi­ci­le descri­ve­re con pre­ci­sio­ne la situa­zio­ne nel­le fab­bri­che unghe­re­si all’indomani del­la repres­sio­ne sca­te­na­ta con­tro i diri­gen­ti dei con­si­gli ope­rai. La mag­gior par­te del­le fab­bri­che sono fer­me o lavo­ra­no al mini­mo. Il gover­no Kádár attri­bui­sce la respon­sa­bi­li­tà alla man­can­za di car­bo­ne. Nel­la pri­ma metà di dicem­bre, alter­nan­do minac­ce e pro­mes­se come abi­tu­di­ne, il gover­no ha por­ta­to avan­ti una cam­pa­gna acca­ni­ta per far ripren­de­re il lavo­ro nel­le minie­re. I mina­to­ri han­no rispo­sto il 16 attra­ver­so la radio clan­de­sti­na del con­si­glio ope­ra­io. I mina­to­ri unghe­re­si rifiu­ta­no di trat­ta­re con Kádár. Accet­te­reb­be­ro di trat­ta­re con un even­tua­le suc­ces­so­re se poli­zia ed eser­ci­to rus­so si riti­ras­se­ro del tut­to e se tut­ti gli unghe­re­si arre­sta­ti dopo il 4 novem­bre fos­se­ro libe­ra­ti … In più chie­do­no l’aumento gene­ra­liz­za­to dei sala­ri e la proi­bi­zio­ne del lavo­ro for­za­to. Con sen­so del­lo humour, i mina­to­ri anti­ci­pa­no che se la poli­zia e l’esercito rus­so si riti­ras­se­ro, loro ripren­de­reb­be­ro il lavo­ro assi­cu­ran­do il 25% del­la pro­du­zio­ne nor­ma­le. Se i pri­gio­nie­ri poli­ti­ci fos­se­ro libe­ra­ti arri­ve­reb­be­ro al 33%. Comun­que, non ripren­de­reb­be­ro il lavo­ro al 100% pri­ma di aver visto sod­di­sfat­te tut­te le pro­prie riven­di­ca­zio­ni. L’appello fini­sce con l’affermazione di una indo­mi­ta volon­tà rivo­lu­zio­na­ria: «Se il gover­no non accet­ta que­ste con­di­zio­ni, nes­su­no lavo­re­rà nel­le minie­re, anche se noi mina­to­ri doves­si­mo ridur­ci a fare l’elemosina oppu­re ad emi­gra­re all’estero»[172].
Il 10 gen­na­io han­no luo­go mani­fe­sta­zio­ni ope­ra­ie a Cse­pel, duran­te le qua­li un metal­mec­ca­ni­co è ucci­so dal­la poli­zia di Kádár. Quel­lo stes­so gior­no si dimet­to­no i Con­si­gli di Cse­pel e di Belo­jan­nis, men­tre il gior­na­le di Kádár, Népsza­bad­sag, fa un appel­lo alla lot­ta «con­tro gli ele­men­ti osti­li che si masche­ra­no da mar­xi­sti e lan­cia­no paro­le d’ordine su demo­cra­tiz­za­zio­ne e desta­li­niz­za­zio­ne»[173].
Il gover­no Kádár mol­ti­pli­ca le con­ces­sio­ni ai con­ta­di­ni ric­chi: è sem­pre il “pic­co­lo pro­prie­ta­rio” Ist­ván Dobi che diri­ge il “pre­si­dium” del­la Repub­bli­ca unghe­re­se. Kádár trat­ta con Béla Kovács, Ist­ván Bibó e Zol­tán Til­dy, diri­gen­ti del par­ti­to dei pic­co­li pro­prie­ta­ri, e con Ferenc Erdei, nazio­nal-con­ta­di­no. In segui­to ver­ran­no altre con­ces­sio­ni la cui linea è già trac­cia­ta: con­ces­sio­ni agli ele­men­ti filo­ca­pi­ta­li­sti e alla bor­ghe­sia inter­na­zio­na­le in cam­bio di “pre­sti­ti”. Non ci saran­no però con­ces­sio­ni alla clas­se ope­ra­ia unghe­re­se fin­ché essa si orga­niz­ze­rà nei con­si­gli: tra i “soviet” e la buro­cra­zia l’antagonismo è inconciliabile.

La dire­zio­ne rivoluzionaria
Nel­la lot­ta che con­ti­nua si pre­pa­ra­no le con­di­zio­ni per la vit­to­ria di doma­ni. I lavo­ra­to­ri unghe­re­si si sono lan­cia­ti nel­la rivo­lu­zio­ne sen­za dire­zio­ne rivo­lu­zio­na­ria. Gli intel­let­tua­li e i qua­dri del PC che han­no ani­ma­to le pri­me mani­fe­sta­zio­ni vole­va­no una rifor­ma del par­ti­to, un cam­bia­men­to nel­la sua dire­zio­ne. La dimo­stra­zio­ne che la pre­sen­za di Nagy alla testa del gover­no non cam­bia­va nul­la fin­ché esi­ste­va lo Sta­to dei gen­dar­mi e dei buro­cra­ti si è avu­ta nei pri­mi gior­ni del­la rivo­lu­zio­ne. La trap­po­la di Gerö si è ritor­ta con­tro di lui e i suoi padro­ni per­ché, spon­ta­nea­men­te, i lavo­ra­to­ri han­no comin­cia­to a costrui­re il loro Sta­to, quel­lo dei con­si­gli ope­rai. Per alcu­ni gior­ni la loro for­za è sta­ta irre­si­sti­bi­le: si trat­ta­va, come dice il comu­ni­sta polac­co Bie­lic­ki, del­la sosti­tu­zio­ne del caos con «l’ordine rivo­lu­zio­na­rio». Ma non era suf­fi­cien­te. La volon­tà, espres­sa­si ovun­que, di costrui­re un gover­no dei con­si­gli – a Miskolc, Györ, Sopron, nel Con­si­glio di Bor­sod o nel Comi­ta­to Trans­da­nu­bia­no – avreb­be dovu­to con­cre­tiz­zar­si imme­dia­ta­men­te nel­la costi­tu­zio­ne di un Par­la­men­to ope­ra­io, di un Con­si­glio ope­ra­io nazio­na­le. Per rea­liz­za­re ciò era neces­sa­ria una dire­zio­ne rivo­lu­zio­na­ria, con pro­spet­ti­ve giu­ste, prov­vi­sta di un’analisi sul­la poten­za dell’avversario e sull’obiettivo da rag­giun­ge­re, il pote­re ope­ra­io, e che avreb­be dovu­to esse­re in gra­do di orga­niz­za­re il pote­re nazio­na­le dei con­si­gli e dei comi­ta­ti. È grot­te­sco, come qual­cu­no ha fat­to, e pen­sia­mo di aver­lo mostra­to, affer­ma­re con pre­sun­zio­ne che Nagy e i suoi era­no social­de­mo­cra­ti­ci e favo­re­vo­li alla restau­ra­zio­ne del capi­ta­li­smo. È fuor di dub­bio che si sono uni­ti alla rivo­lu­zio­ne e han­no, sen­za ambi­gui­tà, rot­to con la buro­cra­zia e il suo appa­ra­to. Sareb­be però erro­neo pen­sa­re che abbia­no svol­to il ruo­lo di dire­zio­ne: sca­val­ca­ti dagli even­ti, in ritar­do di mol­ti gior­ni sul­le mas­se – nel vivo di una rivo­lu­zio­ne in cui le ore sono gior­ni e i gior­ni anni – sono sta­ti al trai­no degli avve­ni­men­ti, schiac­cia­ti dal peso di anni pas­sa­ti a pen­sa­re ed agi­re come uomi­ni d’apparato.
È signi­fi­ca­ti­vo che il nuo­vo par­ti­to comu­ni­sta che han­no volu­to fon­da­re non abbia rac­col­to l’avanguardia dei com­bat­ten­ti rivo­lu­zio­na­ri dell’Ottobre. I Miklós Gimes, Feke­te San­der e gli altri oppo­si­to­ri comu­ni­sti che pun­ta­no a fon­da­re nel­la clan­de­sti­ni­tà la “Lega dei socia­li­sti unghe­re­si” pub­bli­che­ran­no 9 nume­ri clan­de­sti­ni di “23 Otto­bre” pri­ma di esse­re col­pi­ti dal­la repres­sio­ne. Anche in que­sto caso la buro­cra­zia è riu­sci­ta a col­pi­re con rapi­di­tà: ha uti­liz­za­to la sua orga­niz­za­zio­ne, la sua espe­rien­za e la sua tec­ni­ca per repri­me­re e al tem­po stes­so diso­rien­ta­re le mas­se ope­ra­ie pri­ve di una dire­zio­ne. I lavo­ra­to­ri di Duna­pen­te­le face­va­no appel­lo ai lavo­ra­to­ri rus­si per fra­ter­niz­za­re, quel­li di Miskolc gri­da­va­no ai lavo­ra­to­ri ceco­slo­vac­chi e rume­ni che si sta­va­no bat­ten­do anche per loro. Inve­ce Imre Nagy face­va appel­lo all’aiuto dell’ONU … E infi­ne, la mano­vra per eccel­len­za del­la buro­cra­zia, la sua ulti­ma car­ta, cioè “l’oppositore” Kádár, il qua­le ha potu­to prov­vi­so­ria­men­te gio­ca­re un ruo­lo che né i car­ri né i can­no­ni avreb­be­ro potu­to svol­ge­re. Anche in que­sto fran­gen­te nes­su­na dire­zio­ne rivo­lu­zio­na­ria ha potu­to impe­di­re che i lavo­ra­to­ri unghe­re­si cades­se­ro in que­sto tra­nel­lo. Era­no i più for­ti e si sono bat­tu­ti alla gran­de. Eppu­re sono sta­ti sconfitti.

Una “oppo­si­zio­ne” inconseguente
Una del­le ragio­ni del­la scon­fit­ta è da cer­ca­re nel carat­te­re dell’opposizione inter­na al par­ti­to unghe­re­se. Come abbia­mo visto Imre Nagy si col­le­ga­va, all’interno del movi­men­to comu­ni­sta, alla tra­di­zio­ne del­la ten­den­za “di destra” incar­na­ta negli anni 30 da Bucha­rin. Un com­pa­gno unghe­re­se scri­ve al riguardo:

«Le tra­di­zio­ni “bucha­ri­nia­ne” si sono orga­niz­za­te attor­no a tre principi:

  • NEP: man­te­ni­men­to del­la pic­co­la pro­prie­tà per un perio­do pro­lun­ga­to di tran­si­zio­ne ver­so il socialismo;
  • demo­cra­zia popo­la­re: perio­do di tran­si­zio­ne in cui si con­ser­va­no le for­me poli­ti­che del­la demo­cra­zia bor­ghe­se (par­la­men­ta­ri­smo, siste­ma multipartitico);
  • fron­te popo­la­re: sul pia­no del­la poli­ti­ca inter­na ed inter­na­zio­na­le, allean­za coi set­to­ri piccolo‑borghesi e i loro rap­pre­sen­tan­ti poli­ti­ci».

Aggiun­ge inol­tre che il limi­te dell’ala nagy­sta “bucha­ri­nia­na” era che essa «non pos­se­de­va l’esperienza tro­tski­sta del­la cri­ti­ca allo sta­li­ni­smo in quan­to siste­ma buro­cra­ti­co»:

«Secon­do l’ala nagy­sta, lo sta­li­ni­smo era una for­ma set­ta­ria di estre­mi­smo, cioè una mar­cia in avan­ti trop­po velo­ce su una stra­da però neces­sa­ria, lun­go la qua­le però si era­no abban­do­na­te le for­me neces­sa­rie del­la tran­si­zio­ne. Essa era così inca­pa­ce di cri­ti­ca­re lo sta­li­ni­smo in quan­to siste­ma con­se­guen­te alla dege­ne­ra­zio­ne del socia­li­smo e la sua posi­zio­ne non era “più socia­li­sta” ma sola­men­te “più mode­ra­ta”».

Al momen­to del­lo scon­tro fron­ta­le di novem­bre, Nagy ha senz’altro avu­to il meri­to di abban­do­na­re la via del tem­po­reg­gia­men­to, del com­pro­mes­so con la buro­cra­zia sta­li­ni­sta, dell’adattamento che ave­va segui­to sino ad allo­ra: tenen­do testa ai suoi boia e ai suoi giu­di­ci Nagy ha scel­to il suo cam­po di clas­se, quel­lo dei lavo­ra­to­ri unghe­re­si cadu­ti sot­to i car­ri e sot­to il fuo­co dell’AVH restau­ra­ta per volon­tà del KGB e dei capi del Crem­li­no. Non è meno vero che fino a quel momen­to si era aste­nu­to dal pren­de­re qual­sia­si ini­zia­ti­va per orga­niz­za­re gli oppo­si­to­ri in manie­ra indi­pen­den­te dall’apparato, in altre paro­le di rom­pe­re in modo deci­si­vo con la buro­cra­zia con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ria. Sin dal 1955 alcu­ni corag­gio­si mili­tan­ti, ad esem­pio Miklós Gimes, ex gior­na­li­sta di Sza­bad Nép, o quel gio­va­ne sto­ri­co che nel bel mez­zo di una riu­nio­ne di par­ti­to chie­de­va l’espulsione di Ráko­si, apri­va­no una via che non fu segui­ta. Gli ele­men­ti più coscien­ti dell’opposizione comu­ni­sta – e Miklós Gimes era uno di loro – ave­va­no ini­zia­to ad ana­liz­za­re la socie­tà rus­sa – tal­vol­ta appog­gian­do­si alla let­tu­ra dell’unico esem­pla­re, in fran­ce­se, de La Rivo­lu­zio­ne tra­di­ta por­ta­to da Pari­gi da Gimes – e ave­va­no sco­per­to l’esistenza del­la casta buro­cra­ti­ca, ave­va­no rot­to nel­la loro testa con la “lega­li­tà” del par­ti­to e ipo­tiz­za­to la costru­zio­ne di un’organizzazione clan­de­sti­na con­tro l’apparato. Tut­ta­via non si dedi­ca­ro­no al rag­giun­gi­men­to di que­sto obiet­ti­vo, schiac­cia­ti innan­zi­tut­to dall’ampiezza del com­pi­to sto­ri­co ed anche dal rit­mo rapi­dis­si­mo e allu­ci­nan­te del­lo svi­lup­po rivo­lu­zio­na­rio. Alcu­ni mesi dopo il sof­fo­ca­men­to del­le ulti­me resi­sten­ze, con­clu­sio­ni ana­lo­ghe era­no for­mu­la­te da un altro comu­ni­sta oppo­si­to­re, vero­si­mil­men­te San­der Feke­te, sot­to lo pseu­do­ni­mo di Hun­ga­ri­cus in un pam­phlet arri­va­to in Occidente.
Eppu­re nel 1956 il pro­gram­ma espres­so da milio­ni di lavo­ra­to­ri manua­li e intel­let­tua­li di Unghe­ria nel­le riso­lu­zio­ni dei loro con­si­gli e comi­ta­ti ripren­de­va qua­si alla let­te­ra, para­gra­fo per para­gra­fo, il pro­gram­ma trac­cia­to vent’anni pri­ma ne La Rivo­lu­zio­ne tra­di­ta – e pre­ci­sa­to nel Pro­gram­ma di tran­si­zio­ne – del­la “rivo­lu­zio­ne poli­ti­ca” all’ordine del gior­no in URSS e in segui­to anche nei pae­si sot­to­mes­si alla buro­cra­zia sta­li­ni­sta. Man­ca­va a que­sto pro­gram­ma la sua pun­ta più avan­za­ta, la neces­si­tà del­la costru­zio­ne di un par­ti­to rivo­lu­zio­na­rio col­le­ga­to alla Quar­ta Inter­na­zio­na­le. La respon­sa­bi­li­tà prin­ci­pa­le non sta sul­le spal­le dei rivo­lu­zio­na­ri dell’opposizione comu­ni­sta unghe­re­se, ma su quel­le degli uomi­ni che all’epoca era­no alla testa del­la Quar­ta Inter­na­zio­na­le e ten­ta­va­no con Pablo e Man­del di difen­de­re e ria­bi­li­ta­re la pro­spet­ti­va di una “rige­ne­ra­zio­ne dell’apparato”, del­la “muta­zio­ne” dei par­ti­ti sta­li­ni­sti … e cele­bra­va­no la ‘rivo­lu­zio­ne poli­ti­ca’ diret­ta da Gomulka!

Un appa­ra­to con­tro­ri­vo­lu­zio­na­rio conseguente
La buro­cra­zia, inve­ce, non ha com­mes­so erro­ri. Anche se è sta­ta costret­ta a gri­da­re ai quat­tro ven­ti che era dovu­ta inter­ve­ni­re per repri­me­re l’assalto del­la “con­tro­ri­vo­lu­zio­ne hor­thy­sta”, anche se ha denun­cia­to a gran voce gli uomi­ni dei “par­ti­ti bor­ghe­si” rien­tra­ti a suo dire sot­to l’ala pro­tet­tri­ce di Nagy, essa non ha impic­ca­to nes­sun hor­thy­sta e nes­sun diri­gen­te dei vec­chi par­ti­ti schie­ra­ti­si col gover­no Nagy. Ha incar­ce­ra­to inve­ce tan­ti comu­ni­sti quan­ti ne ave­va impri­gio­na­to Hor­thy. Ma soprat­tut­to, la buro­cra­zia sta­li­ni­sta ha ucci­so in pri­mo luo­go i comu­ni­sti, non sol­tan­to a cal­do, nel cor­so del­la repres­sio­ne e del­la ricon­qui­sta del­le cit­tà, ma anche più tar­di a fred­do e segre­ta­men­te. La buro­cra­zia ha impic­ca­to lo stes­so Imre Nagy, Pal Malé­ter, Miklós Gimes e Józ­sef Szi­lá­gyi; con­dan­na­to a pene pesan­tis­si­me Sán­dor Rácz, Báli, Kar­sai e altri diri­gen­ti del Con­si­glio ope­ra­io cen­tra­le, i respon­sa­bi­li degli intel­let­tua­li, come Györ­gy Mar­kos, come Gabor Tanc­zos, segre­ta­rio del Cir­co­lo Petö­fi, Jánós Var­ga, mem­bro del Comi­ta­to rivo­lu­zio­na­rio degli stu­den­ti, mili­tan­ti del­la Gio­ven­tù Comu­ni­sta come Bálint Papp, difen­so­re di Duna­pen­te­le, o Lász­ló Bede di Debre­cen … Miglia­ia di mili­tan­ti, com­bat­ten­ti del­la rivo­lu­zio­ne poli­ti­ca del 1956, sono sta­ti con­dan­na­ti ad anni di pri­gio­ne, han­no per­so il lavo­ro, sono sta­ti costret­ti ad una sor­ve­glian­za este­nuan­te, iso­la­ti dai loro com­pa­gni, tenu­ti lon­ta­ni dal­le gio­va­ni gene­ra­zio­ni. Col­pen­do que­sti uomi­ni, strap­pan­do dal­la memo­ria col­let­ti­va dei lavo­ra­to­ri unghe­re­si per­si­no il ricor­do del­la rivo­lu­zio­ne del 1956, la buro­cra­zia ha mostra­to alla luce del gior­no la sua natu­ra e la sua coscien­za con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ria, il suo carat­te­re di casta irri­du­ci­bil­men­te osti­le alla clas­se operaia.

Il futu­ro
In que­sta scon­fit­ta si tro­va­no, nono­stan­te tut­to, i ger­mi del­le pros­si­me vit­to­rie. La dire­zio­ne poli­ti­ca rivo­lu­zio­na­ria che è man­ca­ta ai lavo­ra­to­ri unghe­re­si per coor­di­na­re la loro azio­ne e ren­der­la inar­re­sta­bi­le, per supe­ra­re i tra­nel­li del­la buro­cra­zia con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ria del Cre­mi­no, si for­gia oggi nel­la resi­sten­za dei lavo­ra­to­ri, nel­le fab­bri­che come nei cam­pi di con­cen­tra­men­to e nel­le pri­gio­ni ed anche nel­la clan­de­sti­ni­tà. La futu­ra dire­zio­ne sarà rin­for­za­ta dagli inse­gna­men­ti del­la lot­ta in que­sti mesi deci­si­vi. La vit­to­ria del­la rivo­lu­zio­ne rus­sa del 1917 è il frut­to del­la scon­fit­ta del 1905 e del­la costru­zio­ne del par­ti­to bol­sce­vi­co di Lenin. Com­bat­ten­ti comu­ni­sti di diver­se gene­ra­zio­ni pre­pa­ra­no oggi il loro Otto­bre vit­to­rio­so in Unghe­ria come in Polo­nia, a Pra­ga come a Mosca.


Note

[1] Inter­vi­sta cita­ta da Bon­dy. Demain, 8 novem­bre 1956.
[2] New York Times, 2 luglio 1956.
[3] New York Times, 1° luglio 1956.
[4] Iro­dal­mi Ujság, 18 ago­sto 1956.
[5] Ghe­peu o GPU: poli­zia poli­ti­ca rus­sa, diven­ta­ta poi NKVD e poi KGB.
[6] Iro­dal­mi Ujság, 30 giu­gno 1956.
[7] New York Times, 22 otto­bre 1956.
[8] Ibi­dem, 23 otto­bre 1956.
[9] New York Times, 22 otto­bre 1956.
[10] Sza­bad Nep, 23 otto­bre 1956.
[11] Sef­ton Del­mer, in Dai­ly Express, 24 otto­bre 1956.
[12] Sher­man, The Obser­ver, 11 novem­bre 1956.
[13] Noti­zia del­la Uni­ted Press, 24 otto­bre 1956.
[14] AVH (o AVO): poli­zia poli­ti­ca unghe­re­se. Gli “Avos” sono i suoi membri.
[15] The Obser­ver, 11 novem­bre 1956.
[16] Hon­véd­ség: arma­ta unghe­re­se. La paro­la “Hon­ved” signi­fi­ca “difen­so­re del­la patria”: in ori­gi­ne, defi­ni­va i sol­dai che, nel 1848, ser­vi­va­no sot­to le inse­gne unghe­re­si e non sot­to l’uniforme austriaca.
[17] Antho­ny Rho­des, Dai­ly Tele­gra­ph, 24 novem­bre 1956.
[18] Archi­vi privati.
[19] Dai­ly Tele­gra­ph, 29 otto­bre 1956.
[20] Uni­ted Press, 24 otto­bre 1956.
[21] Cita­to da Demain, 1° novem­bre 1956.
[22] The Obser­ver, 1° novembre.
[23] Ibi­dem.
[24] Ibi­dem.
[25] New York Times, 27 ottobre.
[26] Radio-Kos­suth e Petö­fi, 25 otto­bre, ore 15.18: “I com­pa­gni Jánós Kadar e Imre Nagy al microfono”.
[27] Ibi­dem.
[28] Uni­ted Press, 25 otto­bre 1956.
[29] The Obser­ver, 25 novem­bre 1956.
[30] Coutts, su The Dai­ly Wor­ker, 26 novem­bre 1956.
[31] New York Times, 28 otto­bre 1956.
[32] The Times, 27 otto­bre 1956.
[33] New York Herald Tri­bu­ne, 27 otto­bre 1956.
[34] Uni­ted Press, 26 otto­bre 1956.
[35] Ibi­dem.
[36] Times, 27 otto­bre 1956.
[37] Le Mon­de, 29 otto­bre 1956.
[38] Ibi­dem, 30 otto­bre 1956.
[39] Franc‑Tireur, 29 otto­bre 1956.
[40] Il Par­ti­to nazio­na­le con­ta­di­no si è for­ma­to nel 1939 sot­to la dire­zio­ne di scrit­to­ri “popu­li­sti”; rag­grup­pa­va brac­cian­ti, con­ta­di­ni pove­ri, intel­let­tua­li, mae­stri di pae­se. Si è dichia­ra­to sin dal­la costi­tu­zio­ne a favo­re di una rifor­ma agra­ria. Ha par­te­ci­pa­to al gover­no prov­vi­so­rio del dicem­bre 1944, a fian­co del PC, del PSP e del par­ti­to dei pic­co­li pro­prie­ta­ri; ha pre­so l’iniziativa per una radi­ca­le rifor­ma agra­ria. Ha fat­to par­te del gover­no di coa­li­zio­ne del 1945–1948 e si è sciol­to dopo la “svol­ta” del 1948. Rina­sce il 31 otto­bre 1956.
[41] New York Times, 29 otto­bre 1956.
[42] Ibi­dem.
[43] Le Mon­de, 30 otto­bre 1956.
[44] Franc-Tireur, 30 otto­bre 1956.
[45] Demain, 1° novem­bre 1956.
[46] New York Times, 2 novem­bre 1956.
[47] Demain, 1° novem­bre 1956.
[48] New York Times, 31 otto­bre 1956.
[49] Franc-Tireur, 30 otto­bre 1956.
[50] Dai­ly Mail, 26 otto­bre 1956.
[51] Noti­zia Reu­ter, 27 otto­bre 1956.
[52] Dai­ly Tele­gra­ph, rac­con­to di Rho­des, 24 novem­bre 1956.
[53] Gor­dey, su Fran­ce Soir, 12 novem­bre 1956.
[54] Jour­nal du Diman­che, 27 otto­bre 1956.
[55] Times, 29 otto­bre 1956.
[56] Ibi­dem.
[57] Le Mon­de, 30 otto­bre 1956.
[58] Ibi­dem.
[59] Comu­ni­ca­to a Radio Kos­suth, 30 otto­bre 1956.
[60] Radio Kos­suth, 31 otto­bre, ore 20.01.
[61] Le Mon­de, 1° novem­bre 1956.
[62] New York Times, 31 otto­bre 1956.
[63] Fran­ce Obser­va­teur, 1° novem­bre 1956.
[64] New York Times, 30 otto­bre 1956.
[65] Franc Tireur, 31 otto­bre 1956.
[66] Ibi­dem.
[67] Le Mon­de, 28 otto­bre 1956.
[68] Uni­ted Press, 27 otto­bre 1956.
[69] Le Mon­de, 14 novem­bre 1956.
[70] Cita­to da Polo­gne-Hon­grie 1956, EDI, pp. 196–197.
[71] The Dai­ly Wor­ker, 1° dicem­bre 1956.
[72] New York Times, 4 novem­bre 1956.
[73] Fran­ce Obser­va­teur, F. Fej­to, 8 novem­bre 1956.
[74] L’Humanité, 17 novem­bre 1956.
[75] Tri­bu­ne, 23 novem­bre 1956.
[76] Le Peu­ple, 14 novem­bre 1956.
[77] Anna Kethly su Franc Tireur, 30 novem­bre 1956.
[78] Tri­bu­ne, 30 novem­bre 1956.
[79] L’Humanité, 16 novem­bre 1956.
[80] Anna Kethly su Franc Tireur, 30 novem­bre 1956.
[81] Le Mon­de, 5 dicem­bre 1956.
[82] Ibi­dem.
[83] L’Humanité, 16 novem­bre 1956.
[84] The Dai­ly Wor­ker, 16 novem­bre 1956.
[85] Demain, 29 novem­bre 1956.
[86] L’Humanité, 5 novem­bre 1956.
[87] Nepsza­va (Voce del popo­lo), orga­no cen­tra­le del par­ti­to social­de­mo­cra­ti­co unghe­re­se dal­la fine del XIX seco­lo, diven­tò l’organo cen­tra­le dei sin­da­ca­ti dopo la “fusio­ne” tra que­sto par­ti­to ed il PC nel giu­gno 1948. Ridi­ven­ta­to orga­no del par­ti­to social­de­mo­cra­ti­co rior­ga­niz­za­to­si duran­te la rivo­lu­zio­ne, oggi è nuo­va­men­te l’organo dei sindacati.
[88] Tri­bu­ne, 23 novem­bre 1956.
[89] Ibi­dem.
[90] Ibi­dem.
[91] Ibi­dem.
[92] Ibi­dem.
[93] Ibi­dem.
[94] Le Pari­sien libé­ré, 5 novem­bre 1956.
[95] Michel Gor­dey, Fran­ce Soir, 12 novem­bre 1956.
[96] Ibi­dem, 16 novembre.
[97] New York Times, 8 novem­bre 1956.
[98] Dai­ly Tele­gra­ph, 10 novem­bre 1956.
[99] New York Times, 25 novem­bre 1956.
[100] Tibor Meray, nel suo rac­con­to “Imre Nagy duran­te la rivo­lu­zio­ne” (in Imre Nagy, un com­mu­ni­sme qui n’oublie pas l’homme, Plon, Pari­gi, p. 249), rife­ri­sce in que­sti ter­mi­ni la con­ver­sa­zio­ne tenu­ta tra i mini­stri unghe­re­si venu­ti a pro­te­sta­re con­tro l’avanzata del­le colon­ne moto­riz­za­te che occu­pa­va­no ormai pun­ti stra­te­gi­ci: “Inter­ve­nen­do uno dopo l’altro, i mem­bri del gover­no appog­gia­no “il vec­chio”. Il più viru­len­to è il suo suc­ces­so­re, Janos Kadar. Poco impor­ta quel­lo che sarà di lui, dice pri­ma di ini­zia­re a gri­da­re, per­ché se si ren­de­rà neces­sa­rio egli è dispo­sto, come unghe­re­se, a com­bat­te­re. “Se i vostri car­ri, gri­da Kadar all’ambasciatore sovie­ti­co, entra­no a Buda­pe­st scen­de­rò in stra­da per bat­ter­mi con­tro di voi, anche a mani nude”.
[101] Franc Tireur, 29 novem­bre 1956.
[102] The Dai­ly Wor­ker, 5 novem­bre 1956.
[103] Franc Tireur, 5 novem­bre 1956.
[104] Ibi­dem, 12 novem­bre 1956.
[105] The Dai­ly Wor­ker, 12 novem­bre 1956.
[106] Fran­ce Soir, 15 novem­bre 1956.
[107] L’Humanité, 10 dicem­bre 1956.
[108] Franc Tireur, 16 novem­bre 1956.
[109] Ibi­dem.
[110] Ibi­dem.
[111] Rife­ri­men­to allo sta­bi­li­men­to Renault di Bil­lan­court, sto­ri­co bastio­ne del­la clas­se ope­ra­ia fran­ce­se [ndt]. Per impor­tan­za nel­la sto­ria del movi­men­to ope­ra­io lo si potreb­be para­go­na­re allo sta­bi­li­men­to Fiat di Mirafiori.
[112] Dai­ly Tele­gra­ph, 11 novem­bre 1956.
[113] Tri­bu­ne de Genè­ve, 16 novem­bre 1956.
[114] Ibi­dem.
[115] New York Times, Mc Cor­mac, 17 novem­bre 1956.
[116] Ibi­dem, 19 novem­bre 1956.
[117] Franc Tireur, 20 novem­bre 1956.
[118] Figa­ro, 1° dicembre.
[119] L’Humanité, 21 novem­bre 1956.
[120] Tri­bu­ne de Genè­ve, 22 novem­bre 1956.
[121] Franc Tireur, 22 novem­bre 1956.
[122] Ibi­dem, 23 novem­bre 1956.
[123] Le Figa­ro, 23 novem­bre 1956.
[124] Franc Tireur, 24 novem­bre 1956.
[125] Ibi­dem.
[126] L’Humanité, 23 novem­bre 1956.
[127] New York Times, 25 novem­bre 1956.
[128] L’Humanité, 27 novem­bre 1956.
[129] L’Humanité, 27 novem­bre 1956.
[130] Franc Tireur, 28 novem­bre 1956.
[131] Le Mon­de, 29 novem­bre 1956.
[132] Fran­ce Soir, 1° dicem­bre 1956.
[133] New York Times, 1° dicem­bre 1956.
[134] Com­bat, 1° dicem­bre 1956.
[135] The Dai­ly Wor­ker, 28 novem­bre 1956.
[136] Ibi­dem, 27 novem­bre 1956.
[137] Polo­gne-Hon­grie, op. cit., p. 286.
[138] Ibi­dem, p. 260.
[139] Le Mon­de, 28 novem­bre 1956.
[140] L’Humanité, 28 novem­bre 1956.
[141] The Dai­ly Wor­ker, 24 novem­bre 1956.
[142] Polo­gne-Hon­grie 1956, op. cit., pp. 261–262.
[143] Ibi­dem, p. 262.
[144] Ibi­dem.
[145] Le Figa­ro, 1° dicem­bre 1956.
[146] Com­bat, 1° dicem­bre 1956.
[147] Le Figa­ro, 1° dicem­bre 1956.
[148] AFP, 4 dicem­bre 1956.
[149] New York Times, 5 dicem­bre 1956.
[150] Ibi­dem.
[151] Tri­bu­ne de Genè­ve, 8 dicem­bre 1956.
[152] Dai­ly Tele­gra­ph, 8 dicem­bre 1956.
[153] Le Figa­ro, 8 dicem­bre 1956.
[154] Le Mon­de, 8 dicem­bre 1956.
[155] Dai­ly Tele­gra­ph, 10 dicem­bre 1956.
[156] Dai­ly Mail, 10 dicem­bre 1956.
[157] L’Humanité, 10 dicem­bre 1956.
[158] Le Mon­de, 11 dicem­bre 1956.
[159] L’Humanité, 10 dicem­bre 1956.
[160] Tri­bu­ne de Genè­ve, 12 dicem­bre 1956.
[161] The Dai­ly Wor­ker, 12 dicem­bre 1956.
[162] Ibi­dem.
[163] L’Humanité, 10 dicem­bre 1956.
[164] Il Gior­no, 14 dicem­bre 1956.
[165] Tri­bu­ne de Genè­ve, 13 dicem­bre 1956.
[166] New York Times, 11 dicem­bre 1956.
[167] The Dai­ly Wor­ker, 12 dicem­bre 1956.
[168] Ibi­dem.
[169] Tri­bu­ne de Genè­ve, 13 dicem­bre 1956.
[170] Fran­ce Soir, 15 dicem­bre 1956.
[171] Dai­ly Tele­gra­ph, 14 dicem­bre 1956.
[172] The Times, 17 dicembre.
[173] Le Mon­de, 10 gen­na­io 1957.