Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Storia del movimento operaio, Teoria

Gli “aspetti negativi” della nascita del Partito Comunista d’Italia

Un momento del Congresso del Partito socialista italiano nel Teatro Goldoni di Livorno, prima che si consumasse la scissione da cui sarebbe poi nato il Partito Comunista d’Italia (l’immagine è del 17 gennaio 1921)

Il 21 gen­na­io scor­so è sta­to com­me­mo­ra­to il cen­te­na­rio del­la nasci­ta, a Livor­no, del Par­ti­to Comu­ni­sta d’Italia (PCd’I). La ricor­ren­za ha avu­to una note­vo­le riso­nan­za media­ti­ca da par­te del­la stam­pa bor­ghe­se e libe­ra­le, tut­ta inte­res­sa­ta ad ascri­ve­re alla scis­sio­ne di Livor­no – e, quin­di, ai comu­ni­sti – la respon­sa­bi­li­tà dell’affermazione del fasci­smo: una tesi del tut­to cam­pa­ta in aria e fun­zio­na­le a pun­tel­la­re il tra­bal­lan­te edi­fi­cio del­la demo­cra­zia capi­ta­li­sti­ca in cri­si dagli scos­so­ni che anche il solo stes­so fan­ta­sma di una rivo­lu­zio­ne comu­ni­sta potreb­be procurare.
D’altra par­te, c’è sta­to un pro­flu­vio di ini­zia­ti­ve pro­mos­se da quel che resta del­la sini­stra c.d. “radi­ca­le” e dai casca­mi del­lo sta­li­ni­smo, che han­no cele­bra­to l’evento riven­di­can­do la loro diret­ta discen­den­za dal “par­ti­to di Gram­sci e Togliat­ti”: anche que­sta una let­tu­ra non solo “nostal­gi­ca”, ma pro­fon­da­men­te erro­nea, per­ché il “par­ti­to di Togliat­ti” non è quel­lo del 1921 – il PCd’I – ma quel­lo del 1943 (il PCI), al qua­le pre­pa­rò la stra­da il “par­ti­to di Gram­sci” del 1923‑1926, dopo aver esau­to­ra­to con una mano­vra buro­cra­ti­ca soste­nu­ta dall’Internazionale la dire­zio­ne in quel momen­to alla testa del par­ti­to, e cioè quel­la di Bor­di­ga. Per­ché qui sta il noc­cio­lo del­la que­stio­ne: quel­lo del 1921 era il “par­ti­to di Bor­di­ga”, non quel­lo di Gram­sci e Togliat­ti (né tam­po­co di Ber­lin­guer fino ad Occhet­to); e la sini­stra rifor­mi­sta e post‑stalinista non ha per­ciò alcu­na legit­ti­mi­tà per riven­di­ca­re la discen­den­za dal pri­mo (un par­ti­to che, sia pure con tan­tis­si­mi limi­ti poli­ti­ci, ave­va un pro­gram­ma e una pro­spet­ti­va rivo­lu­zio­na­ri), ma tutt’al più dal secon­do (il par­ti­to, inve­ce, che è sta­to fon­da­men­ta­le per la rico­stru­zio­ne del­lo Sta­to borghese).
E infi­ne, abbia­mo assi­sti­to a diver­se ini­zia­ti­ve cura­te da pic­co­le orga­niz­za­zio­ni che si richia­ma­no al mar­xi­smo rivo­lu­zio­na­rio: più o meno pre­ge­vo­li, ma tut­te incen­tra­te sem­pli­ci­sti­ca­men­te sul­la sin­go­la vicen­da del­la rot­tu­ra di Livor­no, qua­si si fos­se trat­ta­to di un epi­so­dio iso­la­to del­la sto­ria del movi­men­to operaio.
Non fu inve­ce così, e per ovvia­re a que­sta signi­fi­ca­ti­va lacu­na, pre­sen­tia­mo ai nostri let­to­ri l’approfondito sag­gio di Cor­ra­do Basi­le che inqua­dra la nasci­ta del PCd’I nel­la pro­spet­ti­va inter­na­zio­na­le degli even­ti che segna­ro­no quel fran­gen­te sto­ri­co, pro­dot­to dell’incrocio di diver­si ele­men­ti: dal­la fine del Bien­nio Ros­so in Ita­lia e l’affacciarsi del fasci­smo, alla cri­si del Par­ti­to Comu­ni­sta tede­sco sul­lo sfon­do del pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio in Ger­ma­nia; dall’isolamento del­la Rivo­lu­zio­ne rus­sa e la cri­si del neo­na­to Sta­to sovie­ti­co, all’incipiente “zino­vie­viz­za­zio­ne” dell’Internazionale Comu­ni­sta. Tut­ti fat­to­ri, que­sti, che pro­iet­ta­ro­no la loro ombra sul­la nasci­ta del par­ti­to ita­lia­no, deter­mi­nan­do­ne – insie­me agli erro­ri del­la pri­ma dire­zio­ne – il cor­so dei pri­mi anni di vita. Ecco per­ché l’autore del testo sostie­ne che la rot­tu­ra di Livor­no «non fu un’operazione mol­to ben riu­sci­ta», dato che, pur essen­do «un atto neces­sa­rio e sacro­san­to», esso rap­pre­sen­tò «una scon­fit­ta poli­ti­ca … di tut­ta la sini­stra».
Ben­ché sia cor­po­so, abbia­mo rite­nu­to di pre­sen­ta­re il sag­gio nel­la sua inte­rez­za per evi­ta­re che una let­tu­ra “a pun­ta­te” pos­sa affie­vo­li­re la logi­ca storico‑politica strin­gen­te che lo attraversa.
Un calo­ro­so rin­gra­zia­men­to va al com­pa­gno Pao­lo Cascio­la, cura­to­re del sito dell’Associazione Pie­tro Tres­so su cui il testo è già sta­to pub­bli­ca­to nel set­tem­bre 2016, non­ché al suo auto­re, il com­pa­gno Cor­ra­do Basi­le, per aver­ci offer­to la loro dispo­ni­bi­li­tà a ripre­sen­tar­lo qui.
Anti­ci­pia­mo che nel­le pros­si­me set­ti­ma­ne tor­ne­re­mo sul tema del­la nasci­ta del PCd’I e sui suoi pri­mi anni di vita.
Intan­to, buo­na lettura.
La Redazione

Gli “aspetti negativi” della nascita del Partito Comunista d’Italia


Per una cri­ti­ca non rifor­mi­sta del­la scis­sio­ne di Livor­no del 1921

 
Cor­ra­do Basile

 

In gen­na­io e in feb­bra­io sono sta­te effet­tua­te, come si veri­fi­ca ogni anno, le cele­bra­zio­ni del­la nasci­ta nel 1921 del Par­ti­to Comu­ni­sta d’Italia da par­te dei rag­grup­pa­men­ti che dichia­ra­no di rifar­si alle tra­di­zio­ni rivo­lu­zio­na­rie del movi­men­to ope­ra­io. Non c’è sta­to chi non si sia dedi­ca­to con mag­gio­re o mino­re impe­gno al ricor­do del­le ori­gi­ni del PCd’I.
Tut­ta­via, per moti­vi diver­si, che non sta­re­mo qui a esa­mi­na­re per­ché il nostro sco­po non è quel­lo di avvia­re una pole­mi­ca con qual­cu­no (e pro­prio per­ciò abbia­mo lascia­to pas­sa­re un po’ di tem­po), tut­ti, pro­prio tut­ti, han­no taciu­to su un impor­tan­te pro­ble­ma sto­rio­gra­fi­co e poli­ti­co, al qua­le pen­sia­mo sia inve­ce neces­sa­rio comin­cia­re a pre­sta­re atten­zio­ne. Per non appe­san­ti­re il discor­so ci aster­re­mo dall’infarcire que­sto scrit­to di note e rife­ri­men­ti biblio­gra­fi­ci, ma sia­mo ovvia­men­te dispo­sti a for­ni­re, a quan­ti ce le chie­da­no, tut­te le spie­ga­zio­ni e le indi­ca­zio­ni del caso. Voglia­mo enun­cia­re una tesi nel modo più net­to pos­si­bi­le, anche se sare­mo costret­ti a fare alcu­ne precisazioni.

* * *

A dir poco, le cele­bra­zio­ni del­la nasci­ta del PCd’I si sono col­lo­ca­te sot­to il segno del gene­ri­ci­smo, quan­do non del­la con­fu­sio­ne, e que­sto meto­do di avvi­ci­nar­si alla sto­ria pas­sa­ta non ha mai pro­dot­to risul­ta­ti seri e sod­di­sfa­cen­ti, se non quel­lo, for­se, di con­sen­ti­re un pro­se­li­ti­smo di pic­co­lis­si­mo cabo­tag­gio a colo­ro che lo impiegano.
Fac­cia­mo sol­tan­to un paio di esem­pi rela­ti­vi a que­ste celebrazioni.
Alcu­ni han­no ricor­da­to, con rife­ri­men­to alla scis­sio­ne del 1921 dal Par­ti­to Socia­li­sta, la dichia­ra­zio­ne di inten­ti del­la Fra­zio­ne comu­ni­sta costi­tui­ta ai con­ve­gni di Mila­no e Imo­la ver­so la fine del 1920, una dichia­ra­zio­ne che all’epoca – quan­do la costi­tu­zio­ne di un auten­ti­co par­ti­to rivo­lu­zio­na­rio in Ita­lia si era fat­ta impro­cra­sti­na­bi­le e una par­te dei socia­li­sti sot­to la  gui­da di Ama­deo Bor­di­ga rup­pe­ro gli indu­gi – fu senz’altro effi­ca­ce, ma nul­la di più. Que­sta dichia­ra­zio­ne d’intenti è pas­sa­ta alla sto­ria come i “die­ci pun­ti di Livor­no”. I grup­pi che si richia­ma­no alla “sini­stra comu­ni­sta” fan­no par­te del­la cate­go­ria di colo­ro che han­no esal­ta­to quei “die­ci pun­ti”. Rias­su­mia­mo­li: si comin­ciò dall’inconciliabilità degli inte­res­si del pro­le­ta­ria­to con quel­li del­la bor­ghe­sia e dal­la carat­te­riz­za­zio­ne del­lo Sta­to come stru­men­to di quest’ultima, stru­men­to da abbat­te­re con la vio­len­za, e si giun­se ad affer­ma­re la neces­si­tà di un par­ti­to che incar­nas­se gli inte­res­si del pro­le­ta­ria­to; dopo­di­ché si enun­ciò la tesi secon­do la qua­le la guer­ra del 1914‑18 avreb­be aper­to una cri­si insa­na­bi­le del siste­ma capi­ta­li­sti­co, che sol­tan­to una dit­ta­tu­ra comu­ni­sta basa­ta sui con­si­gli dei lavo­ra­to­ri avreb­be potu­to risolvere.
Non ci sof­fer­mia­mo sul­la defi­ni­zio­ne fin trop­po som­ma­ria del­la cri­si capi­ta­li­sti­ca del pri­mo dopo­guer­ra, mol­to più vici­na alla teo­ria del­la “cri­si mor­ta­le” del capi­ta­li­smo ela­bo­ra­ta dai grup­pi di ultra­si­ni­stra che a quel­la più arti­co­la­ta del­la Ter­za Inter­na­zio­na­le. Si veda in pro­po­si­to la “Rela­zio­ne sul­la cri­si eco­no­mi­ca mon­dia­le e sui nuo­vi com­pi­ti dell’Internazionale Comu­ni­sta” svol­ta da Tro­tsky al ter­zo con­gres­so di quest’ultima a Mosca (giugno‑luglio 1921).
La teo­ria del­la “cri­si mor­ta­le” fu alla base, sia pure tra discus­sio­ni acce­se, del­la sto­ria dell’organizzazione ope­rai­sta deno­mi­na­ta KAPD (Par­ti­to ope­ra­io comu­ni­sta tede­sco), che rup­pe con la KPD, sot­traen­do­le più o meno la metà degli iscrit­ti alla fine del 1919, e poi ven­ne ripre­sa all’interno del­la KPD stes­sa nel cor­so del 1921, con qual­che adat­ta­men­to, dai teo­ri­ci del­la “offen­si­va rivo­lu­zio­na­ria”, secon­do i qua­li sareb­be sta­to pos­si­bi­le, anche a par­ti­re dal­la lot­ta di un set­to­re spe­ci­fi­co e limi­ta­to del pro­le­ta­ria­to, for­za­re la sto­ria e libe­ra­re la rivo­lu­zio­ne comin­cia­ta nel­la Rus­sia zari­sta dal­le pasto­ie di una poli­ti­ca eco­no­mi­ca come la NEP, che inter­pre­ta­va­no come un “pas­so indie­tro” cau­sa­to dall’inerzia – cui vari fat­to­ri, prin­ci­pal­men­te sog­get­ti­vi, ave­va­no con­tri­bui­to – del­la clas­se ope­ra­ia in Occidente.
Del­la teo­ria del­la “offen­si­va”, pale­se­men­te con­tro l’impostazione che era pro­pria dell’Internazionale, si fece­ro por­ta­to­ri i dele­ga­ti dell’Internazionale stes­sa in Ger­ma­nia (Béla Kun, Pogány‑Pepper e Gural’skij‑Kleine, che ven­ne­ro chia­ma­ti “tur­che­sta­ni” per la roz­zez­za del­le loro argo­men­ta­zio­ni) lega­ti a Zinov’ev, allo­ra schie­ra­to con­tro le ana­li­si e l’indirizzo che ave­va­no dato vita al pri­mo esem­pio di quel­la che diven­ne rapi­da­men­te la tat­ti­ca del “fron­te uni­co” (la “Let­te­ra aper­ta” del­la KPD alle orga­niz­za­zio­ni poli­ti­che e sin­da­ca­li ope­ra­ie del gen­na­io 1921).
Quan­to le posi­zio­ni del grup­po diri­gen­te del PCd’I fos­se­ro vici­ne alla teo­ria del­la “cri­si mor­ta­le” del siste­ma – con­si­de­ra­ta cioè defi­ni­ti­va, per quan­to temi­bil­men­te si potes­se­ro mani­fe­sta­re i sus­sul­ti del­le for­ze bor­ghe­si – fu dimo­stra­to a suf­fi­cien­za, fat­te alcu­ne riser­ve per Bor­di­ga, dall’intervento di Ter­ra­ci­ni, capo del­la dele­ga­zio­ne del PCd’I (non si dimen­ti­chi que­sto par­ti­co­la­re), al ter­zo con­gres­so dell’Internazionale, a pochi mesi di distan­za dall’assise di Livor­no e dal­la cosid­det­ta Azio­ne di Mar­zo che inte­res­sò i lavo­ra­to­ri di un distret­to mine­ra­rio del­la Ger­ma­nia, impe­gnan­do­li in un’insurrezione loca­le sen­za il soste­gno del resto del proletariato.

Umber­to Terracini

Ter­ra­ci­ni, pro­ve­nien­te come Gram­sci dal grup­po dell’Ordi­ne Nuo­vo e inse­ri­to in posi­zio­ne rile­van­te nel pri­mo Ese­cu­ti­vo dell’organizzazione ita­lia­na, era dive­nu­to uno stret­to col­la­bo­ra­to­re di Bor­di­ga. Lenin in per­so­na si inca­ri­cò di rispon­de­re nell’essenziale alla sor­ti­ta dell’italiano, che avven­ne anche a nome del­le dele­ga­zio­ni tede­sca e austria­ca. Lenin con­cen­trò, come è noto, la pro­pria atten­zio­ne sul­le con­se­guen­ze pra­ti­che di cer­te ana­li­si, cioè sul­la pre­te­sa che non fos­se neces­sa­rio pro­ce­de­re alla con­qui­sta del­la mag­gio­ran­za dei lavo­ra­to­ri ai prin­ci­pi del comu­ni­smo. L’argomento all’ordine del gior­no era infat­ti la tat­ti­ca comu­ni­sta e di essa si dove­va par­la­re. Alla teo­ria che sta­va die­tro l’ultrasinistrismo, e non solo di Ter­ra­ci­ni, si sareb­be dovu­to riser­va­re lo spa­zio del­la cri­ti­ca teo­ri­ca, ma il cor­so degli even­ti non con­sen­tì que­sto sup­ple­men­to di pole­mi­ca, che pure avreb­be age­vo­la­to sia l’elaborazione del­la tat­ti­ca del movi­men­to sia il suo inqua­dra­men­to su pre­sup­po­sti ana­li­ti­ci non dilet­tan­te­schi e soprat­tut­to non banal­men­te ope­rai­sti come quel­li degli “offen­si­vi­sti”, che tra­scu­ra­va­no di occu­par­si dei pro­ble­mi com­ples­si­vi del­la società.
Al con­gres­so si fece sen­ti­re, in ter­mi­ni cri­ti­ci rispet­to alla ana­li­si com­piu­ta per con­to dell’Esecutivo da Tro­tsky la voce del “tur­che­sta­no” Pogány‑Pepper, il qua­le sosten­ne, pro­prio sul­la base del­la teo­ria del­la “cri­si mor­ta­le”, che di una fase di riflus­so del­la lot­ta di clas­se del pro­le­ta­ria­to dopo il “bien­nio ros­so” non si doves­se par­la­re in gene­ra­le, aval­lan­do in buo­na sostan­za l’idea che cau­sa di un “riflus­so” avreb­be potu­to esse­re sol­tan­to il pre­va­le­re even­tua­le di una poli­ti­ca “pas­si­va” da par­te dei par­ti­ti comu­ni­sti. Fu faci­le per Tro­tsky rispon­der­gli, ma non vi fu una discus­sio­ne mol­to appro­fon­di­ta. Abbia­mo accen­na­to alle riser­ve da fare per Bor­di­ga rela­ti­va­men­te alla vicen­da di cui stia­mo par­lan­do: Bor­di­ga non sosten­ne mai la teo­ria piut­to­sto super­fi­cia­le e un po’ sgan­ghe­ra­ta degli offen­si­vi­sti, ma è sicu­ro che non pote­va esse­re all’oscuro del­le idee por­ta­te al con­gres­so da Ter­ra­ci­ni, il qua­le non com­pì un atto di indi­sci­pli­na rispet­to alla dele­ga rice­vu­ta dal par­ti­to ita­lia­no, come con­fer­ma­to dal silen­zio in pro­po­si­to dell’Esecutivo di que­sto dopo il con­gres­so stes­so. A un’alzata d’ingegno estem­po­ra­nea è sta­to inve­ce fat­to cre­de­re, per esem­pio, da Bru­no Maf­fi – redat­to­re dopo la mor­te di Bor­di­ga del­la Sto­ria del­la sini­stra comu­ni­sta, che era sta­ta ini­zia­ta dal comu­ni­sta napo­le­ta­no – e da Lui­gi Gero­sa – cura­to­re degli Scrit­ti 1911‑1926 del­lo stes­so Bordiga.

Ama­deo Bor­di­ga in una foto segna­le­ti­ca del­la polizia

Tor­nan­do ai “die­ci pun­ti” di Livor­no è oppor­tu­no sot­to­li­nea­re che, for­se, a una dichia­ra­zio­ne d’intenti come quel­la non si pote­va chie­de­re di esse­re qual­che cosa di più. Ma è altret­tan­to oppor­tu­no rile­va­re che a tale dichia­ra­zio­ne si richia­ma­no, sen­za mez­zi ter­mi­ni, anche gli sta­li­ni­sti di oggi, sul­la peri­co­lo­si­tà dei qua­li biso­gne­reb­be con­cen­tra­re non poca atten­zio­ne, visto che essi con le tra­di­zio­ni rivo­lu­zio­na­rie non han­no pro­prio nul­la a che fare. Da que­sto par­ti­co­la­re pun­to di vista, oltre che in gene­ra­le, i “die­ci pun­ti”, pur giu­sta­men­te famo­si, non risol­vo­no alcun pro­ble­ma. E aggiun­gia­mo che la teo­ria del­la “cri­si mor­ta­le” del capi­ta­li­smo rispun­tò fuo­ri anche al ver­ti­ce dell’Internazionale a par­ti­re dal 1924, con effet­ti deva­stan­ti men­tre il movi­men­to comu­ni­sta avreb­be inve­ce dovu­to affron­ta­re le dif­fi­col­tà sca­tu­ri­te poco tem­po pri­ma dal­le scon­fit­te pesan­tis­si­me in Bul­ga­ria e in Germania.
Altri grup­pi, tra quel­li che han­no volu­to ricor­da­re oggi la scis­sio­ne di Livor­no, han­no mes­so nel­lo stes­so cal­de­ro­ne Bor­di­ga e Gram­sci, entram­bi pro­ta­go­ni­sti, que­sto è indub­bia­men­te vero, del­la rot­tu­ra con il PSI, ma a tito­lo mol­to diver­so: il secon­do rima­se in posi­zio­ne defi­la­ta (rispet­to allo stes­so grup­po dell’Ordi­ne Nuo­vo, che come quel­lo del Soviet si era pro­nun­cia­to per la scis­sio­ne) e conob­be rapi­da­men­te, dopo il 1923, quan­do giun­se alla gui­da del par­ti­to, una deri­va di tipo oppor­tu­ni­sti­co, finen­do come “sta­li­ni­sta di destra” nel 1926 (si veda la famo­sa let­te­ra dell’ottobre al Comi­ta­to Cen­tra­le del Par­ti­to sovie­ti­co non inol­tra­ta da Togliat­ti). Dopo­di­ché Gram­sci fu arre­sta­to dal­le auto­ri­tà fasciste.
Fino al 1923 egli ave­va svol­to un ruo­lo nell’apparato del par­ti­to come diret­to­re dell’Ordi­ne Nuo­vo, il quo­ti­dia­no di Tori­no che ave­va con­ser­va­to la testa­ta del perio­di­co pub­bli­ca­to all’epoca dell’occupazione del­le fab­bri­che, e poi come dele­ga­to del PCd’I pres­so l’Internazionale. Giun­to alla testa del par­ti­to Gram­sci, lun­gi dal ren­der­lo più “bol­sce­vi­co”, come qual­cu­no si è spin­to ino­pi­na­ta­men­te a soste­ne­re, fu respon­sa­bi­le quan­to Togliat­ti del­la sta­li­niz­za­zio­ne e del­lo sman­tel­la­men­to di ciò che a Livor­no era sta­to costrui­to, e si può discu­te­re quan­to si vuo­le sui suoi dub­bi e le sue incer­tez­ze sen­za intac­ca­re mini­ma­men­te que­sto dato di fatto.
Gram­sci si era ispi­ra­to a una ste­ri­le con­ce­zio­ne azien­da­li­sta del­la lot­ta di clas­se all’epoca del pri­mo Ordi­ne Nuo­vo, con­ce­zio­ne sol­tan­to in par­te riscat­ta­ta con il famo­so docu­men­to invia­to al secon­do con­gres­so del­la Ter­za Inter­na­zio­na­le, che però fu redat­to sot­to la non tra­scu­ra­bi­le pres­sio­ne dei bor­di­ghi­sti tori­ne­si: ci rife­ria­mo al testo inti­to­la­to “Per un rin­no­va­men­to del Par­ti­to Socia­li­sta”. All’attribuzione a Gram­sci – che si era allon­ta­na­to alquan­to dal­la mag­gio­ran­za del grup­po dell’Ordi­ne Nuo­vo – di un ruo­lo nell’apparato del nuo­vo par­ti­to ave­va con­tri­bui­to anche l’atteggiamento “bene­vo­lo” tenu­to nei suoi con­fron­ti pro­prio da Bor­di­ga, che, come ricor­da­to da tut­ti gli sto­ri­ci, si spe­se con­tro le resi­sten­ze al suo inse­ri­men­to nel Comi­ta­to Cen­tra­le elet­to a Livor­no. Tali resi­sten­ze si era­no basa­te soprat­tut­to sul­le posi­zio­ni filo‑mussoliniane espres­se nel 1915 dall’allora socia­li­sta sar­do. L’atteggiamento di Bor­di­ga ver­so Gram­sci meri­te­reb­be un’indagine che potreb­be rive­la­re par­ti­co­la­ri inte­res­san­ti su entram­bi i personaggi.

Anto­nio Gramsci

Nel­le cele­bra­zio­ni del­la scis­sio­ne di Livor­no, l’assimilazione di Bor­di­ga e Gram­sci, gli scrit­ti e i discor­si dei qua­li pur­trop­po sono ormai cono­sciu­ti da pochi, può tro­va­re una spie­ga­zio­ne come un fur­be­sco ten­ta­ti­vo da par­te dei pro­mo­to­ri – maga­ri in buo­na fede, non abbia­mo dif­fi­col­tà a con­ce­der­lo, ma non sareb­be affat­to una “atte­nuan­te”, sem­mai una “aggra­van­te” – per far leva sull’ignoranza dei gio­va­ni che si acco­sta­no alla poli­ti­ca con moti­va­zio­ni di sini­stra, nell’idea che inven­ta­re un pas­sa­to “glo­rio­so” indif­fe­ren­zia­to, una sor­ta di cal­de­ro­ne con den­tro di tut­to, pos­sa ser­vi­re a cir­con­da­re con un alo­ne di rispet­ta­bi­li­tà un’attività a dir poco inconcludente.
In con­tro­ten­den­za rispet­to alle cele­bra­zio­ni cui abbia­mo assi­sti­to, voglia­mo ten­ta­re di met­te­re in evi­den­za pro­prio il pro­ble­ma che è sta­to tra­scu­ra­to od offu­sca­to, dal qua­le si pos­so­no rica­va­re uti­li ammae­stra­men­ti. Non è cosa faci­le, per­ché si sovrap­pon­go­no mol­te que­stio­ni. Ma cer­che­re­mo di non per­de­re il filo.

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È noto che, secon­do la sto­rio­gra­fia che potrem­mo defi­ni­re “uffi­cia­le”, la nasci­ta del PCd’I sareb­be sta­ta una iat­tu­ra per il movi­men­to ope­ra­io ita­lia­no e per tut­to il pae­se, dove nel giro di due anni si inse­diò il regi­me fasci­sta. Nes­sun auto­re, tra gli sto­ri­ci e i gior­na­li­sti “accre­di­ta­ti”, è sta­to però tan­to super­fi­cia­le da sca­ri­ca­re sul­le spal­le del pic­co­lo par­ti­to nato a Livor­no la respon­sa­bi­li­tà dell’avvento al pote­re di Mus­so­li­ni, con tut­to ciò che ne seguì, lad­do­ve sem­mai in quell’avvento c’entrò qual­co­sa la poli­ti­ca uffi­cia­le del Par­ti­to Socia­li­sta, in mano alla ten­den­za “mas­si­ma­li­sta” che ave­va trion­fa­to fino al con­gres­so di Livorno.
Pur se indub­bia­men­te inde­bo­li­to dall’abbandono dei comu­ni­sti e pur se sem­pre sot­to­po­sto alle pres­sio­ni del­la sua base pro­le­ta­ria, il PSI non intro­dus­se infat­ti cam­bia­men­ti signi­fi­ca­ti­vi nel regi­stro che ave­va carat­te­riz­za­to la sua azio­ne pre­ce­den­te. Tale regi­stro fu di puro e sem­pli­ce con­te­ni­men­to dell’offensiva capi­ta­li­sti­ca in atto, sen­za coglie­re la por­ta­ta effet­ti­va che essa ave­va: quel­la del­la ricer­ca di una scon­fit­ta deci­si­va del movi­men­to ope­ra­io da par­te dei set­to­ri più atti­vi e scal­tri del­la bor­ghe­sia. La poli­ti­ca del ver­ti­ce mas­si­ma­li­sta era sta­ta espres­sa mol­to chia­ra­men­te nel 1920 da un edi­to­ria­le dell’Avan­ti!, che pas­sia­mo a cita­re. Para­fra­sa­re la tesi dell’articolo, che a una let­tu­ra super­fi­cia­le sem­bra tra­su­da­re “buon sen­so”, signi­fi­che­reb­be toglier­gli il valo­re docu­men­ta­rio che pos­sie­de: «Non anda­re al pote­re fin­ché il pro­le­ta­ria­to non è capa­ce di eser­ci­ta­re la sua dit­ta­tu­ra, ma non impe­gnar­si nel­la lot­ta per la dit­ta­tu­ra pri­ma che la lot­ta non si deli­nei a favo­re del pro­le­ta­ria­to» (“Sul­la via aper­ta”, Avan­ti!, ed. pie­mon­te­se, 27 apri­le 1920, arti­co­lo non fir­ma­to, for­se attri­bui­bi­le ad Artu­ro Vel­la). Lo slo­gan dell’articolo può esse­re tra­dot­to come segue: «Non fare nul­la per cam­bia­re il cor­so natu­ra­le del­le cose».
Le paro­le dell’Avan­ti! dan­no un’immagine qua­si pla­sti­ca di ciò che rap­pre­sen­tò la dire­zio­ne del Par­ti­to Socia­li­sta, facen­do­si, da un lato, por­ta­tri­ce di spin­te clas­si­ste del pro­le­ta­ria­to (non si dimen­ti­chi la data del­lo scrit­to, appar­so nel pie­no del “bien­nio ros­so” e di un’intensa atti­vi­tà dei mili­tan­ti) e, dall’altro, inci­stan­do que­ste stes­se spin­te in bol­le di impo­ten­za. Su tale base si svi­lup­pò il rifiu­to del mas­si­ma­li­smo ita­lia­no di accet­ta­re la rot­tu­ra con la com­po­nen­te rifor­mi­sta dei Tura­ti e dei D’Aragona – mino­ri­ta­ria, ma sal­da­men­te col­lo­ca­ta nel Grup­po par­la­men­ta­re, nei sin­da­ca­ti e nel­le coo­pe­ra­ti­ve, non meno che nel­le ammi­ni­stra­zio­ni loca­li, e per di più non com­pro­mes­sa in ope­ra­zio­ni di tipo aper­ta­men­te scio­vi­ni­sti­co duran­te la guer­ra. I rifor­mi­sti, dal­le strut­tu­re nel­le qua­li era­no pre­sen­ti, per­se­gui­va­no i loro obiet­ti­vi a dispet­to del­la dire­zio­ne del par­ti­to, che tut­ta­via spes­so rima­se iner­te o si limi­tò a cri­ti­che sen­za con­se­guen­ze di ordi­ne pratico.
I mas­si­ma­li­sti rite­ne­va­no, e lo ave­va­no dichia­ra­to, che si doves­se pro­ce­de­re all’eliminazione del­la cor­ren­te capeg­gia­ta da Tura­ti, ma sen­za dan­neg­gia­re l’apparato del par­ti­to e quin­di vole­va­no che l’adesione alla Ter­za Inter­na­zio­na­le, già avve­nu­ta, si con­so­li­das­se con­ce­den­do che le pro­ce­du­re per l’estromissione dei rifor­mi­sti venis­se­ro sta­bi­li­te, anche quan­to a tem­pi di ese­cu­zio­ne, in Ita­lia, dove l’Internazionale avreb­be dovu­to accon­ten­tar­si di aspet­ta­re i como­di di Ser­ra­ti apren­do­gli una par­ti­co­la­re linea di cre­di­to, con il rischio che le cose si tra­sci­nas­se­ro in lun­ghez­za. Di qui lo svi­lup­po del­la resi­sten­za alle con­di­zio­ni di ammis­sio­ne all’Internazionale stes­sa da par­te dei mas­si­ma­li­sti, sul­la qua­le resi­sten­za lo stes­so Ser­ra­ti ste­se un velo di sini­stri­smo duran­te il secon­do con­gres­so di Mosca nell’estate 1920 (que­stio­ne agra­ria e nazionale‑coloniale). Non pos­sia­mo dedi­ca­re spa­zio a quest’ultimo epi­so­dio, ma è inte­res­san­te ricor­da­re che Bor­di­ga, di ritor­no dal­lo stes­so con­gres­so, al qua­le par­te­ci­pò come rap­pre­sen­tan­te del­la Fra­zio­ne comu­ni­sta asten­sio­ni­sta del PSI, dichia­rò di con­cor­da­re con le cri­ti­che di meri­to di Ser­ra­ti, ripro­po­nen­do­si di tor­na­re sull’argomento, cosa che gli fu impe­di­ta, va rico­no­sciu­to, dal­lo svi­lup­po degli avve­ni­men­ti in Italia.
Per riflet­te­re sul­la scis­sio­ne di Livor­no è impor­tan­te non tra­scu­ra­re nep­pu­re per un momen­to quan­to abbia­mo affer­ma­to, e cioè che nel mas­si­ma­li­smo si espri­me­va­no spin­te sane del pro­le­ta­ria­to a con­tra­sta­re le mos­se del­la bor­ghe­sia e a pren­de­re se pos­si­bi­le, nell’ambito di que­sta rea­zio­ne, un’iniziativa che andas­se alla radi­ce di tut­ti i problemi.
Que­sto dato è par­ti­co­lar­men­te signi­fi­ca­ti­vo e se lo si tra­scu­ra la sto­ria del mas­si­ma­li­smo rischia di diven­ta­re quel­la di un grup­po di capi del movi­men­to ope­ra­io inca­pa­ci e per­fi­no ridi­co­li, che riu­sci­ro­no tut­ta­via a imbro­glia­re i lavo­ra­to­ri. È capi­ta­to spes­so che le rico­stru­zio­ni sto­ri­che sia­no sci­vo­la­te lun­go que­sta chi­na. Ma un’impostazione del gene­re spie­ga poco il cor­so del­le cose e può tro­va­re sboc­co addi­rit­tu­ra nel far rica­de­re l’incapacità dei diri­gen­ti mas­si­ma­li­sti sul pro­le­ta­ria­to stes­so che li ave­va scel­ti per rap­pre­sen­tar­lo. E così non si fareb­be­ro gran­di pas­si avan­ti nel­la com­pren­sio­ne dei fat­ti. Come, d’altronde, non si può liqui­da­re con uno sche­mi­no bana­le e disar­man­te lo stes­so Ser­ra­ti, che, da diret­to­re dell’Avan­ti!, ave­va gui­da­to con abi­li­tà e per­fi­no con corag­gio (si pen­si alla sua pre­sen­za duran­te l’insurrezione di Tori­no del 1917) l’opposizione alla guer­ra da par­te del PSI, pre­scin­den­do da tut­ti i limi­ti che tale oppo­si­zio­ne (ini­zia­ta con il famo­so “né ade­ri­re, né sabo­ta­re” del 1915) ave­va avu­to. E, se non si può liqui­da­re così Ser­ra­ti, che entrò nel PCd’I nel 1924 con una par­te del­la sua cor­ren­te, non lo si può fare nem­me­no con tan­ti altri socialisti.
Ebbe­ne, para­dos­sal­men­te, il com­pi­to di sca­ri­ca­re sul PCd’I le respon­sa­bi­li­tà dell’avvento del fasci­smo è sta­to assol­to, sen­za voler­lo, pro­prio da colo­ro che, nel­le cele­bra­zio­ni, han­no esal­ta­to, fuo­ri da ogni sen­so del­la misu­ra, la scis­sio­ne del movi­men­to socia­li­sta nel 1921 e la poli­ti­ca intra­pre­sa dal­la nuo­va orga­niz­za­zio­ne, lega­ta al nome di Bor­di­ga. Quest’ultimo ne fu infat­ti il prin­ci­pa­le espo­nen­te, alme­no fino a quan­do ven­ne arre­sta­to agli ini­zi del 1923 e sosti­tui­to, assie­me a tut­to il Comi­ta­to Ese­cu­ti­vo elet­to al pri­mo con­gres­so e con­fer­ma­to al secon­do (mar­zo 1922), con una mano­vra di Gram­sci e di Togliat­ti aval­la­ta dal ver­ti­ce di allo­ra del­la Ter­za Inter­na­zio­na­le, che si tro­va­va, e non pro­prio feli­ce­men­te, nel­le mani di Zinov’ev.

Gri­go­rij Evsee­vič Zinov’ev

Zinov’ev fu ucci­so negli anni Tren­ta duran­te il Gran­de Ter­ro­re sta­li­nia­no, ma non si può tace­re che egli, respon­sa­bi­le del­la linea segui­ta in Ita­lia dall’Internazionale tra il 1919 e il 1921, incar­nò le posi­zio­ni di una par­ti­co­la­re cor­ren­te bol­sce­vi­ca che non era­no in tut­to e per tut­to assi­mi­la­bi­li a quel­le di Lenin. Sareb­be mol­to uti­le un lavo­ro che rac­co­glies­se, con un appa­ra­to cri­ti­co ade­gua­to, i docu­men­ti dell’attività svol­ta da Zinov’ev con rife­ri­men­to all’Italia. Chi si occu­pa di sto­ria del movi­men­to comu­ni­sta dovreb­be sape­re per­fet­ta­men­te come anda­ro­no le cose, pren­den­do atto del­le varia­zio­ni e cor­re­zio­ni cui lo stes­so Zinov’ev ave­va sot­to­po­sto il suo “sini­stri­smo”, per esem­pio l’anno pri­ma, in otto­bre, allor­ché si era col­lo­ca­to tra i pro­mo­to­ri del­la scis­sio­ne di Hal­le del­la social­de­mo­cra­zia indi­pen­den­te in Ger­ma­nia, con la sini­stra mag­gio­ri­ta­ria di que­sto par­ti­to che con­fluì nel­la KPD sul­la base dei risul­ta­ti del secon­do con­gres­so di Mosca. Se il ruo­lo di Zinov’ev, che virò appa­ren­te­men­te “a sini­stra” dopo un anno, al momen­to del­la deci­sio­ne nei con­fron­ti dei socia­li­sti ita­lia­ni, non vie­ne suf­fi­cien­te­men­te posto in risal­to, con il risul­ta­to di appiat­ti­re trop­po sui suoi com­por­ta­men­ti tut­to il ver­ti­ce bol­sce­vi­co, ci si ren­de com­pli­ci di una misti­fi­ca­zio­ne bel­la e buo­na. Aggiun­gia­mo sol­tan­to che nem­me­no nel giro di un anno egli fu pro­ta­go­ni­sta, con Bucha­rin e altri, del­le resi­sten­ze alla tat­ti­ca del “fron­te unico”.
A par­te que­sto, se è vero che la scis­sio­ne di Livor­no fu un atto neces­sa­rio e sacro­san­to con­tro le incon­clu­den­ze dal pun­to di vista degli inte­res­si del pro­le­ta­ria­to da par­te dei diri­gen­ti del mas­si­ma­li­smo, è vero anche che essa fu al tem­po stes­so una scon­fit­ta poli­ti­ca del­la sini­stra del PSI, di tut­ta la sini­stra, che ave­va con­di­vi­so in linea di mas­si­ma la piat­ta­for­ma poli­ti­ca del­la dire­zio­ne del par­ti­to fino a quel momen­to. Ci rife­ria­mo al pro­gram­ma appro­va­to al con­gres­so di Bolo­gna del 1919, che rati­fi­cò l’adesione alla Ter­za Inter­na­zio­na­le. Su que­sto pro­gram­ma Bor­di­ga ave­va dichia­ra­to, per la Fra­zio­ne da lui rap­pre­sen­ta­ta, che non vi era­no diver­gen­ze sostan­zia­li sal­vo sul­la scel­ta di par­te­ci­pa­re alle ele­zio­ni. In cer­to sen­so, con la scis­sio­ne di Livor­no si effet­tuò, ottem­pe­ran­do alle tesi dell’Internazionale, un para­dos­sa­le recu­pe­ro del testo appron­ta­to dal­la com­mis­sio­ne com­po­sta da Ser­ra­ti, Gen­na­ri, Bom­bac­ci e Sal­va­to­ri, i qua­li ave­va­no pre­so spun­to per lo più da un docu­men­to pub­bli­ca­to pro­prio nel Soviet e, tol­to Ser­ra­ti, furo­no con gli scis­sio­ni­sti due anni dopo.
In paro­le pove­re, voglia­mo soste­ne­re che la rot­tu­ra di Livor­no, per quan­to impo­sta dall’incancrenirsi, per col­pa dei mas­si­ma­li­sti, del­la situa­zio­ne inter­na del PSI, non fu un’operazione mol­to ben riu­sci­ta. Ecco per­ché abbia­mo, nel tito­lo stes­so di que­ste note, par­la­to di “aspet­ti nega­ti­vi” del­la scis­sio­ne del 1921.
È evi­den­te che al PCd’I appe­na for­ma­to non era pre­clu­so dar­si un pro­gram­ma imme­dia­to d’azione capa­ce di com­pen­sa­re que­sto difet­to, affron­tan­do il pro­ble­ma di come il pro­le­ta­ria­to potes­se fron­teg­gia­re l’offensiva capi­ta­li­sti­ca in atto, cioè sia l’intervento in essa del­lo Sta­to, sia lo sca­te­na­men­to del­lo squa­dri­smo fasci­sta, feno­me­no nuo­vo nel pano­ra­ma poli­ti­co ita­lia­no e inter­na­zio­na­le (l’estrema destra tede­sca impie­gò più tem­po di quel­la mus­so­li­nia­na a met­te­re in atto qual­co­sa di simi­le). For­se in un lavo­ro pre­ce­den­te non lo abbia­mo mes­so in luce nel modo esau­rien­te e diret­to che sareb­be sta­to oppor­tu­no, anche se dal testo di Ama­deo Bor­di­ga poli­ti­co (si veda la par­te cen­tra­le del libro) i lati nega­ti­vi dell’operazione com­piu­ta a Livor­no tra­spa­io­no. Com­piu­ta que­sta mode­ra­ta auto­cri­ti­ca, con­ce­dia­mo senz’altro che si pos­sa cele­bra­re l’anniversario del­la fon­da­zio­ne del PCd’I, a con­di­zio­ne però di non esagerare.
Nel­la scon­fit­ta poli­ti­ca di tut­te le com­po­nen­ti del­la sini­stra del PSI, quin­di sia degli scis­sio­ni­sti sia dei «comu­ni­sti uni­ta­ri» di Ser­ra­ti, sta il nodo che deve affron­ta­re una sto­rio­gra­fia mili­tan­te per capi­re vera­men­te che cosa suc­ces­se allo­ra e dopo, comin­cian­do a par­la­re sul serio di politica.

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Su quan­to accad­de dopo il con­gres­so di Livor­no è infat­ti neces­sa­rio por­si alcu­ne doman­de. Per­ché la mano­vra di Gram­sci e Togliat­ti con la qua­le nell’estate del 1923 Bor­di­ga e i suoi com­pa­gni furo­no eli­mi­na­ti dal­la dire­zio­ne del par­ti­to riu­scì, spez­zan­do la con­ti­nui­tà poli­ti­ca e orga­niz­za­ti­va del par­ti­to? Il PCd’I, nono­stan­te il duro con­fron­to con l’offensiva fasci­sta e la gra­ve scon­fit­ta del pro­le­ta­ria­to nell’agosto del 1922, segui­ta dal­la Mar­cia su Roma, era infat­ti impe­gna­to anco­ra nel­la com­ples­sa ope­ra che ven­ne defi­ni­ta di “inqua­dra­men­to”.
E anco­ra: per­ché la mano­vra di Gram­sci e Togliat­ti con­tro Bor­di­ga e l’Esecutivo del par­ti­to riu­scì in modo qua­si indo­lo­re? Ripe­tia­mo che sia­mo nel 1923: l’Internazionale non era in gra­do di ope­ra­re auto­no­ma­men­te in Ita­lia, non ave­va gli stru­men­ti orga­niz­za­ti­vi per far­lo, cioè non dispo­ne­va di uomi­ni adat­ti al com­pi­to. Tra gli ele­men­ti più costan­te­men­te impe­gna­ti da essa nel perio­do di cui stia­mo trat­tan­do figu­ra Humbert‑Droz, il cui zelo buro­cra­ti­co rispet­to all’Esecutivo di Mosca è fuo­ri discus­sio­ne, ma i cui inter­ven­ti non bril­la­ro­no per abi­li­tà e inci­si­vi­tà. Altri mili­tan­ti furo­no occa­sio­nal­men­te pre­sen­ti in Ita­lia, ma non agi­ro­no meglio di Humbert‑Droz, per esem­pio Manuil’skij, Kola­rov e Ráko­si (tut­ti dive­nu­ti suc­ces­si­va­men­te sta­li­ni­sti). Non si può soste­ne­re che il loro ope­ra­to abbia coin­ci­so con un’attività impo­sta­ta orga­ni­ca­men­te per rag­giun­ge­re deter­mi­na­ti risultati.
È un ele­men­to di cui tener con­to. Per di più l’Internazionale era impe­gna­ta in pro­ble­mi enor­mi anche altro­ve (in pri­mis in Ger­ma­nia) e a Mosca sta­va ini­zian­do quel­la che si pale­sò rapi­da­men­te come una lot­ta per il pote­re tra le for­ze del­la rivo­lu­zio­ne e quel­le del­la con­tro­ri­vo­lu­zio­ne sta­li­nia­na. In Ita­lia si sareb­be dovu­to pro­va­re ad affian­ca­re con ele­men­ti vali­di il ver­ti­ce del PCd’I impo­nen­do­gli – nel qua­dro di una discus­sio­ne appro­fon­di­ta, che non ci fu, e non ci fu sul­la que­stio­ne del fasci­smo in gene­ra­le, su quel­la del fron­te uni­co e del gover­no ope­ra­io, sul rap­por­to con i mas­si­ma­li­sti desi­de­ro­si di resta­re sul ter­re­no del­la Ter­za Inter­na­zio­na­le, non meno che sull’occasione man­ca­ta del­lo svi­lup­po del movi­men­to degli Ardi­ti del Popo­lo – di disci­pli­nar­si alle pro­prie diret­ti­ve. Se la discus­sio­ne non si svol­se come sareb­be sta­to neces­sa­rio fu col­pa sia del PCd’I sia dell’Internazionale, alme­no per quan­to con­cer­ne la sua gestio­ne zino­vie­via­na, ma non si può che pren­der­ne atto.
A Mosca si pen­sò allo­ra che la solu­zio­ne di tut­ti i pro­ble­mi con­si­stes­se nel­la desti­tu­zio­ne  di Bor­di­ga e nell’affidamento del­la gestio­ne del par­ti­to a ele­men­ti più doci­li rispet­to a un orien­ta­men­to che, tra l’altro, ormai era in cri­si, e nes­su­na voce si levò a pro­te­sta­re con­tro una mano­vra che recò un dan­no enor­me al PCd’I e al movi­men­to ope­ra­io ita­lia­no. A que­sta mano­vra fece riscon­tro l’assurdo “anti­fra­zio­ni­smo” di Bor­di­ga e dei suoi com­pa­gni, i qua­li in sostan­za si sot­tras­se­ro, poco leni­ni­sti­ca­men­te, va det­to, alle respon­sa­bi­li­tà del­le qua­li avreb­be­ro dovu­to inve­ce far­si cari­co, nono­stan­te tut­te le dif­fi­col­tà del momento.
La “sini­stra comu­ni­sta” ten­ne que­sto atteg­gia­men­to fino al 1926 e Bor­di­ga lo pro­tras­se nel perio­do imme­dia­ta­men­te suc­ces­si­vo all’uscita dell’Italia dal­la guer­ra del 1939‑45. Dopo il 1926 e fino alla fine del­la Secon­da guer­ra mon­dia­le si col­lo­ca quel­lo che Artu­ro Pere­gal­li e San­dro Sag­gio­ro han­no chia­ma­to il “perio­do oscu­ro” di Bor­di­ga. Non mol­to diver­so, nel­lo stes­so tor­no di tem­po, fu l’atteggiamento di Tro­tsky fino alla sua espul­sio­ne dall’Unione Sovie­ti­ca e dopo di essa.

Lev Davi­do­vič Trotsky

Per dare rispo­sta alle due doman­de che abbia­mo for­mu­la­to sopra biso­gna “cer­ca­re” quin­di in Ita­lia e non altro­ve. Ma ci sono anche altre que­stio­ni. Ecco­le: cor­re un qual­che tipo di rap­por­to tra il feno­me­no del cam­bio di dire­zio­ne del par­ti­to e la poli­ti­ca da esso segui­ta nei pri­mi due anni di vita, cioè la sosti­tu­zio­ne dell’Esecutivo di Livor­no fu in qual­che modo pro­vo­ca­ta dal­le carat­te­ri­sti­che di que­sta poli­ti­ca, che ebbe esi­ti insod­di­sfa­cen­ti? Per­ché, infi­ne, Bor­di­ga e la “sini­stra comu­ni­sta ita­lia­na” – che, come sem­pre è sta­to sot­to­li­nea­to, si tro­va­va­no in posi­zio­ni di for­za all’interno dell’organizzazione anco­ra nel 1924 – furo­no emar­gi­na­ti al pun­to che non rima­se più trac­cia del­lo “spi­ri­to di Livor­no”? Non si trat­ta, a nostro avvi­so, di un feno­me­no di por­ta­ta secon­da­ria. E non ci si obiet­ti che sul fini­re del­la Secon­da guer­ra mon­dia­le que­sto “spi­ri­to” tor­nò a mani­fe­star­si, quan­do fu costi­tui­to il Par­ti­to Comu­ni­sta Inter­na­zio­na­li­sta, con un radi­ca­men­to mino­ri­ta­rio ma all’apparenza pro­met­ten­te, per­ché si trat­tò sol­tan­to di una pos­si­bi­li­tà. Tale pos­si­bi­li­tà non si veri­fi­cò per moti­vi che non sta­re­mo a ricor­da­re, e lo affer­mia­mo con ram­ma­ri­co. In altra sede ne abbia­mo trat­ta­to abba­stan­za dif­fu­sa­men­te, così come ne ha trat­ta­to Dani­lo Mon­tal­di nel suo Sag­gio sul­la poli­ti­ca comu­ni­sta in Ita­lia (1919‑1970), recen­te­men­te ripubblicato.
Sareb­be scioc­co soste­ne­re che le nostre doman­de non ten­go­no con­to del­la vit­to­ria del fasci­smo in Ita­lia e del­lo sta­li­ni­smo nell’Unione Sovie­ti­ca. Riba­di­to che sia­mo alle pre­se con il 1923, che Mus­so­li­ni era appe­na arri­va­to al gover­no e che nell’Unione Sovie­ti­ca la lot­ta per il pote­re era sol­tan­to ini­zia­ta, le nostre doman­de oltre­tut­to non sot­tin­ten­do­no mini­ma­men­te la con­vin­zio­ne secon­do la qua­le sareb­be sta­to pos­si­bi­le con­ti­nua­re in Ita­lia un per­cor­so ver­so il rove­scia­men­to del­la situa­zio­ne a bre­ve sca­den­za. A pen­sar­lo fu piut­to­sto il “nuo­vo grup­po diri­gen­te” del PCd’I, in sin­to­nia con la teo­ria scia­gu­ra­ta, pre­val­sa a Mosca men­tre Sta­lin vin­ce­va e aval­la­ta da Zinov’ev che con Sta­lin fu allea­to fino al 1925, secon­do la qua­le la vit­to­ria del­la rea­zio­ne era l’anticamera di quel­la del­la rivo­lu­zio­ne, teo­ria alla qua­le sia Gram­sci sia Togliat­ti si adat­ta­ro­no con una velo­ci­tà degna di miglior cau­sa, ma in qual­che modo ricon­du­ci­bi­le alle caren­ze dell’analisi, da essi con­di­vi­sa, del Comi­ta­to Ese­cu­ti­vo ita­lia­no nei suoi pri­mi due anni di attività.
Una poli­ti­ca comu­ni­sta non pote­va mira­re solo, a bre­ve ter­mi­ne, alla con­qui­sta del pote­re oppu­re, se tale con­qui­sta non fos­se sta­ta pos­si­bi­le, come non lo fu, trin­ce­rar­si nel­la rac­col­ta, impro­ba­bi­le alla sca­la dei gran­di nume­ri neces­sa­ri, del­le for­ze da sca­te­na­re con­tro il nemi­co in un futu­ro non meglio pre­ci­sa­to. La rivo­lu­zio­ne pote­va e, per­ché no?, dove­va esse­re pen­sa­ta come un’avventura, ma non nel sen­so super­fi­cia­le di un’incursione di un repar­to di ardi­men­to­si usci­ti all’improvviso dal buio del­la not­te, per­ché di essa dove­va­no esse­re pro­ta­go­ni­ste le mas­se popo­la­ri del pae­se; e affin­ché ciò avve­nis­se era neces­sa­ria, oltre che una situa­zio­ne di pro­fon­do squi­li­brio e dif­fi­col­tà del siste­ma di pote­re del­la bor­ghe­sia, che nel 1921 esi­ste­va anco­ra, una fase più o meno lun­ga di lot­te poli­ti­che pre­pa­ra­to­rie, non ridu­ci­bi­li all’intervento nei sin­da­ca­ti e negli scio­pe­ri o alla pura e sem­pli­ce, anche se corag­gio­sa, resi­sten­za agli squa­dri­sti lad­do­ve necessario.
Il ver­san­te poli­ti­co “di mas­sa”, se si eccet­tua l’attività sin­da­ca­le, man­cò com­ple­ta­men­te nell’attività del PCd’I in Ita­lia dopo il 1923 e man­cò anche nei com­por­ta­men­ti del­la “sini­stra comu­ni­sta ita­lia­na”. Ci si dirà che non era pos­si­bi­le fare nul­la, ma que­sta affer­ma­zio­ne non var­reb­be mol­to se non fos­se segui­ta da una dimo­stra­zio­ne, che ci pare vera­men­te dif­fi­ci­le da met­te­re in pie­di. Sareb­be lun­go con­tra­sta­re que­sta tesi e ci pare suf­fi­cien­te con­sta­ta­re con­tro di essa il fat­to che si basa uni­ca­men­te sul sen­no di poi. E, oltre­tut­to, non è quan­to, spe­ran­do di susci­ta­re una discus­sio­ne, ci sia­mo pro­po­sti di evidenziare.
Non ci adden­tre­re­mo qui nel­la cri­si del regi­me segui­ta all’assassinio del depu­ta­to socia­li­sta Mat­teot­ti e nell’esperienza dell’Aventino, cioè del­la vel­lei­ta­ria usci­ta dal par­la­men­to del­le oppo­si­zio­ni (che Gram­sci, cri­ti­ca­to dal­la “sini­stra comu­ni­sta”, con­si­de­rò con un cer­to favo­re), per­ché sono epi­so­di col­lo­ca­ti trop­po a ridos­so del cam­bio di dire­zio­ne del PCd’I. Ma non pos­sia­mo esi­mer­ci dal ricor­da­re come, a distan­za di poco più di die­ci anni – con un tem­po quin­di più che suf­fi­cien­te, nono­stan­te il pro­se­gui­men­to del­la repres­sio­ne gover­na­ti­va, a un’adeguata ripre­sa dell’attività del PCd’I dal­le con­se­guen­ze pesan­ti del­la vit­to­ria di Mus­so­li­ni – la guer­ra per la con­qui­sta dell’Etiopia da par­te dell’Italia (dall’ottobre 1935 all’agosto 1936), che dove­va garan­ti­re il “posto al sole” alla “gran­de pro­le­ta­ria”, oltre a cor­ri­spon­de­re a esi­gen­ze geo­stra­te­gi­che del­la poli­ti­ca este­ra fasci­sta, fu un’altra occa­sio­ne per­du­ta dal­la “sini­stra comunista”.
Alla guer­ra d’Etiopia si con­trap­po­se il gene­ri­co anti­co­lo­nia­li­smo dell’emigrazione anti­fa­sci­sta e la riven­di­ca­zio­ne nell’agosto del 1936, subi­to dopo la pro­cla­ma­zio­ne dell’“Impero”, del pro­gram­ma di un non più esi­sten­te fasci­smo “movi­men­ti­sta” da par­te degli stalinisti.

Pal­mi­ro Togliat­ti in una foto segnaletica

Quel­lo che è pas­sa­to alla sto­ria con il nome di “Appel­lo ai fra­tel­li in cami­cia nera” (scrit­to da Rug­ge­ro Grie­co e fir­ma­to anche da Togliat­ti) mise in non cale ogni pro­te­sta di tipo antim­pe­ria­li­sta nel Pae­se, men­tre sareb­be sta­to pos­si­bi­le svi­lup­pa­re una cam­pa­gna con­tro il regi­me; ne fan­no fede le testi­mo­nian­ze degli stu­di sto­ri­ci sul­la pre­sen­za di un’articolata rete comu­ni­sta nel Pae­se che, poco tem­po pri­ma dell’avventura afri­ca­na, era sta­to scos­so da lot­te socia­li limi­ta­te a set­to­ri par­ti­co­la­ri del pro­le­ta­ria­to, ma abba­stan­za inten­se, anche e soprat­tut­to per la situa­zio­ne inter­na pesan­te­men­te aggra­va­ta dal­la guer­ra (si veda, per esem­pio, il ter­zo volu­me del­la Sto­ria del Par­ti­to Comu­ni­sta Ita­lia­no di Pao­lo Spria­no). A paga­re i 40 miliar­di di lire (tra­du­ci­bi­li nel­la situa­zio­ne attua­le, secon­do le tabel­le di  ricon­ver­sio­ne sto­ri­ca del­le mone­te, in cir­ca 43 miliar­di di euro) neces­sa­ri allo sman­tel­la­men­to manu mili­ta­ri del­lo Sta­to del Negus furo­no infat­ti le mas­se popolari.
Si ten­ga pre­sen­te che la guer­ra d’Etiopia tro­va riscon­tro per pro­por­zio­ni sol­tan­to nel­la guer­ra d’Algeria del­la Fran­cia dopo la Secon­da guer­ra mon­dia­le. E non ci si ven­ga a dire che lo svi­lup­po di acce­se lot­te antim­pe­ria­li­ste in Fran­cia in quest’ultima cir­co­stan­za fu age­vo­la­to dal­la pre­sen­za nel­la colo­nia di un movi­men­to nazio­na­li­sta bor­ghe­se di tipo rivo­lu­zio­na­rio. La resi­sten­za del Negus agli inva­so­ri ita­lia­ni ave­va indub­bia­men­te un impian­to rea­zio­na­rio, ma non si può dire che, rispet­to a Mus­so­li­ni, essa non svol­ges­se un ruo­lo posi­ti­vo. Come non ci si ven­ga a dire che sareb­be sta­to “suf­fi­cien­te” guar­da­re con sim­pa­tia all’ipotesi di una nuo­va scon­fit­ta di Adua per le trup­pe di Mus­so­li­ni e dei suoi gene­ra­li. Ciò non sareb­be sta­to per nul­la suf­fi­cien­te, se la pre­pa­ra­zio­ne di que­sta “nuo­va Adua” non aves­se tro­va­to con­for­to altro che nel­le impro­ba­bi­li capa­ci­tà mili­ta­ri di Hai­lé Selas­sié, poco soste­nu­to dai con­cor­ren­ti impe­ria­li­sti dell’Italia, o nell’imbelle paci­fi­smo dell’opposizione anti­fa­sci­sta, non ido­neo a una sfi­da al regi­me di Roma, si potreb­be dire per­fi­no da un pun­to di vista propagandistico.
Aggiun­gia­mo che, se in Ita­lia, nono­stan­te la pre­sen­za di Bor­di­ga, non esi­ste­va una qual­che strut­tu­ra clan­de­sti­na ricon­du­ci­bi­le alle posi­zio­ni del­la “sini­stra comu­ni­sta”, nell’emigrazione si era nel frat­tem­po costi­tui­ta e con­so­li­da­ta un’organizzazione, anche se mino­ri­ta­ria (alcu­ne cen­ti­na­ia di ade­ren­ti dal­lo spi­ri­to mol­to mili­tan­te), che ave­va intra­pre­so un’attività e pro­prio a ridos­so dell’inizio del­la guer­ra in Etio­pia, men­tre si svol­ge­va­no i pre­pa­ra­ti­vi in Euro­pa dei Fron­ti Popo­la­ri, ave­va tenu­to un con­gres­so. Ebbe­ne, per tut­ta la dura­ta del con­flit­to afri­ca­no la Fra­zio­ne bor­di­ghi­sta all’estero si limi­tò a cri­ti­ca­re il paci­fi­smo che carat­te­riz­za­va la linea dei Fron­ti Popo­la­ri e, nel suo con­gres­so del 1936, con­trap­po­se all’azione mili­ta­re di Mus­so­li­ni il richia­mo gene­ra­lis­si­mo alla rivo­lu­zio­ne pro­le­ta­ria come uni­co mez­zo per con­tra­sta­re la guer­ra, nel­la con­vin­zio­ne che ci si tro­vas­se di fron­te alla pre­mes­sa diret­ta di un nuo­vo con­flit­to internazionale.
Tale con­vin­zio­ne fu pre­sto con­trad­det­ta dal­la Fra­zio­ne stes­sa (al con­gres­so dell’anno suc­ces­si­vo) con l’esclusione di una pos­si­bi­li­tà del gene­re, e pro­prio men­tre ci si avvia­va inve­ce a rapi­di pas­si ver­so la guer­ra gene­ra­le del 1939‑45. Come la posi­zio­ne del 1936 si sareb­be tra­dot­ta in pra­ti­ca poli­ti­ca dell’organizzazione stes­sa e del­le mas­se lavo­ra­tri­ci rima­se un miste­ro. Lo con­fer­ma la let­tu­ra del gior­na­le in ita­lia­no Pro­me­teo e del­la rivi­sta teo­ri­ca in fran­ce­se Bilan.
Non si può dimen­ti­ca­re nem­me­no che il PCd’I nel 1921‑22 non si era impe­gna­to – cosa che gli ven­ne addi­rit­tu­ra rim­pro­ve­ra­ta dall’Internazionale nel 1924, sen­za rispo­ste da par­te sua – in un soste­gno alla guer­ri­glia in Libia con­tro l’invasione ita­lia­na, che si pro­trae­va costrin­gen­do il gover­no di Roma ad aumen­ta­re il con­tin­gen­te mili­ta­re invia­to nel­la colo­nia sot­trat­ta a suo tem­po alla Turchia.

* * *

Ma tor­nia­mo alla scis­sio­ne di Livor­no. Ci pare uti­le, per apri­re una discus­sio­ne, pren­de­re in con­si­de­ra­zio­ne l’analisi com­piu­ta da un diri­gen­te comu­ni­sta dell’epoca, che è sta­ta volu­ta­men­te tra­scu­ra­ta da tut­ti colo­ro che si sono cimen­ta­ti con l’argomento. Il diri­gen­te in que­stio­ne è Ange­lo Tasca, che dedi­cò la par­te ini­zia­le di un docu­men­to pre­sen­ta­to alla Con­fe­ren­za orga­niz­za­ti­va di Como (1924) del PCd’I pro­prio alla nasci­ta del par­ti­to, nel qua­le egli fece par­te del Comi­ta­to Cen­tra­le e si occu­pò dell’attività nei sin­da­ca­ti e nel­le lot­te ope­ra­ie. Il testo è inti­to­la­to “Sche­ma di tesi del­la ‘mino­ran­za’ del CC del PCI” (Lo Sta­to ope­ra­io, 15 mag­gio 1924)[1].

Ange­lo Tasca

Pri­ma di citar­lo è però neces­sa­ria una mes­sa a pun­to sul­la figu­ra dell’autore, che alla Con­fe­ren­za di Como lo pre­sen­tò con le fir­me di altri espo­nen­ti dell’organizzazione nel chia­ro inten­to di deli­nea­re uno schie­ra­men­to, oltre che con­tro la sini­stra, con­tro la mag­gio­ran­za del Comi­ta­to Cen­tra­le (Gram­sci). Alla fine di quel­la con­fe­ren­za, però, Tasca appog­giò il grup­po di Gram­sci e Togliat­ti nel­la spe­ran­za, subi­to fru­stra­ta, di veder­lo evol­ve­re sul­le pro­prie posi­zio­ni. A que­sta sua aspet­ta­ti­va con­tri­buì anche il con­sen­so che il grup­po di Gram­sci e Togliat­ti rice­vet­te da Mosca, cioè da Zinov’ev.
Tasca scris­se il docu­men­to quan­do era schie­ra­to con il Comi­ta­to Ese­cu­ti­vo dell’Internazionale sul­le que­stio­ni cru­cia­li del fron­te uni­co e del gover­no ope­ra­io, anche se sareb­be fuor­vian­te soste­ne­re che tale schie­ra­men­to signi­fi­cas­se una con­di­vi­sio­ne tota­le da par­te sua dell’interpretazione restrit­ti­va del­le stes­se que­stio­ni pre­val­sa al quin­to con­gres­so mon­dia­le del­lo stes­so anno e sareb­be inve­ce più cor­ret­to col­lo­car­lo in sin­to­nia con le tesi appro­va­te dal pre­ce­den­te con­gres­so del 1922. Non esi­sto­no dub­bi in pro­po­si­to. Pre­ce­den­te­men­te Tasca, comun­que, si era disci­pli­na­to alla linea che, in con­tra­sto con que­ste tesi, era pre­val­sa nel par­ti­to e che veni­va anco­ra con­di­vi­sa in buo­na misu­ra dal nuo­vo grup­po diri­gen­te di Gram­sci e Togliatti.
Tasca descris­se dopo il 1924, con una paren­te­si nel Cen­tro este­ro del par­ti­to instal­la­to a Pari­gi, una para­bo­la che negli anni Tren­ta lo ricon­dus­se, con un ruo­lo di ver­ti­ce, nel Par­ti­to Socialista.
Nel 1938, men­tre era nel Par­ti­to Socia­li­sta e si tro­va­va su posi­zio­ni fero­ce­men­te anti­sta­li­ni­ste non cor­ri­spon­den­ti a quel­le uffi­cia­li dell’organizzazione, cioè con­tra­rie alla linea dei Fron­ti Popo­la­ri, pub­bli­cò in Fran­cia un libro impor­tan­tis­si­mo e istrut­ti­vo: Nasci­ta e avven­to del fasci­smo. L’Italia dal 1918 al 1922 (usci­to in Ita­lia sol­tan­to nel 1950), del qua­le si può con­di­vi­de­re mol­to, a par­te la tesi secon­do cui nel nostro Pae­se nel pri­mo dopo­guer­ra sareb­be sta­ta all’ordine del gior­no una rivo­lu­zio­ne di tipo demo­cra­ti­co. Que­sto lavo­ro di Tasca si tro­va nel­la biblio­te­ca di mol­ti mili­tan­ti dei grup­pi di estre­ma sini­stra di oggi, ma ci sen­tia­mo di affer­ma­re che sono pochi quel­li che dav­ve­ro lo han­no letto.
Comun­que, in segui­to all’occupazione del­la Fran­cia da par­te del­le trup­pe tede­sche (1940), Tasca lavo­rò per il regi­me di Vichy al mini­ste­ro dell’informazione e all’École des cadres civi­ques del Segre­ta­ria­to gene­ra­le alla pro­pa­gan­da, col­la­bo­ran­do anche con rego­la­ri­tà sui temi del­la poli­ti­ca este­ra al set­ti­ma­na­le L’Effort di Lio­ne, diret­to dall’ex socia­li­sta Paul Rives. Tale perio­di­co era espres­sio­ne del­la ten­den­za del­la SFIO (ossia del par­ti­to socia­li­sta) schie­ra­ta con Pétain nel­la spe­ran­za che il suo regi­me potes­se rap­pre­sen­ta­re una svol­ta nel­la ricer­ca di una solu­zio­ne alla cri­si che ave­va por­ta­to alla scon­fit­ta del Pae­se, nel sen­so di una impro­ba­bi­le “ter­za via” tra fasci­smo e demo­cra­zia par­la­men­ta­re. Così facen­do, Tasca – for­se pre­oc­cu­pa­to dall’ipotesi di una sua eli­mi­na­zio­ne a segui­to del pro­get­to tede­sco (era in vigo­re il pat­to Ribbentrop‑Molotov) di un gover­no a Pari­gi con la par­te­ci­pa­zio­ne degli sta­li­ni­sti (ope­ra­zio­ne piut­to­sto com­pli­ca­ta e di dif­fi­ci­le rea­liz­za­zio­ne, al pun­to che non ebbe nep­pu­re ini­zio) – si pro­cu­rò l’accusa di “col­la­bo­ra­zio­ni­smo”, suc­ces­si­va­men­te cadu­ta (defi­ni­ti­va­men­te sol­tan­to nel 1952) alla luce dell’opera da lui pre­sta­ta alla Resi­sten­za, soprat­tut­to bel­ga, e dell’aiuto por­ta­to a non pochi anti­fa­sci­sti ita­lia­ni in difficoltà.
Non cre­dia­mo che il lavo­ro per il regi­me di Vichy da par­te di Tasca abbia costi­tui­to di per sé una “mac­chia”, soprat­tut­to da un pun­to di vista intel­let­tua­le, anche se sono mol­te e pesan­ti le incer­tez­ze e le oscil­la­zio­ni ana­li­ti­che che in lui si pos­so­no riscon­tra­re in quel perio­do. Non cre­dia­mo cioè che quel­la sua atti­vi­tà abbia avu­to un carat­te­re infa­man­te, così come non cre­de­rem­mo di per sé infa­man­te o meno infa­man­te rispet­to a tale impe­gno una atti­vi­tà più diret­ta e orga­ni­ca, se mai ci fos­se sta­ta, in con­tat­to con l’antifascismo demo­cra­ti­co e con gli Alleati.
Ci limi­tia­mo a sot­to­li­nea­re che la scon­fit­ta nel­la Secon­da guer­ra mon­dia­le del­la Ger­ma­nia, il pae­se euro­peo più avan­za­to, dopo la débâ­cle del pro­le­ta­ria­to tede­sco nel 1923 e dopo la bato­sta fat­ta subi­re allo stes­so pro­le­ta­ria­to dagli sta­li­ni­sti, i qua­li nel 1933 age­vo­la­ro­no obiet­ti­va­men­te l’avvento di Hitler al pote­re, costi­tuì l’inizio del decli­no sto­ri­co dell’Europa, che si fa sen­ti­re anco­ra oggi. La que­stio­ne è estre­ma­men­te com­ples­sa, ma è in que­sto ambi­to che va col­lo­ca­ta l’attività di Tasca, sia pure sen­za for­mu­la­re giu­di­zi su com­por­ta­men­ti spe­ci­fi­ci del per­so­nag­gio. E non ci inte­res­sa affat­to che tali com­por­ta­men­ti sia­no sta­ti com­pen­sa­ti in qual­che modo dal ruo­lo di “agen­te dop­pio” – così lo ha defi­ni­to qual­cu­no – che egli svol­se. Non fac­cia­mo par­te del­la cate­go­ria di quan­ti riten­go­no anco­ra oggi che il bloc­co dell’Asse nel­la guer­ra abbia rap­pre­sen­ta­to il “Male” con­tro il “Bene”, che sareb­be sta­to incar­na­to dagli Alleati.
Più a destra Tasca sci­vo­lò suc­ces­si­va­men­te, pas­san­do da posi­zio­ni di tipo anti­so­vie­ti­co a posi­zio­ni anti­co­mu­ni­ste tout court, fino a sta­bi­li­re rela­zio­ni, anche se non di carat­te­re subor­di­na­to, con il Dipar­ti­men­to di Sta­to sta­tu­ni­ten­se e con la CIA, come atte­sta­to dal suo bio­gra­fo Ale­xan­der J. De Grand (Ange­lo Tasca. Un poli­ti­co sco­mo­do). Comun­que dal­la pen­na di Tasca usci­ro­no sem­pre scrit­ti interessanti.
Tut­to ciò che abbia­mo appe­na det­to sul­le ini­zia­ti­ve poli­ti­che da lui intra­pre­se dagli anni Tren­ta in poi, non vuol dire che l’analisi espo­sta nel docu­men­to del 1924 non sia cor­ret­ta poli­ti­ca­men­te, cioè non vuol dire che non con­ten­ga uti­li ele­men­ti di valu­ta­zio­ne, in par­ti­co­la­re sul­la scis­sio­ne di Livor­no del PSI, ele­men­ti di valu­ta­zio­ne tra l’altro mai pre­sen­ta­ti da altri.
Mai pre­sen­ta­ti alme­no in Ita­lia, per­ché la que­stio­ne era sta­ta inve­ro sol­le­va­ta nei pri­mi mesi del 1921, con argo­men­ti in par­te simi­li a quel­li poste­rio­ri di Tasca, da vari mem­bri del­la Cen­tra­le del­la KPD, pri­mo fra tut­ti Paul Levi, redat­to­re di un rap­por­to cir­co­stan­zia­to al Comi­ta­to Ese­cu­ti­vo Inter­na­zio­na­le sul con­gres­so di Livor­no del PSI, cui ave­va pre­sen­zia­to in qua­li­tà di pre­si­den­te dell’organizzazione tede­sca, che egli ave­va sapu­to trar fuo­ri dal­le scon­fit­te del 1919. Levi ave­va cri­ti­ca­to l’operato dei dele­ga­ti di Mosca al con­gres­so stes­so, i qua­li ave­va­no, a suo dire, con­tri­bui­to, con una cam­pa­gna ideo­lo­gi­ca non sostan­zia­ta da pro­po­ste poli­ti­che pra­ti­ca­bi­li, a tener fuo­ri dal Par­ti­to Comu­ni­sta un nume­ro­so stra­to di pro­le­ta­ri sin­ce­ra­men­te devo­ti alla cau­sa dell’Internazionale, men­tre il nuo­vo par­ti­to non mostra­va di esse­re, rispet­to alle tesi dell’Internazionale, così omo­ge­neo come si credeva.

Paul Levi

Su quest’ultimo pun­to anche Tasca ebbe, come vedre­mo subi­to, occa­sio­ne di sof­fer­mar­si, anche se non fece comun­que alcun rife­ri­men­to alle argo­men­ta­zio­ni di Levi del 1921. Que­ste apri­ro­no una cri­si del­la dire­zio­ne tede­sca – sot­to­po­sta alle mano­vre degli “offen­si­vi­sti”, pre­sto con­clu­se nell’infelice Azio­ne di Mar­zo – cri­si che giun­se alle dimis­sio­ni del­lo stes­so Levi e di altri mem­bri del­la Cen­tra­le nel­la spe­ran­za, con un gesto cla­mo­ro­so, di susci­ta­re un serio dibat­ti­to, argi­nan­do il peri­co­lo dell’estremismo avven­tu­ri­sta sia in Ger­ma­nia, sia in Italia.
Si ten­ga pre­sen­te che alle cri­ti­che di Levi a pro­po­si­to del­la scis­sio­ne di Livor­no l’Esecutivo Inter­na­zio­na­le repli­cò, riba­den­do che la scis­sio­ne stes­sa era sca­tu­ri­ta dal­la neces­si­tà di dar vita subi­to in Ita­lia a un par­ti­to comu­ni­sta non impe­di­to dal­la pre­sen­za dei rifor­mi­sti e da una tol­le­ran­za nei loro con­fron­ti come quel­la del­la cor­ren­te mas­si­ma­li­sta. Ma le cri­ti­che di Levi da nes­su­no furo­no pre­se a pre­te­sto per estro­met­ter­lo dal movi­men­to. L’espulsione avven­ne poco tem­po dopo (in apri­le) non tan­to per la sua denun­cia dell’Azione di Mar­zo come un “putsch baku­ni­ni­sta”, nel che, come rile­va­to da Lenin, egli ave­va «poli­ti­ca­men­te ragio­ne», quan­to per il carat­te­re pub­bli­co con­fe­ri­to alla denun­cia stes­sa in un momen­to dif­fi­ci­lis­si­mo del par­ti­to tede­sco, quin­di per un chia­ro atto di indisciplina.
Ovvia­men­te le posi­zio­ni di Levi sul­la scis­sio­ne ita­lia­na susci­ta­ro­no una rispo­sta da par­te di Bor­di­ga, che scris­se vari arti­co­li in pro­po­si­to, e da par­te dell’Esecutivo ita­lia­no, con un rap­por­to uffi­cia­le invia­to a Mosca il 20 mag­gio 1921, che vale la pena cita­re in quan­to con­te­ne­va un pas­sag­gio sor­pren­den­te: «I comu­ni­sti ita­lia­ni pen­sa­no che l’e­spe­rien­za del fal­li­men­to rivo­lu­zio­na­rio del Par­ti­to Socia­li­sta in Ita­lia deb­ba esse­re accet­ta­ta come una lezio­ne di por­ta­ta inter­na­zio­na­le; non si sono affat­to ram­ma­ri­ca­ti che la “que­stio­ne ita­lia­na” sia ser­vi­ta a sma­sche­ra­re, dopo gli oppor­tu­ni­sti ser­ra­tia­ni, i fal­si comu­ni­sti di altri pae­si, come Levi e C.» (l’ultima evi­den­zia­zio­ne è nostra). È vero che Levi era già sta­to espul­so quan­do que­sto testo ven­ne redat­to, ma non ci con­vin­ce mol­to l’inserimento di esso tra gli scrit­ti di Bor­di­ga, anche alla luce del diver­so teno­re degli arti­co­li che lo pre­ce­det­te­ro. Bor­di­ga era un mili­tan­te trop­po accor­to per abban­do­nar­si a espres­sio­ni come quel­la appe­na ripor­ta­ta. È vero che nel­la pole­mi­ca le esa­ge­ra­zio­ni sono sem­pre all’ordine del gior­no, ma par­la­re di Levi e di colo­ro che era­no d’accordo con lui come di “fal­si comu­ni­sti” supe­rò ogni misu­ra di decen­za: non è cosa da poco la for­mu­la­zio­ne da par­te di Lenin del­la spe­ran­za di un ritor­no di Levi nel movi­men­to. Il pro­ble­ma dell’attribuzione o no a Bor­di­ga del rap­por­to è tut­ta­via cosa secon­da­ria, visto che esso reca la fir­ma dell’Esecutivo italiano.
Che altro aggiun­ge­re? Se Levi era un “fal­so comu­ni­sta”, come pote­va ave­re «poli­ti­ca­men­te ragio­ne» sull’Azione di Mar­zo? Ma non è que­sta la sede per appro­fon­di­re la vicen­da e far­lo ci con­dur­reb­be fuo­ri tema. Dun­que ci fer­mia­mo qui, paghi di aver ricor­da­to un impor­tan­te pre­ce­den­te di cri­ti­ca alle moda­li­tà del­la nasci­ta del PCd’I.
Ripren­den­do il discor­so sul­lo scrit­to di Tasca del 1924, su di esso, come su tut­ti gli altri suoi testi, si eser­ci­tò suc­ces­si­va­men­te l’ostracismo dell’antifascismo demo­cra­ti­co e del­la stes­sa “sini­stra comu­ni­sta”, che pure avreb­be dovu­to esse­re immu­ne da un simi­le atteg­gia­men­to. Ma cer­ti ostra­ci­smi – e quel­lo nei con­fron­ti di Tasca è sol­tan­to un esem­pio fra i tan­ti – sono da deplo­ra­re, pri­ma di ogni altra cosa, sul pia­no cul­tu­ra­le, nel qua­le han­no intro­dot­to e intro­du­co­no una spe­cie di dro­ga che con­tri­bui­sce a impe­di­re una chia­ra visio­ne del­le cose.
La let­tu­ra degli scrit­ti di Tasca, ovvia­men­te, non è un pas­sag­gio obbli­ga­to per tut­ti colo­ro che sono impe­gna­ti nel­la fati­co­sa ricer­ca di una via ver­so la rivo­lu­zio­ne comu­ni­sta. Affer­mia­mo sol­tan­to che quan­ti tra loro si appli­chi­no a ciò che vie­ne chia­ma­to giu­sta­men­te “lavo­ro teo­ri­co”, il qua­le com­pren­de anche lo stu­dio del­la sto­ria, non pos­so­no tra­scu­ra­re un livel­lo di cono­scen­za a pre­scin­de­re dal qua­le ogni rifles­sio­ne sull’intreccio dei pro­ble­mi che si pon­go­no si tro­ve­reb­be pri­va di una soli­da e arti­co­la­ta base. Da Tasca – fer­mo restan­do che nean­che retro­spet­ti­va­men­te si può esse­re soli­da­li con le scel­te con­trad­dit­to­rie e con­fu­se sul pia­no intel­let­tua­le e teo­ri­co, pri­ma anco­ra che inac­cet­ta­bi­li sul pia­no poli­ti­co, del­la sua atti­vi­tà dagli anni Tren­ta in avan­ti – c’è mol­to da impa­ra­re, sia in posi­ti­vo sia in nega­ti­vo. E non cre­dia­mo di fare un tor­to, dicen­do­lo, al lasci­to meto­do­lo­gi­co di Marx e di Engels.
Inol­tre le doti intel­let­tua­li di Tasca sono sta­te rico­no­sciu­te per­fi­no da un bor­di­ghi­sta come Bru­no Maf­fi nel­la Sto­ria del­la sini­stra comu­ni­sta, e ciò a dispet­to del rifiu­to poco com­pren­si­bi­le, pri­ma anco­ra che sul pia­no poli­ti­co, sul pia­no uma­no, da par­te di Bor­di­ga di incon­tra­re Tasca nel 1957 in occa­sio­ne di un viag­gio a Pari­gi per una riu­nio­ne (fu il pri­mo sog­gior­no all’estero del­lo stes­so Bor­di­ga nel dopo­guer­ra), come ci ha testi­mo­nia­to San­dro Sag­gio­ro basan­do­si sui ricor­di di un mili­tan­te che alla riu­nio­ne di Pari­gi inter­ven­ne. Era sta­to Tasca a chie­de­re l’incontro. Lui e Bor­di­ga ave­va­no fat­to par­te del­lo stes­so par­ti­to e da mol­to tem­po non si era­no più visti. Bor­di­ga riser­vò tut­ta­via un ben diver­so atteg­gia­men­to a Umber­to Ter­ra­ci­ni, come risul­ta dal­la let­te­ra che gli inviò nel 1969 e che è sta­ta pub­bli­ca­ta in un volu­me cura­to da Fran­co Livor­si (A. Bor­di­ga, Scrit­ti scel­ti).

* * *

Entran­do in argo­men­to, ecco quan­to si leg­ge nel­la par­te ini­zia­le del sum­men­zio­na­to docu­men­to di Tasca (para­gra­fi 1‑4, di cui non ripor­tia­mo la nume­ra­zio­ne per age­vo­la­re la lettura):

«La scis­sio­ne di Livor­no ebbe una scar­sa riper­cus­sio­ne nel­le mas­se lavo­ra­tri­ci, che nel­la loro mag­gio­ran­za non ne com­pre­se­ro il sen­so e la neces­si­tà. La ragio­ne prin­ci­pa­le di ciò va cer­ca­ta nel fat­to che la scis­sio­ne fu la con­se­guen­za di una volon­tà gene­ri­ca del­la sini­stra del PSI di fon­da­re un par­ti­to “vera­men­te rivo­lu­zio­na­rio”. Ben­ché l’esperienza recen­te dell’occupazione del­le fab­bri­che abbia acce­le­ra­to il pro­ces­so di for­ma­zio­ne del nuo­vo aggrup­pa­men­to poli­ti­co, que­sto non poté pre­sen­tar­si alle mas­se come l’esponente di un pre­ci­so atteg­gia­men­to assun­to nel perio­do dal settembre‑ottobre 1920, duran­te il qua­le non assun­se pro­prie respon­sa­bi­li­tà e non si distin­se, in gene­re, dal gros­so del­la cor­ren­te “mas­si­ma­li­sta”. Il pro­le­ta­ria­to ita­lia­no non poté così ave­re subi­to la sen­sa­zio­ne chia­ra che esi­ste­va uno sta­to mag­gio­re capa­ce di gui­dar­lo, e che l’avrebbe por­ta­to alla vit­to­ria se la sua “paro­la d’ordine” fos­se prevalsa.
La coscien­za “gene­ri­ca” del­la neces­si­tà del­la scis­sio­ne dai rifor­mi­sti (non chia­ra alla mag­gio­ran­za del PSI e alla tota­li­tà dei lavo­ra­to­ri nel 1919) fu il solo pun­to d’incontro tra i due grup­pi, rac­col­ti attor­no all’Ordine Nuo­vo e al Soviet, che costi­tui­ro­no – il secon­do in net­ta pre­va­len­za – il nucleo fon­da­men­ta­le del nuo­vo Par­ti­to, non­ché il suo ceto diri­gen­te. Tra i due grup­pi però nes­su­na del­le que­stio­ni che li ave­va­no in pas­sa­to divi­si (movi­men­to dei con­si­gli di fab­bri­ca, azio­ne par­la­men­ta­re, uni­tà nel “mas­si­ma­li­smo”) fu appro­fon­di­ta; così nel momen­to stes­so in cui il par­ti­to sor­ge­va, alla “chia­ri­fi­ca­zio­ne” mec­ca­ni­ca volu­ta sul ter­re­no dell’applicazione del­le 21 con­di­zio­ni d’adesione all’IC non seguì, né tosto, né per tre anni di vita del par­ti­to, quel­la sul sen­so del­le espe­rien­ze degli anni 1919‑20 e sui pro­ble­mi fon­da­men­ta­li del­la tat­ti­ca comunista.
La scis­sio­ne di Livor­no lasciò nel vec­chio par­ti­to i cosid­det­ti “comu­ni­sti uni­ta­ri”, che bloc­ca­ro­no coi rifor­mi­sti, facen­do del PS lo stru­men­to di sabo­tag­gio sia del­la pre­pa­ra­zio­ne e dell’azione rivo­lu­zio­na­ria del­le mas­se, sia dell’“esperimento” del gover­no di sini­stra che i rifor­mi­sti, abban­do­na­ti a se stes­si, avreb­be­ro pro­ba­bil­men­te attua­to. Il PS rap­pre­sen­tò da allo­ra (e con­ti­nue­rà a rap­pre­sen­tar­lo fino a che la destra e la sini­stra che suc­ces­si­va­men­te lo seg­men­te­ran­no non si saran­no ricon­giun­te ai loro rispet­ti­vi cen­tri orga­niz­za­ti­vi: PSU [pro­mos­so dai rifor­mi­sti dopo la loro espul­sio­ne nell’autunno del 1922] e PCI) un fat­to­re di disgre­ga­zio­ne e di dise­du­ca­zio­ne poli­ti­ca che, sen­za l’azione del PCI e dell’IC, avreb­be reso per lun­go tem­po irre­pa­ra­bi­le la scon­fit­ta subi­ta dal pro­le­ta­ria­to ita­lia­no. Inol­tre il fat­to che la linea di frat­tu­ra avven­ne – per col­pa di Ser­ra­ti e dei cen­tri­sti – trop­po a sini­stra, lasciò al di là un nume­ro con­si­de­re­vo­le di ele­men­ti pro­le­ta­ri sin­ce­ra­men­te ter­zin­ter­na­zio­na­li­sti e impe­dì al PC di diven­ta­re più rapi­da­men­te l’organo diri­gen­te dell’azione poli­ti­ca del­le mas­se ope­ra­ie e con­ta­di­ne d’Italia. Per que­ste ragio­ni noi cre­dia­mo che sia sta­to un male – ine­vi­ta­bi­le, ma un male – dal pun­to di vista del­la situa­zio­ne ogget­ti­va ita­lia­na d’allora e d’oggi, che la scis­sio­ne sia avve­nu­ta così come è avve­nu­ta, dif­fe­ren­zian­do­ci in ciò dal­la mag­gio­ran­za per cui ha mag­gior peso sul­la bilan­cia l’essersi rea­liz­za­ta la base costi­tu­ti­va del nostro Par­ti­to col mas­si­mo di esclu­sio­ne degli ele­men­ti incer­ti o non qua­li­fi­ca­ti. Fin da que­sto pun­to (la valu­ta­zio­ne cioè del come la scis­sio­ne si è pro­dot­ta) si ini­zia un con­tra­sto di giu­di­zio tra l’IC e lo stra­to diri­gen­te del Par­ti­to, in real­tà tale diver­si­tà di giu­di­zio sta alla base di mol­ti suc­ces­si­vi conflitti.
Dopo la scis­sio­ne di Livor­no si pote­va bat­te­re l’una o l’altra stra­da nei con­fron­ti del PS: agi­re con tut­to il peso del­la nostra azio­ne come un cuneo per spez­za­re il bloc­co massimalista‑riformista, risol­ven­do in modo orga­ni­co l’equivoco del ser­ra­ti­smo, oppu­re con­si­de­ra­re il PS come un tut­to che Livor­no ave­va defi­ni­ti­va­men­te sepa­ra­to dall’IC, da col­pir­si quin­di con un attac­co fron­ta­le per­ma­nen­te che miras­se alla sua distru­zio­ne. L’IC ha scel­to la pri­ma, il Par­ti­to la secon­da. Noi rite­nia­mo che l’IC aves­se visto giu­sto e che il Par­ti­to abbia erra­to; ma la con­se­guen­za fu che due paro­le d’ordine diver­se ed oppo­ste era­no in cam­po in riguar­do al PSI e vi rima­se­ro fino alla vigi­lia del Con­gres­so di Roma [del PSI] (otto­bre ’22) e oltre. Tale con­flit­to durò quin­di per due anni: il Par­ti­to, pur non igno­ran­do gli sco­pi cui l’IC ten­de­va, ne sabo­tò con per­vi­ca­ce osti­na­zio­ne il rag­giun­gi­men­to, e l’IC non vol­le mai pren­de­re una posi­zio­ne aper­ta e deci­si­va, dicen­do chia­ra­men­te quel che vole­va, lascian­do per­ciò incan­cre­ni­re uno sta­to di cose inve­ro­si­mi­le. Si arri­vò così all’assurdo che l’IC, inve­ce di fare del nostro Par­ti­to il cen­tro del­la sua azio­ne di con­qui­sta del PS, dovet­te cer­ca­re al diso­pra del Par­ti­to un con­tat­to diret­to col­le fra­zio­ni di sini­stra del PS e lavo­ra­re in Ita­lia in una con­di­zio­ne di … ille­ga­li­tà nei con­fron­ti del­la sua Sezio­ne! Il richia­mo a una situa­zio­ne di tal gene­re, pro­lun­ga­ta­si oltre ogni limi­te tol­le­ra­bi­le e diven­ta­ta anzi cro­ni­ca, ci dà occa­sio­ne di dichia­ra­re ch’essa non dovreb­be mai più ripe­ter­si, se non si vuo­le rica­sca­re drit­ti nel­le tra­di­zio­ni del­la II Inter­na­zio­na­le» (evi­den­zia­zio­ni nell’originale).

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L’affermazione ini­zia­le – «La scis­sio­ne di Livor­no ebbe una scar­sa riper­cus­sio­ne nel­le mas­se lavo­ra­tri­ci, che nel­la loro mag­gio­ran­za non ne com­pre­se­ro il sen­so e la neces­si­tà» – è inop­pu­gna­bi­le. Infat­ti, se le mas­se aves­se­ro com­pre­so sen­so e neces­si­tà del­la scis­sio­ne di Livor­no non ci si sareb­be tro­va­ti nel­la pri­ma metà del 1921 con un PSI che face­va il bel­lo e il cat­ti­vo tem­po all’interno del movi­men­to operaio.

La ban­die­ra degli Ardi­ti del Popolo

Quan­to al movi­men­to degli Ardi­ti del Popo­lo, al qua­le Tasca dedi­ca atten­zio­ne in altra par­te del docu­men­to, se è vero che in esso la com­po­nen­te anar­chi­ca e sindacalista‑rivoluzionaria fu mas­sic­cia­men­te pre­sen­te, la stes­sa cosa vale per quel­la dei socia­li­sti mas­si­ma­li­sti, anche se non si trat­tò di una par­te­ci­pa­zio­ne orga­niz­za­ta vera e pro­pria ma di un afflus­so, senz’altro mol­to con­si­sten­te, a tito­lo individuale.
L’incomprensione del­la scis­sio­ne da par­te del­le mas­se si pro­tras­se fino al 1922 quan­do si veri­fi­cò l’esperienza dell’Alleanza del Lavo­ro, pro­mos­sa dal Sin­da­ca­to Fer­ro­vie­ri, che lan­ciò lo scio­pe­ro gene­ra­le dei pri­mi di ago­sto. Invi­tan­do alla let­tu­ra del­la rico­stru­zio­ne di que­sta ini­zia­ti­va da par­te di Tasca e dell’apposito capi­to­lo a essa dedi­ca­to di Ama­deo Bor­di­ga poli­ti­co, la dire­zio­ne del movi­men­to fu lascia­ta dal PCd’I, cui pure era sta­to offer­to di entrar­vi, ai rifor­mi­sti e ai mas­si­ma­li­sti. Tasca par­lò in altra occa­sio­ne anche del­la mano del­la mas­so­ne­ria nel ver­ti­ce dell’Alleanza. La mas­so­ne­ria ave­va già agi­to pesan­te­men­te con­tro il pro­le­ta­ria­to al momen­to del­lo scel­le­ra­to “pat­to di paci­fi­ca­zio­ne” dei socia­li­sti con i fasci­sti (ago­sto 1921), la cui sot­to­scri­zio­ne non è impu­ta­bi­le cer­to ai mas­si­ma­li­sti in bloc­co, anche se i capi del par­ti­to giu­sti­fi­ca­ro­no la sua accet­ta­zio­ne come una “mano­vra tat­ti­ca” per otte­ne­re “tem­po” dagli squa­dri­sti, che natu­ral­men­te non si pre­sta­ro­no al gio­co disat­ten­den­do­lo subi­to; così come non impu­ta­bi­le ai mas­si­ma­li­sti in bloc­co fu la pre­sa di distan­za del Par­ti­to Socia­li­sta nei con­fron­ti del movi­men­to degli Ardi­ti del Popo­lo (nel con­gres­so dell’ottobre 1921).
Quan­to al PCd’I, che avreb­be potu­to entra­re nel­la strut­tu­ra dell’Alleanza del Lavo­ro sen­za rinun­cia­re alle pro­prie posi­zio­ni e impe­den­do che le cose finis­se­ro con la vit­to­ria di Mus­so­li­ni, esso non vol­le spor­car­si le mani con un con­tat­to con le altre orga­niz­za­zio­ni poli­ti­che del­la clas­se ope­ra­ia e sosten­ne che sareb­be sta­to meglio se l’Alleanza fos­se sta­ta con­ce­pi­ta come un “fron­te uni­co sin­da­ca­le”. I comu­ni­sti, pur disci­pli­nan­do­si alle diret­ti­ve del ver­ti­ce del movi­men­to, fece­ro per­tan­to asse­gna­men­to sul con­tri­bu­to che i socia­li­sti del­le due ten­den­ze, libe­ri di agi­re, avreb­be­ro dato al loro stes­so “sma­sche­ra­men­to”. La com­bat­ti­vi­tà dimo­stra­ta dal PCd’I fu per­fi­no enco­mia­bi­le, ma si lot­tò in ordi­ne spar­so sul pia­no poli­ti­co e militare.
Non voglia­mo adden­trar­ci in una rico­stru­zio­ne del­la vicen­da com­ples­si­va del PCd’I, nel­la qua­le il pro­ble­ma sol­le­va­to da Tasca andreb­be col­lo­ca­to in tut­ta la sua impor­tan­za, anche se sicu­ra­men­te è esa­ge­ra­to affer­ma­re, come fa Tasca, che l’Internazionale – lon­ta­nis­si­ma da quel­lo che Lenin ave­va denun­cia­to come lo «sport del­la cac­cia ai cen­tri­sti» (“Let­te­ra ai comu­ni­sti tede­schi”, 14 ago­sto 1921), cioè a colo­ro che si col­lo­ca­va­no in posi­zio­ne inter­me­dia tra i rifor­mi­sti e i rivo­lu­zio­na­ri – ope­rò in Ita­lia ver­so il gros­so del Par­ti­to Socia­li­sta in con­di­zio­ni di «ille­ga­li­tà», cioè all’insaputa dell’Esecutivo del­la sua sezio­ne uffi­cia­le. I pas­si com­piu­ti furo­no carat­te­riz­za­ti, come abbia­mo det­to, da mol­te incer­tez­ze e non si svol­se­ro in modo orga­ni­co. Ma nul­la di più.
Il pro­ble­ma che si pone­va era quel­lo di for­ni­re al PCd’I una base di mas­sa con la qua­le esse­re in gra­do di affron­ta­re l’offensiva fasci­sta che mira­va a una vit­to­ria stra­te­gi­ca sul movi­men­to ope­ra­io. Pro­ble­ma di dif­fi­ci­le solu­zio­ne, ma che non si pote­va aggi­ra­re. L’importanza del­la scon­fit­ta dell’Alleanza del Lavo­ro fu sot­to­li­nea­ta dal­lo stes­so Mus­so­li­ni che ne ave­va fat­to la pre­con­di­zio­ne del­la Mar­cia su Roma. E l’obiettivo di bloc­ca­re l’offensiva fasci­sta pote­va esse­re rag­giun­to con la costi­tu­zio­ne di un fron­te uni­co pro­le­ta­rio, cioè con un accor­do dei comu­ni­sti e del­le altre orga­niz­za­zio­ni a base ope­ra­ia, ren­den­do orga­ni di quest’ultimo i repar­ti degli Ardi­ti del Popo­lo (alcu­ne deci­ne di miglia­ia di uomi­ni, per lo più ex com­bat­ten­ti), ma anche con l’operazione spe­ci­fi­ca del distac­co del gros­so dei “comu­ni­sti uni­ta­ri” del 1921 dai rifor­mi­sti, che essi espul­se­ro alla fine del 1922, dopo che la par­ti­ta era sta­ta ormai chiu­sa. I “comu­ni­sti uni­ta­ri” del 1921 non era­no infat­ti con­flui­ti nel nuo­vo par­ti­to non tan­to per­ché lega­ti a dop­pio filo a Tura­ti o alle indub­bie esi­ta­zio­ni di cer­ti loro diri­gen­ti, ma per­ché poco con­vin­ti del­la linea poli­ti­ca trop­po gene­ra­le, che ave­va ani­ma­to la scissione.
Lenin chia­rì che sen­za impo­sta­re teo­ri­ca­men­te, poli­ti­ca­men­te e orga­niz­za­ti­va­men­te in modo cor­ret­to la lot­ta con­tro il cen­tri­smo si sareb­be cor­so il rischio, pur con una buo­na demar­ca­zio­ne ideo­lo­gi­ca, di rovi­na­re l’Internazionale, non con­qui­stan­do la base pro­le­ta­ria del cen­tri­smo stes­so, che a Livor­no ave­va rac­col­to qua­si cen­to­mi­la voti (con­tro i cin­quan­tot­to­mi­la dei “comu­ni­sti puri”) e che al con­gres­so del­la Con­fe­de­ra­zio­ne Gene­ra­le del Lavo­ro poco tem­po dopo rac­col­se, insie­me ai rifor­mi­sti, un milio­ne e mez­zo di iscrit­ti con­tro i poco più di quat­tro­cen­to­mi­la che si schie­ra­ro­no con la cor­ren­te che face­va capo al PCd’I.
Pur­trop­po all’ingresso in quest’ultimo dei cosid­det­ti «ter­zi­ni» (ter­zin­ter­na­zio­na­li­sti) si arri­vò quan­do il pro­le­ta­ria­to era sta­to ormai logo­ra­to dal­le scon­fit­te e ciò ave­va avu­to riper­cus­sio­ni nel radi­ca­men­to tra le mas­se lavo­ra­tri­ci sia del PCd’I, sia dei mas­si­ma­li­sti (i ter­zi­ni furo­no poche miglia­ia). Per­tan­to colo­ro che si uni­fi­ca­ro­no col PCd’I alla fine non furo­no cer­to un auten­ti­co coef­fi­cien­te di for­za, soprat­tut­to dopo l’estromissione dal ver­ti­ce dell’organizzazione di Bor­di­ga e dei suoi compagni.
Nel caso degli Ardi­ti del Popo­lo, snob­ba­ti dai comu­ni­sti nono­stan­te una col­la­bo­ra­zio­ne di fat­to che si rea­liz­zò in varie occa­sio­ni, le cose anda­ro­no ancor peg­gio (fino al pun­to che ne fu denun­cia­to – con accu­se assur­de ai diri­gen­ti, a par­ti­re da Argo Secon­da­ri – un pre­sun­to carat­te­re pic­co­lo­bor­ghe­se che, se fos­se esi­sti­to, e per­fi­no se fos­se sta­to pre­va­len­te nell’organizzazione, di per sé non avreb­be mes­so cer­ta­men­te in dif­fi­col­tà il movi­men­to ope­ra­io). Dall’esperienza degli Ardi­ti del Popo­lo (che furo­no impe­gna­ti nel­le prin­ci­pa­li azio­ni con­tro i fasci­sti fino alle bar­ri­ca­te di Par­ma nell’estate 1922) il par­ti­to avreb­be potu­to trar­re la pos­si­bi­li­tà effet­ti­va di dar vita a orga­ni­smi di auto­di­fe­sa del pro­le­ta­ria­to. Ma non se ne fece nul­la, e la strut­tu­ra mili­ta­re comu­ni­sta restò di dimen­sio­ni mode­ste, come testi­mo­nia­to da tut­ti i docu­men­ti. Per rispet­to del­la veri­tà, va det­to che Gram­sci nel 1921 ebbe uno spraz­zo di luci­di­tà nel­la valu­ta­zio­ne degli Ardi­ti del Popo­lo quan­do furo­no costi­tui­ti, una valu­ta­zio­ne in con­tra­sto con quel­la dell’Esecutivo del par­ti­to, ma che egli stes­so mise subi­to a tace­re. Tut­to qui.

Le bar­ri­ca­te anti­fa­sci­ste di Par­ma (ago­sto 1922)

Tasca ricor­da, in secon­do luo­go, che tra i due grup­pi che nel 1921 costi­tui­ro­no il nucleo del nuo­vo par­ti­to, cioè Il Soviet, in posi­zio­ne pre­mi­nen­te, e L’Ordine Nuo­vo, «nes­su­na del­le que­stio­ni che li ave­va­no in pas­sa­to divi­si […] fu appro­fon­di­ta; così nel momen­to stes­so in cui il par­ti­to sor­ge­va, alla “chia­ri­fi­ca­zio­ne” mec­ca­ni­ca volu­ta sul ter­re­no dell’applicazione del­le 21 con­di­zio­ni d’adesione all’IC non seguì […] quel­la sul sen­so del­le espe­rien­ze degli anni 1919‑20 e sui pro­ble­mi fon­da­men­ta­li del­la tat­ti­ca comu­ni­sta». E la chia­ri­fi­ca­zio­ne non avven­ne nem­me­no al momen­to del secon­do con­gres­so del par­ti­to, che appro­vò il docu­men­to sul­la tat­ti­ca appron­ta­to da Bor­di­ga e Ter­ra­ci­ni e cri­ti­ca­to pesan­te­men­te dall’Esecutivo Inter­na­zio­na­le. Le famo­se “Tesi di Roma” ste­se­ro, al ripa­ro di con­si­de­ra­zio­ni astrat­te, una col­tre di silen­zio sul pro­ble­ma del­la con­qui­sta del­la mag­gio­ran­za dei lavo­ra­to­ri e sul rap­por­to con i mas­si­ma­li­sti, per di più men­tre la base del par­ti­to comin­cia­va a restrin­ger­si, un po’ come rica­du­ta dell’incomprensione del­la scis­sio­ne di Livor­no tra le mas­se e un po’ per l’indispensabile durez­za del­la sele­zio­ne inter­na anche di fron­te all’avanzata fascista.
Tasca pro­se­gue affer­man­do che dopo la scis­sio­ne di Livor­no si pote­va­no per­cor­re­re due stra­de: «spez­za­re il bloc­co mas­si­ma­li­sta-rifor­mi­sta, […] oppu­re con­si­de­ra­re il PS come un tut­to che Livor­no ave­va defi­ni­ti­va­men­te sepa­ra­to dall’IC, da col­pir­si quin­di con un attac­co fron­ta­le per­ma­nen­te che miras­se alla sua distru­zio­ne». La pri­ma stra­da, quel­la dell’Internazionale, sareb­be sta­ta per­cor­ri­bi­le a con­di­zio­ne di for­mu­la­re una pro­po­sta seria di allean­za poli­ti­ca alla mag­gio­ran­za del PSI dall’interno del movi­men­to di massa.
Ripe­ten­do che la scel­ta dell’Internazionale non fu pro­prio così net­ta e deci­sa come soste­nu­to da Tasca, occor­re rico­no­sce­re, quan­do si affron­ta il pro­ble­ma del­la scis­sio­ne di Livor­no, che con­si­de­ra­re il PS come un tut­to da distrug­ge­re fu inve­ce un erro­re dal­le con­se­guen­ze nefa­ste, aval­la­to nel 1924 dal­la mag­gio­ran­za del Comi­ta­to Cen­tra­le, dal­la qua­le Tasca ten­ne a distin­guer­si. Que­sto “erro­re” avreb­be potu­to anco­ra esse­re supe­ra­to dopo la sepa­ra­zio­ne dai socia­li­sti, ma la “sini­stra comu­ni­sta” e Bor­di­ga, non meno del­lo stes­so Gram­sci, non ne vol­le­ro sapere.
Sen­za adden­trar­ci nel­le moti­va­zio­ni che spin­se­ro Bor­di­ga a ele­va­re a siste­ma la stra­da scel­ta dopo Livor­no, a Tasca va rico­no­sciu­to, al di là di una pre­sa di posi­zio­ne sba­glia­ta con­tro la lot­ta del­la pri­ma oppo­si­zio­ne di sini­stra nell’Unione Sovie­ti­ca, il meri­to di aver espo­sto in modo pre­ci­so la situa­zio­ne del movi­men­to ope­ra­io ita­lia­no. Né si deve tra­la­scia­re che, pro­prio nel docu­men­to che abbia­mo richia­ma­to, egli rico­nob­be anche gli ele­men­ti posi­ti­vi dell’attività svol­ta dall’Esecutivo ita­lia­no nel 1921‑22, da ripren­de­re e valo­riz­za­re, men­tre dai Gram­sci e dai Togliat­ti que­sti stes­si ele­men­ti posi­ti­vi furo­no spaz­za­ti via all’ombra di una “disci­pli­na” che fu quel­la del­la dege­ne­ra­zio­ne del­la rivo­lu­zio­ne rus­sa, del­la Ter­za Inter­na­zio­na­le e del­lo stes­so PCd’I.
Sareb­be istrut­ti­vo leg­ge­re e com­men­ta­re tut­to lo scrit­to di Tasca, ma sul­la scis­sio­ne di Livor­no i pas­si che abbia­mo cita­to sono più che suf­fi­cien­ti. Cele­bran­do la nasci­ta del PCd’I, non si può tace­re sugli aspet­ti sui qua­li ci sia­mo sof­fer­ma­ti. Se si tace, non si impa­ra nul­la dal passato.

(Geno­va, apri­le 2016)


Note

[1] Que­sto nume­ro de Lo Sta­to Ope­ra­io è sta­to inte­gral­men­te ripro­dot­to sul sito dell’Associazione Pie­tro Tres­so al seguen­te link [Ndr].