Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Storia del movimento operaio

1977: non solo P38

Uno dei simboli del 77: il ciclostile

Que­sto 2017 sem­bra esse­re un anno che, come per una con­giun­zio­ne astra­le, riman­da a parec­chie ricor­ren­ze che riguar­da­no il movi­men­to ope­ra­io e la lot­ta di clas­se: dal cen­te­na­rio del­la rivo­lu­zio­ne rus­sa del 1917 ai quarant’anni del movi­men­to del 77; dal­la mor­te di Anto­nio Gram­sci, avve­nu­ta ottant’anni orso­no, a quel­la di Erne­sto Che Gue­va­ra, che risa­le a cinquant’anni fa, solo per cita­re le com­me­mo­ra­zio­ni più impor­tan­ti. Su tut­te le qua­li inten­dia­mo pub­bli­ca­re arti­co­li e con­tri­bu­ti per sol­le­ci­ta­re la discus­sio­ne nell’ambito del­la sinistra.
Abbia­mo già anti­ci­pa­to che sul­la rivo­lu­zio­ne d’ottobre pre­sen­te­re­mo vari testi rile­van­ti, ma oggi avvia­mo il dibat­ti­to su un impor­tan­te e anche tra­gi­co perio­do del­la sto­ria ita­lia­na: il 77.
E lo fac­cia­mo pub­bli­can­do il testo del com­pa­gno Ange­lo Orien­ta­le che tro­ve­re­te qui di seguito.
Buo­na lettura.
La reda­zio­ne del Blog

1977: non solo P38

 Ange­lo Orientale

 

Mi è sta­to chie­sto di scri­ve­re per que­sto sito qual­co­sa sul 77. Frat­tan­to, ho avu­to modo di leg­ge­re un con­tri­bu­to del com­pa­gno Die­go Gia­chet­ti, che con­di­vi­do tan­tis­si­mo, sic­ché non ripren­de­rò alcu­ni con­cet­ti lì sviluppati.

Non sono uno sto­ri­co, né tan­to­me­no “in sin­to­nia” con le ana­li­si teo­ri­che. Non sono in gra­do, quin­di, di pro­dur­re “memo­ria”, per cui mi affi­de­rò a dei per­so­na­li ricor­di che NON saran­no in ordi­ne, né di impor­tan­za né cro­no­lo­gi­co. Sono solo ricor­di spar­si che vaga­no nel­la mia men­te, e spar­si ne elen­che­rò alcu­ni cer­can­do di sot­to­li­nea­re quel­li che secon­do me sono i pun­ti più importanti.

Per alcu­ni, il 1977 è sta­to miti­co, per altri solo un’avventura, altri anco­ra lo defi­ni­sco­no “anni di piom­bo”. Per me è sta­to sem­pli­ce­men­te VIVO.

Vivo per­ché lì den­tro c’era di tut­to, e la “paro­dia” dei vio­len­ti, del­la P38, del­la lot­ta arma­ta, ecc., la lascio a chi in que­sti quarant’anni ha scrit­to di tut­to e di più. Sia ben chia­ro, non disco­no­sco che è sta­to un pro­ble­ma soprat­tut­to per chi era nel movi­men­to. Non disco­no­sco che c’è sta­to un “com­bi­na­to dispo­sto” rap­pre­sen­ta­to dal­le poli­ti­che repres­si­ve e mili­ta­ri del­lo Sta­to (con la com­pli­ci­tà poli­ti­ca del Pci) e pez­zi dell’autonomia ope­ra­ia e del­le for­ma­zio­ni arma­te (per alcu­ni, me com­pre­so, ter­ro­ri­smo), che spin­ge­va per una “radi­ca­liz­za­zio­ne” del­lo scontro.

Non disco­no­sco tut­to ciò. Sem­pli­ce­men­te, non ne par­le­rò per­ché in que­sti quat­tro decen­ni si è scrit­to e det­to, spes­so anche a spro­po­si­to da chi non c’era e non sape­va, di tut­to e di più. Ma c’è un altro moti­vo per cui non voglio “toc­ca­re” que­sto aspet­to. Per­ché tut­to ciò ha por­ta­to, in secon­do luo­go, tut­to quel­lo che era “altro”, eppu­re, a mio mode­sto pare­re, di estre­ma impor­tan­za, mal­gra­do la scon­fit­ta che abbia­mo avu­to e registrato.

Pro­ce­dia­mo con ordi­ne. L’innesco indub­bia­men­te è rap­pre­sen­ta­to dal­la rifor­ma Mal­fat­ti. Le pri­me due uni­ver­si­tà occu­pa­te sono sta­te quel­le di Paler­mo e Saler­no. A Saler­no il “la” lo die­de la facol­tà di socio­lo­gia, segui­ta a ruo­ta pri­ma da Let­te­re e Filo­so­fia e poi da tut­te le altre. Il movi­men­to degli stu­den­ti medi era già “in pie­di” da tem­po, spe­cie sul fron­te dell’edilizia sco­la­sti­ca. L’innesto fra i due “tron­co­ni” fu natu­ra­le e faci­le. Era nell’ordine del­le cose. Eppu­re in que­sta cit­tà, in real­tà, il 77 ini­ziò alme­no un anno pri­ma, con i ten­ta­ti­vi di por­re al cen­tro del­la discus­sio­ne poli­ti­ca loca­le la con­di­zio­ne gio­va­ni­le (da non sepa­ra­re dal­la gra­ve cri­si eco­no­mi­ca regi­stra­ta a par­ti­re dal 73‑74), gli spa­zi di socia­liz­za­zio­ne, un for­te movi­men­to per il dirit­to alla casa (che era già pre­sen­te gra­zie al lavo­ro del­la sini­stra rivo­lu­zio­na­ria); ma quell’anno, a dare “man for­te” al movi­men­to si aggiun­se­ro gli stu­den­ti fuorisede.

Diver­se occu­pa­zio­ni regi­stram­mo in quel perio­do sto­ri­co, e non solo per la casa ma anche, come dice­vo pri­ma, per gli spa­zi da socia­liz­za­re. Le occu­pa­zio­ni del Fab­bri­co­ne, del­lo spa­zio a Paste­na (quel­lo che diven­te­rà il cen­tro socia­le V. Di Muro e luo­go di ritro­vo di uno straor­di­na­rio movi­men­to per la leg­ge Basa­glia), poi l’occupazione nel rio­ne De Gaspe­ri (adia­cen­te e con­fi­nan­te con i nuo­vi quar­tie­ri Q2 e Q4, oggi quar­tie­ri Ita­lia ed Euro­pa, e vici­nis­si­mo all’attuale tan­gen­zia­le, che pro­prio in quel perio­do, insie­me ai due quar­tie­ri, ven­ne avvia­ta al com­ple­ta­men­to), quel­la del­la chie­sa scon­sa­cra­ta del­la cor­po­ra­zio­ne degli Ore­fi­ci (Chie­sa di San Gre­go­rio), oggi sede del museo vir­tua­le sul­la scuo­la medi­ca saler­ni­ta­na: sono tut­ti solo un esem­pio di ciò che si muo­ve­va in quel periodo.

In sostan­za, in una cit­tà che regi­stra­va un ridi­se­gno urba­ni­sti­co in espan­sio­ne, con un appa­ra­to indu­stria­le in cri­si e che regi­stra­va allo­ra i segni del­la deser­ti­fi­ca­zio­ne (Ver­ten­za Pen­ni­ta­lia del 1974, ad esem­pio), i gio­va­ni ini­zia­ro­no a por­re – e a por­si – il pro­ble­ma del­la loro con­di­zio­ne di “emar­gi­na­zio­ne” in una situa­zio­ne carat­te­riz­za­ta dall’assenza tota­le di poli­ti­che a loro rivol­te. Non a caso, oltre alla que­stio­ne “spa­zi” si ini­ziò a costrui­re e far nasce­re un movi­men­to di disoc­cu­pa­ti (non solo per l’approvazione, ma poi per l’applicazione, di quel­la che diven­te­rà la L. 285/77): movi­men­to che tro­ve­rà il pro­prio api­ce e, anche rispo­ste posi­ti­ve, negli anni imme­dia­ta­men­te suc­ces­si­vi. Tut­to ciò sem­pre, anche con gran­de “calo­re”, in sin­to­nia con le for­me di resi­sten­za ope­ra­ia. Non a caso, si regi­strò in que­gli anni una nostra (“nostra” inte­sa come sini­stra extra­par­la­men­ta­re nel suo com­ples­so) for­te pre­sen­za tra le for­me – orga­niz­za­te e non – degli edi­li, che sto­ri­ca­men­te sono sem­pre sta­ti la cate­go­ria più rap­pre­sen­ta­ti­va del movi­men­to ope­ra­io salernitano.

Per­ciò fu natu­ra­le per una par­te con­si­sten­te del movi­men­to (anche se non tut­to), e mal­gra­do le “con­trap­po­si­zio­ni” poli­ti­che e di pro­spet­ti­va che regi­stra­va­mo con il sin­da­ca­to, accet­ta­re l’invito a un con­fron­to con la FLM, che in quel perio­do, in pre­pa­ra­zio­ne del­la IV Con­fe­ren­za Nazio­na­le dei dele­ga­ti del 7 mar­zo fat­ta a Firen­ze, invi­tò a livel­lo pro­vin­cia­le anche il movi­men­to degli stu­den­ti. Tut­to ciò avve­ni­va in un con­te­sto carat­te­riz­za­to dal­la neces­si­tà di auto­di­fe­sa pure dal­lo squa­dri­smo fasci­sta che nel­la nostra cit­tà era anco­ra mol­to for­te e atti­vo. Ripor­to qui di segui­to un pic­co­lo stral­cio di un volan­ti­no del C.P.A. (col­let­ti­vo pro­le­ta­rio auto­no­mo) ciclo­sti­la­to il 20/5/1977 in cui si dimo­stra che anche sull’antifascismo il “dia­lo­go” movi­men­to stu­den­te­sco e giovanile/movimento ope­ra­io non si inter­rup­pe nean­che dopo i fat­ti del­la cac­cia­ta di Lama dall’Università La Sapienza:

Volantino

Dun­que, tut­to bel­lo e posi­ti­vo? Cer­to che no, e quan­to ho descrit­to a mio pare­re rap­pre­sen­ta­va gli ulti­mi col­pi di coda di una sto­ria col­let­ti­va impor­tan­te e significativa.

In tut­to que­sto “mara­sma” non ci sia­mo mai accor­ti che era­va­mo non solo figli di una cri­si eco­no­mi­ca di straor­di­na­ria rile­van­za, ma anche il pro­dot­to di una cri­si poli­ti­ca, orga­niz­za­ti­va e di pro­spet­ti­va del­la sini­stra rivo­lu­zio­na­ria in Ita­lia che ave­va avu­to ini­zio alcu­ni anni prima.

Cer­ta­men­te, la scon­fit­ta elet­to­ra­le del 1976 era un cam­pa­nel­lo d’allarme che for­se non ana­liz­zam­mo fino in fon­do. In real­tà, tut­te le nostre strut­tu­re subi­ro­no col­pi for­mi­da­bi­li e “ter­re­mo­ti” di un cer­to spes­so­re. Sicu­ra­men­te lo scio­gli­men­to di Lot­ta Con­ti­nua fece più rumo­re, ma men­tre i suoi mili­tan­ti la scio­glie­va­no le restan­ti for­ma­zio­ni non ave­va­no uno sta­to di salu­te migliore.

Eppu­re, e qui entra in gio­co la mia par­te “otti­mi­sta”, pro­prio in que­gli anni ci furo­no sfor­zi, ten­ta­ti­vi, per­cor­si e pro­po­ste che cer­ca­va­no di dare una rispo­sta poli­ti­ca all’altezza (o alme­no que­sta era l’intenzione) a quel­la cri­si. Quin­di non solo embrio­ni di ana­li­si sul ridi­men­sio­na­men­to dell’operaio “mas­sa” (e di con­se­guen­za del­la cen­tra­li­tà del­la fab­bri­ca), ma anche – e soprat­tut­to – da una par­te una ricer­ca e costru­zio­ne di rife­ri­men­ti teo­ri­ci e, dall’altra, il ten­ta­ti­vo di rico­strui­re un mini­mo di tes­su­to orga­niz­za­ti­vo anche nei set­to­ri ope­rai (assem­blea del tea­tro Liri­co, riu­nio­ni nazio­na­li di que­sti “spez­zo­ni” ope­rai di avan­guar­dia svol­te­si anche duran­te il con­ve­gno di Bologna).

gaetano

Saler­no, cor­teo stu­den­te­sco: spez­zo­ne C.P.S. (col­let­ti­vi poli­ti­ci studenteschi)

È del 77, ad esem­pio, la nasci­ta del­la costi­tuen­te di Demo­cra­zia Pro­le­ta­ria. Non fu l’unico per­cor­so ma, cer­ta­men­te, è sta­to il più impor­tan­te rispet­to agli anni suc­ces­si­vi per costrui­re un mini­mo di resi­sten­za ope­ra­ia e socia­le in gra­do di man­te­ner­si in pie­di, soprat­tut­to negli anni del­la bar­ba­rie (cosi li defi­ni­sco oggi) rap­pre­sen­ta­ti dagli anni 80.

Ma l’aspetto, a mio avvi­so, più rile­van­te di que­sti ten­ta­ti­vi è anche la par­te più dif­fi­cil­men­te “quan­ti­fi­ca­bi­le” e che era pie­na­men­te den­tro que­sto per­cor­so: ed era la nostra lot­ta quo­ti­dia­na per costrui­re un argi­ne signi­fi­ca­ti­vo, impor­tan­te (anche se fat­to in silen­zio e non in modo visi­bi­le) alla dispe­ra­zio­ne dei com­pa­gni che spes­so era­no “dila­nia­ti” dal dover sce­glie­re se entra­re nel­le for­ma­zio­ni arma­te o se dar­si alla dispe­ra­zio­ne e all’annichilimento del­le droghe.

L’una e l’altra opzio­ne han­no fat­to stra­gi del­le nostre gene­ra­zio­ni. Eppu­re, tan­tis­si­mi si sono sal­va­ti gra­zie al lavo­ro di quei “paz­zi” che non si sono arre­si e han­no costrui­to alme­no un labi­le mar­gi­ne di spe­ran­za e/o di resi­sten­za con­ti­nuan­do a fare poli­ti­ca alla luce del sole.

Sen­za que­ste espe­rien­ze, e sen­za il patri­mo­nio poli­ti­co e cul­tu­ra­le espres­so da quel­lo che vie­ne chia­ma­to il movi­men­to del 77 – ripe­to, per non esse­re frain­te­so, che non mi rife­ri­sco solo alla espe­rien­za di DP – pro­ba­bil­men­te mol­to di quel­lo che poi tro­ve­re­mo pochi anni dopo (ad esem­pio il movi­men­to per la pace, il con­flit­to ambiente/economia, l’analisi del­la con­trap­po­si­zio­ne tra Nord e Sud del mon­do, nuo­vi model­li di svi­lup­po e nuo­vi rife­ri­men­ti teo­ri­ci comun­que ricon­du­ci­bi­li al filo­ne mar­xi­sta, uno per tut­ti Samir Amin ad esem­pio) for­se non sareb­be mai nato.

Ecco, anche se ven­go defi­ni­to (e per cer­ti ver­si a ragio­ne) un nostal­gi­co, repu­to che una discus­sio­ne sul 77 deb­ba anda­re oltre la mera cele­bra­zio­ne e sia neces­sa­rio riflet­te­re inve­ce pro­prio su tut­to ciò.

Sare­mo in gra­do di farlo?