Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Lotta di classe, Politica internazionale: Europa, Teoria

“Gilet gialli”: quali prospettive per il movimento?

Il movi­men­to fran­ce­se dei “Gilet gial­li” ha assun­to una dimen­sio­ne che solo pochi gior­ni fa era inim­ma­gi­na­bi­le. Par­ti­to dal­le regio­ni peri­fe­ri­che del­la Fran­cia sul­la base di riven­di­ca­zio­ni mini­ma­li, lega­te all’aumento del prez­zo dei car­bu­ran­ti, si è pre­sto tra­sfor­ma­to in una gene­ra­liz­za­ta pro­te­sta con­tro il caro­vi­ta, con­no­ta­ta da una più ampia dina­mi­ca anti­go­ver­na­ti­va: la paro­la d’ordine del­le dimis­sio­ni di Macron e del suo gover­no, sem­pre più con­vin­ta­men­te visti come l’espressione del­le clas­si domi­nan­ti, risuo­na ormai in tut­te le mani­fe­sta­zio­ni che quo­ti­dia­na­men­te per­cor­ro­no le stra­de dell’intero Pae­se, incu­ran­ti del­la vio­len­ta repres­sio­ne poli­zie­sca. Anzi, il livel­lo di scon­tro vie­ne alza­to sem­pre di più, come dimo­stra­no le miglia­ia di foto e video che cir­co­la­no su internet.
Ma il movi­men­to non è più lo stes­so di quan­do è nato. Non sono più solo set­to­ri di pic­co­lis­si­ma bor­ghe­sia declas­sa­ta o in via di pro­le­ta­riz­za­zio­ne ad esser­ne la colon­na ver­te­bra­le. Oggi è diven­ta­to un movi­men­to popo­la­re in sen­so ampio, che inclu­de anche set­to­ri di lavo­ra­to­ri, ben­ché il movi­men­to ope­ra­io orga­niz­za­to non sia anco­ra pre­sen­te nel suo insie­me. È indub­bio, tut­ta­via, che il pro­gram­ma com­ples­si­vo che sta emer­gen­do dal­la lot­ta stia embrio­nal­men­te assu­men­do con­no­ta­zio­ni anti­si­ste­ma, se non per ora com­piu­ta­men­te anticapitaliste.
Intan­to, i son­dag­gi rive­la­no che la gran­de mag­gio­ran­za dei fran­ce­si è d’accordo con la pro­te­sta, un’altra quo­ta signi­fi­ca­ti­va non le è affat­to osti­le, e solo una pic­co­la mino­ran­za degli inter­vi­sta­ti – evi­den­te­men­te rap­pre­sen­tan­ti del­le éli­te e del­le clas­si medio‑alte del­la bor­ghe­sia – è contraria.
Come sem­pre, i gran­di avve­ni­men­ti del­la lot­ta di clas­se costi­tui­sco­no uno spar­tiac­que e met­to­no alla pro­va la sini­stra che si tro­va a dover dare una rispo­sta a que­gli even­ti. Per quan­to ci riguar­da, le ana­li­si del­le orga­niz­za­zio­ni del­la sini­stra ita­lia­na non sono sta­te uni­vo­che: a fron­te di quel­le che riten­go­no cor­ret­ta­men­te neces­sa­rio un inter­ven­to orga­niz­za­to nel pro­ces­so del movi­men­to ope­ra­io con i suoi meto­di e le sue paro­le d’ordine, ci sono pic­co­le real­tà che dif­fi­da­no dell’interclassismo che con­no­ta i “Gilet gial­li”, giun­gen­do per que­sto fino a para­go­nar­li – del tut­to infon­da­ta­men­te – con i “For­co­ni” ita­lia­ni del 2012. Anco­ra: men­tre alcu­ne orga­niz­za­zio­ni rifor­mi­ste, come Pote­re al popo­lo, non avan­za­no nes­su­na let­tu­ra di clas­se, ponen­do­si alla coda del movi­men­to, altre anco­ra bril­la­no per l’assenza di qual­sia­si analisi.
Già su que­sto sito abbia­mo pub­bli­ca­to un pri­mo arti­co­lo per fare luce sul movi­men­to nel­le sue fasi ini­zia­li. Oggi pre­sen­tia­mo inve­ce, rin­gra­zian­do l’au­to­re per la cor­te­se col­la­bo­ra­zio­ne, una inte­res­san­te rifles­sio­ne del com­pa­gno Mario Gan­ga­ros­sa, che invol­ve impor­tan­ti aspet­ti teo­ri­ci e che for­ni­sce gli stru­men­ti per­ché l’intervento fra i “Gilet gial­li” sia cor­ret­to in un’ottica e una pro­spet­ti­va rivoluzionaria.
Buo­na lettura.
La redazione

“Gilet gialli”: quali prospettive per il movimento?

Le respon­sa­bi­li­tà del­la clas­se ope­ra­ia per uno sboc­co rivoluzionario


Mario Gangarossa

Imma­gi­na­re la rivo­lu­zio­ne come uno scon­tro ordi­na­to tra le falan­gi orga­niz­za­te del pro­le­ta­ria­to e le for­ze del­la repres­sio­ne al ser­vi­zio del­la bor­ghe­sia è quan­to di più lon­ta­no dal­la real­tà si pos­sa con­ce­pi­re. Non esi­sto­no pro­ces­si linea­ri che han­no come ine­lut­ta­bi­le sboc­co, pre­vi­sto e desi­de­ra­to, la palin­ge­ne­si socia­le. Infi­ni­ti sono i bivi, le scel­te da fare, le deci­sio­ni da pren­de­re, e sono scel­te che mas­se di milio­ni di don­ne e di uomi­ni fan­no spin­ti dal­la neces­si­tà, qual­che vol­ta per­fi­no dal caso, qua­si sem­pre inco­scien­ti del risul­ta­to che la loro azio­ne pro­dur­rà. I “teo­ri­ci” (al net­to del­la loro capa­ci­tà di discer­ne­re fra scien­za e fal­sa coscien­za) sono un pas­so avan­ti rispet­to al movi­men­to rea­le per­ché han­no fat­to teso­ro del­la pras­si, del­le espe­rien­ze, del­la sto­ria del pas­sa­to, ma rischia­no l’impotenza e l’irrilevanza se non rie­sco­no ad aggan­ciar­si alla viva espe­rien­za quo­ti­dia­na, a inte­ra­gi­re con la pra­ti­ca dell’oggi, a fare i con­ti “con quel­lo che pas­sa il convento”.
Non c’è pos­si­bi­li­tà che, in una socie­tà basa­ta sull’egemonia eco­no­mi­ca poli­ti­ca e cul­tu­ra­le del­la bor­ghe­sia, la clas­se anta­go­ni­sta pos­sa acqui­si­re (nel­la sua mag­gio­ran­za) la coscien­za del ruo­lo e dei com­pi­ti che la sto­ria, la scien­za e la con­sa­pe­vo­lez­za dei comu­ni­sti impon­go­no. Le idee domi­nan­ti riman­go­no le idee del­la clas­se domi­nan­te. E den­tro il qua­dro del­le espe­rien­ze pos­si­bi­li, all’interno dei rap­por­ti socia­li bor­ghe­si, il mas­si­mo che si può rag­giun­ge­re è una coscien­za “sin­da­ca­le” riven­di­ca­ti­va, tra­du­nio­ni­sta, rifor­mi­sta, sia pure in una for­ma ribel­li­sta e per­fi­no vio­len­ta. E i grup­pi e i par­ti­ti che nasco­no su que­sto ter­re­no, e che ne assu­mo­no la dire­zio­ne, non pos­so­no che esse­re mar­chia­ti dagli stes­si limi­ti e dagli stes­si erro­ri. Non è una que­stio­ne lega­ta agli oppor­tu­ni­smi indi­vi­dua­li e ai “tra­di­men­ti” che non sono le cau­se ma gli effet­ti del­la mate­ria­li­tà del­lo scon­tro socia­le che – in que­sta fase – è limi­ta­to, distor­to ver­so obiet­ti­vi par­zia­li o spes­so misti­fi­can­ti, lascia­to alla spon­ta­nei­tà pro­dot­ta del­le sin­go­le e par­zia­li espe­rien­ze individuali.
Discu­te­re se un movi­men­to è “rivo­lu­zio­na­rio”, o se è “più o meno rivo­lu­zio­na­rio” di un altro, signi­fi­ca solo non aver capi­to (o non rico­no­sce­re) che il carat­te­re, la coscien­za, l’ossatura ideo­lo­gi­ca che dan­no sostan­za a ogni rivol­ta socia­le sono rap­pre­sen­ta­ti da un’avanguardia coscien­te e orga­niz­za­ta capa­ce di gui­da­re quel movi­men­to oltre, e per­fi­no con­tro, i limi­ti intrin­se­ci che sono con­na­tu­ra­ti alle lot­te e alle ribel­lio­ni popolari.
Le rivol­te spon­ta­nee sono il segno che le con­trad­di­zio­ni esi­sto­no e non sono sana­bi­li all’interno del siste­ma eco­no­mi­co e poli­ti­co esi­sten­te, sono un effet­to del­la cri­si, la rispo­sta imme­dia­ta a una situa­zio­ne di disa­gio. Ma quan­do par­lia­mo di spon­ta­nei­tà dob­bia­mo sem­pre ave­re chia­ro che, chi spon­ta­nea­men­te si ribel­la, ha le radi­ci ben pian­ta­te all’interno del­la sua spe­ci­fi­ca clas­se, si por­ta die­tro per inte­ro tut­ta la pro­pria sto­ria per­so­na­le e la sto­ria col­let­ti­va del­la sua par­te socia­le, l’esperienza di anni in cui ha vis­su­to (spes­so bene) il suo ruo­lo den­tro il mec­ca­ni­smo eco­no­mi­co che gover­na la vita di ognu­no di noi: vit­ti­ma degli stes­si erro­ri e del­le stes­se illu­sio­ni che attra­ver­sa­no, come una cor­ren­te dif­fu­sa, tut­ti gli atto­ri del­la rap­pre­sen­ta­zio­ne che all’interno del­lo scon­tro fra il capi­ta­le e il lavo­ro vede il con­ti­nuo coz­za­re di mol­te­pli­ci inte­res­si contrapposti.
La sto­ria del­le rivo­lu­zio­ni pas­sa­te (e del­le rivol­te e del­le ribel­lio­ni che non han­no avu­to l’onore di assur­ge­re, nel giu­di­zio postu­mo, a moti rivo­lu­zio­na­ri) è sto­ria di con­fu­sio­ne, di disor­di­ne, di scon­fit­te e di vit­to­rie par­zia­li e spes­so prov­vi­so­rie. I par­ti­ti che rap­pre­sen­ta­no le clas­si e i ceti in lot­ta, da pic­co­li grup­pi com­pat­ti, cre­sco­no e diven­ta­no dire­zio­ne poli­ti­ca rivo­lu­zio­na­ria non pri­ma di una fati­di­ca ora supre­ma ma nel cor­so del­la lot­ta. Una lot­ta in cui chi vi par­te­ci­pa non ha mai “a prio­ri” cer­tez­za e garan­zia di successo.
Dopo … quan­do un nuo­vo ordi­ne nasce dal­le cene­ri del­le gior­na­te che scon­vol­go­no il natu­ra­le cor­so del­la sto­ria, solo dopo, arri­va­no le “pagel­le” e si com­pren­de dav­ve­ro chi e cosa ha vin­to, chi ha per­so, chi pur aven­do per­so ha raf­for­za­to le sue posi­zio­ni e con­qui­sta­to una mag­gio­re con­sa­pe­vo­lez­za e chi inve­ce, pur aven­do vin­to, ha occu­pa­to del­le case­mat­te ormai abban­do­na­te e inin­fluen­ti rispet­to ai rea­li inte­res­si del nemico.

 

Negli anni in cui nell’occidente capi­ta­li­sti­co lo svi­lup­po post‑guerra per­met­te­va il paci­fi­co avan­za­re del­le clas­si subor­di­na­te, le gran­di orga­niz­za­zio­ni social­de­mo­cra­ti­che (in tut­te le loro decli­na­zio­ni) rap­pre­sen­ta­va­no un pun­to di aggre­ga­zio­ne e di rife­ri­men­to per chi sen­ti­va il biso­gno di lot­ta­re, la coscien­za spon­ta­nea coin­ci­de­va con la dire­zio­ne poli­ti­ca rifor­mi­sta. I par­ti­ti di mas­sa e le orga­niz­za­zio­ni sin­da­ca­li era­no lo stru­men­to per quel­le con­qui­ste par­zia­li che dava­no il sen­so di un con­ti­nuo e inar­re­sta­bi­le svi­lup­po paci­fi­co, ma nel­lo stes­so tem­po anche una val­vo­la capa­ce di atte­nua­re le ten­sio­ni più distrut­ti­ve, un fre­no alle pul­sio­ni rivo­lu­zio­na­rie, un argi­ne al “ter­ro­ri­smo” e alla ribellione.
I “rivo­lu­zio­na­ri” face­va­no entri­smo nei par­ti­ti di sini­stra e lavo­ra­va­no den­tro i sin­da­ca­ti “rea­zio­na­ri”, nell’illusione che bastas­se cam­bia­re la dire­zio­ne poli­ti­ca di un movi­men­to, già di per sé orga­niz­za­to sul ter­re­no del­la coscien­te ricer­ca del com­pro­mes­so socia­le, per cam­biar­ne il segno e tra­sfor­mar­lo in una for­za capa­ce di rom­pe­re gli equi­li­bri che pazien­te­men­te il capi­ta­le ave­va costrui­to in anni di indi­scus­sa e incon­tra­sta­ta egemonia.
Le clas­si inter­me­die era­no attrat­te dal­la for­za del­la sini­stra anche per­ché era una sini­stra “allea­ta e ami­ca”, che ne rico­no­sce­va il ruo­lo e ne garan­ti­va il benes­se­re. I con­flit­ti era­no ecu­me­ni­ca­men­te ricom­po­sti e tra­sfor­ma­ti in inno­cui scon­tri par­la­men­ta­ri. Quan­do il mec­ca­ni­smo del con­sen­so si rom­pe­va, le arma­te ope­ra­ie orga­niz­za­te dal rifor­mi­smo scen­de­va­no in piaz­za a milio­ni per riaf­fer­ma­re il pat­to fra le clas­si e la coe­si­sten­za paci­fi­ca garan­ti­ta dal­la democrazia.
Il crol­lo del rifor­mi­smo avve­nu­to non per­ché scon­fit­to dal­la cri­ti­ca dei rivo­lu­zio­na­ri ma per sua intrin­se­ca debo­lez­za, la fine del­la socie­tà del “benes­se­re” dif­fu­so che ave­va accom­pa­gna­to gli anni del­la coge­stio­ne demo­cra­ti­ca, il crol­lo dell’illusione di poter coge­sti­re il capi­ta­le sen­za met­te­re in discus­sio­ne la sua pro­prie­tà, non han­no por­ta­to a una mag­gio­re coscien­za e con­sa­pe­vo­lez­za. Ber­lin­guer è sta­to sosti­tui­to da Ber­ti­not­ti. I “rivo­lu­zio­na­ri” non han­no tro­va­to di meglio che vagheg­gia­re un ritor­no a quel pas­sa­to “eroi­co” in cui, den­tro il mare magnum di una “sini­stra” respon­sa­bi­le e garan­te del­lo sta­tus quo, avreb­be­ro potu­to con­ti­nua­re a nuo­ta­re inneg­gian­do alle rivo­lu­zio­ni pas­sa­te e futu­re e soprat­tut­to a quel­le lon­ta­ne dal pro­prio orticello.
Ma il crol­lo di un’egemonia poli­ti­ca, sia pure un’egemonia che anda­va nel sen­so con­tra­rio alla dire­zio­ne da noi pro­spet­ta­ta, non crea il vuo­to del­la lava­gna puli­ta su cui è pos­si­bi­le scri­ve­re solo solu­zio­ni cor­ret­te a pro­va del­le bac­chet­ta­te del­la mae­stra. Il vuo­to poli­ti­co lascia una pra­te­ria aper­ta alle scor­re­rie di qual­sia­si ceto socia­le in sof­fe­ren­za che cer­ca rispo­ste e che tro­va sem­pre nuo­vi “capi­ta­ni” dispo­sti a caval­car­ne le aspi­ra­zio­ni. E lascia spa­zio alle rivol­te spon­ta­nee che per la loro natu­ra ete­ro­ge­nea e inter­clas­si­sta pos­so­no ser­vi­re ad acui­re la cri­si del capi­ta­le o, para­dos­sal­men­te, a rafforzarla.

Noi non sap­pia­mo e non pos­sia­mo sape­re come fini­rà. La teo­ria ci indi­ca l’obiettivo e la dire­zio­ne, ma il per­cor­so da segui­re, le innu­me­re­vo­li cur­ve e i vico­li cie­chi che pos­sia­mo imboc­ca­re dob­bia­mo sco­prir­li nel cor­so del­la nostra pra­ti­ca politica.
Ma anche su que­sto dob­bia­mo pro­va­re a esse­re chia­ri pri­ma di tut­to con noi stes­si e col ruo­lo che imma­gi­nia­mo di poter assol­ve­re. Pra­ti­ca poli­ti­ca non signi­fi­ca met­ter­si alla testa (spes­so alla coda) del­le rivol­te degli stra­ti socia­li in decom­po­si­zio­ne desti­na­ti a scom­pa­ri­re sia pure tra furio­si sus­sul­ti. Non signi­fi­ca agi­ta­re le loro stes­se paro­le d’ordine, imma­gi­na­re che la dire­zio­ne di un movi­men­to sia deci­sa solo ed esclu­si­va­men­te dal­la deter­mi­na­zio­ne dei capi e non dal­la rea­le natu­ra socia­le dei combattenti.
La que­stio­ne del­la dire­zio­ne (e degli obiet­ti­vi futu­ri) del­le rivol­te e del­le ribel­lio­ni che esplo­do­no a un rit­mo ormai cre­scen­te nell’occidente un tem­po pri­vi­le­gia­to non è una que­stio­ne che pos­sa risol­ve­re un grup­po, sia pure di “sini­stra”, che pro­va a por­ta­re dall’esterno una coscien­za che fa a pugni con la sen­si­bi­li­tà e la coscien­za spon­ta­nea dei rivol­to­si. È una que­stio­ne che inve­ste il ruo­lo del­le clas­si e la loro capa­ci­tà di ege­mo­niz­zar­si a vicen­da. Capi­sco che ciò ren­de tut­to più com­ples­so e dif­fi­ci­le, ma la que­stio­ne non sta nel­la mobi­li­ta­zio­ne del­le clas­si inter­me­die o dei set­to­ri più disgre­ga­ti (e per que­sto più com­bat­ti­vi) quan­to nel­la capa­ci­tà di mobi­li­ta­zio­ne del pro­le­ta­ria­to, nel­la sua pos­si­bi­li­tà di diven­ta­re pun­to di attra­zio­ne e di aggre­ga­zio­ne per tut­ti colo­ro che sen­to­no que­sta socie­tà ingiu­sta. Se voglia­mo dir­la con paro­le più chia­re, la que­stio­ne, per i comu­ni­sti, non sta nel diri­ge­re le rivol­te popo­la­ri ma nell’influenzare e diri­ge­re il pro­le­ta­ria­to, che è l’unica clas­se capa­ce di tra­sfor­ma­re una o cen­to rivol­te in rivoluzione.
La pic­co­la bor­ghe­sia, che for­ma l’ossatura del­le clas­si inter­me­die, è in fer­men­to, ma, per sua natu­ra, non lot­ta per cam­bia­re i rap­por­ti fra le clas­si, non com­bat­te per abbat­te­re il siste­ma basa­to sul­lo sfrut­ta­men­to. Lot­ta per con­ti­nua­re a trar­re la sua “lib­bra di car­ne” dal plu­sva­lo­re pro­dot­to nel­la società.
Da clas­se cusci­net­to, da sem­pre bar­rie­ra nel­lo scon­tro fra il capi­ta­le e il lavo­ro, riven­di­ca il “giu­sto prez­zo” per il suo ruo­lo in un momen­to in cui il capi­ta­le pen­sa di pote­re fare a meno dei suoi ser­vi­zi o non ha le risor­se per garan­tir­se­ne la fiducia.
La “rivo­lu­zio­ne” pic­co­lo-bor­ghe­se non guar­da al futu­ro, ma al pas­sa­to. Non pone la que­stio­ne del­la fine del­lo sfrut­ta­men­to, ma quel­la del­la redi­stri­bu­zio­ne più “one­sta” dei frut­ti di quel­lo sfrut­ta­men­to. La pre­sa di coscien­za del ruo­lo di pro­le­ta­ri a cui que­sti stra­ti socia­li sono desti­na­ti può avve­ni­re solo in pre­sen­za di una ritro­va­ta atti­vi­tà poli­ti­ca auto­no­ma del­la clas­se ope­ra­ia. La pic­co­la bor­ghe­sia può diven­ta­re rivo­lu­zio­na­ria solo alla coda del­la rivo­lu­zio­ne pro­le­ta­ria. E oggi lo spo­sta­men­to sul ter­re­no del­la lot­ta di clas­se di stra­ti sem­pre più ampi di ope­rai è l’unica cosa che pos­sa garan­ti­re la tra­sfor­ma­zio­ne in riser­ve del­la rivo­lu­zio­ne dei “rivol­to­si” che la socie­tà in cri­si produce.
La que­stio­ne non è cosa faran­no e cosa diven­te­ran­no i gilet gial­li. La que­stio­ne è cosa farà la clas­se ope­ra­ia. Come si muo­ve­ran­no i pro­le­ta­ri. Come i comu­ni­sti riu­sci­ran­no a influen­zar­ne le scel­te. Ed è una que­stio­ne vita­le per il lavo­ro in lot­ta con­tro il capi­ta­le, vita­le anche rispet­to ai suoi inte­res­si imme­dia­ti, per­ché la stra­da di una rin­no­va­ta allean­za fra la bor­ghe­sia e i ceti che la cri­si disgre­ga non è una pos­si­bi­li­tà remo­ta e il rien­tro dei con­flit­ti sul­la base di solu­zio­ni anti­o­pe­ra­ie non è mai da esclu­der­si a prio­ri. Così come non è da esclu­der­si una redi­stri­bu­zio­ne del­la ric­chez­za atta a riac­qui­sta­re il con­sen­so per­du­to, pro­spet­ta­ta o pra­ti­ca­ta, a spe­se non del pro­fit­to ma degli ope­rai atti­vi, degli ope­rai pen­sio­na­ti, del­la nuo­va clas­se ope­ra­ia fat­ta di pre­ca­ri e di immi­gra­ti ricat­ta­ti che fini­reb­be­ro per paga­re i costi che il ritor­no al “nor­ma­le” fun­zio­na­men­to del siste­ma capi­ta­li­sti­co (com­pre­se le spe­se neces­sa­rie a garan­ti­re la “sicu­rez­za” del­la pro­prie­tà) comportano.
Il pro­le­ta­ria­to non può star­se­ne alla fine­stra e dele­ga­re ad altri l’onere del­le pro­prie bat­ta­glie. Rischia di per­de­re l’onore e soste­ne­re i costi del­le “solu­zio­ni” del­le con­trad­di­zio­ni inter­ne al fron­te borghese.