Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Storia del movimento operaio, Teoria

Le origini e il significato dello stalinismo

Pre­sen­tia­mo oggi ai nostri let­to­ri un pre­ge­vo­le arti­co­lo di Kevin Mur­phy sull’ascesa del­lo sta­li­ni­smo all’indomani del­la Rivo­lu­zio­ne rus­sa del 1917. Il testo esa­mi­na le con­di­zio­ni che favo­ri­ro­no l’affermarsi di un fero­ce e bru­ta­le siste­ma repres­si­vo che nul­la ave­va a che vede­re con gli idea­li dell’Ottobre. In più, rico­strui­sce il pro­ces­so del­la col­let­ti­viz­za­zio­ne for­za­ta nel­le cam­pa­gne alla luce di una diver­sa e fecon­da ana­li­si del ruo­lo dei “kula­ki”.
Buo­na lettura.
La redazione

Le origini e il significato dello stalinismo


Kevin Murphy [*]

 

Quan­do il secon­do con­gres­so dei Soviet fu con­vo­ca­to, il 25 otto­bre 1917, 505 dei 670 dele­ga­ti par­te­ci­pa­ro­no con l’impegno di tra­sfe­ri­re “tut­to il pote­re ai soviet”[1]. Rap­pre­sen­ta­va­no cir­ca 402 soviet loca­li di lavo­ra­to­ri e sol­da­ti, che, com­pre­se le fami­glie, signi­fi­ca­va­no deci­ne di milio­ni di per­so­ne. Vent’anni dopo, il regi­me sta­li­ni­sta ave­va già incar­ce­ra­to alcu­ni milio­ni di pri­gio­nie­ri poli­ti­ci: Sta­lin fu per­so­nal­men­te respon­sa­bi­le dell’ordine – basa­to su quo­te deter­mi­na­te a prio­ri – di arre­star­ne alcu­ne cen­ti­na­ia di miglia­ia. Tra il 1937 e il 1938, il regi­me ave­va giu­sti­zia­to cir­ca 680.000 per­so­ne. Intel­let­tua­li anti­co­mu­ni­sti, peral­tro, han­no fat­to la loro car­rie­ra acca­de­mi­ca cer­can­do di sta­bi­li­re una con­ti­nui­tà tra il 1917 e il 1937, cioè legan­do all’esistenza del­la rivo­lu­zio­ne il siste­ma repres­si­vo sta­li­ni­sta come suo ine­vi­ta­bi­le risul­ta­to. I socia­li­sti han­no sem­pre respin­to quest’affermazione, ma è neces­sa­rio spie­ga­re la tra­ge­dia del­la Rivo­lu­zio­ne rus­sa e come fu pos­si­bi­le la nasci­ta del regi­me stalinista.
Con l’apertura degli archi­vi, non abbia­mo più biso­gno di spe­cu­la­re sul­la por­ta­ta e la bru­ta­li­tà del regi­me sta­li­ni­sta. Sono sta­ti con­ser­va­ti ver­ba­li det­ta­glia­ti di arre­sti, del­la repres­sio­ne e del­le ini­zia­ti­ve popo­la­ri con­tro que­ste poli­ti­che. Vor­rei rias­su­me­re alcu­ni degli even­ti cru­cia­li e i pun­ti di svol­ta nel­lo svi­lup­po del­lo sta­li­ni­smo alla luce del­le ricer­che che si sono val­se di que­sti docu­men­ti. Mi pia­ce­reb­be inol­tre, e fat­te le debi­te pro­por­zio­ni, rie­sa­mi­na­re cri­ti­ca­men­te le con­tro­ver­sie teo­ri­che sul­la natu­ra del regi­me stalinista.
Per comin­cia­re, ricor­do che, a cau­sa dell’arretratezza eco­no­mi­ca del­la Rus­sia, la stra­te­gia bol­sce­vi­ca del­la rivo­lu­zio­ne era basa­ta sull’aspettativa di una rivol­ta euro­pea. Nel soviet di Pie­tro­gra­do, il 25 otto­bre 1917, Lenin soste­ne­va: «Sare­mo aiu­ta­ti dal movi­men­to ope­ra­io mon­dia­le che sta comin­cian­do a svi­lup­par­si in Ita­lia, Gran Bre­ta­gna e Ger­ma­nia»[2]. Que­sto pun­to di vista era con­di­vi­so da tut­ti i bol­sce­vi­chi e fu ripe­tu­to cen­ti­na­ia di vol­te, anche da Sta­lin nel suo Fon­da­men­ti del leni­ni­smo (1924): «Pos­sia­mo vin­ce­re e assi­cu­ra­re la vit­to­ria defi­ni­ti­va del socia­li­smo in un solo Pae­se sen­za gli sfor­zi con­giun­ti dei pro­le­ta­ri di diver­si Pae­si avan­za­ti? Cer­ta­men­te no». Set­te mesi più tar­di, que­sto argo­men­to sareb­be sta­to rivi­sto: «For­mal­men­te, la vit­to­ria del­la rivo­lu­zio­ne in un Pae­se solo era con­si­de­ra­ta impos­si­bi­le. Ora que­sto pun­to di vista non si adat­ta più ai fat­ti»[3].
Il pro­no­sti­co del­la Rivo­lu­zio­ne rus­sa come l’anello di una cate­na di rivol­te euro­pee non si rea­liz­zò. Per un cer­to perio­do, nel 1918, con­si­gli ope­rai sor­se­ro in tut­ta la cosid­det­ta Euro­pa cen­tra­le. Non è que­sto il luo­go per discu­te­re di que­ste rivol­te, ma per un approc­cio inter­na­zio­na­le del­la tra­ge­dia del­la Rivo­lu­zio­ne rus­sa è fon­da­men­ta­le ricor­da­re la rivo­lu­zio­ne tede­sca del 1918, le occu­pa­zio­ni del­le fab­bri­che in Ita­lia nel 1920, e così via.
Va anche ricor­da­to che i bol­sce­vi­chi ave­va­no ere­di­ta­to una cata­stro­fe eco­no­mi­ca di enor­mi pro­por­zio­ni. La tri­ste real­tà fu che, inve­ce di un aiu­to alla rivo­lu­zio­ne rus­sa da par­te dei lavo­ra­to­ri euro­pei, fu la con­tro­ri­vo­lu­zio­ne ad esse­re soste­nu­ta dal­le clas­si domi­nan­ti euro­pee, sia attra­ver­so un inter­ven­to mili­ta­re diret­to che gra­zie ad aiu­ti agli eser­ci­ti bian­chi. Sareb­be più giu­sto defi­ni­re la deva­sta­zio­ne del 1918 e del 1920 non guer­ra civi­le, ben­sì guer­ra impe­ria­li­sta, poi­ché sen­za il soste­gno stra­nie­ro le debo­li for­ze bian­che non sareb­be­ro sta­te in gra­do di costrui­re un eser­ci­to. Quan­do le for­ze bian­che anti­so­vie­ti­che si avvi­ci­na­ro­no a Rostov, nel­la pri­ma­ve­ra del 1918, era­no essen­zial­men­te un cor­po mili­ta­re pro­fes­sio­na­le ma non un eser­ci­to: due ter­zi dei 3.685 uomi­ni era­no uffi­cia­li, di cui 36 gene­ra­li e 200 colon­nel­li[4]. Alla fine dell’estate del 1918, oltre 150.000 sol­da­ti stra­nie­ri si tro­va­va­no in Rus­sia offren­do un sup­por­to cru­cia­le alle posi­zio­ni bian­che su tut­to il fron­te set­ten­trio­na­le, l’Ucraina e il Cau­ca­so. Le navi con­tai­ner degli allea­ti rifor­ni­va­no i bian­chi di cen­ti­na­ia di miglia­ia di fuci­li, mil­le pez­zi di arti­glie­ria con milio­ni di col­pi di mor­ta­io, set­te­mi­la mitra­glia­tri­ci, due­cen­to aero­pla­ni e un cen­ti­na­io di car­ri arma­ti. Gran par­te di que­sto soste­gno ini­zia­le ven­ne dal­la Gran Bre­ta­gna e dal­la Fran­cia, ma il Segre­ta­rio di Sta­to ame­ri­ca­no Robert Lan­sing ave­va con­vin­to Woo­drow Wil­son a finan­zia­re segre­ta­men­te gli eser­ci­ti bian­chi con deci­ne di milio­ni di dol­la­ri, nel ten­ta­ti­vo di inse­dia­re un “gover­no rus­so sta­bi­le” attra­ver­so una “dit­ta­tu­ra mili­ta­re”[5].
Con il dete­rio­ra­men­to del­le con­di­zio­ni di vita e degli approv­vi­gio­na­men­ti, i lavo­ra­to­ri di Mosca, Pie­tro­gra­do e altri cen­tri si tra­sfe­ri­ro­no nel­le cam­pa­gne in cer­ca di cibo. Ho docu­men­ta­to, in una mia ricer­ca, l’impatto del­la guer­ra civi­le tra i lavo­ra­to­ri del­la fab­bri­ca Fal­ce e Mar­tel­lo di Mosca. Degli oltre 3.000 ope­rai nel 1917, solo 772 era­no impie­ga­ti a metà giu­gno 1920 e, a cau­sa del­la man­can­za di com­bu­sti­bi­le, la fab­bri­ca pro­dus­se solo il 2% del metal­lo rea­liz­za­to pri­ma del­la guer­ra. La pro­du­zio­ne indu­stria­le in Unio­ne Sovie­ti­ca alla fine del­la guer­ra civi­le fu di cir­ca un quin­to rispet­to a pri­ma del­la guer­ra[6]. La clas­se ope­ra­ia indu­stria­le era sta­ta a tal pun­to deva­sta­ta – sia nume­ri­ca­men­te che poli­ti­ca­men­te – che Lenin arri­vò a dichia­ra­re che il pro­le­ta­ria­to ave­va «ces­sa­to di esi­ste­re in quan­to tale»[7]. Per i mar­xi­sti dell’epoca, ciò rap­pre­sen­ta­va a dir poco un dilem­ma teorico.
In quan­to mate­ria­li­sti, i mar­xi­sti devo­no rico­no­sce­re che que­sta cata­stro­fe socia­le, eco­no­mi­ca e poli­ti­ca dura­ta set­te anni di guer­ra e di guer­ra civi­le ha reso mol­to fra­gi­li le pos­si­bi­li­tà di costrui­re il socia­li­smo. Mori­ro­no cir­ca tre milio­ni di sol­da­ti, e, pre­ma­tu­ra­men­te, tre­di­ci milio­ni di civi­li, la mag­gior par­te dei qua­li duran­te la care­stia e le epi­de­mie di influen­za tra il 1921 e il 1923[8].

Con­ta­di­ni rus­si con i resti di esse­ri uma­ni can­ni­ba­liz­za­ti (1921)

Poli­ti­ca­men­te, gli impe­ra­ti­vi del­la guer­ra civi­le e la rot­tu­ra degli altri socia­li­sti con il pote­re sovie­ti­co signi­fi­cò per i bol­sce­vi­chi, anzi­ché un siste­ma sovie­ti­co plu­ra­li­sti­co, dover sosti­tui­re alla demo­cra­zia del soviet degli ope­rai e dei sol­da­ti, il loro stes­so domi­nio. Nel gen­na­io del 1921, Lenin dichia­rò: «Dob­bia­mo ave­re il corag­gio di affron­ta­re l’amara veri­tà. Il par­ti­to è mala­to», e defi­nì lo Sta­to che era soprav­vis­su­to alla guer­ra civi­le «uno Sta­to ope­ra­io con defor­ma­zio­ni buro­cra­ti­che»[9].
La por­ta­ta di que­sta distor­sio­ne buro­cra­ti­ca era enor­me. Alla fine del­la guer­ra civi­le, lo Sta­to occu­pa­va qua­si sei milio­ni di impie­ga­ti, cin­que vol­te il nume­ro di lavo­ra­to­ri dell’industria dell’epoca[10]. Fu gra­zie a que­sta buro­cra­zia che Sta­lin costruì la pro­pria per­so­na­le dit­ta­tu­ra. Il Par­ti­to comu­ni­sta ave­va cir­ca 400.000 fun­zio­na­ri, e mol­ti sto­ri­ci oggi con­cor­da­no sul fat­to che a par­ti­re dal 1922, come Segre­ta­rio gene­ra­le del Comi­ta­to cen­tra­le, Sta­lin uti­liz­zò la sua posi­zio­ne ammi­ni­stra­ti­va a pro­prio van­tag­gio. Con uno staff per­so­na­le di oltre 600 mem­bri nel­la segre­te­ria del par­ti­to, Sta­lin fu in gra­do di costrui­re una fede­le rete di con­trol­lo all’interno dell’apparato del par­ti­to, indi­can­do a tut­ti i livel­li fun­zio­na­ri fida­ti, eli­mi­nan­do i dis­si­den­ti e usan­do la poli­zia segre­ta (Gpu) con­tro gli avver­sa­ri poli­ti­ci[11].
Per inten­de­re lo sta­li­ni­smo è neces­sa­ria una com­pren­sio­ne teo­ri­ca del­le aspi­ra­zio­ni che la buro­cra­zia rap­pre­sen­ta­va. Dai diver­si libri che Tro­tsky scris­se sul­lo sta­li­ni­smo e la buro­cra­zia, si può dedur­re che egli cam­biò posi­zio­ne mol­te vol­te, la sua ana­li­si era dina­mi­ca ma a vol­te con­trad­dit­to­ria. Alcu­ni dei suoi argo­men­ti sono mol­to più uti­li di altri e alcu­ni si basa­no su evi­den­ti erro­ri fattuali.
Nel 1930, Tro­tsky giun­se a una con­clu­sio­ne mol­to uti­le riguar­do allo sta­li­ni­smo e alla buro­cra­zia: «Sta­lin non ha crea­to l’apparato. È sta­to l’apparato a crea­re lui»[12]. Que­sta nozio­ne di sta­li­ni­smo come rap­pre­sen­ta­zio­ne del­le aspi­ra­zio­ni del­la buro­cra­zia è piut­to­sto uti­le, poi­ché lo sta­li­ni­smo ave­va una base socia­le. Lenin stes­so, nel mar­zo del 1922, per­ce­pì la rela­ti­va auto­no­mia del­lo Stato:

«Lo Sta­to è nel­le nostre mani, ma ha for­se fun­zio­na­to a modo nostro, nel­le con­di­zio­ni del­la nuo­va poli­ti­ca eco­no­mi­ca? No … La mac­chi­na sfug­ge dal­le mani di chi la gui­da; si direb­be che qual­cu­no si sia sedu­to al volan­te e gui­di que­sta mac­chi­na, che però non va nel­la dire­zio­ne volu­ta, qua­si fos­se gui­da­to da una mano segre­ta, ille­ga­le, Dio solo sa da chi, for­se da uno spe­cu­la­to­re o da un capi­ta­li­sta pri­va­to o da tut­ti e due insie­me. Il fat­to è che la mac­chi­na va non nel­la dire­zio­ne imma­gi­na­ta da chi sie­de al volan­te, anzi tal­vol­ta va nel­la dire­zio­ne oppo­sta»[13].

Nel 1928, Tro­tsky comin­ciò a defi­ni­re la buro­cra­zia sovie­ti­ca come un regi­me bona­par­ti­sta. In Sta­to e rivo­lu­zio­ne, Lenin ave­va sin­te­tiz­za­to il ruo­lo del­lo Sta­to come uno stru­men­to di sfrut­ta­men­to del­la clas­se oppres­sa, pur aven­do anche cita­to Engels sul­la “ecce­zio­ne” in «perio­di in cui le clas­si in lot­ta han­no for­ze pres­so­ché ugua­li, cosic­ché il pote­re sta­ta­le, in qua­li­tà di appa­ren­te media­to­re, momen­ta­nea­men­te acqui­sta una cer­ta auto­no­mia di fron­te ad entram­be». Così è sta­to nel caso del bona­par­ti­smo del Pri­mo e del Secon­do Impe­ro in Fran­cia, di Bismarck in Ger­ma­nia e, aggiun­ge­va Lenin, di Keren­sky nel 1917. Già nel 1928, Tro­tsky ini­ziò a descri­ve­re il regi­me sta­li­ni­sta all’interno di que­sto qua­dro teo­ri­co, come “keren­ski­smo al con­tra­rio”. Que­sto model­lo rias­su­me gran par­te del suo pen­sie­ro sul­lo sta­li­ni­smo, poi­ché Tro­tsky si è rife­ri­to al bona­par­ti­smo sovie­ti­co in cir­ca un cen­ti­na­io di arti­co­li e inter­vi­ste nei suc­ces­si­vi dodi­ci anni. E più tar­di avreb­be argo­men­ta­to che alla fine del 1924 ave­va trion­fa­to il Ter­mi­do­ro, cioè che da quel momen­to in poi il domi­nio sta­li­ni­sta sul par­ti­to era diven­ta­to defi­ni­ti­vo[14].
Come Moshe Lewin ha dimo­stra­to, ben­ché mala­to Lenin avreb­be potu­to resi­ste­re alla poli­ti­ca e all’uso dell’apparato da par­te di Sta­lin[15]. È noto, inol­tre, che i dele­ga­ti bol­sce­vi­chi del X Con­gres­so del par­ti­to, nel mar­zo 1921, era­no sta­ti demo­cra­ti­ca­men­te elet­ti sul­la base dell’adesione a una del­le tre con­trap­po­ste piat­ta­for­me, i cui pro­gram­mi era­no sta­ti pub­bli­ca­ti sul­la Pra­v­da, e che due fra­zio­ni mino­ri­ta­rie ave­va­no pre­sen­ta­to le pro­prie tesi espo­nen­do­le ampia­men­te[16]. Non­di­me­no, l’indicazione di Sta­lin come segre­ta­rio gene­ra­le da par­te di Lenin e la linea appro­va­ta dal con­gres­so di vie­ta­re le fra­zio­ni cer­ta­men­te con­tri­buì al raf­for­za­men­to del­le ten­den­ze buro­cra­ti­che nell’apparato.
In che modo i mar­xi­sti devo­no valu­ta­re i pri­mor­di del regi­me sovie­ti­co e le sue “distor­sio­ni buro­cra­ti­che”, per usa­re le paro­le di Lenin? Seb­be­ne la carat­te­riz­za­zio­ne di Lenin sia accu­ra­ta, essa appa­re insuf­fi­cien­te per descri­ve­re il siste­ma, spes­so con­trad­dit­to­rio e in evo­lu­zio­ne, degli anni 20. Sug­ge­ri­rei di uti­liz­za­re il model­lo bona­par­ti­sta di Tro­tsky nell’analisi dell’avvento del­lo sta­li­ni­smo, ma con un’importante cri­ti­ca. Il model­lo bona­par­ti­sta descri­ve l’autonomia rela­ti­va del­lo Sta­to che oscil­la tra le clas­si in con­flit­to acu­to. Tro­tsky ha soste­nu­to che lo Sta­to oscil­la­va tra gli inte­res­si del­la clas­se ope­ra­ia, il che è par­zial­men­te vero, e la pres­sio­ne dei “kula­ki”, i con­ta­di­ni ric­chi, la qual cosa non è cor­ret­ta. Nei suoi ulti­mi scrit­ti, Tro­tsky abban­do­nò i rife­ri­men­ti ai kula­ki e comin­ciò ad enfa­tiz­za­re lo Sta­to in sé come una clas­se in com­bat­ti­men­to[17].
Per quan­to que­sta affer­ma­zio­ne sia sta­ta fat­ta in ritar­do, offre un model­lo per guar­da­re alle dif­fe­ren­ti pres­sio­ni socia­li e alla base di soste­gno a Sta­lin duran­te la Nep (la Nuo­va Poli­ti­ca Eco­no­mi­ca nel perio­do tra il 1921 e il 1928). In effet­ti, un model­lo bona­par­ti­sta rive­du­to for­ni­sce un qua­dro teo­ri­co per la com­pren­sio­ne del­lo svi­lup­po del­lo sta­li­ni­smo e del­le ten­den­ze in lot­ta fra loro all’interno dell’apparato duran­te la mag­gior par­te degli anni 20. Però, deb­bo sot­to­li­nea­re come Tro­tsky si sia sba­glia­to sul­le clas­si con­ten­den­ti, dato che la buro­cra­zia stes­sa era una del­le clas­si con­ten­den­ti, piut­to­sto che i “kula­ki”.

Kula­ki

Il prin­ci­pio sta­li­ni­sta del 1924, “il socia­li­smo in un pae­se solo”, era un appel­lo alla sta­bi­li­tà all’interno dell’apparato. Men­tre Sta­lin anda­va costruen­do la sua fede­le mac­chi­na all’interno dell’apparato, era anche un soste­ni­to­re del­la Nep e del­le poli­ti­che sin­da­ca­li intro­dot­te da Lenin. Poli­ti­che che in segui­to sareb­be­ro entra­te in col­li­sio­ne con gli inte­res­si del­lo Sta­to. Nono­stan­te la cata­stro­fe eco­no­mi­ca del­la guer­ra civi­le, lo Sta­to sovie­ti­co ave­va avvia­to una serie di poli­ti­che duran­te la Nep che era­no espres­sa­men­te a favo­re dei lavo­ra­to­ri e mol­to lon­ta­ne dal­le rela­zio­ni indu­stria­li capi­ta­li­ste. Al X con­gres­so del par­ti­to nel mar­zo del 1921, la posi­zio­ne sin­da­ca­le di Lenin enfa­tiz­zò la per­sua­sio­ne a sca­pi­to del­la coer­ci­zio­ne. Il Codi­ce del Lavo­ro del novem­bre 1922 sta­bi­li­va che i sala­ri sareb­be­ro sta­ti nego­zia­ti attra­ver­so accor­di col­let­ti­vi di con­trat­ta­zio­ne tra le ammi­ni­stra­zio­ni del­le indu­strie e i sin­da­ca­ti, in cui i lavo­ra­to­ri avreb­be­ro avu­to voce in capi­to­lo e il dirit­to di rati­fi­ca­re i con­trat­ti. Le Com­mis­sio­ni di Arbi­tra­to del­le Ver­ten­ze (Rkk), com­po­ste da ammi­ni­stra­to­ri e lavo­ra­to­ri, si sareb­be­ro occu­pa­te di ver­ten­ze non con­trat­tua­li; la gior­na­ta lavo­ra­ti­va sareb­be sta­ta limi­ta­ta a 8 ore (6 ore per i gio­va­ni); lo straor­di­na­rio sareb­be sta­to com­pen­sa­to in misu­ra pari al 150% dell’orario nor­ma­le; le don­ne avreb­be­ro rice­vu­to un con­ge­do di mater­ni­tà retri­bui­to equi­va­len­te a sedi­ci set­ti­ma­ne[18].
Lo sto­ri­co E.H. Carr ha defi­ni­to que­sto perio­do come un “dif­fi­ci­le com­pro­mes­so”, il che appa­re un’idea uti­le se asso­cia­ta al model­lo bona­par­ti­sta per descri­ve­re un con­te­sto di “tre­gua” tem­po­ra­nea di clas­se. Cen­tra­le in que­sto impe­gno era la garan­zia da par­te del­lo Sta­to del rego­la­re aumen­to del­le retri­bu­zio­ni dei lavo­ra­to­ri in modo che nel 1926 que­sti diven­tas­se­ro sala­ri rea­li, appros­si­ma­ti­va­men­te pari a quel­li del 1914, pri­ma del­la guer­ra, quan­do la gior­na­ta lavo­ra­ti­va era anco­ra di otto ore, e non di die­ci[19]. Gli scio­pe­ri nel perio­do del­la Nep ven­ne­ro risol­ti con la per­sua­sio­ne e l’arbitrato piut­to­sto che con la repres­sio­ne. Rego­la­ri rap­por­ti men­si­li invia­ti a Sta­lin tra il 1922 e il 1928 indi­ca­va­no che sol­tan­to in cin­que situa­zio­ni i lavo­ra­to­ri era­no sta­ti arre­sta­ti duran­te gli scio­pe­ri e che il 45% di tut­ti gli scio­pe­ri era sta­to risol­to con la con­ces­sio­ne ai lavo­ra­to­ri di alcu­ne del­le loro richie­ste[20]. Evi­den­ze di que­sti rap­por­ti con­fu­ta­no la tesi del­la rei­te­ra­ta repres­sio­ne così lar­ga­men­te ripre­sa dal­la sto­rio­gra­fia sovie­ti­ca del lavoro.
Nel­la fab­bri­ca Fal­ce e Mar­tel­lo, il sin­da­ca­to dei metal­mec­ca­ni­ci e lo Zhe­not­del – l’organizzazione del­le don­ne – ave­va­no a cuo­re i pro­ble­mi dei lavo­ra­to­ri all’inizio del­la Nep, ma mol­to meno a par­ti­re dal 1928. Il sin­da­ca­to dei metal­mec­ca­ni­ci si scon­trò siste­ma­ti­ca­men­te con­tro l’amministrazione su assun­zio­ni, ora­rio di lavo­ro, cate­go­rie sala­ria­li e pro­ble­ma­ti­che varie del­lo sta­bi­li­men­to, al pun­to che, nel 1925, la fab­bri­ca riven­di­cò che fos­se­ro i rap­pre­sen­tan­ti sin­da­ca­li – e non già gli ammi­ni­stra­to­ri – a dete­ne­re il rea­le con­trol­lo nel­le offi­ci­ne[21].
I sin­da­ca­ti pote­va­no anche devol­ve­re le ver­ten­ze ad un “arbi­tra­to”. L’arbitrato era uti­le solo se gli ope­rai rite­ne­va­no che ci sareb­be sta­ta una ragio­ne­vo­le pos­si­bi­li­tà di vit­to­ria. Nel 1924, la Com­mis­sio­ne di Arbi­tra­to del­le Ver­ten­ze nel­la fab­bri­ca Fal­ce e Mar­tel­lo gestì casi che coin­vol­ge­va­no più di 13.000 lavo­ra­to­ri (tre vol­te le dimen­sio­ni del­la for­za lavo­ro in fab­bri­ca) e il 65% del­le con­tro­ver­sie si risol­se a favo­re dei lavo­ra­to­ri[22]. Que­ste pro­ce­du­re arbi­tra­li di ver­ten­ze sul lavo­ro si svol­se­ro allo stes­so modo in tut­ta l’Unione Sovie­ti­ca. Negli ulti­mi tre anni del­la Nep più di 8.000 casi, che coin­vol­ge­va­no set­te milio­ni di lavo­ra­to­ri, furo­no risol­ti attra­ver­so l’arbitrato[23].
Le riu­nio­ni quin­di­ci­na­li del­le don­ne costi­tui­va­no lo spa­zio in cui le don­ne del­la fab­bri­ca Fal­ce e Mar­tel­lo pote­va­no discu­te­re su sala­ri, assi­sten­za all’infanzia, bene­fi­ci per la salu­te, ammi­ni­stra­to­ri vio­len­ti. Pote­va­no anche chie­de­re il soste­gno sia del par­ti­to che del sin­da­ca­to dei metal­mec­ca­ni­ci e atten­der­si una rispo­sta posi­ti­va. La par­te­ci­pa­zio­ne volon­ta­ria di oltre la metà del­le lavo­ra­tri­ci a que­sti incon­tri illu­stra bene il modo in cui esse apprez­za­va­no quel­lo spa­zio. Dal 1927, tut­ta­via, quan­do il par­ti­to comin­ciò a dare la prio­ri­tà alla pro­dut­ti­vi­tà rispet­to a tut­te le altre que­stio­ni, le don­ne per­se­ro inte­res­se e sem­pli­ce­men­te smi­se­ro di par­te­ci­pa­re a que­sti incon­tri[24].
Nel suo eccel­len­te stu­dio, The Birth of Sta­li­ni­sm (La nasci­ta del­lo sta­li­ni­smo), lo sto­ri­co ceco Michael Rei­man for­ni­sce un fon­da­men­ta­le argo­men­to sul­le ori­gi­ni del siste­ma sta­li­ni­sta. Men­tre Sta­lin ave­va il con­trol­lo dell’apparato sta­ta­le nei pri­mi anni 20, le sue suc­ces­si­ve poli­ti­che socia­li repres­si­ve furo­no una rea­zio­ne alla pro­fon­da cri­si socia­le che segnò la fase fina­le del­la Nep. Mol­ti fat­to­ri com­bi­na­ti con­tri­bui­ro­no a que­sta cri­si. Innan­zi­tut­to, il rac­col­to del 1927 fu così scar­so che, all’inizio del 1928, fu intro­dot­to il razio­na­men­to del cibo. Il rac­col­to del 1928 fu anco­ra peg­gio­re. Alla cri­si nel­le cam­pa­gne si aggiun­se una cri­si nel set­to­re indu­stria­le. Se da un lato l’economia sovie­ti­ca era tor­na­ta dal 1927 ai livel­li pre­bel­li­ci, i mac­chi­na­ri comin­cia­ro­no a gua­star­si e non c’erano più fon­di per un’ulteriore espan­sio­ne indu­stria­le. Ipe­rin­fla­zio­ne, man­can­za di cibo e la cre­scen­te disoc­cu­pa­zio­ne por­ta­ro­no a dif­fu­si pro­ces­si di disor­di­ni urba­ni. Rei­man ha dimo­stra­to che lo sta­li­ni­smo, più che un pia­no ben con­ge­gna­to, fu una rispo­sta “estre­ma” del­lo Sta­to a que­sta cri­si. Ciò com­por­ta­va la requi­si­zio­ne for­za­ta del gra­no dei con­ta­di­ni, pre­lu­dio alla col­let­ti­viz­za­zio­ne for­za­ta che sareb­be segui­ta[25].

Un pic­co­lo empo­rio in un vil­lag­gio rus­so duran­te la Nep

Que­sta cri­si del­la Nep nel­la sua fase fina­le è impor­tan­te per com­pren­de­re le poli­ti­che socia­li del­lo sta­li­ni­smo. Men­tre è chia­ro fin dall’inizio che Sta­lin aspi­ra­va ad esse­re un dit­ta­to­re, non è sta­to tro­va­to nul­la negli archi­vi del Polit­bu­ro o nei ver­ba­li del­le riu­nio­ni del comi­ta­to cen­tra­le che for­nis­se la pro­va che lo sta­li­ni­smo era sta­to pro­get­ta­to o con­ce­pi­to come siste­ma socia­le pri­ma del 1928. Le poli­ti­che dra­co­nia­ne del­lo sta­li­ni­smo furo­no una rispo­sta a que­sta pro­fon­da cri­si sociale.
La fab­bri­ca Fal­ce e Mar­tel­lo, nel 1928, illu­stra la rispo­sta a que­sta cri­si. Gli ope­rai era­no mol­to più cri­ti­ci ver­so l’organizzazione del par­ti­to, il sin­da­ca­to dei metal­mec­ca­ni­ci, i comi­ta­ti di fab­bri­ca e la sezio­ne fem­mi­ni­le. Un qua­dro diri­gen­te fem­mi­ni­le di lun­go cor­so del comi­ta­to di fab­bri­ca doman­dò: «Ma il par­ti­to è un isti­tu­to cor­re­zio­na­le? Per­ché si accet­ta­no tut­ti i tipi del­la peg­gio­re spe­cie e ven­go­no con­fer­ma­ti quel­li che com­met­to­no azio­ni ripro­ve­vo­li?». Un’altra dichia­rò: «Io non entre­rò nel par­ti­to per­ché i comu­ni­sti sono diso­ne­sti e ladri». Quan­do un mem­bro del Comi­ta­to Cen­tra­le, Mikoyan, par­lò in fab­bri­ca, rice­vet­te una lun­ga lista di doman­de e dichia­ra­zio­ni osti­li, tra cui una secon­do cui «L’amministratore è un sac­cheg­gia­to­re», e un’altra con cui veni­va così rim­pro­ve­ra­to: «Com­pa­gno ora­to­re, in ogni riu­nio­ne tut­ti noi ci sen­tia­mo dire da te che in que­sta cit­tà ci sono kula­ki … se esa­mi­ne­rai gli abi­tan­ti e poi le loro pro­prie­tà, i dati ti dimo­stre­ran­no chi è un kulak sul­la base del­le pro­prie­tà»[26].
La regres­sio­ne del sin­da­ca­to dei metal­mec­ca­ni­ci fece sì che gli ope­rai fos­se­ro più cri­ti­ci nei suoi con­fron­ti. «Il comi­ta­to di fab­bri­ca ha per­so … la sua auto­ri­tà» a cau­sa dei bas­si sala­ri. «Il prez­zo dei gene­ri ali­men­ta­ri aumen­ta e i sala­ri no, vive­re è diven­ta­to dif­fi­ci­le per i lavo­ra­to­ri». Un altro ope­ra­io affer­mò che «i mem­bri del comi­ta­to di fab­bri­ca si schie­ra­no con la dire­zio­ne e han­no timo­re di difen­de­re con fer­mez­za gli inte­res­si dei lavo­ra­to­ri». Gli ope­rai cri­ti­ca­va­no anche la com­mis­sio­ne per le ver­ten­ze, poi­ché la mag­gior par­te dei con­flit­ti era­no sta­ti deci­si a favo­re dell’amministrazione. A feb­bra­io, le don­ne dell’officina di pro­du­zio­ne dei bul­lo­ni orga­niz­za­ro­no uno scio­pe­ro e mise­ro sot­to accu­sa il comi­ta­to di fab­bri­ca e l’amministrazione per l’atteggiamento di chiu­su­ra che li por­ta­va ad igno­ra­re le loro richie­ste. In occa­sio­ne del­la Gior­na­ta inter­na­zio­na­le del­la don­na nel 1928, un grup­po di don­ne fece irru­zio­ne duran­te le cele­bra­zio­ni e, «urlan­do come del­le osses­se», inter­rup­pe il discor­so degli ora­to­ri maschi, per poi esse­re allon­ta­na­to con la for­za[27].
Signi­fi­ca­ti­va­men­te, l’Opposizione uni­fi­ca­ta inter­cet­tò la rab­bia di mol­ti lavo­ra­to­ri nel 1928, anche più di un anno pri­ma, quan­do fu espul­sa. Un rap­por­to invia­to a Tro­tsky nell’ottobre del 1928 mostra che i tro­tski­sti era­no mol­to atti­vi in parec­chie cit­tà ucrai­ne, tra cui Khar­kov, Kiev, Eka­te­ri­no­slav, Odes­sa e nel­la regio­ne mine­ra­ria del Don­bass, dove un anno pri­ma non ave­va­no alcun sup­por­to. A Kra­sno­iar­sk ave­va­no mem­bri nel­le tre più gran­di fab­bri­che. A Eka­te­ri­no­slav l’Opposizione di sini­stra aumen­tò da 100 a 220 mili­tan­ti, di cui il 99% era costi­tui­to da ope­rai. I tro­tski­sti fece­ro pro­gres­si anche nel­la cin­tu­ra indu­stria­le del­la Rus­sia cen­tra­le, tra cui Mosca, Lenin­gra­do, Tula, Iva­no­vo e Sara­tov, e nel Cau­ca­so a Tbi­li­si e Baku[28].
Il pri­mo pia­no quin­quen­na­le, avvia­to retroat­ti­va­men­te nell’ultimo tri­me­stre del 1928, rap­pre­sen­tò un pun­to di svol­ta nel­la sto­ria sovie­ti­ca. I com­ples­si dibat­ti­ti eco­no­mi­ci duran­te la Nep si con­cen­tra­ro­no sull’accumulazione di suf­fi­cien­te capi­ta­le a par­ti­re dall’aumento del­le tas­se per i con­ta­di­ni che appa­ri­va­no più ric­chi. La bru­ta­le col­let­ti­viz­za­zio­ne e indu­stria­liz­za­zio­ne di Sta­lin non fu nient’altro che un’offensiva a tut­to cam­po sia con­tro la clas­se ope­ra­ia che con­tro i con­ta­di­ni, affin­ché entram­bi pagas­se­ro per l’industrializzazione.

Una riu­nio­ne per spie­ga­re ai con­ta­di­ni i van­tag­gi del­la collettivizzazione

La col­let­ti­viz­za­zio­ne spin­se milio­ni di ex con­ta­di­ni a tra­sfe­rir­si nel­le cit­tà.  Lo sto­ri­co dell’economia Alec Nove osser­va che l’offensiva sta­li­ni­sta con­tro la clas­se ope­ra­ia e i con­ta­di­ni por­tò «al più pesan­te abbas­sa­men­to del teno­re di vita che si cono­sca nel­la sto­ria docu­men­ta­ta in tem­po di pace», una regres­sio­ne che com­por­tò «la fame e la mise­ria di mas­sa»[29]. Nel­le fab­bri­che, i sin­da­ca­ti ven­ne­ro tra­sfor­ma­ti in orga­ni di pro­dut­ti­vi­tà del­lo Sta­to, le ore di lavo­ro furo­no este­se a 60 alla set­ti­ma­na, il dis­sen­so aper­to mes­so a tace­re. La poli­zia poli­ti­ca, l’Ogpu, così regi­stra­va i sen­ti­men­ti dei lavo­ra­to­ri di Mosca:

«I nostri poli­ti­ci dilet­tan­ti han­no por­ta­to il Pae­se alla mise­ria estre­ma».

«Dico­no che la situa­zio­ne mate­ria­le dei lavo­ra­to­ri stia miglio­ran­do. Sì, miglio­ra­ta con pane sec­co e acqua, a vol­te ver­ze. Sie­te tut­ti paras­si­ti, paras­si­ti peg­gio­ri dei buro­cra­ti e degli arri­vi­sti zari­sti. Que­sto è lo Sta­to che ave­te dato ai lavo­ra­to­ri. Sia­mo affa­ma­ti, e non pos­sia­mo lavo­ra­re fino a quan­do non ci dare­te pane, car­ne, case e vesti­ti».

«Pre­fe­ri­vo la guer­ra per­ché sono stan­co di que­sto regi­me. Non c’è car­ne; non c’è pane; non c’è nien­te. Fac­cia­mo la fila per tut­to. È un pec­ca­to che io non abbia più nul­la nel mio vil­lag­gio, per­ché me ne sarei anda­to e sarei tor­na­to lì».

«Geni, che si fot­ta­no. Tut­to quel­lo che san­no fare è men­di­ca­re e chie­de­re soldi».

«Fan­cu­lo a tut­ti. Che tipo di pote­re sovie­ti­co è que­sto se mia moglie deve fare sei ore di fila per un pez­zo di pane?».

«Spe­ro che vi por­ti via il dia­vo­lo. Tut­to ciò che dite è una bugia. Una vol­ta al mese ci date pata­te mar­ce e nem­me­no un po’ di zup­pa per le fami­glie. Potes­si­mo vive­re alme­no un gior­no come pri­ma: tut­to ciò di cui ave­va­mo biso­gno era dispo­ni­bi­le. L’unica cosa che san­no fare oggi è ruba­re ai con­ta­di­ni, distrug­ge­re le chie­se e get­ta­re per­so­ne in pri­gio­ni. Bastar­di, ban­di­ti».[30]

Que­sti pochi esem­pi del­la fab­bri­ca Fal­ce e Mar­tel­lo e degli ope­rai del­le fab­bri­che vici­ne si ripe­to­no in miglia­ia di rap­por­ti redat­ti dal­la Gpu per Sta­lin, il qua­le era con­sa­pe­vo­le del­la mise­ria e del mal­con­ten­to nel­le cam­pa­gne e nel­le fab­bri­che[31]. Non­di­me­no, pochi casi di resi­sten­za orga­niz­za­ta ven­ne­ro regi­stra­ti nel­le fabbriche.

Ope­ra­ie del­la fab­bri­ca Fal­ce e Martello

L’unica ecce­zio­ne si veri­fi­cò nel cen­tro dell’industria tes­si­le nel­la regio­ne di Iva­no­vo, come dimo­stra lo stu­dio di Jef­frey Ross­man, Wor­ker Resi­stan­ce to Sta­li­ni­sm (Resi­sten­za ope­ra­ia allo sta­li­ni­smo). Iva­no­vo è sta­ta il tea­tro di alcu­ni dei più gran­di scio­pe­ri duran­te il pri­mo pia­no quin­quen­na­le, e la rivol­ta di Vir­chu­ga nell’aprile del 1932 può esse­re defi­ni­ta un’insurrezione loca­le. Cir­ca 15.000 lavo­ra­to­ri tes­si­li si sol­le­va­ro­no con­tro la fame cau­sa­ta del razio­na­men­to e orga­niz­za­ro­no un comi­ta­to di scio­pe­ro, scon­tran­do­si con la poli­zia con pie­tre e basto­ni. Gli ope­rai di Vir­chu­ga attac­ca­ro­no i palaz­zi del pote­re, com­pre­si gli uffi­ci sia del par­ti­to che del­la poli­zia poli­ti­ca, mal­me­nan­do e minac­cian­do di mor­te i fun­zio­na­ri sta­ta­li. I ribel­li occu­pa­ro­no il cen­tro cit­ta­di­no, con i diri­gen­ti del­lo scio­pe­ro che dichia­ra­va­no: «Non abbia­mo distrut­to il soviet, ma l’Ogpu (la poli­zia poli­ti­ca), la poli­zia civi­le e il comi­ta­to distret­tua­le del par­ti­to»[32].
In un tele­gram­ma a Kali­nin, mem­bro del Comi­ta­to cen­tra­le, un diri­gen­te loca­le del par­ti­to rife­ri­va: «In segui­to alla ridu­zio­ne del­le razio­ni ali­men­ta­ri, una mas­sa di 15.000 ope­rai ha lascia­to le fab­bri­che e ha ces­sa­to il lavo­ro cin­que gior­ni fa. Gli scon­tri fra i lavo­ra­to­ri e la poli­zia e gli orga­ni dell’Ogpu sono sta­ti san­gui­no­si … Gli ope­rai voglio­no che tre rap­pre­sen­tan­ti del Comi­ta­to Ese­cu­ti­vo dei Soviet ven­ga­no imme­dia­ta­men­te sul posto per risol­ve­re il con­flit­to». Ci sono riscon­tri del fat­to che con­ta­di­ni arma­ti di asce e zap­pe si sia­no sol­le­va­ti in segno di soli­da­rie­tà, attac­can­do il soviet del vil­lag­gio per «dare loro una lezio­ne». È signi­fi­ca­ti­va la cir­co­stan­za che il mem­bro del Comi­ta­to cen­tra­le, Kaga­no­vich, per­so­nag­gio par­ti­co­lar­men­te spie­ta­to, abbia rispo­sto non già con la repres­sio­ne, ma con­ce­den­do ai lavo­ra­to­ri un aumen­to del­le razio­ni ali­men­ta­ri[33].
E dun­que, come con­si­de­ra­re la dif­fe­ren­za tra la laten­te avver­sio­ne dei lavo­ra­to­ri ver­so le poli­ti­che sta­li­ni­ste nel­la mag­gior par­te dell’Unione Sovie­ti­ca e inve­ce il com­por­ta­men­to degli ope­rai di Iva­no­vo, che deci­se­ro di pas­sa­re all’azione mili­tan­te? Ross­man sot­to­li­nea che le dure con­di­zio­ni dei lavo­ra­to­ri tes­si­li schiac­cia­ro­no que­sti ulti­mi mol­to più che in altre indu­strie. Inol­tre, la più alta per­cen­tua­le di don­ne nel­le offi­ci­ne por­tò a un mag­gior nume­ro di scio­pe­ri – dal momen­to che le don­ne era­no mag­gior­men­te gra­va­te dal­la caren­za di cibo e dai cari­chi di lavo­ro, e poi­ché «era­no più libe­re, rispet­to agli uomi­ni, di impe­gnar­si in atti di pro­te­sta» sen­za esse­re licen­zia­te o arre­sta­te – il che era vero anche per le rivol­te con­ta­di­ne[34]. A ciò può esse­re aggiun­to un ter­zo fat­to­re: gli ope­rai di Iva­no­vo era­no i lavo­ra­to­ri più mili­tan­ti duran­te la Nep, il pat­to socia­le non ave­va mai pre­so pie­de. Que­sta tra­di­zio­ne di mili­tan­za, così come le reti dell’opposizione, con­ti­nuò duran­te la Nep e gio­cò un ruo­lo impor­tan­te nel­le azio­ni di scio­pe­ro duran­te il pri­mo Pia­no quinquennale.
La resi­sten­za allo sta­li­ni­smo fu mol­to più dif­fu­sa nel­le zone rura­li, dove le con­ta­di­ne gui­da­va­no la rivol­ta con­tro la col­let­ti­viz­za­zio­ne for­za­ta. Il lavo­ro di Lyn­ne Vio­la, Pea­sant Rebels Under Sta­lin (Con­ta­di­ni ribel­li sot­to Sta­lin), docu­men­ta il livel­lo di ribel­lio­ne nel­le cam­pa­gne. I rap­por­ti del­la poli­zia poli­ti­ca uffi­cia­le (Ogpu) regi­stra­no 13.754 rivol­te con­ta­di­ne che coin­vol­ge­va­no due milio­ni e mez­zo di con­ta­di­ni, mol­te del­le qua­li inte­res­sa­va­no inte­ri vil­lag­gi, e non era­no rivol­te dei kula­ki. Cen­to­set­tan­ta­sei epi­so­di ebbe­ro carat­te­re di mas­sa, con la par­te­ci­pa­zio­ne di miglia­ia di con­ta­di­ni nel sac­cheg­gio del soviet loca­le. Qua­si la metà del­le ribel­lio­ni, 6.528, ebbe luo­go nel mar­zo del 1930, al cul­mi­ne del­la col­let­ti­viz­za­zio­ne[35].
L’Ogpu rife­rì che 3.700 dei disor­di­ni di mas­sa ave­va­no coin­vol­to qua­si esclu­si­va­men­te don­ne, e negli altri epi­so­di le don­ne costi­tui­va­no la mag­gio­ran­za o par­te signi­fi­ca­ti­va del­la rivol­ta. La poli­zia poli­ti­ca si lamen­ta­va del fat­to che «l’eccessiva indul­gen­za del­le isti­tu­zio­ni puni­ti­ve nei con­fron­ti del­le don­ne ha con­tri­bui­to a dif­fon­de­re l’opinione che le don­ne non vada­no san­zio­na­te». In una del­le rivol­te, l’Ogpu rife­rì che una don­na avreb­be det­to «non abbia­mo pau­ra di nes­su­no, sia­mo già anda­te all’Ogpu e non han­no fat­to nul­la né lo faran­no». In un’altra occa­sio­ne, le don­ne proi­bi­ro­no agli uomi­ni di par­te­ci­pa­re affer­man­do «que­sta è una que­stio­ne di noi con­ta­di­ne, non è affar vostro»[36].

Mani­fe­sto di pro­pa­gan­da con­tro i kulaki

L’argomentazione secon­do cui la col­let­ti­viz­za­zio­ne fu uno scon­tro fra lo Sta­to dei soviet e i con­ta­di­ni ric­chi, i “kula­ki”, è ora com­ple­ta­men­te con­fu­ta­ta. Il libro di Moshe Lewin sul­la col­let­ti­viz­za­zio­ne ha dimo­stra­to che “kula­ki” era uno slo­gan pro­pa­gan­di­sti­co piut­to­sto che un ter­mi­ne eco­no­mi­co, spes­so usa­to per defi­ni­re i con­ta­di­ni medi e anche quel­li pove­ri, che signi­fi­ca­va col­let­ti­viz­za­zio­ne inte­sa come uti­liz­zo di mez­zi vio­len­ti «con­tro inte­ri set­to­ri di lar­ghe mas­se con­ta­di­ne». Come soste­ne­va un diri­gen­te del­la Fede­ra­zio­ne socia­li­sta rus­sa, «se non abbia­mo kula­ki, avre­mo biso­gno di pro­cu­rar­ce­ne desi­gnan­do­li»[37]. Uno stu­dio dei rap­por­ti del­la poli­zia segre­ta di Sta­lin mostra che nel 1924 que­sta anco­ra sim­pa­tiz­za­va con la situa­zio­ne dei con­ta­di­ni, ma rap­por­ti via via più osti­li dimo­stra­no che la poli­zia segre­ta ave­va per­so fidu­cia nel­la pro­pria stes­sa pro­pa­gan­da, che il ter­mi­ne “kula­ki” era diven­ta­ta sino­ni­mo di “con­ta­di­ni”[38]. Riu­nio­ni nei vil­lag­gi spes­so indi­vi­dua­va­no vedo­ve, anzia­ni e anche indi­vi­dui a casac­cio per sod­di­sfa­re la quo­ta del 5% di “deku­la­kiz­za­zio­ne” del­la poli­zia segre­ta[39].
Anche le sta­ti­sti­che sovie­ti­che, che cer­ca­va­no di tra­sfor­ma­re la resi­sten­za alla col­let­ti­viz­za­zio­ne nel capro espia­to­rio dei “kula­ki”, rico­nob­be­ro che la mag­gior par­te dei con­ta­di­ni coin­vol­ti nei tumul­ti nel 1930 appar­te­ne­va al set­to­re medio o pove­ro degli agri­col­to­ri[40]. Solo nel 1931, 1.800.392 per­so­ne furo­no esi­lia­te come “kula­ki”[41]. Tan­to gran­di sono i nume­ri che i testi uffi­cia­li del­la sto­ria dell’Unione Sovie­ti­ca par­la­no oggi del­la col­let­ti­viz­za­zio­ne come di una “guer­ra con­tro i con­ta­di­ni” da par­te di Sta­lin. Il bilan­cio tota­le dei mor­ti di que­sta guer­ra, com­pre­sa la col­let­ti­viz­za­zio­ne, la deku­la­kiz­za­zio­ne, la fame e i deces­si di con­ta­di­ni men­tre veni­va­no depor­ta­ti o duran­te la pri­gio­nia nel gulag, supe­ra ampia­men­te i sei milio­ni, com­pre­sa anche la metà dei 700.000 pri­gio­nie­ri poli­ti­ci giu­sti­zia­ti tra il 1937 e il 1938[42].

Espul­sio­ne di kula­ki dal­la loro casa (regio­ne di Done­tsk, ini­zi anni 1930)

Dob­bia­mo rico­no­sce­re che l’analisi di Tro­tsky sul­la col­let­ti­viz­za­zio­ne e sui kula­ki era gra­ve­men­te caren­te. Nell’aprile del 1929, Tro­tsky era mol­to espli­ci­to sul ruo­lo dei kula­ki nel­la sua ana­li­si: «Il pro­ble­ma del Ter­mi­do­ro e del bona­par­ti­smo è in ulti­ma ana­li­si il pro­ble­ma dei kula­ki»[43]. Tro­tsky avreb­be usa­to il ter­mi­ne “kula­ki” cen­ti­na­ia di vol­te nei pri­mi anni 1930. Un altro pro­ble­ma sta anche nel fat­to che Tro­tsky abbia accet­ta­to la carat­te­riz­za­zio­ne sta­li­ni­sta del­la col­let­ti­viz­za­zio­ne come feno­me­no volon­ta­rio. Nel feb­bra­io del 1930, sostenne:

«Le por­te del mer­ca­to era­no chiu­se. I con­ta­di­ni rima­se­ro ter­ro­riz­za­ti dinan­zi ad esse per un po‘, e poi si pre­ci­pi­ta­ro­no attra­ver­so l’unica por­ta aper­ta, quel­la del­la col­let­ti­viz­za­zio­ne. La stes­sa dire­zio­ne non si mostrò meno sor­pre­sa dall’improvvisa cor­sa dei con­ta­di­ni ver­so i Kol­choz quan­to que­sti lo furo­no dal­la liqui­da­zio­ne del­la Nep»[44].

Inol­tre, Tro­tsky con­ti­nuò a carat­te­riz­za­re le spie­ta­te poli­ti­che anti­o­pe­ra­ie come una svol­ta a “sini­stra”: «Il perio­do tra il 1928 e il 1931 – se lascia­mo da par­te le vacil­la­zio­ni e le bat­tu­te d’arresto – rap­pre­sen­ta un ten­ta­ti­vo da par­te del­la buro­cra­zia di adat­tar­si al pro­le­ta­ria­to»[45]. Come lo sto­ri­co rus­so Ale­xey Gusev ha dimo­stra­to, per­fi­no dopo la loro espul­sio­ne i tro­tski­sti in Rus­sia carat­te­riz­za­va­no se stes­si come lea­le oppo­si­zio­ne a Sta­lin, soste­ne­va­no gli scio­pe­ri eco­no­mi­ci, ma si oppo­ne­va­no cate­go­ri­ca­men­te a scio­pe­ri poli­ti­ci che aves­se­ro potu­to minac­cia­re il regi­me[46]. Nono­stan­te l’ampio soste­gno del­la clas­se ope­ra­ia, l’opposizione tro­tski­sta legò le pro­prie stes­se mani a cau­sa di ana­li­si sba­glia­te in base alle qua­li lo sta­li­ni­smo era visto come una posi­zio­ne cen­tri­sta. Peg­gio anco­ra, essi si dislo­ca­ro­no nel cam­po del­lo Sta­to duran­te la bru­ta­le guer­ra di Sta­lin con­tro i con­ta­di­ni sovietici.
Pos­sia­mo oggi valu­ta­re la por­ta­ta del­la repres­sio­ne sta­li­ni­sta attra­ver­so i dati regi­stra­ti dal­la poli­zia poli­ti­ca. Nel 1926, il nume­ro tota­le dei pri­gio­nie­ri nel­la Fede­ra­zio­ne socia­li­sta rus­sa fu di cir­ca 110.000, 11.000 dei qua­li era­no pri­gio­nie­ri poli­ti­ci[47]. Il nume­ro dei con­dan­na­ti e incar­ce­ra­ti per rea­ti poli­ti­ci tra il 1922 e il 1926 fu tra i 2.000 e gli 8.000 all’anno. Que­sto nume­ro aumen­tò a cir­ca 13.000 nel 1928, rad­dop­piò l’anno seguen­te, per arri­va­re a 114.000 nel 1930[48]. Tra il 1934 e il 1940, 3.750.000 per­so­ne furo­no invia­te ai cam­pi di pri­gio­nia. Negli anni di for­te repres­sio­ne del 1937‑1938, 1.600.000 per­so­ne ven­ne­ro con­dan­na­te e qua­si la metà, 680.000, giu­sti­zia­te[49].
Que­sti nume­ri non ren­do­no appie­no ciò che real­men­te fu lo sta­li­ni­smo. Il desti­no di Isaac Rubin, un eco­no­mi­sta men­sce­vi­co e auto­re di A Histo­ry of Eco­no­mic Thought (Una sto­ria del pen­sie­ro eco­no­mi­co) illu­stra la bru­ta­li­tà del siste­ma. Nel gen­na­io del 1931, Rubin fu mes­so di fron­te a un pri­gio­nie­ro e gli fu det­to che, se non aves­se con­fes­sa­to di esse­re un mem­bro di un’organizzazione men­sce­vi­ca con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ria, quel pri­gio­nie­ro sareb­be sta­to ucci­so. Rubin rifiu­tò e il pri­gio­nie­ro fu giu­sti­zia­to davan­ti ai suoi occhi. La cosa fu ripe­tu­ta la not­te seguen­te. Dopo il secon­do omi­ci­dio, Rubin nego­ziò una “con­fes­sio­ne” con i suoi inqui­si­to­ri, che insi­ste­ro­no affin­ché egli ammet­tes­se che anche il suo mae­stro, David Ria­za­nov, era mem­bro di una cospi­ra­zio­ne men­sce­vi­ca segre­ta. Rubin fu com­ple­ta­men­te distrut­to come per­so­na e infi­ne giu­sti­zia­to nel 1937[50]. Simi­li bru­ta­li vio­len­ze pos­so­no esse­re riscon­tra­te ai dan­ni di tut­te le anti­che ten­den­ze di oppo­si­zio­ne esi­sten­ti fuo­ri e den­tro il par­ti­to comu­ni­sta, com­pre­sa l’esecuzione di tut­ti gli appar­te­nen­ti all’opposizione tro­tski­sta nel gulag di Vor­ku­ta nel 1937[51].

Mani­fe­sta­zio­ne di pro­te­sta dei lavo­ra­to­ri di un kol­choz, che riven­di­ca­va­no — come reci­ta lo stri­scio­ne — la “liqui­da­zio­ne dei kula­ki in quan­to classe”

L’infame ordi­ne 00447 del Polit­bu­ro dell’agosto del 1937 riguar­da­va «vec­chi kula­ki, cri­mi­na­li e altri ele­men­ti anti­so­vie­ti­ci». Ciò che col­pi­sce di quest’ordine è l’avere sta­bi­li­to in anti­ci­po una quo­ta di più di 250.000 per­so­ne da arre­sta­re, di cui 73.000 avreb­be­ro dovu­to esse­re fuci­la­ti[52]. Per fare un esem­pio, Sta­lin inviò Lazar Kaga­no­vich a Iva­no­vo. In tre gior­ni, in quel­la che diven­ne nota come “tem­pe­sta nera”, Kaga­no­vic accu­sò tut­ti i mem­bri del­la dire­zio­ne del par­ti­to loca­le di esse­re “nemi­ci del popo­lo” e die­de l’ordine di ese­cu­zio­ne di 1.500 per­so­ne[53]. Solo alla fine del 1938 Sta­lin “spen­se” la mac­chi­na del­le esecuzioni.
Qual era la logi­ca di que­sta fol­lia? Nel 1930 Sta­lin cer­ta­men­te era impe­gna­to in una rapi­da indu­stria­liz­za­zio­ne e appa­ren­te­men­te cre­de­va che i pro­ble­mi strut­tu­ra­li dav­ve­ro fos­se­ro cau­sa­ti da per­so­ne che non si impe­gna­va­no nel pro­get­to e ne bloc­ca­va­no l’attuazione. Alla fine del 1938, appar­ve chia­ro che la sua stra­te­gia com­ples­si­va sul­la repres­sio­ne era con­tro­pro­du­cen­te per il rag­giun­gi­men­to degli obiet­ti­vi. Ma dob­bia­mo chia­ri­re la natu­ra del ter­ro­re di mas­sa: non c’era nes­su­na tra­ma con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ria, né spie o agen­ti stra­nie­ri. Si trat­ta­va di una mano­vra incen­tra­ta sul­lo Sta­to e orche­stra­ta dall’alto con con­se­guen­ze brutali.
Qual era dun­que la moti­va­zio­ne per una rapi­da indu­stria­liz­za­zio­ne, per far sì che sia gli ope­rai che i con­ta­di­ni ne pagas­se­ro le con­se­guen­ze? Il discor­so di Sta­lin agli ammi­ni­stra­to­ri indu­stria­li nel feb­bra­io del 1931 offre un’ipotesi:

«A vol­te mi chie­do­no se non sia pos­si­bi­le ral­len­ta­re in qual­che modo il tem­po, per con­trol­la­re la mano­vra … Dimi­nui­re il tem­po signi­fi­che­reb­be rima­ne­re indie­tro. E chi rima­ne indie­tro vie­ne scon­fit­to. Ma noi non voglia­mo esse­re scon­fit­ti. No, noi rifiu­tia­mo la scon­fit­ta! Una carat­te­ri­sti­ca del­la sto­ria del­la vec­chia Rus­sia sta nel­le con­ti­nue scon­fit­te che essa ha subi­to a cau­sa del suo ritar­do. Fu scon­fit­ta dai Khan mon­go­li. Fu scon­fit­ta dai gover­na­to­ri tur­chi. Fu scon­fit­ta dai signo­ri feu­da­li sve­de­si … Tut­ti l’hanno scon­fit­ta a cau­sa del­la sua arre­tra­tez­za, arre­tra­tez­za mili­ta­re, arre­tra­tez­za cul­tu­ra­le, arre­tra­tez­za poli­ti­ca, arre­tra­tez­za indu­stria­le, arre­tra­tez­za agri­co­la … Sia­mo indie­tro di cin­quan­ta o cen­to anni rispet­to ai Pae­si avan­za­ti. Dob­bia­mo recu­pe­ra­re que­sta distan­za nei pros­si­mi die­ci anni. O lo fac­cia­mo o sare­mo distrut­ti»[54].

Sta­lin sta­va par­lan­do qui non come socia­li­sta ma come lea­der di una clas­se diri­gen­te che ave­va chia­ra­men­te rot­to con gli idea­li del­la Rivo­lu­zio­ne del 1917. L’impatto del­le poli­ti­che del­lo Sta­to sul­la vita del­le mas­se lavo­ra­tri­ci non con­ta­va più ormai.
Per gua­da­gna­re una nuo­va gene­ra­zio­ne di atti­vi­sti al socia­li­smo dob­bia­mo dire a chia­re let­te­re che gli attac­chi di Sta­lin con­tro gli ope­rai e i con­ta­di­ni sovie­ti­ci non ave­va­no nul­la a che fare con il socia­li­smo e rap­pre­sen­ta­va­no una rot­tu­ra com­ple­ta con le idee ugua­li­ta­rie del 1917.


[*] Kevin Mur­phy inse­gna Sto­ria Rus­sa alla Uni­ver­si­ty of Mas­sa­chu­setts di Boston. Il suo libro Revo­lu­tion and Coun­ter­re­vo­lu­tion: Class Strug­gle in a Moscow Metal Fac­to­ry ha vin­to nel 2005 il Deu­tscher Memo­rial Prize.


Note

[1] Ale­xan­der Rabi­no­witch, The Bol­she­viks Come to Power (New York, 1976), 291, 304. Solo due dele­ga­ti vota­ro­no con­tro e dodi­ci si asten­ne­ro. I men­sce­vi­chi di destra e i socia­li­sti rivo­lu­zio­na­ri ave­va­no già lascia­to il congresso.
[2] Lenin, Col­lec­ted Works (Mosca 1972), vol. 26, p. 240.
[3] Don­ny Gluck­stein, The Tra­ge­dy of Bukha­rin (Lon­don, 1993), p. 120.
[4] Bru­ce Lin­coln, Red Vic­to­ry (New York 1989), p. 89.
[5] David Fogle­song, America’s Secret War Again­st Bol­she­vi­sm, 1917–1920 (Cha­pel Hill, 1995), pp. 87, 104.
[6] Kevin Mur­phy, Revo­lu­tion and Coun­ter­re­vo­lu­tion: Class Strug­gle in a Moscow Metal Fac­to­ry (Ber­ghahn Books, 2005), pp. 63–67.
[7] Tony Cliff, Lenin, vol. 3, The Revo­lu­tion Besie­ged, (Lon­don, 1975), p. 115.
[8] R.W. Davies, Soviet Eco­no­mic Deve­lo­p­ment from Lenin to Khru­sh­chev (Cam­brid­ge 1998), p. 22.
[9] V.I. Lenin, Col­lec­ted Works, (Moscow 1965), vol. 32, p. 43.
[10] Tony Cliff, Lenin: Revo­lu­tion Besie­ged (Lon­don 1973), p. 158.
[11] Ste­phen Kot­kin, Sta­lin (New York, 214), pp. 422‑424.
[12] Leon Tro­tsky, Note­books, 1930, cit. in Kot­kin, Sta­lin,  p. 424.
[13] V.I. Lenin, Col­lec­ted Works, (Moscow 1965), vol. 33, p. 279.
[14] Tom Twiss, Tro­tsky and the Pro­blem of Soviet Bureau­cra­cy (Lon­don 2104).
[15] Moshe Lewin, Lenin’s Last Strug­gle (Lon­don, 1975).
[16] Desia­ty syzed ros­sii­skoi kom­mu­ni­sti­che­skoi par­tii. Ste­no­gra­fi­che­ski otchot (Moscow, 1921).
[17] Twiss, Tro­tsky and the Pro­blem of The Soviet Bureau­cra­cy, pp. 367–439.
[18] Mur­phy, Revo­lu­tion and Coun­ter­re­vo­lu­tion, p. 83.
[19] R.W. Davies, The Indu­stria­li­za­tion of the Soviet Union 3: The Soviet Eco­no­my in Tur­moil, 1929 (Lon­don, 1980), pp. 10‑11.
[20] Kevin Mur­phy, “Stri­kes During the Ear­ly Soviet Period, 1922 to 1932”, in A Dream Defer­red edi­ted by Donald Fil­tzer, Wen­dy Gold­man, Gijs Kes­sler, Simon Pira­ni (Bern, 2008), p. 181.
[21] Mur­phy, Revo­lu­tion and Coun­ter­re­vo­lu­tion, pp. 92‑95.
[22] Mur­phy, Revo­lu­tion and Coun­ter­re­vo­lu­tion, p. 93.
[23] E.H. Carr, Foun­da­tions of the Plan­ned Eco­no­my 1926–1929 (Lon­don, 1969), vol. 1, pp. 600‑601.
[24] Mur­phy, Revo­lu­tion and Coun­ter­re­vo­lu­tion, pp. 124‑125.
[25] Michael Rei­man, The Birth of Sta­li­ni­sm (India­na, 1986) pp. 8, 41‑43, 115‑122.
[26] Mur­phy, Revo­lu­tion and Coun­ter­re­vo­lu­tion, pp. 140‑152.
[27] Mur­phy, Revo­lu­tion and Coun­ter­re­vo­lu­tion, pp. 107‑108, 112, 134.
[28] Tony Cliff, Tro­tsky: The Dar­ker the Night (Lon­don, 1993), p. 167.
[29] Alec Nove, An Eco­no­mic Histo­ry of the U.S.S.R. (New York, 1989), p. 199.
[30] Mur­phy, Revo­lu­tion and Coun­ter­re­vo­lu­tion, 197, pp. 205, 207, 214–215.
[31] “Sover­shen­no sekret­no”: Lubianka–Staliny o polo­z­he­nii v stra­ne (1922–1934 gg.) (Moscow, 1992–2004).
[32] Jef­frey Ross­man, Wor­kers Resi­stan­ce Under Sta­lin (Cam­brid­ge 2005), pp. 207–231.
[33] Jef­frey Ross­man, Wor­kers Resi­stan­ce Under Sta­lin (Cam­brid­ge 2005), pp. 207–231.
[34] Ross­man, Wor­kers Resi­stan­ce, pp. 231–237.
[35] Lyn­ne Vio­la, Pea­sant Rebels Under Sta­lin (Oxford, 1996), pp. 142, 238.
[36] Lyn­ne Vio­la, V.P. Dani­lov, N.A. Ivni­tskii, Denis Koz­lov edi­tors, The War Again­st the Pea­san­try 1927–1930 (New Haven, 2005), pp. 349‑350.
[37] Moshe Lewin, Rus­sian Pea­san­ts and Soviet Power: A Stu­dy of Col­lec­ti­vi­za­tion (New York, 1975), pp. 77, 491.
[38] Hugh Hud­son, “The Kula­ki­za­tion of the Pea­san­try: The OGPU and the End of Faith in Pea­sant Recon­ci­lia­tion, 1924‑27”, Jahr­bü­cher für Geschi­ch­te Osteu­ro­pas, vol. 1, 2012.
[39] Orlan­do Figes, The Whi­spe­rers, Pri­va­te Life in Stalin’s Rus­sia (New York, 2007), p. 87.
[40] Vio­la, Pea­sant Rebels, p. 143.
[41] Oleg Khle­v­niuk, The Histo­ry of the Gulag (New Haven 2004), p. 11.
[42] Ronald Suny, The Soviet Expe­ri­ment (Oxford, 2011), pp. 235–250.
[43] Leon Tro­tsky, Wri­tings, 1929 (New York 1975), p. 113.
[44] Leon Tro­tsky, Wri­tings, 1930 (New York 1975), p. 111.
[45] Leon Tro­tsky, Wri­tings, 1931 (New York 1975), p. 215.
[46] Ale­xei Gusev, “The Bol­she­vik Leni­nists Oppo­si­tion and the Wor­king Class”, in Fil­tzer, A Dream Defer­red, pp. 162‑163.
[47] John Sche­rer and Michael Jakob­son “Col­lec­ti­vi­za­tion of Agri­cul­tu­re and the Soviet Pri­son Camp System’” in Europe‑Asia Stu­dies, vol. 45, n. 3, 1993, p. 553.
[48] Arch Get­ty and Oleg Nau­mov, The Road to Ter­ror (New Haven, 1999), p. 552.
[49] Khle­v­niuk, The Histo­ry of the Gulag, (New Haven, 2004), pp. 304‑305.
[50] Roy Med­ve­dev, Let Histo­ry Jud­ge (New York, 1989), pp. 279‑284.
[51] Tariq Ali (edi­tor), The Sta­li­ni­st Lega­cy (Lon­don, 1984), p. 178.
[52] Oleg Khle­v­niuk, The Histo­ry of the Gulag, pp. 145‑146.
[53] Med­ve­dev, Let Histo­ry Jud­ge, p. 347.
[54] J. V. Sta­lin, Pro­blems of Leni­ni­sm (Moscow, 1953), pp. 454‑458.

 

(Tra­du­zio­ne di Isa Pepe e Vale­rio Torre)