Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Donne, Teoria

Il lavoro domestico è lavoro non retribuito?

Pre­sen­tia­mo ai nostri let­to­ri, in occa­sio­ne del­la gior­na­ta dell’8 Mar­zo, un sag­gio teo­ri­co già pub­bli­ca­to sul sito Marxismo.net in cui vie­ne svi­lup­pa­ta una pole­mi­ca con­tro alcu­ne cor­ren­ti del movi­men­to fem­mi­ni­sta che riven­di­ca­no il sala­rio per il lavo­ro dome­sti­co. Si trat­ta di una riven­di­ca­zio­ne che vie­ne pre­sen­ta­ta da que­sti set­to­ri sul­la base di argo­men­ta­zio­ni solo appa­ren­te­men­te “mar­xi­ste”, ma che inve­ce sfo­cia in una posi­zio­ne rea­zio­na­ria, e per­ciò anti‑marxista.
Rin­gra­zia­mo i com­pa­gni di Sini­stra Clas­se Rivo­lu­zio­ne, sezio­ne ita­lia­na del­la Ten­den­za mar­xi­sta inter­na­zio­na­le, e del sito Marxismo.net per aver­ci espres­sa­men­te auto­riz­za­to a ripren­de­re il testo che oggi pub­bli­chia­mo sul­la nostra pagi­na web.
Buo­na lettura.
La redazione

Il lavoro domestico è lavoro non retribuito?


Come pre­mes­se teo­ri­che sba­glia­te con­du­co­no a posi­zio­ni rea­zio­na­rie nel­la pratica


David Rey

 

Con l’ascesa del movi­men­to fem­mi­ni­sta e la lot­ta con­tro l’oppressione del­le don­ne, set­to­ri del­la sini­stra e del­lo stes­so movi­men­to fem­mi­ni­sta han­no ripre­so l’idea del “sala­rio per le casa­lin­ghe”. Clas­si­fi­ca­no il lavo­ro dome­sti­co svol­to dal­le don­ne come lavo­ro “non retri­bui­to” di cui i capi­ta­li­sti appro­fit­ta­no per rispar­mia­re. Qual è il pun­to di vista mar­xi­sta su que­sta questione?
Sil­via Fede­ri­ci, una nota espo­nen­te fem­mi­ni­sta e tra le più fer­ven­ti soste­ni­tri­ci del sala­rio al lavo­ro dome­sti­co, sostie­ne que­sta riven­di­ca­zio­ne sul­la base di quan­to segue:
«Que­sto sala­rio sareb­be un modo per cam­bia­re la natu­ra del lavo­ro dome­sti­co ed enfa­tiz­za­re che è a tut­ti gli effet­ti un lavo­ro. Il lavo­ro dome­sti­co deve esse­re con­si­de­ra­to un’attività retri­bui­ta, poi­ché “con­tri­bui­sce alla pro­du­zio­ne del lavo­ro e pro­du­ce capi­ta­le, ren­den­do così pos­si­bi­le ogni altra for­ma di pro­du­zio­ne”».
Pos­sia­mo sin­te­tiz­za­re le posi­zio­ni di que­sto set­to­re del­la sini­stra e del movi­men­to fem­mi­ni­sta così: tra le mura dome­sti­che i figli dei lavo­ra­to­ri ven­go­no pro­dot­ti, nutri­ti e alle­va­ti e diven­te­ran­no i lavo­ra­to­ri di doma­ni. I capi­ta­li­sti bene­fi­cia­no di que­sto lavo­ro sen­za pagar­lo. Non fan­no nul­la per con­tri­bui­re alla cre­sci­ta di lavo­ra­to­ri pron­ti ad esse­re sfrut­ta­ti nel­le loro impre­se quan­do entre­ran­no nel mer­ca­to del lavo­ro. Inol­tre chi svol­ge que­sto “lavo­ro ripro­dut­ti­vo” (ovve­ro chi ripro­du­ce la for­za lavo­ro) è la casa­lin­ga, che non rice­ve un sol­do per tut­to ciò. Il suo lavo­ro è con­si­de­ra­to “non qua­li­fi­ca­to” e di poco valo­re dal capi­ta­li­smo, che con­si­de­ra solo il lavo­ro dell’uomo fuo­ri casa. In con­clu­sio­ne: se l’“uomo” rice­ve una paga per un lavo­ro con­si­de­ra­to pro­dut­ti­vo, il “lavo­ro ripro­dut­ti­vo” – che è di fon­da­men­ta­le impor­tan­za per tirar su nuo­ve gene­ra­zio­ni di lavo­ra­to­ri – deve ave­re la stes­sa impor­tan­za del pri­mo, e di con­se­guen­za la casa­lin­ga dovreb­be rice­ve­re un sala­rio, cosa che le per­met­te­reb­be anche di acqui­si­re indi­pen­den­za dal nucleo familiare.
Le que­stio­ni teo­ri­che richie­do­no prin­ci­pi defi­ni­ti rigo­ro­sa­men­te altri­men­ti ci si può con­fon­de­re facil­men­te. La posi­zio­ne dei mar­xi­sti su que­sto tema si basa su due aspet­ti. Il pri­mo è il pun­to di vista scien­ti­fi­co basa­to sul­la teo­ria di Marx del valore‑lavoro, più spe­ci­fi­ca­men­te per ciò che riguar­da la com­po­si­zio­ne del valo­re del­la for­za lavo­ro (cioè del sala­rio). Il secon­do è il pun­to di vista poli­ti­co, socia­li­sta, che con­si­de­ra gli inte­res­si gene­ra­li del­la clas­se lavo­ra­tri­ce, e del­le lavo­ra­tri­ci nel­lo spe­ci­fi­co, nel­la lot­ta per la libe­ra­zio­ne socia­le, per il socia­li­smo e per supe­ra­re la fami­glia patriarcale.
Ana­liz­ze­re­mo il lavo­ro dome­sti­co del­le casa­lin­ghe sul­la base di que­sti due aspet­ti, basan­do­ci sul­la com­pren­sio­ne del­le leg­gi del capi­ta­li­smo che deter­mi­na­no cosa sono i sala­ri. Se non capia­mo come fun­zio­na­no que­ste leg­gi, non c’è giu­sti­fi­ca­zio­ne mora­li­sta del sala­rio per le casa­lin­ghe che pos­sa risol­ve­re il pro­ble­ma del­la disu­gua­glian­za ses­sua­le e del­la pover­tà. Per sem­pli­fi­ca­re la nostra ana­li­si, come pun­to di par­ten­za pren­de­re­mo l’esempio più sem­pli­ce di una fami­glia ope­ra­ia in cui l’uomo lavo­ra fuo­ri casa e la don­na adem­pie i com­pi­ti del lavo­ro dome­sti­co a casa.

Cosa sono i salari?
In pri­mo luo­go, dovrem­mo comin­cia­re defi­nen­do il valo­re del­la for­za lavo­ro – ovve­ro il sala­rio – e come vie­ne deter­mi­na­to. La for­za lavo­ro è un insie­me di abi­li­tà fisi­che e intel­let­tua­li che per­met­to­no al lavo­ra­to­re di pre­sta­re per un’impresa, un’istituzione o un indi­vi­duo, un lavo­ro remu­ne­ra­to con un salario.
Il valo­re del­la for­za lavo­ro, espres­so in sala­ri, è deter­mi­na­to nel­lo stes­so modo di tut­te le altre mer­ci: attra­ver­so il tem­po di lavo­ro social­men­te neces­sa­rio a pro­dur­la, cioè a pro­dur­re l’insieme dei beni di sus­si­sten­za neces­sa­ri, nel­le con­di­zio­ni socia­li di ogni epo­ca, a garan­ti­re la ripro­du­zio­ne del lavo­ra­to­re. Così, con il suo sala­rio il lavo­ra­to­re può acqui­si­re i mez­zi di sus­si­sten­za neces­sa­ri per poter con­ti­nua­re a lavo­ra­re quo­ti­dia­na­men­te: cibo, abi­ta­zio­ni, vesti­ti, istru­zio­ne, tra­spor­ti, ecc.
La ripro­du­zio­ne del lavo­ra­to­re per mez­zo del sala­rio ha un carat­te­re dupli­ce: la ripro­du­zio­ne del­la for­za lavo­ro dei lavo­ra­to­ri stes­si per poter lavo­ra­re ogni gior­no e – e qui sta il noc­cio­lo del­la que­stio­ne – per con­sen­tir­gli di costruir­si una fami­glia, cosa che garan­ti­reb­be, attra­ver­so la ripro­du­zio­ne ses­sua­le, i futu­ri lavo­ra­to­ri neces­sa­ri a far sì che il modo di pro­du­zio­ne capi­ta­li­sta pos­sa con­ti­nua­re a fun­zio­na­re quan­do la for­za lavo­ro esau­sta si riti­ra dal pro­ces­so produttivo.

Marx ed Engels sul sala­rio e il lavo­ro domestico
Marx ed Engels si sono basa­ti sul­la sud­det­ta defi­ni­zio­ne di sala­rio in tut­te le loro ope­re eco­no­mi­che. Secon­do Marx:

«Che cos’è, dun­que, il valo­re del­la forza‑lavoro? Come per ogni altra mer­ce, il suo valo­re è deter­mi­na­to dal­la quan­ti­tà di lavo­ro neces­sa­ria per la sua pro­du­zio­ne. La forza‑lavoro di un uomo con­si­ste uni­ca­men­te nel­la sua per­so­na­li­tà viven­te. Affin­ché un uomo pos­sa cre­sce­re e con­ser­var­si in vita, deve con­su­ma­re una deter­mi­na­ta quan­ti­tà di gene­ri ali­men­ta­ri. Ma l’uomo, come la mac­chi­na, si logo­ra, e deve esse­re sosti­tui­to da un altro uomo. In più del­la quan­ti­tà d’oggetti d’uso cor­ren­te, di cui egli ha biso­gno per il suo pro­prio sosten­ta­men­to, egli ha biso­gno di un’altra quan­ti­tà di ogget­ti d’uso cor­ren­te, per alle­va­re un cer­to nume­ro di figli, che deb­bo­no rim­piaz­zar­lo sul mer­ca­to del lavo­ro e per­pe­tua­re la raz­za degli ope­rai. Inol­tre, per lo svi­lup­po del­la sua for­za-lavo­ro e per l’acquisto di una cer­ta abi­li­tà, deve esse­re spe­sa anco­ra una nuo­va som­ma di valo­ri»[1].

Nel­la stes­sa ope­ra, Marx sot­to­li­nea quan­to segue:

«Il suo limi­te mini­mo è deter­mi­na­to dall’elemento fisi­co, il che vuol dire che la clas­se ope­ra­ia, per con­ser­var­si e per rin­no­var­si, per per­pe­tua­re la pro­pria esi­sten­za fisi­ca, deve rice­ve­re gli ogget­ti d’uso asso­lu­ta­men­te neces­sa­ri per la sua vita e per la sua ripro­du­zio­ne. Il valo­re di que­sti ogget­ti d’uso asso­lu­ta­men­te neces­sa­ri costi­tui­sce quin­di il limi­te mini­mo del valo­re del lavo­ro»[2] (sot­to­li­nea­tu­ra nostra).

È impor­tan­te nota­re che Marx sot­to­li­nea sen­za ambi­gui­tà che il sala­rio non ser­ve solo come mez­zo per soste­ne­re il sin­go­lo lavo­ra­to­re, ma piut­to­sto per soste­ne­re la sua fami­glia, che com­pren­de la casa­lin­ga e i figli. Come spie­ga Marx nel Capitale:

«Il valo­re del­la for­za-lavo­ro era deter­mi­na­to dal tem­po di lavo­ro neces­sa­rio non sol­tan­to per man­te­ne­re l’operaio adul­to indi­vi­dua­le, ma anche da quel­lo neces­sa­rio per il man­te­ni­men­to del­la fami­glia dell’operaio»[3] (sot­to­li­nea­tu­ra nostra).

E anco­ra:

«Il pro­prie­ta­rio del­la forza‑lavoro è mor­ta­le. Dun­que, se la sua pre­sen­za sul mer­ca­to dev’essere con­ti­nua­ti­va, come pre­sup­po­ne la tra­sfor­ma­zio­ne con­ti­nua­ti­va del dena­ro in capi­ta­le, il ven­di­to­re del­la forza‑lavoro si deve per­pe­tua­re, “come si per­pe­tua ogni indi­vi­duo viven­te, con la pro­crea­zio­ne”. Le forze‑lavoro sot­trat­te al mer­ca­to dal­la mor­te e dal logo­ra­men­to deb­bo­no esser con­ti­nua­men­te rein­te­gra­te per lo meno con lo stes­so nume­ro di forze‑lavoro nuo­ve. Dun­que, la som­ma dei mez­zi di sus­si­sten­za neces­sa­ri alla pro­du­zio­ne del­la forza‑lavoro inclu­de i mez­zi di sus­si­sten­za del­le for­ze di ricam­bio, cioè dei figli dei lavo­ra­to­ri, in modo che que­sta raz­za di pecu­lia­ri pos­ses­so­ri di mer­ci si per­pe­tui sul mer­ca­to[4].

Anche Engels è chia­ro al riguardo:

«Qual è il valo­re del­la forza‑lavoro? Il valo­re di ogni mer­ce vie­ne misu­ra­to dal tem­po richie­sto alla sua pro­du­zio­ne. La forza‑lavoro esi­ste nel­la for­ma dell’operaio vivo, il qua­le ha biso­gno di una deter­mi­na­ta som­ma di mez­zi di sosten­ta­men­to per la pro­pria esi­sten­za e per la con­ser­va­zio­ne del­la pro­pria fami­glia, che assi­cu­ra la con­ti­nui­tà del­la forza‑lavoro anche dopo la sua mor­te. Il tem­po di lavo­ro neces­sa­rio alla pro­du­zio­ne di que­sti mez­zi di sosten­ta­men­to rap­pre­sen­ta per­ciò il valo­re del­la forza‑lavoro. Il capi­ta­li­sta lo paga ogni set­ti­ma­na, e com­pra così l’uso di una set­ti­ma­na di lavo­ro dell’operaio. Fin qui i signo­ri eco­no­mi­sti saran­no più o meno d’accordo con noi sul valo­re del­la for­za-lavo­ro»[5].

Inte­res­san­ti le osser­va­zio­ni di Marx sul­le spe­se per la for­ma­zio­ne e l’istruzione del lavo­ra­to­re, anch’esse inclu­se nel salario:

«Per modi­fi­ca­re la natu­ra uma­na gene­ra­le in modo da far­le rag­giun­ge­re abi­li­tà e destrez­za in un dato ramo di lavo­ro, da far­la diven­ta­re forza‑lavoro svi­lup­pa­ta e spe­ci­fi­ca, c’è biso­gno d’una cer­ta pre­pa­ra­zio­ne o edu­ca­zio­ne, che costa a sua vol­ta una som­ma mag­gio­re o mino­re di equi­va­len­ti di mer­ci. Le spe­se di for­ma­zio­ne del­la for­za-lavo­ro dif­fe­ri­sco­no a secon­da ch’essa ha carat­te­re più o meno com­ples­so. Que­ste spe­se di istru­zio­ne, infi­ni­te­si­me per la for­za-lavo­ro ordi­na­ria, entra­no dun­que nel­la cer­chia dei valo­ri spe­si per la pro­du­zio­ne del­la forza‑lavoro»[6].

La que­stio­ne cen­tra­le è que­sta: come spie­ga­no Marx ed Engels, il sala­rio del lavo­ra­to­re copre il tem­po di lavo­ro neces­sa­rio per soste­ne­re il lavo­ra­to­re in deter­mi­na­te con­di­zio­ni socia­li, affin­ché pos­sa tor­na­re al lavo­ro ogni gior­no, e per la ripro­du­zio­ne del­la for­za lavo­ro; cioè, per ave­re una fami­glia e lascia­re una discen­den­za. In bre­ve, il cosid­det­to “lavo­ro di ripro­du­zio­ne”, come una par­te del movi­men­to fem­mi­ni­sta defi­ni­sce il lavo­ro dome­sti­co, è già paga­to dal sala­rio gua­da­gna­to dal lavoratore.
Dal pun­to di vista del­le leg­gi del capi­ta­li­smo, non c’è ingiu­sti­zia eco­no­mi­ca nel non paga­re diret­ta­men­te la casa­lin­ga per il lavo­ro che effet­tua in casa. Il pre­sun­to sala­rio che le è dovu­to – cioè i suoi neces­sa­ri mez­zi di sus­si­sten­za – è già inclu­so nel sala­rio o nei sala­ri di uno o più mem­bri del nucleo fami­lia­re che lavo­ra­no fuo­ri casa. Non si trat­ta di un’ingiustizia del­lo sfrut­ta­men­to capi­ta­li­sti­co, ma piut­to­sto di una situa­zio­ne di oppres­sio­ne e di schia­vi­tù dome­sti­ca sot­to il modo di pro­du­zio­ne capi­ta­li­sti­co in cui la casa­lin­ga è con­dan­na­ta a svol­ge­re il ruo­lo di ser­va per il mari­to e i figli, e a dipen­de­re com­ple­ta­men­te dal pri­mo per il pro­prio sosten­ta­men­to. Per que­sto moti­vo, la richie­sta di un sala­rio per le casa­lin­ghe da par­te di quel­la par­te del movi­men­to fem­mi­ni­sta è un’utopia che non può esse­re rea­liz­za­ta. È anche rea­zio­na­ria, come spie­ghe­re­mo a tem­po debi­to, e non ha alcu­na base eco­no­mi­ca scientifica.

I capi­ta­li­sti sono così magnanimi?
Affron­tia­mo la que­stio­ne da un’altra ango­la­zio­ne. Se svol­ge un lavo­ro pro­dut­ti­vo, che con­si­ste nel con­tri­bui­re alla pro­du­zio­ne di lavo­ra­to­ri sala­ria­ti sot­to for­ma di figli e mari­to (pre­pa­ra il loro cibo, fa il bagno ai figli, si pren­de cura di loro quan­do si amma­la­no, li veste, puli­sce e cura la casa, ecc.), la don­na dovreb­be esse­re con­si­de­ra­ta come un’operaia che, pro­prio come suo mari­to, dovreb­be ave­re un prezzo‑salario costi­tui­to dai mez­zi di sus­si­sten­za per il sosten­ta­men­to quo­ti­dia­no. Ma, natu­ral­men­te, non rice­ven­do la paga diret­ta­men­te da nes­sun capi­ta­li­sta in par­ti­co­la­re, sareb­be con­dan­na­ta a mori­re di fame, ma non è que­sto il caso. Da dove pro­ven­go­no, quin­di, i mez­zi di sus­si­sten­za per la soprav­vi­ven­za del­la casa­lin­ga? Da dove pro­ven­go­no i sol­di dovu­ti alla madre per paga­re l’educazione e l’assistenza sani­ta­ria dei figli, o per paga­re la casa in cui vive, se non rice­ve un cen­te­si­mo come casa­lin­ga? Non impor­ta quan­to ci si pen­si, la rispo­sta è chia­ra come il gior­no. Tut­ti i mez­zi di sus­si­sten­za neces­sa­ri per la moglie e i suoi figli (cibo, allog­gio, vesti­ti, istru­zio­ne, salu­te, elet­tri­ci­tà, ecc.) pos­so­no pro­ve­ni­re – come acca­de in real­tà – solo dal sala­rio del mari­to. Det­to que­sto, se il sala­rio del mari­to doves­se inclu­de­re solo i mez­zi di sus­si­sten­za per il suo sosten­ta­men­to, non ci sareb­be asso­lu­ta­men­te nul­la per la moglie o per i figli. O for­se i capi­ta­li­sti sono così magna­ni­mi da paga­re all’operaio un sala­rio attra­ver­so il qua­le mol­te per­so­ne pos­so­no (a mala­pe­na) soprav­vi­ve­re? Que­sta è, in sostan­za, la situazione.
Se i capi­ta­li­sti pre­stas­se­ro atten­zio­ne al ragio­na­men­to come quel­lo del­la Fede­ri­ci, direb­be­ro: “Quel­lo che pro­po­ne­te ci suo­na bene. La don­na deve esse­re paga­ta per il suo lavo­ro e, nel­la misu­ra in cui più di una per­so­na può vive­re con il sala­rio che noi paghia­mo all’operaio, ridur­re­mo il sala­rio dell’operaio al mini­mo indi­spen­sa­bi­le per­ché pos­sa tira­re avan­ti, come se vives­se da solo (per non vio­la­re la teo­ria del valore‑lavoro di Marx, che stia­mo vio­lan­do da due seco­li sen­za nem­me­no ren­der­ce­ne con­to, come ci dico­no que­sti con­si­glie­ri di sini­stra) e dare­mo alla casa­lin­ga la quo­ta che le è dovu­ta per­ché pos­sa vive­re con i suoi mez­zi”. In altre paro­le, i dato­ri di lavo­ro dareb­be­ro ogni set­ti­ma­na due pac­chet­ti sala­ria­li: uno per i loro dipen­den­ti e uno per le mogli dei dipendenti.
Assi­cu­ra­re uno sti­pen­dio alla casa­lin­ga sareb­be una gran­de vit­to­ria per la cau­sa fem­mi­ni­sta, anche se sareb­be sta­ta otte­nu­ta a costo di dimez­za­re lo sti­pen­dio del mari­to. Alla fine, non sareb­be cam­bia­to nul­la; com­bi­nan­do i due sala­ri si otter­reb­be lo stes­so sala­rio che il mari­to ave­va pri­ma. Il capi­ta­li­sta non avreb­be in alcun modo dato più di quan­to non aves­se dato pri­ma. Quin­di, que­sto cosa pro­ve­reb­be? Dimo­stre­reb­be che il sala­rio del mari­to com­pren­de­va i mez­zi di sus­si­sten­za del­la moglie e dei figli, che era quel­lo che vole­va­mo dimo­stra­re e che Marx ed Engels ave­va­no già spie­ga­to e mostra­to un seco­lo e mez­zo fa.

 La sva­lo­riz­za­zio­ne del sala­rio familiare
La real­tà del­la natu­ra del sala­rio e del sosten­ta­men­to del­la fami­glia si con­fer­ma in mol­ti modi nel­la quotidianità.
In un Pae­se capi­ta­li­sta arre­tra­to come la Spa­gna, l’integrazione su lar­ga sca­la del­le don­ne nel lavo­ro pro­dut­ti­vo è avve­nu­ta più tar­di rispet­to all’Europa occi­den­ta­le e al Nord Ame­ri­ca. Di con­se­guen­za, oggi è mol­to comu­ne per le per­so­ne anzia­ne affer­ma­re che qua­ran­ta o cin­quan­ta anni fa una fami­glia si man­te­ne­va con un solo sala­rio (quel­lo del mari­to, pos­sia­mo aggiun­ge­re), men­tre ora, ogni coniu­ge deve lavo­ra­re, e anche così si rie­sce a mala­pe­na a sbar­ca­re il luna­rio. In che modo que­sto influi­sce sul­la teo­ria di Marx sul­la com­po­si­zio­ne del sala­rio nel­la fami­glia ope­ra­ia? Il cam­bia­men­to che si è veri­fi­ca­to è che l’assorbimento di mas­sa del­le don­ne nel mer­ca­to del lavo­ro ha crea­to le con­di­zio­ni in cui il capi­ta­le ten­de a ridur­re il sala­rio medio gene­ra­le poi­ché, nel­la misu­ra in cui la don­na lavo­ra, il mari­to non ha più biso­gno di man­te­ne­re la moglie e il resto del­la fami­glia con un’entrata “extra”.
Que­sto era già sta­to spie­ga­to in pre­ce­den­za da Marx quan­do ave­va illu­stra­to l’effetto dei mac­chi­na­ri sul­la fami­glia che lavo­ra, non solo con l’inserimento del­le don­ne nel lavo­ro fuo­ri casa, ma anche con quel­lo dei bam­bi­ni che vivo­no nel cuo­re stes­so del­la famiglia:

«Le mac­chi­ne, get­tan­do sul mer­ca­to del lavo­ro tut­ti i mem­bri del­la fami­glia ope­ra­ia, distri­bui­sco­no su tut­ta la fami­glia il valo­re del­la forza‑lavoro dell’uomo, e quin­di sva­lo­riz­za­no la forza‑lavoro di quest’ultimo. L’acquisto del­la fami­glia fra­zio­na­ta p. es. in quat­tro forze‑lavoro costa for­se di più di quan­to costas­se pri­ma l’acquisto del­la forza‑lavoro del capo­fa­mi­glia, ma in cam­bio si han­no ora quat­tro gior­na­te lavo­ra­ti­ve inve­ce di una, e il loro prez­zo dimi­nui­sce in pro­por­zio­ne dell’eccedenza del plu­sla­vo­ro dei quat­tro sul plu­sla­vo­ro dell’uno. Ora, affin­ché una sola fami­glia pos­sa vive­re, quat­tro per­so­ne devo­no for­ni­re al capi­ta­le non solo lavo­ro, ma plu­sla­vo­ro. Così le mac­chi­ne allar­ga­no fin dal prin­ci­pio anche il gra­do di sfrut­ta­men­to, assie­me al mate­ria­le uma­no da sfrut­ta­men­to che è il più pro­prio cam­po di sfrut­ta­men­to del capi­ta­le»[7].

In altre paro­le, il sala­rio che per­met­te a una fami­glia di man­te­ner­si vie­ne sva­lo­riz­za­to indi­vi­dual­men­te, nel­la misu­ra in cui un nume­ro mag­gio­re di mem­bri del­la fami­glia che vive all’interno del nucleo fami­lia­re vie­ne incor­po­ra­to nel mer­ca­to del lavo­ro, il che spe­cu­lar­men­te con­fer­ma che ogni sin­go­lo sala­rio inclu­de una quo­ta pro­por­zio­na­le che per­met­te alla fami­glia nel suo insie­me di mantenersi.
Natu­ral­men­te, come avvie­ne in altri aspet­ti dell’economia capi­ta­li­sta (prez­zi, sag­gio di pro­fit­to, sag­gio di plu­sva­lo­re, ecc.), non suc­ce­de che ogni capi­ta­li­sta aggiu­sta il sala­rio dei pro­pri lavo­ra­to­ri sin­go­lar­men­te, sop­pe­san­do atten­ta­men­te ogni sin­go­la situa­zio­ne, ma piut­to­sto che il sala­rio medio vie­ne fis­sa­to in base alle con­di­zio­ni date in ogni ramo di pro­du­zio­ne e area geo­gra­fi­ca in base al tipo di fami­glia media in una data area geo­gra­fi­ca e in linea con il costo medio dei beni di base in tale area.
Marx discu­te a lun­go le impli­ca­zio­ni per la fami­glia del lavo­ro del­la don­na fuo­ri casa e dice quan­to segue in una del­le note a piè di pagi­na del Capi­ta­le:

«Poi­ché cer­te fun­zio­ni del­la fami­glia, p. es. la custo­dia e l’allattamento dei figli, ecc., non pos­so­no esse­re sop­pres­se com­ple­ta­men­te, le madri di fami­glia seque­stra­te dal capi­ta­le deb­bo­no prez­zo­la­re, chi più, chi meno del­le sosti­tu­te. I lavo­ri richie­sti dal con­su­mo fami­lia­re, come cuci­to, ram­men­do, ecc. deb­bo­no esse­re sosti­tui­ti con l’acquisto di mer­ci fini­te. Così alla dimi­nu­zio­ne del dispen­dio di lavo­ro dome­sti­co cor­ri­spon­de un aumen­to del dispen­dio di dena­ro. Quin­di i costi di pro­du­zio­ne del­la fami­glia ope­ra­ia cre­sco­no ed equi­li­bra­no le mag­gio­ri entra­te. Si aggiun­ga che l’eco­no­mia e il discer­ni­men­to nell’utilizzo e nel­la pre­pa­ra­zio­ne dei mez­zi di sosten­ta­men­to diven­ta­no impos­si­bi­li»[8].

In paro­le pove­re, non impor­ta quan­to il sala­rio fami­lia­re aumen­ti con l’incorporazione del­le don­ne nel lavo­ro pro­dut­ti­vo, que­sto è con­tro­bi­lan­cia­to dall’aumento dei costi di man­te­ni­men­to del­la fami­glia, sia che ciò sia dovu­to al mag­gio­re con­su­mo di beni di base che non era­no neces­sa­ri in pre­ce­den­za (vesti­ti, ecc.) o alla neces­si­tà di ricor­re­re a lavo­ro retri­bui­to per pren­der­si cura dei bam­bi­ni, puli­re la casa, ecc.

I bam­bi­ni sono un “valo­re di scam­bio” pro­dot­to dal­la casalinga?
Un ulti­mo aspet­to da ana­liz­za­re è l’affermazione dei teo­ri­ci di que­sta cor­ren­te fem­mi­ni­sta secon­do cui le casa­lin­ghe sono lavo­ra­tri­ci e la loro fun­zio­ne è quel­la di tra­sfor­ma­re i loro figli in mer­ce “for­za lavo­ro”, nuo­vi sala­ria­ti, che han­no un “valo­re di scam­bio”, un costo di pro­du­zio­ne per il qua­le, come sap­pia­mo, non rice­vo­no alcu­na retri­bu­zio­ne. Anche se que­sto aspet­to è già sta­to ampia­men­te trat­ta­to nel­la nostra pre­ce­den­te ana­li­si, vale la pena di appro­fon­di­re que­sto pun­to per giun­ge­re a nuo­ve conclusioni.
Nel loro libro El tra­ba­jo repro­duc­ti­vo o domé­sti­co, Isa­bel Lar­raña­ga, Begoña Arre­gui, e Jesús Arpal affermano:
«L’eclissi del lavo­ro ripro­dut­ti­vo da par­te del lavo­ro pro­dut­ti­vo deri­va dal­la dif­fe­ren­zia­zio­ne tra valo­re d’uso e valo­re di scam­bio soste­nu­ta dal­la teo­ria eco­no­mi­ca. Con que­sta dif­fe­ren­zia­zio­ne, il lavo­ro fina­liz­za­to a sod­di­sfa­re deter­mi­na­ti biso­gni è rico­no­sciu­to come valo­re d’uso, men­tre i pro­dot­ti desti­na­ti ad esse­re scam­bia­ti sul mer­ca­to sono rico­no­sciu­ti come valo­re di scam­bio. Il com­mer­cio, che dà valo­re solo ai beni che pos­so­no for­ni­re un valo­re di scam­bio, spo­glia il lavo­ro ripro­dut­ti­vo del­la sua rile­van­za socia­le e così facen­do lo rele­ga nell’ambito dome­sti­co, in quan­to il suo bene­fi­cio eco­no­mi­co non può esse­re misu­ra­to. La logi­ca del capi­ta­le ha con­fu­so il lavo­ro con l’occupazione e ha impo­sto una com­pren­sio­ne ristret­ta e distor­ta dell’attività eco­no­mi­ca».
Ci tro­via­mo di fron­te alla stes­sa con­fu­sio­ne tra valo­re d’uso e valo­re di scam­bio, così come alla stes­sa incom­pren­sio­ne del con­cet­to di sala­rio, in un altro pro­mi­nen­te cam­pio­ne del sala­rio dome­sti­co, Iña­ki Gil de San Vicente:
«“Se doves­si­mo incor­po­ra­re nel­la for­za lavo­ro retri­bui­ta il valo­re inve­sti­to nel cam­po dome­sti­co o ripro­dut­ti­vo, i livel­li sala­ria­li sareb­be­ro mol­to più alti di quel­li attua­li, ma non è così … Poi­ché non esi­ste un mec­ca­ni­smo per rico­no­sce­re il lavo­ro ripro­dut­ti­vo, il valo­re che esso gene­ra vie­ne espro­pria­to dal capi­ta­li­sta. Per­tan­to, è nell’interesse del siste­ma capi­ta­li­sta nascon­de­re il lavo­ro ripro­dut­ti­vo, svol­to prin­ci­pal­men­te dal­le don­ne. Se rive­las­si­mo que­sto lavo­ro non retri­bui­to o lo remu­ne­ras­si­mo, il tas­so di pro­fit­to e di accu­mu­la­zio­ne di capi­ta­le dimi­nui­reb­be” (I.G. de San Vicen­te, Il capi­ta­li­smo e l’emancipazione nazio­na­le e socia­le di gene­re, 2000)» (cita­to qui).
Tut­ta que­sta linea di argo­men­ta­zio­ne, che si pre­sen­ta appa­ren­te­men­te mar­xi­sta, è com­ple­ta­men­te sba­glia­ta. In pri­mo luo­go, par­te dell’argomentazione è con­trad­det­ta dal fat­to che l’educazione dei bam­bi­ni – par­te essen­zia­le del loro pro­ces­so di for­ma­zio­ne come futu­ri lavo­ra­to­ri sala­ria­ti – avvie­ne fuo­ri casa: all’asilo, alla scuo­la ele­men­ta­re, alla scuo­la secon­da­ria e all’università sen­za il coin­vol­gi­men­to diret­to del­la madre (né del padre). In secon­do luo­go, abbia­mo visto che que­sta spe­sa è già inclu­sa nel sala­rio del mari­to, che paga que­sti ser­vi­zi attra­ver­so le tas­se o le ret­te. Allo stes­so modo, abbia­mo già visto che le spe­se di man­te­ni­men­to per il figlio, la madre e altre spe­se per il man­te­ni­men­to del­la casa di fami­glia sono inclu­se nel­lo sti­pen­dio del marito.
Il pro­ble­ma con Fede­ri­ci, Gil de San Vicen­te e i loro com­pa­gni è che non ci spie­ga­no per­ché, se la madre (e il padre) pre­su­mi­bil­men­te crea­no dai loro figli mer­ci sot­to for­ma di “lavo­ra­to­ri sala­ria­ti”, non rice­vo­no un sol­do dai capi­ta­li­sti quan­do acqui­sta­no tali mer­ci per impie­gar­le nel­le loro azien­de. Da chi com­pra il capi­ta­li­sta la mer­ce? Non dal­la madre, o dal padre, ma dal­la mer­ce “for­za lavo­ro” stes­sa, cioè dai bam­bi­ni stes­si. I gio­va­ni lavo­ra­to­ri gua­da­gna­no un sala­rio – il loro “valo­re di scam­bio”, per svol­ge­re un lavo­ro pro­dut­ti­vo nell’impresa del capi­ta­li­sta – un sala­rio che appar­tie­ne a loro e solo a loro. Con que­sto sala­rio, que­sti gio­va­ni lavo­ra­to­ri acqui­si­sco­no i mez­zi di sus­si­sten­za per man­te­ner­si quo­ti­dia­na­men­te, e que­sto inclu­de il loro con­tri­bu­to pro­por­zio­na­le alle spe­se fami­lia­ri, oppu­re pos­so­no anche anda­re a vive­re da soli.
Que­sto ci por­ta alla seguen­te con­clu­sio­ne. Un ogget­to, qua­lun­que sia il suo valo­re d’uso, diven­ta una mer­ce dota­ta di “valo­re di scam­bio”, quan­do vie­ne scam­bia­to, quan­do entra nel mer­ca­to e vie­ne scam­bia­to in cam­bio di dena­ro. Non si trat­ta sem­pli­ce­men­te del lavo­ro uma­no che vie­ne spe­so per la sua pro­du­zio­ne. Pos­so fab­bri­ca­re un paio di scar­pe, ma se sono per uso per­so­na­le, allo­ra con­si­sto­no sem­pli­ce­men­te in valo­re d’uso, ogget­ti pro­dot­ti dal lavo­ro uma­no per sod­di­sfa­re un biso­gno spe­ci­fi­co. Solo quan­do por­to le scar­pe al mer­ca­to per ven­der­le, diven­ta­no mer­ce con un valo­re di scam­bio, e pos­so ven­der­le in cam­bio del loro valo­re mone­ta­rio. Ciò che dif­fe­ren­zia il lavo­ro sala­ria­to da quel­lo schia­vi­sti­co, è che il suo pro­prie­ta­rio è il lavo­ra­to­re, che è libe­ro (di ven­der­lo a que­sto o quel capi­ta­li­sta). Il lavo­ro schia­vi­sta, inve­ce, non è di pro­prie­tà del­lo schia­vo (che non è libe­ro di sce­glie­re tra diver­si pro­prie­ta­ri di schia­vi), ma del pro­prie­ta­rio del­lo schia­vo. La for­za lavo­ro è una mer­ce solo quan­do entra nel mer­ca­to del lavo­ro, non pri­ma, e vie­ne por­ta­ta sul mer­ca­to dal suo pro­prie­ta­rio, cioè dai lavo­ra­to­ri quan­do cer­ca­no lavoro.
Quin­di, il lavo­ro del­la casa­lin­ga non è pro­dur­re mer­ci da ven­de­re sul mer­ca­to, sia che que­ste “mer­ci” sia­no i suoi figli o qual­co­sa di com­ple­ta­men­te diver­so. Il cosid­det­to lavo­ro dome­sti­co com­por­ta la manu­ten­zio­ne del­la casa e del­la fami­glia, nel­lo spi­ri­to degli schia­vi dome­sti­ci dell’antica Roma. La dif­fe­ren­za è che la don­na sot­to il capi­ta­li­smo è, legal­men­te par­lan­do, una “libe­ra cittadina”.
La don­na, come nel­le anti­che case con­ta­di­ne, pro­du­ce valo­ri d’uso per il con­su­mo fami­lia­re. La cura dei bam­bi­ni all’interno del­la fami­glia rien­tra in que­sta cate­go­ria di valo­ri d’uso e non di mer­ci desti­na­te alla ven­di­ta. Evi­den­te­men­te, quan­do i bam­bi­ni diven­ta­no lavo­ra­to­ri, la loro for­za lavo­ro diven­ta una mer­ce e assu­me un valo­re di scam­bio, che riflet­te il tem­po di lavo­ro social­men­te neces­sa­rio per la sua pro­du­zio­ne. Tut­ta­via, il fat­to che i bam­bi­ni “potreb­be­ro” poten­zial­men­te entra­re nel mer­ca­to del lavo­ro in futu­ro non dà loro un “valo­re di scam­bio”, non tra­sfor­ma la loro futu­ra for­za lavo­ro in una mer­ce nel pre­sen­te. Le cop­pie non pro­crea­no con l’obiettivo dichia­ra­to di for­ni­re lavo­ra­to­ri ai capi­ta­li­sti, ma sono essen­zial­men­te mos­se a pro­crea­re da sen­ti­men­ti uma­ni. La pro­crea­zio­ne e la geni­to­ria­li­tà sono fuo­ri dal cir­cui­to dell’economia capi­ta­li­sta. Solo quan­do i bam­bi­ni deci­do­no di pro­cu­rar­si da soli i mez­zi di sus­si­sten­za potran­no entra­re a far par­te del lavo­ro sala­ria­to ven­den­do la loro for­za lavo­ro ad altri per la soprav­vi­ven­za. Solo allo­ra la loro for­za lavo­ro diven­te­rà una mer­ce con un valo­re di scam­bio, pron­ta a fir­ma­re per la schia­vi­tù salariata.
L’argomento non è in con­trad­di­zio­ne con il fat­to che i capi­ta­li­sti, spin­ti dal­la neces­si­tà di rin­no­va­re la for­za lavo­ro a cau­sa dell’esaurimento, del­la vec­chia­ia o del­la mor­te dei loro dipen­den­ti, sono obbli­ga­ti a paga­re i lavo­ra­to­ri con un sala­rio che per­met­ta loro di pro­crea­re e di alle­va­re i loro figli, che poi li sosti­tui­ran­no in fab­bri­ca. Il capi­ta­li­sta paga per que­sto, ma non è affat­to garan­ti­to che ciò avven­ga: la cop­pia può non ave­re figli, que­sti pos­so­no mori­re pri­ma dell’età adul­ta, o pos­so­no sem­pli­ce­men­te tro­va­re i pro­pri mez­zi di sus­si­sten­za al di fuo­ri del mon­do del lavo­ro sala­ria­to. Ma il capi­ta­li­sta non ha altra scel­ta se non quel­la di far­lo per un moti­vo mol­to bana­le. Vale a dire, in una socie­tà come la nostra, dove il siste­ma del lavo­ro sala­ria­to regna sovra­no, se una fami­glia non può nutri­re i pro­pri figli, allo­ra non avrà figli, e quin­di il siste­ma del lavo­ro sala­ria­to sareb­be desti­na­to a crol­la­re dal­le sue stes­se fon­da­men­ta a cau­sa del­la man­can­za di esse­ri uma­ni dispo­ni­bi­li a lavo­ra­re per altri in cam­bio di un sala­rio. Sen­za lavo­ra­to­ri non c’è pro­du­zio­ne capitalistica.

 Lavo­ro ripro­dut­ti­vo o schia­vi­tù domestica?
La nostra oppo­si­zio­ne al sala­rio per il lavo­ro dome­sti­co e alle don­ne che svol­go­no lavo­ro dome­sti­co in gene­ra­le, da un pun­to di vista socia­li­sta e poli­ti­co, non è meno fer­ma di quan­to lo sia dal pun­to di vista del­la scien­za eco­no­mi­ca. Abbia­mo già trat­ta­to que­sto tema in det­ta­glio altro­ve, ma qui ne rias­su­mia­mo i pun­ti principali.
Abbia­mo già mostra­to che la posi­zio­ne del­la casa­lin­ga è mol­to simi­le a quel­la degli schia­vi dome­sti­ci dell’antica Roma. Sono nutri­ti, vesti­ti e cura­ti dai loro padro­ni. La don­na è così inca­te­na­ta al sala­rio del mari­to e alla sua volon­tà supre­ma. C’è una nota cita­zio­ne di Marx su que­sto tema: “la moglie e i figli sono schia­vi del mari­to”. Engels, nel suo clas­si­co sull’origine del­la fami­glia, cita Marx e afferma:

«La fami­glia moder­na con­tie­ne in embrio­ne non solo la schia­vi­tù (ser­vi­tus), ma anche la ser­vi­tù del­la gle­ba, poi­ché essa è, fin da prin­ci­pio, in rap­por­to coi ser­vi­zi agri­co­li. Essa con­tie­ne in sé in minia­tu­ra tut­ti gli anta­go­ni­smi che avran­no in segui­to ampio svi­lup­po nel­la socie­tà e nel suo Sta­to»[9].

Ora, Sil­via Fede­ri­ci cer­ca di ripor­ta­re indie­tro di 150 anni la scien­za socia­le per quan­to riguar­da la posi­zio­ne del­le don­ne nel­la socie­tà, rimet­ten­do la don­na del­la fami­glia ope­ra­ia, sen­za istru­zio­ne e sen­za lavo­ro, tra pen­to­le e padel­le, pan­no­li­ni, strac­ci e telenovele.
Fede­ri­ci afferma:
«La riven­di­ca­zio­ne di un sala­rio per il lavo­ro di cura può dav­ve­ro libe­ra­re la don­na, poi­ché impli­ca che le don­ne capi­sca­no che quel­lo che fan­no è un lavo­ro: non natu­ra­le, ma social­men­te costrui­to».
Quel­lo che abbia­mo qui è una teo­ria mora­li­sti­ca (“Come può il lavo­ro dome­sti­co del­la casa­lin­ga non esse­re pro­dut­ti­vo? Per­ché solo il lavo­ro dell’uomo vie­ne valo­riz­za­to eco­no­mi­ca­men­te?”), che non ha alcun valo­re scien­ti­fi­co, come abbia­mo appe­na spiegato.
Il paga­men­to per il “lavo­ro ripro­dut­ti­vo” del­la casa­lin­ga tra le mura dome­sti­che, cioè per la schia­vi­tù dome­sti­ca, oltre a man­te­ne­re inal­te­ra­to il teno­re di vita del­la fami­glia lavo­ra­tri­ce, e di con­se­guen­za il livel­lo di liber­tà del­la casa­lin­ga allo stes­so livel­lo di pri­ma, è qual­co­sa che ser­vi­reb­be a per­pe­tua­re l’idea del­la casa­lin­ga come la bestia da soma che por­ta sul­le spal­le tut­ta la pres­sio­ne socia­le eser­ci­ta­ta sul­le fami­glie ope­ra­ie (com­pre­si gli abu­si psi­co­lo­gi­ci e fisi­ci). La ter­reb­be lon­ta­na dal­la vita socia­le, impri­gio­na­ta tra le quat­tro mura di casa, ren­den­do­la intor­pi­di­ta da fac­cen­de dome­sti­che che le stra­zia­no il cor­po e anneb­bia­no la men­te. Vie­ne così resa più facil­men­te mani­po­la­bi­le a favo­re del­lo sta­tus quo, che inco­rag­gia la casa­lin­ga ad adot­ta­re un atteg­gia­men­to con­ser­va­to­re nei con­fron­ti dell’attivismo poli­ti­co e sin­da­ca­le del mari­to e dei figli e così via.
Pur­trop­po oggi una serie di teo­ri­che del movi­men­to fem­mi­ni­sta e del­la sini­stra ripren­do­no le posi­zio­ni più arre­tra­te difen­den­do l’idea che il lavo­ro dome­sti­co pos­sa eman­ci­pa­re le don­ne, che sia fon­te di rispar­mio per il capi­ta­li­sta e che deb­ba esse­re paga­to, per­pe­tuan­do la schia­vi­tù dome­sti­ca sot­to la coper­tu­ra di un sus­si­dio sta­ta­le o di una com­pen­sa­zio­ne da par­te dei capitalisti.
La Fede­ri­ci e colo­ro che difen­do­no il sala­rio per le casa­lin­ghe si pon­go­no in modo “prag­ma­ti­co” e “rea­li­sti­co” per adat­tar­si al capi­ta­li­smo. Come mostra que­sta inter­vi­sta alla Fede­ri­ci di qual­che anno fa:
«Negli anni Set­tan­ta, quan­do negli Sta­ti Uni­ti come in Euro­pa si dove­va­no pren­de­re deci­sio­ni stra­te­gi­che, il movi­men­to fem­mi­ni­sta abban­do­nò com­ple­ta­men­te il cam­po ripro­dut­ti­vo e si con­cen­trò qua­si esclu­si­va­men­te sul lavo­ro fuo­ri casa. L’obiettivo era quel­lo di con­qui­sta­re l’uguaglianza attra­ver­so il lavo­ro. Tut­ta­via, gli uomi­ni era­no scon­ten­ti sul posto di lavo­ro, e rag­giun­ge­re l’uguaglianza per esse­re ugual­men­te scon­ten­ti e oppres­si come loro non è affat­to una stra­te­gia».
Cosa pro­po­ne Fede­ri­ci? Il lavo­ro dome­sti­co è un male, ma anche il lavo­ro in azien­da è un male. Inol­tre, abbia­mo dopo il lavo­ro un “secon­do tur­no” a casa con l’accudimento dei bam­bi­ni, le puli­zie, ecc. Quin­di, non veden­do alter­na­ti­ve, sareb­be meglio tor­na­re nel­la casa che ci schia­viz­za, ma in cam­bio chie­dia­mo un salario.
Que­sta è la splen­di­da pro­spet­ti­va che fem­mi­ni­ste radi­ca­li come la Fede­ri­ci han­no da offri­re a milio­ni di don­ne oppres­se, pove­re e lavo­ra­tri­ci: una pro­spet­ti­va lon­ta­na dal mon­do stes­so in cui Fede­ri­ci e le altre fem­mi­ni­ste di que­sta ten­den­za vivo­no – di que­sto sia­mo certi.
È inne­ga­bi­le che il mon­do del lavo­ro sot­to il capi­ta­li­smo è disu­ma­niz­zan­te e fat­to di sfrut­ta­men­to per l’uomo e la don­na. Ed è vero che la don­na è costret­ta a fare un “dop­pio tur­no” in azien­da e a casa. Cer­to, lavo­ra­re fuo­ri casa non libe­ra la don­na di per sé, ma le dà la pos­si­bi­li­tà di libe­rar­si dal suo part­ner. Rag­giun­ge­re un “sala­rio dome­sti­co” sot­to il capi­ta­li­smo è un’illusione, soprat­tut­to nell’attuale con­te­sto di cri­si eco­no­mi­ca e di pro­lun­ga­ta auste­ri­tà. La nostra alter­na­ti­va, come vedre­mo tra poco, è quel­la di col­le­ga­re la riven­di­ca­zio­ne del­la socia­liz­za­zio­ne del lavo­ro dome­sti­co con la lot­ta per il socia­li­smo. Que­sto è l’unico modo per sra­di­ca­re l’oppressione del­le don­ne inve­ce che di accon­ten­tar­si del­le bri­cio­le, del male mino­re o di riven­di­ca­zio­ni impos­si­bi­li o fran­ca­men­te rea­zio­na­rie all’interno del capitalismo.

 Lavo­ro sala­ria­to per i com­pi­ti domestici
Il lavo­ro retri­bui­to pro­fes­sio­na­le nel set­to­re dell’assistenza – la cura dei bam­bi­ni, degli anzia­ni e dei disa­bi­li, la puli­zia del­la casa, la pre­pa­ra­zio­ne dei cibi, ecc. – è di natu­ra com­ple­ta­men­te diver­sa dal lavo­ro svol­to dal­la casa­lin­ga nel­la pro­pria casa. Solo le teste di legno non sareb­be­ro in gra­do di vede­re la differenza.
La natu­ra remu­ne­ra­ta del lavo­ro di “cura” – per usa­re l’eufemismo di cat­ti­vo gusto che i pro­gres­si­sti libe­ra­li e di sini­stra usa­no per defi­ni­re il lavo­ro dome­sti­co e la cura dei bam­bi­ni e degli anzia­ni – intro­du­ce un cam­bia­men­to socia­le qua­li­ta­ti­vo in que­sti com­pi­ti. È cer­ta­men­te un lavo­ro este­nuan­te, che con­ti­nua ad esse­re mal paga­to. Tut­ta­via, a dif­fe­ren­za del­la comu­ne casa­lin­ga, chi lavo­ra in que­sto set­to­re non è coin­vol­to per­so­nal­men­te nel lavo­ro che svol­ge. La casa­lin­ga lavo­ra in casa pro­pria, men­tre un lavo­ra­to­re sala­ria­to lavo­ra in una casa solo per quat­tro, sei o otto ore e in cam­bio di un sala­rio. Sen­za sala­rio non c’è lavo­ro. Il sem­pli­ce fat­to di usci­re di casa e di affron­ta­re la vita socia­le – che impli­ca recar­si sul posto di lavo­ro, par­la­re e con­di­vi­de­re espe­rien­ze con le lavo­ra­tri­ci con le stes­se o diver­se con­di­zio­ni, o esse­re assun­ta da un’azienda e vede­re i comu­ni inte­res­si di clas­se che la lega­no agli altri lavo­ra­to­ri dell’azienda – aiu­ta una lavo­ra­tri­ce a capi­re la natu­ra del­la socie­tà di clas­se e il suo fun­zio­na­men­to intrin­se­co. Il fat­to di poter­si iscri­ve­re a un sin­da­ca­to e di poter riven­di­ca­re alcu­ni dirit­ti pre­vi­sti dal­la leg­ge, di com­pren­de­re la neces­si­tà di una lot­ta poli­ti­ca per i pro­pri inte­res­si, ecc. intro­du­ce un livel­lo poli­ti­co e un livel­lo di coscien­za e di auto­sti­ma nel­la psi­co­lo­gia del­la lavo­ra­tri­ce sala­ria­ta “di cura”. Que­sto non è para­go­na­bi­le a quel­lo che la comu­ne casa­lin­ga ottie­ne impri­gio­na­ta in casa sua. L’alienazione che il lavo­ra­to­re sala­ria­to subi­sce è la stes­sa che subi­sce qual­sia­si lavo­ra­to­re dipen­den­te, sia esso un metal­mec­ca­ni­co, un impie­ga­to o un lavo­ra­to­re a gior­na­ta: è l’alienazione di un lavo­ra­to­re e non di uno schia­vo. Per la casa­lin­ga, la sua casa è il suo mon­do; per la lavo­ra­tri­ce dei ser­vi­zi di assi­sten­za, il suo mon­do è fuo­ri, nel­la vita socia­le e nel­la dife­sa dei suoi inte­res­si di lavo­ra­tri­ce e di miglia­ia di per­so­ne come lei.
Tra­sfor­ma­re il lavo­ro dome­sti­co, la cura dei bam­bi­ni e l’assistenza agli anzia­ni in lavo­ro sala­ria­to pre­pa­ra le con­di­zio­ni per la futu­ra libe­ra­zio­ne del­la don­na e del­la fami­glia dal­la schia­vi­tù dome­sti­ca attra­ver­so la socia­liz­za­zio­ne del lavo­ro dome­sti­co, dopo il rove­scia­men­to del capi­ta­li­smo, cioè sot­to il socia­li­smo. Come già det­to, si trat­ta di eli­mi­na­re le fac­cen­de dome­sti­che oppri­men­ti che gra­va­no sul­la fami­glia (lava­re i vesti­ti, pre­pa­ra­re il cibo, occu­par­si dei bam­bi­ni e degli anzia­ni). Oltre ad asi­li nido ben attrez­za­ti nei quar­tie­ri e nei luo­ghi di lavo­ro, il socia­li­smo costrui­rà in ogni quar­tie­re cen­tri di sva­go e di gio­co per bam­bi­ni e ado­le­scen­ti, tut­ti ben cura­ti, fun­zio­na­li e istrut­ti­vi. Le case di cura non saran­no i luo­ghi cupi, spor­chi, mal cura­ti e costo­si a cui sia­mo abi­tua­ti, ma saran­no al livel­lo di hotel di alta qua­li­tà, gra­tui­ti o a bas­so costo e con annes­se strut­tu­re sani­ta­rie com­ple­ta­men­te attrezzate.
I lavo­ra­to­ri di que­sto set­to­re non dovran­no sop­por­ta­re tur­ni lun­ghi e fisi­ca­men­te este­nuan­ti. La loro gior­na­ta lavo­ra­ti­va sareb­be di quat­tro o cin­que ore o anche più bre­ve. Ver­reb­be uti­liz­za­ta la tec­no­lo­gia più avan­za­ta per ridur­re al mini­mo lo sfor­zo fisi­co neces­sa­rio per occu­par­si di per­so­ne disa­bi­li, anzia­ne o mala­te. Tut­ta la tec­no­lo­gia sareb­be dedi­ca­ta a ridur­re al mini­mo il lavo­ro in ogni com­pi­to, spe­cial­men­te quel­li che richie­do­no il mag­gio­re sfor­zo fisico.
Come Engels ha det­to brillantemente:

«Si chia­ri­sce fin da ades­so [duran­te il pas­sag­gio dal­la bar­ba­rie alla civil­tà, ndt] che la libe­ra­zio­ne del­la don­na e la sua equi­pa­ra­zio­ne all’uomo è e reste­rà impos­si­bi­le fin­tan­to­ché la don­na ven­ga tenu­ta fuo­ri dal lavo­ro socia­le pro­dut­ti­vo e si deb­ba limi­ta­re al lavo­ro dome­sti­co pri­va­to. La libe­ra­zio­ne del­la don­na diven­ta pos­si­bi­le solo quan­do ad essa sia per­mes­so di par­te­ci­pa­re, su lar­ga sca­la socia­le alla pro­du­zio­ne, e l’impegno del suo lavo­ro dome­sti­co sia ridot­to ad una quan­ti­tà irri­le­van­te. Tut­to ciò è dive­nu­to pos­si­bi­le sola­men­te con la gran­de indu­stria moder­na, che non solo ren­de pos­si­bi­le il lavo­ro del­la don­na su lar­ga sca­la, ma lo esi­ge for­mal­men­te, ed ha la ten­den­za a tra­sfor­ma­re in misu­ra sem­pre cre­scen­te lo stes­so lavo­ro dome­sti­co pri­va­to in una indu­stria pub­bli­ca»[10].

 Per un’alternativa socia­li­sta alla schia­vi­tù domestica
I mar­xi­sti difen­do­no la socia­liz­za­zio­ne dell’educazione dei bam­bi­ni e dell’assistenza agli anzia­ni e ai disa­bi­li. La socie­tà nel suo insie­me si assu­me­reb­be que­sti com­pi­ti e libe­re­reb­be da essi la fami­glia lavo­ra­tri­ce, in par­ti­co­la­re la casa­lin­ga. In real­tà, lo svi­lup­po capi­ta­li­sta ha già por­ta­to alla socia­liz­za­zio­ne di alcu­ni aspet­ti del­la vita fami­lia­re e comu­ni­ta­ria, sia attra­ver­so siste­mi di gestio­ne pub­bli­ca, sia attra­ver­so licen­ze a enti pri­va­ti (anche se solo par­zial­men­te e in modo ina­de­gua­to). Tra que­sti vi sono l’istruzione, la sani­tà, i tra­spor­ti, le tele­co­mu­ni­ca­zio­ni, l’elettricità, la gestio­ne dei rifiu­ti, ecc. Da qual­che tem­po assi­stia­mo a una ten­den­za ana­lo­ga nell’assistenza agli anzia­ni e ai disa­bi­li, nei cosid­det­ti ser­vi­zi di assistenza.
Tut­ta­via, sot­to il capi­ta­li­smo que­sti pas­si ver­so la socia­liz­za­zio­ne del lavo­ro dome­sti­co han­no i loro limi­ti. I capi­ta­li­sti com­bat­to­no con le unghie e con i den­ti per evi­ta­re di cede­re alla socie­tà una par­te mag­gio­re del plu­sva­lo­re che estrag­go­no dai lavo­ra­to­ri (la fon­te dei loro pro­fit­ti) per finan­zia­re una socia­liz­za­zio­ne gene­ra­liz­za­ta del lavo­ro domestico.
Tenen­do con­to di ciò, una casa­lin­ga dovreb­be rice­ve­re uno sti­pen­dio per poter dipen­de­re solo da se stes­sa, indi­pen­den­te­men­te dal mari­to? Cer­to che dovreb­be, ma non per la sua posi­zio­ne di casa­lin­ga, dal­la qua­le deve libe­rar­si. Chie­dia­mo che a tut­ti i disoc­cu­pa­ti sia dato un lavo­ro fis­so, digni­to­so e ben retri­bui­to, e che duran­te il perio­do di disoc­cu­pa­zio­ne rice­va­no un’indennità di disoc­cu­pa­zio­ne pari al sala­rio mini­mo nazio­na­le. Chie­dia­mo quin­di che le casa­lin­ghe, come i disoc­cu­pa­ti, rice­va­no que­sti sus­si­di, ma chie­dia­mo anche lavo­ri di buo­na qua­li­tà e ben paga­ti per tut­ti, e le inco­rag­gia­mo a tro­va­re un lavo­ro che per­met­ta loro di gua­da­gnar­si da vive­re. Le esor­tia­mo ad amplia­re i loro oriz­zon­ti per ave­re una vita socia­le più varie­ga­ta al di fuo­ri del­le mura dome­sti­che e a par­te­ci­pa­re alla lot­ta coscien­te degli altri lavo­ra­to­ri per un pro­gram­ma di tran­si­zio­ne ver­so il socia­li­smo con le seguen­ti riven­di­ca­zio­ni: asi­li nido pub­bli­ci gra­tui­ti, men­se pub­bli­che gra­tui­te, lavan­de­rie pub­bli­che gra­tui­te e lascia­re che il lavo­ro “di cura” sia svol­to da lavo­ra­to­ri retri­bui­ti. Lo Sta­to deve inol­tre for­ni­re cibo e abbi­glia­men­to di base a tut­ti i bam­bi­ni e gli ado­le­scen­ti fino a 18 anni. Rias­su­men­do, voglia­mo ridur­re o eli­mi­na­re le cosid­det­te “fac­cen­de dome­sti­che”, che fino­ra sono sta­te com­pi­to del­la casa­lin­ga, far­la usci­re di casa e tra­sfor­mar­la in una per­so­na eco­no­mi­ca­men­te indi­pen­den­te dal partner.
Dob­bia­mo spie­ga­re alla clas­se ope­ra­ia, e alle casa­lin­ghe in par­ti­co­la­re, che solo in un siste­ma socia­li­sta, dove le leve di coman­do dell’economia sono tra­sfe­ri­te alla pro­prie­tà col­let­ti­va e gesti­te demo­cra­ti­ca­men­te dai lavo­ra­to­ri, sare­mo in gra­do di rea­liz­za­re una socia­liz­za­zio­ne gene­ra­liz­za­ta del lavo­ro domestico.
Come spie­ga Engels:

«Con il tra­sfe­ri­men­to dei mez­zi di pro­du­zio­ne alla pro­prie­tà comu­ne, la sin­go­la fami­glia non è più l’unità eco­no­mi­ca del­la socie­tà. L’amministrazione pri­va­ta del­la casa si tra­sfor­ma in un’impresa socia­le. La sor­ve­glian­za e l’educazione dei bam­bi­ni diven­ta un affa­re pub­bli­co …»[11].

Così, com­bi­nan­do i pro­gres­si di un’economia socia­li­sta pia­ni­fi­ca­ta – lavo­ran­do col­let­ti­va­men­te e abo­len­do il pro­fit­to come moto­re di ogni atti­vi­tà uma­na, con lega­mi di affet­to pri­vi di ipo­cri­sie reli­gio­se o inte­res­si per­so­na­li, insie­me alla tec­no­lo­gia e alla scien­za più avan­za­te – una socie­tà socia­li­sta sra­di­che­reb­be ogni trac­cia di schia­vi­tù dome­sti­ca e di sot­to­mis­sio­ne del­la don­na all’uomo, per con­sen­tir­le di esse­re all’altezza del suo vero poten­zia­le, qual­co­sa che le è sta­to nega­to dal­la socie­tà di clas­se per miglia­ia di anni.


Note

[1] K. Marx, Sala­rio, prez­zo e pro­fit­to, AC Edi­to­ria­le, 2013, pp. 74‑75.
[2] Ibi­dem, p. 104.
[3] K. Marx, Il Capi­ta­le, cap. XIII, “Mac­chi­ne e gran­de indu­stria”, Edi­to­ri riu­ni­ti, 1968, vol. 1, p. 438.
[4] Ibi­dem, cap. IV, “Tra­sfor­ma­zio­ne del dena­ro in capi­ta­le”, p. 204.
[5] F. Engels, “Recen­sio­ne del libro pri­mo del Capi­ta­le per il Demo­kra­ti­sches Wochen­blatt”, Marx‑Engels, Ope­re com­ple­te, Edi­to­ri riu­ni­ti, 1987, vol. XX, 1864‑1868, p. 238.
[6] K. Marx, Il Capi­ta­le, cap. IV, “Tra­sfor­ma­zio­ne del dena­ro in capi­ta­le”, cit., p. 204‑5.
[7] K. Marx, Il Capi­ta­le, cap. XIII, “Mac­chi­ne e gran­de indu­stria”, cit., p. 438.
[8] Ibi­dem, p. 439 (nota 121).
[9] F. Engels, L’origine del­la fami­glia, del­la pro­prie­tà pri­va­ta e del­lo Sta­to, New­ton Comp­ton Edi­to­ri, 2006, p. 82.
[10] Ibi­dem, p. 193.
[11] Ibi­dem, p. 101.