Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Guerra in Ucraina, Teoria

La Bosnia e il diritto delle nazioni all’autodeterminazione

Grigorij Zinov’ev parla al Congresso dei Popoli d'Oriente (Baku, 1920)

L’architrave del castel­lo argo­men­ta­ti­vo di chi, a sini­stra, sostie­ne che in Ucrai­na sia in cor­so una guer­ra di libe­ra­zio­ne nazio­na­le è il “dirit­to di autodeterminazione”.
Pos­sia­mo fie­ra­men­te affer­ma­re che, se c’è un tema evo­ca­to asso­lu­ta­men­te a spro­po­si­to per l’analisi del con­flit­to in atto, è pro­prio que­sto. E abbia­mo dif­fu­sa­men­te discus­so dell’erroneità e dell’infondatezza di sif­fat­to richia­mo in alcu­ni arti­co­li pub­bli­ca­ti su que­sto sito, e in par­ti­co­la­re in que­sto, uti­liz­zan­do gli scrit­ti di Lenin, Tro­tsky e altri auto­ri mar­xi­sti, i qua­li fan­no giu­sti­zia dell’improprio ricor­so al prin­ci­pio del “dirit­to di auto­de­ter­mi­na­zio­ne” in ipo­te­si di guer­ra inte­rim­pe­ria­li­sta qual è quel­la che si sta com­bat­ten­do in Ucraina.
Men­tre le pic­co­le set­te ormai appro­da­te sui lidi del social­scio­vi­ni­smo con­ti­nua­no, sia pure stan­ca­men­te, a bat­te­re su que­sto tasto, inge­ne­ran­do ancor più con­fu­sio­ne teo­ri­ca, ci pia­ce ripren­de­re la discus­sio­ne in pro­po­si­to: non cer­to per inta­vo­la­re una pole­mi­ca – inu­ti­le e impro­dut­ti­va – con que­ste set­te, irri­me­dia­bil­men­te per­du­te all’idea stes­sa del mar­xi­smo, ma per rivol­ger­ci inve­ce a quel­la pla­tea di sim­pa­tiz­zan­ti del socia­li­smo che vivo­no un diso­rien­ta­men­to tan­to dif­fu­so da aver impe­di­to che si for­mas­se in Ita­lia un genui­no sen­ti­men­to con­tro la guerra.
Lo fac­cia­mo pre­sen­tan­do ai nostri let­to­ri un testo del­lo scom­par­so mar­xi­sta ingle­se Al Richard­son, mili­tan­te tro­tski­sta, che affron­ta il tema del dirit­to di auto­de­ter­mi­na­zio­ne sul­lo sfon­do del­le guer­re nei Bal­ca­ni che insan­gui­na­ro­no quel­la regio­ne negli anni 90 del seco­lo scor­so. Ma, al di là del rife­ri­men­to con­giun­tu­ra­le che Richard­son fa alla que­stio­ne del­la Bosnia, il suo testo, sep­pur sin­te­ti­ca­men­te, svi­lup­pa con estre­ma coe­ren­za teo­ri­ca la rifles­sio­ne intor­no al “dirit­to di auto­de­ter­mi­na­zio­ne”, spe­ci­fi­can­do come quest’ultimo sia sta­to con­ce­pi­to dai mar­xi­sti come un “mez­zo” per rea­liz­za­re gli inte­res­si del pro­le­ta­ria­to, e non già come un “fine”, «un prin­ci­pio sovra­sto­ri­co (sul model­lo dell’imperativo cate­go­ri­co di Kant)», secon­do la feli­ce descri­zio­ne di Tro­tsky ripre­sa nel sag­gio di Richard­son e che cal­za alla per­fe­zio­ne alle scon­clu­sio­na­te ana­li­si del­le set­te trotsko‑scioviniste odierne.
Rite­nia­mo che la chia­rez­za di que­sto scrit­to, ori­gi­na­ria­men­te pub­bli­ca­to sul perio­di­co ingle­se “What Next?”, sia uti­le per sgom­bra­re il cam­po da un argo­men­to così impro­pria­men­te e arti­fi­cio­sa­men­te intro­dot­to nell’analisi del con­flit­to in atto in Ucraina.
Le note in cal­ce al testo sono tut­te dell’Autore, men­tre quel­le aggiun­te dal tra­dut­to­re sono indi­ca­te tra paren­te­si qua­dre e con la sigla “N.d.t.” per distin­guer­le dall’originale.
Buo­na lettura.
La redazione

La Bosnia e il diritto delle nazioni all’autodeterminazione


Al Richardson

 

Il pri­mo pun­to da sta­bi­li­re quan­do affron­tia­mo la que­stio­ne dell’autodeterminazione dal ver­san­te del mar­xi­smo è qua­le atteg­gia­men­to dob­bia­mo assu­me­re nei con­fron­ti dei “dirit­ti” in gene­ra­le. Tan­to per comin­cia­re, va det­to che i mar­xi­sti non cre­do­no nei “dirit­ti” immu­ta­bi­li, fis­si per l’eternità. Que­sto vale non solo per la bor­ghe­sia, ma anche per la clas­se ope­ra­ia. Quan­do sugli stri­scio­ni dei sin­da­ca­ti cam­peg­gia­va la paro­la d’ordine “Un gior­no di lavo­ro giu­sto per un gior­no di paga equo”, Marx sosten­ne inve­ce lo slo­gan “Per l’abolizione del siste­ma di lavo­ro sala­ria­to”.
L’obiettivo fina­le del mar­xi­smo è la distru­zio­ne di tut­ti gli Sta­ti e di tut­te le clas­si, e ciò com­pren­de anche i “dirit­ti”. Come ha sot­to­li­nea­to Marx, «il dirit­to non può esse­re mai più ele­va­to del­la con­fi­gu­ra­zio­ne eco­no­mi­ca e del­lo svi­lup­po cul­tu­ra­le da essa con­di­zio­na­to, del­la socie­tà»[1]. Inol­tre, la dia­let­ti­ca ci inse­gna che le paro­le d’ordine che una vol­ta era­no pro­gres­si­ve diven­ta­no rea­zio­na­rie con il pas­sa­re del tem­po e il muta­re del­le cir­co­stan­ze. Nes­su­no, nell’attuale cli­ma di opi­nio­ne in Irlan­da del Nord, ose­reb­be dire che la liber­tà di cul­to per tut­ti tran­ne che per i cat­to­li­ci sia una richie­sta pro­gres­si­va: eppu­re, è ciò che si rite­ne­va duran­te la guer­ra civi­le inglese.
Una secon­da con­si­de­ra­zio­ne da fare è che lo Sta­to nazio­na­le è l’espressione par­ti­co­la­re degli inte­res­si eco­no­mi­ci e poli­ti­ci del­la bor­ghe­sia, non del pro­le­ta­ria­to[2]. È il mez­zo poli­ti­co neces­sa­rio per assu­me­re il con­trol­lo del pro­prio mer­ca­to per poter accu­mu­la­re, per por­re le basi per la sua futu­ra com­pe­ti­zio­ne con i gran­di colos­si eco­no­mi­ci a livel­lo internazionale.
I socia­li­sti han­no in pas­sa­to soste­nu­to la rivo­lu­zio­ne bor­ghe­se, come ha spie­ga­to Marx nel suo Indi­riz­zo del Comi­ta­to cen­tra­le alla Lega dei Comu­ni­sti, per rom­pe­re il feu­da­le­si­mo por­tan­do allo svi­lup­po del capi­ta­li­smo, e quin­di del pro­le­ta­ria­to, e per ren­de­re la rivo­lu­zio­ne “per­ma­nen­te” fino alla vit­to­ria di quest’ultimo[3]. L’hanno anche soste­nu­ta per inde­bo­li­re l’imperialismo di fron­te alla sua clas­se ope­ra­ia in patria[4]. Tro­tsky svi­lup­pò ulte­rior­men­te la teo­ria del­la Rivo­lu­zio­ne per­ma­nen­te come stra­te­gia da adot­ta­re nel mon­do colo­nia­le per por­re il pro­le­ta­ria­to alla testa del­le mas­se lavo­ra­tri­ci, sosti­tuen­do una bor­ghe­sia nazio­na­le inca­pa­ce sia di assi­cu­ra­re l’indipendenza del­la sua nazio­ne, sia di rea­liz­za­re i pro­pri com­pi­ti sto­ri­ci. La sua teo­ria pre­sup­po­ne­va che solo l’ascesa al pote­re del­la clas­se ope­ra­ia avreb­be potu­to assi­cu­ra­re l’indipendenza nazio­na­le dei popo­li di tali Pae­si[5]. Il soste­gno al dirit­to del­le nazio­ni all’autodeterminazione in que­sto caso ha quin­di un carat­te­re simi­le a quel­lo di por­re riven­di­ca­zio­ni ai lea­der sin­da­ca­li negli Sta­ti impe­ria­li­sti, non per­ché cre­dia­mo che sia­no in gra­do di gui­da­re la lot­ta per il socia­li­smo, ma per scre­di­tar­li agli occhi del­la base. Ma in tut­ti que­sti casi il “dirit­to del­le nazio­ni all’autodeterminazione” era un mez­zo per il pro­le­ta­ria­to, non un fine, un sem­pli­ce tram­po­li­no di lan­cio sul­la stra­da del­la rivo­lu­zio­ne mondiale.
In nessun’altra ope­ra que­sto prin­ci­pio è sta­to meglio illu­stra­to rispet­to al modo in cui Marx ed Engels affron­ta­ro­no la que­stio­ne nazio­na­le nell’Europa orien­ta­le. Duran­te i fer­men­ti rivo­lu­zio­na­ri del 1846‑48, essi sosten­ne­ro i dirit­ti dei “popo­li sto­ri­ci” (tede­schi, polac­chi e unghe­re­si) quan­do incro­cia­va­no quel­li del­le mas­se con­ta­di­ne oppres­se del­la regio­ne. Ciò sem­pli­ce­men­te per­ché era neces­sa­rio schiac­cia­re Prus­sia, Austria e Rus­sia in quan­to gen­dar­mi del­la rea­zio­ne su base paneu­ro­pea, e per­ché gli Sta­ti che sareb­be­ro sta­ti fon­da­ti dal­le nazio­ni “sto­ri­che” sareb­be­ro sta­ti abba­stan­za gran­di da svi­lup­pa­re mer­ca­ti inter­ni e un’industria moder­na, deter­mi­nan­do l’espansione del pro­le­ta­ria­to. In que­sto sen­so era per­fet­ta­men­te vali­da la loro oppo­si­zio­ne alle pre­te­se dei croa­ti, dei rute­ni, ecc., poi­ché tra loro era appe­na sor­ta la coscien­za nazio­na­le, e le que­stio­ni di uno Sta­to nazio­na­le o dell’industrializzazione non era­no anco­ra sta­te poste. Per que­sto moti­vo l’argomento di Rosdol­sky con­tro le opi­nio­ni di Marx ed Engels dell’epoca è mal con­ce­pi­to e asto­ri­co[6].
Ma alla fine del seco­lo lo svi­lup­po del­la coscien­za nazio­na­le tra le mino­ran­ze etni­che degli impe­ri austria­co e rus­so fece del­la richie­sta di auto­de­ter­mi­na­zio­ne una com­po­nen­te neces­sa­ria di un pro­gram­ma rivo­lu­zio­na­rio in quei Pae­si. Inol­tre, Marx ed Engels han­no spes­so dimo­stra­to che il loro atteg­gia­men­to nei con­fron­ti del dirit­to del­le nazio­ni all’autodeterminazione dipen­de­va da come essi vede­va­no le esi­gen­ze stra­te­gi­che del­la clas­se ope­ra­ia su sca­la inter­na­zio­na­le, fino al pun­to di cam­bia­re posi­zio­ne nel bel mez­zo di una gran­de guer­ra euro­pea. Que­sto è ciò che in real­tà accad­de duran­te la guer­ra franco‑prussiana (1870‑71), quan­do ini­zial­men­te appog­gia­ro­no l’unificazione tede­sca, ma poi spo­sta­ro­no il loro soste­gno alla Fran­cia, rite­nen­do quel con­flit­to una legit­ti­ma guer­ra di dife­sa nazio­na­le dopo la bat­ta­glia di Sedan, a cau­sa dell’annessione dell’Alsazia‑Lorena. E con l’ascesa del­la Comu­ne di Pari­gi essi giun­se­ro a stig­ma­tiz­za­re la bor­ghe­sia fran­ce­se come disfat­ti­sta con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ria[7].
Lo stes­so vale per l’applicazione di que­sto prin­ci­pio da par­te di Lenin. La sua pole­mi­ca con­tro la nega­zio­ne di Rosa Luxem­burg del “dirit­to del­le nazio­ni all’autodeterminazione” è spes­so cita­ta come se lo si rite­nes­se un dirit­to eter­no, esi­sten­te al di fuo­ri del tem­po e del­lo spa­zio. Tut­ta­via, chi fa que­sto sem­bra aver dimen­ti­ca­to il ter­re­no comu­ne che esi­ste­va tra Lenin e Luxem­burg, e cioè qua­le poli­ti­ca in rela­zio­ne a que­sto tema fos­se la più appro­pria­ta nell’interesse del­la clas­se ope­ra­ia. Quan­do si trat­ta­va di distrug­ge­re lo Sta­to zari­sta o quel­lo del gover­no prov­vi­so­rio, Lenin era favo­re­vo­le ai dirit­ti del­le nazio­ni all’autodeterminazione per­ché sen­za un’alleanza con i con­ta­di­ni e i popo­li oppres­si (che era­no essi stes­si in gran par­te con­ta­di­ni) la clas­se ope­ra­ia non sareb­be mai potu­ta sali­re al pote­re. Eppu­re lo stes­so Lenin cer­ta­men­te non subor­di­na­va gli inte­res­si del­la clas­se ope­ra­ia a que­sto “dirit­to” quan­do sosten­ne l’invasione del­la Polo­nia nel 1920, con­tem­po­ra­nea­men­te pren­den­do in con­si­de­ra­zio­ne l’invasione dell’Ungheria[8]. Lo stes­so gover­no bol­sce­vi­co che ave­va rico­no­sciu­to l’indipendenza del­la Geor­gia nel 1920 la ricon­qui­stò nel 1921, quan­do fu chia­ro che que­sta veni­va usa­ta come base per l’intervento stra­nie­ro con­tro l’Urss.
Anche nel­la sua pole­mi­ca con Rosa Luxem­burg su que­sto tema Lenin sot­to­li­nea­va: «Rispon­de­re “sì” o “no” alla doman­da di sepa­ra­zio­ne di qual­sia­si nazio­ne? In real­tà è assur­da, meta­fi­si­ca­men­te teo­ri­ca, e por­ta pra­ti­ca­men­te alla subor­di­na­zio­ne del pro­le­ta­ria­to alla poli­ti­ca del­la bor­ghe­sia. La bor­ghe­sia pone sem­pre in pri­mo pia­no le sue riven­di­ca­zio­ni nazio­na­li. Le pone incon­di­zio­na­ta­men­te. Il pro­le­ta­ria­to inve­ce le subor­di­na agli inte­res­si del­la lot­ta del­le clas­si. Teo­ri­ca­men­te, non si può dire a prio­ri se la rivo­lu­zio­ne demo­cra­ti­ca bor­ghe­se sarà por­ta­ta a ter­mi­ne median­te la sepa­ra­zio­ne di una nazio­ne deter­mi­na­ta o la sua pari­tà di dirit­ti con un’altra nazio­ne. In entram­bi i casi, al pro­le­ta­ria­to impor­ta assi­cu­ra­re lo svi­lup­po del­la pro­pria clas­se, men­tre la bor­ghe­sia, cui impor­ta osta­co­la­re tale svi­lup­po, ne subor­di­na gli obiet­ti­vi a quel­li del­la “pro­pria” nazio­ne»[9].
E pur soste­nen­do che il rispet­to dei dirit­ti nazio­na­li incar­nas­se una neces­si­tà vita­le per man­te­ne­re l’alleanza dei lavo­ra­to­ri e dei con­ta­di­ni in Urss, allo stes­so modo Tro­tsky nega­va che l’autodeterminazione nazio­na­le fos­se «un prin­ci­pio sovra­sto­ri­co (sul model­lo dell’imperativo cate­go­ri­co di Kant)»[10].
In paro­le pove­re, men­tre pote­va esse­re con­si­de­ra­ta pro­gres­si­va la poli­ti­ca di soste­gno alla Ser­bia con­tro l’Austria nel 1907, patro­ci­na­re il prin­ci­pio dell’autodeterminazione ser­ba sopra tut­ti gli altri dopo l’agosto 1914 avreb­be signi­fi­ca­to subor­di­na­re gli inte­res­si del­la clas­se ope­ra­ia all’Intesa duran­te la Pri­ma guer­ra mon­dia­le[11]. Il mar­xi­smo clas­si­co discu­te tut­to dal pun­to di vista degli inte­res­si inter­na­zio­na­li del­la clas­se ope­ra­ia, ai qua­li sono subor­di­na­ti tut­ti gli altri “prin­ci­pi” e “dirit­ti”, com­pre­so il nazio­na­li­smo[12]. Ciò che acca­de quan­do il prin­ci­pio nazio­na­le vie­ne ele­va­to al di sopra dei fon­da­men­ta­li cri­te­ri di clas­se è age­vol­men­te illu­stra­to dal­la con­fu­sio­ne teo­ri­ca che ha accom­pa­gna­to il crol­lo dell’Urss. La sepa­ra­zio­ne del­le più gran­di mino­ran­ze nazio­na­li per for­ma­re Sta­ti nazio­na­li bor­ghe­si ha in real­tà dimo­stra­to di esse­re un mec­ca­ni­smo neces­sa­rio del­la con­tro­ri­vo­lu­zio­ne; eppu­re, la mag­gio­ran­za del movi­men­to tro­tski­sta, pur rite­nen­do sul­la car­ta che quel­lo che veni­va distrut­to era uno Sta­to ope­ra­io, ha pra­ti­ca­men­te sup­por­ta­to que­sto pro­ces­so. L’esempio più ridi­co­lo di come tale logi­ca sia sta­ta por­ta­ta alle sue estre­me con­se­guen­ze va sicu­ra­men­te rin­ve­nu­to nell’appello di Wor­kers Power al gover­no That­cher per soste­ne­re la sepa­ra­zio­ne del­la Litua­nia. È un esem­pio clas­si­co di ciò che acca­de quan­do si ele­va­no i prin­ci­pi del­la demo­cra­zia bor­ghe­se al di sopra di quel­li del­la dife­sa del­la clas­se operaia.
In effet­ti, Tro­tsky e Lenin riten­ne­ro impor­tan­te non soste­ne­re mai i con­flit­ti nazio­na­li dei popo­li bal­ca­ni­ci l’uno con­tro l’altro, nem­me­no con­tro i tur­chi, il cui impe­ro ave­va gover­na­to negli ulti­mi tem­pi gran par­te del­la regio­ne[13]. E con una buo­na ragio­ne: così tan­ti popo­li nell’area si era­no com­pe­ne­tra­ti gli uni con gli altri dal­la cadu­ta dell’Impero Roma­no in ter­mi­ni sia di clas­se che nazio­na­li che era impos­si­bi­le trac­cia­re in modo equo i con­fi­ni nazio­na­li fra loro. Alcu­ni popo­li era­no così pic­co­li che non si pone­va affat­to la que­stio­ne di eri­ge­re per loro uno Sta­to nazio­na­le pra­ti­ca­bi­le; altri si sovrap­po­ne­va­no in un com­pli­ca­to mosai­co di clas­se e nazio­ne. Qua­le divi­sio­ne si sareb­be potu­ta fare, ad esem­pio, nel­la Tran­sil­va­nia pre­bel­li­ca, i cui con­ta­di­ni era­no valac­chi (rume­ni), i cui pro­prie­ta­ri ter­rie­ri era­no magia­ri (unghe­re­si) e la cui bor­ghe­sia e il pro­le­ta­ria­to era­no tede­schi? Chiun­que con­sul­ti un clas­si­co come Miti e real­tà nell’Europa orien­ta­le di Wal­ter Kolarz (Lon­dra, 1946) potrà con­sta­ta­re che tut­ti que­sti popo­li si sovrap­po­ne­va­no per area geo­gra­fi­ca e che era­no tut­ti in gra­do di avan­za­re reci­pro­ca­men­te riven­di­ca­zio­ni ter­ri­to­ria­li più o meno vali­de. La razio­na­li­tà eco­no­mi­ca raf­for­za il pun­to: i Bal­ca­ni e l’arco dei Car­pa­zi dava­no uni­tà alla regio­ne, il Danu­bio fun­ge­va da asse por­tan­te e il siste­ma fer­ro­via­rio era incen­tra­to su Vien­na e Istan­bul. Non sor­pren­de affat­to che sia la Secon­da che la Ter­za Inter­na­zio­na­le si fos­se­ro espres­se a favo­re di una Fede­ra­zio­ne dei popo­li bal­ca­ni­ci. Né è una coin­ci­den­za che Sta­lin, nell’ottica del nazio­na­li­smo gran­de rus­so, si sia oppo­sto a que­sta stes­sa poli­ti­ca dopo la Secon­da guer­ra mon­dia­le. Una solu­zio­ne pra­ti­ca­bi­le oltre che giu­sta dei pro­ble­mi nazio­na­li di quest’area sem­pli­ce­men­te non pote­va esse­re rag­giun­ta sul model­lo degli Sta­ti nazio­na­li borghesi.

Un raro fil­ma­to del Con­gres­so dei Popo­li d’Oriente svol­to­si a Baku (1920)

La sto­ria lo ha dimo­stra­to in modo nega­ti­vo, per così dire. Gli uni­ci Sta­ti che han­no potu­to assi­cu­ra­re sta­bi­li­tà sull’intera regio­ne sono sta­ti quel­li che han­no nega­to il prin­ci­pio nazio­na­le, sia come impe­ri pre‑capitalisti (Bisan­zio, Tur­chia e Austria‑Ungheria) sia come repub­bli­ca fede­ra­le del­le nazio­ni post‑capitaliste (la Jugo­sla­via di Tito). Sen­za il tra­gi­co crol­lo di quest’ultima, tut­to que­sto san­gui­no­so con­flit­to non si sareb­be affat­to realizzato.
Natu­ral­men­te, una vol­ta che si trat­ti dell’emergere di Sta­ti nazio­na­li bor­ghe­si sepa­ra­ti, cia­scu­no cer­ca di allar­ga­re il più pos­si­bi­le i pro­pri con­fi­ni e la “puli­zia etni­ca” diven­ta per tut­ti un mez­zo per rag­giun­ge­re que­sto sco­po. Ciò può aumen­ta­re l’amarezza del con­flit­to, ma la sua por­ta­ta e la sua dura­ta non sono dovu­te solo a que­sto. A par­te la Slo­ve­nia, che abba­stan­za signi­fi­ca­ti­va­men­te non ha pre­so par­te al con­flit­to fin dall’inizio, nes­su­no dei con­ten­den­ti ha un’economia soste­ni­bi­le. La guer­ra vie­ne com­bat­tu­ta non solo da irre­go­la­ri che bran­di­sco­no kala­sh­ni­kov die­tro le roc­ce, ma con car­ri arma­ti, arti­glie­ria, mis­si­li terra‑aria e tut­to l’armamentario mili­ta­re con­ven­zio­na­le moder­no. Nes­sun pez­zo di que­sto mate­ria­le è a buon mer­ca­to, ed è sta­to for­ni­to, revi­sio­na­to e in uso costan­te ormai da alcu­ni anni. Cer­ta­men­te, ci deve esse­re una discre­ta quan­ti­tà di armi a bas­so costo di ori­gi­ne ceca, tedesco‑orientale e rus­sa nell’Europa dell’est a par­ti­re dal crol­lo del bloc­co sovie­ti­co, ma tut­to deve esse­re con­se­gna­to, revi­sio­na­to e paga­to. Quan­do è sta­ta l’ultima vol­ta che hai visto una bot­ti­glia di Luto­mer Rie­sling sugli scaf­fa­li del tuo super­mer­ca­to? Chi paga tut­to que­sto? Ovvia­men­te, die­tro la Ser­bia potrem­mo vede­re la Rus­sia e la Gre­cia, sareb­be sor­pren­den­te se Tur­chia, Iran e Ara­bia Sau­di­ta si dimen­ti­cas­se­ro del­la Bosnia, e la Croa­zia ha pro­ba­bil­men­te soste­ni­to­ri tede­schi e ita­lia­ni. Il fat­to che tut­te que­ste armi pos­sa­no attra­ver­sa­re così facil­men­te le fron­tie­re nazio­na­li sug­ge­ri­sce che non si trat­ta sem­pli­ce­men­te di un affa­re di inte­res­si indi­vi­dua­li e mono­po­li­sti­ci e di for­ni­to­ri di armi. Può anche esse­re, come sospet­to, che gli Sta­ti in guer­ra non ven­ga­no affat­to finan­zia­ti, ma ven­ga­no loro sol­tan­to con­ces­si con­ti spe­se illi­mi­ta­ti par­ten­do dal pre­sup­po­sto che se avran­no suc­ces­so nel­la spar­ti­zio­ne dei ter­ri­to­ri, paghe­ran­no poi i loro debi­ti ai finanziatori.
Comun­que sia, ciò che è impor­tan­te capi­re qui è che i con­flit­ti e gli inte­res­si del­le gran­di poten­ze ven­go­no ovvia­men­te com­bat­tu­ti nel cor­so di que­sto con­flit­to sen­za fine: sen­za fine sem­pli­ce­men­te per­ché non è nell’interesse dei prin­ci­pa­li burat­ti­nai die­tro le quin­te che vada diver­sa­men­te. Mol­to pri­ma del­la Pri­ma guer­ra mon­dia­le per que­sto feno­me­no ven­ne conia­ta una nuo­va espres­sio­ne da inse­ri­re nel voca­bo­la­rio del­la diplo­ma­zia: “bal­ca­niz­za­zio­ne”. È un tri­ste rifles­so del­lo sta­to teo­ri­co del movi­men­to tro­tski­sta che oggi cer­chia­mo di uti­liz­zar­lo con­ti­nua­men­te alla leggera.
Riten­go quin­di che la sim­pa­tia di gran par­te del­la sini­stra per la Bosnia, basa­ta in gran par­te su sto­rie di atro­ci­tà del­la stam­pa bor­ghe­se, sia mal con­ce­pi­ta. Il gover­no ser­bo è sta­to denun­cia­to come fasci­sta, eppu­re l’unica capi­ta­le in cui si è svol­ta una mani­fe­sta­zio­ne di mas­sa con­tro la guer­ra è sta­ta Bel­gra­do. Par­te del­la pro­pa­gan­da di odio diret­ta con­tro i ser­bi, ovvia­men­te dal ver­san­te dei pre­giu­di­zi fem­mi­ni­sti bor­ghe­si, secon­do cui le trup­pe ser­be si sono abban­do­na­te allo stu­pro come par­te di un pia­no deli­be­ra­to per espan­de­re la loro nazio­ne, si è rive­la­ta fal­sa. Ovvia­men­te si può dimo­stra­re che tut­ti i com­bat­ten­ti si sono abban­do­na­ti a mas­sa­cri, stu­pri, puli­zie etni­che, ecc. Nes­su­no ha il mono­po­lio del­la vir­tù. Colo­ro che han­no rea­liz­za­to la mag­gior par­te di que­ste azio­ni lo han­no fat­to per­ché ave­va­no il pote­re di far­lo. Ci aspet­tia­mo dav­ve­ro che gli Stati‑nazione bor­ghe­si in guer­ra, gover­na­ti da clas­si costi­tui­te in gran par­te dagli stra­ti loca­li del­la vec­chia buro­cra­zia titoi­sta, si com­por­ti­no diversamente?
L’ostilità nei con­fron­ti del­la Ser­bia, con­di­vi­sa da inte­res­si ester­ni in Euro­pa e in Ame­ri­ca, può sen­za dub­bio esse­re attri­bui­ta al fat­to che, se doves­se rag­giun­ge­re i con­fi­ni a cui aspi­ra, potreb­be – uni­co di tut­ti gli Sta­ti suc­ces­so­ri – esse­re con­si­de­ra­ta qual­co­sa di più di una repub­bli­ca bal­ca­ni­ca mino­re su sca­la euro­pea: un’opzione che inve­ce non è pra­ti­ca­bi­le per Slo­ve­nia, Croa­zia, Bosnia, ecc. Per i socia­li­sti c’è anche l’attrattiva che in qual­che modo la Bosnia potreb­be esse­re uno Sta­to “inter­na­zio­na­le” (quan­ti Sta­ti bor­ghe­si mul­ti­na­zio­na­li non fede­ra­li esi­sto­no effet­ti­va­men­te?), o la spe­ran­za che pos­sa in qual­che modo evi­ta­re il desti­no di diven­ta­re un avam­po­sto euro­peo del fon­da­men­ta­li­smo musul­ma­no, una vol­ta che i suoi finan­zia­to­ri ester­ni chie­de­ran­no qual­co­sa in cam­bio dei loro soldi.
Cre­do che dovrem­mo anco­ra una vol­ta rilan­cia­re il buon vec­chio slo­gan del disfat­ti­smo rivo­lu­zio­na­rio da tut­te le par­ti, insie­me alla richie­sta di una Fede­ra­zio­ne socia­li­sta di tut­ti i Bal­ca­ni. L’unica pos­si­bi­le ecce­zio­ne potreb­be esse­re nel caso dei ser­bi, che si tro­va­no nel­la con­di­zio­ne di affron­ta­re la poten­za del­la Nato e del­le Nazio­ni Uni­te, ben­ché anche qui dovrem­mo con­di­zio­nar­la per­ché que­sti arma­men­ti potreb­be­ro esse­re tut­ti pun­ta­ti in un’altra dire­zio­ne se si veri­fi­cas­se un rial­li­nea­men­to diplo­ma­ti­co, e si ren­des­se inve­ce neces­sa­rio ridi­men­sio­na­re la Croazia.
A mio avvi­so, quei socia­li­sti per i qua­li l’aiuto alla Bosnia dipen­de dal­le for­ze impe­ria­li­ste dell’Onu o del­la Nato, e che devo­no cer­car­si una via d’uscita, si tro­va­no in una posi­zio­ne non invi­dia­bi­le. Anche colo­ro che spen­do­no tan­te ener­gie a discu­te­re su qua­le sia la stra­da più “rivo­lu­zio­na­ria” per que­sto aiu­to – quel­la set­ten­trio­na­le o quel­la meri­dio­na­le – si tro­va­no in una posi­zio­ne ridicola.


Note

[1] K. Marx, “Cri­ti­ca del pro­gram­ma di Gotha”, mag­gio 1875, The Fir­st Inter­na­tio­nal and After, Har­mond­sworth, 1974, p.347.
[2] Ho soste­nu­to altro­ve che ogni rivo­lu­zio­ne crea for­me di Sta­to supe­rio­ri a quel­le pre­ce­den­ti. Fino ad oggi, la mas­si­ma espres­sio­ne dell’organizzazione del pote­re bor­ghe­se è lo Sta­to nazio­na­le. La clas­se ope­ra­ia al pote­re crea uno Sta­to mul­ti­na­zio­na­le, come mostra l’esempio dell’Urss (cfr. In Defen­ce of the Rus­sian Revo­lu­tion, Lon­dra, 1994, pp. XI e XVI). Natu­ral­men­te, non è affat­to esclu­so per il futu­ro che, intuen­do l’inadeguatezza del­lo Sta­to nazio­na­le per il loro ulte­rio­re svi­lup­po, i gran­di mono­po­li pos­sa­no crea­re Sta­ti mul­ti­na­zio­na­li su sca­la con­ti­nen­ta­le fuo­ri dal­la Cee, dal bloc­co nor­da­me­ri­ca­no e dal grup­po del baci­no del Paci­fi­co, sul model­lo di 1984 di Orwell.
[3] K. Marx, “Indi­riz­zo del Comi­ta­to cen­tra­le alla Lega dei Comu­ni­sti”, apri­le 1850, in Max East­man (a cura di), Capi­tal and Other Wri­tings di Karl Marx, New York, 1932, pp. 366‑367.
[4] K. Marx, “Let­te­ra a L. Kugel­mann”, 29 novem­bre 1869; “Let­te­ra a S. Meyer e A. Vogt”, 9 apri­le 1870, Karl Marx e Fre­de­rick Engels on Bri­tain, Mosca, 1953, pp.502‑5033, 504‑508.
[5] L. Tro­tsky, “A novant’anni dal Mani­fe­sto Comu­ni­sta”, 30 otto­bre 1937, Wri­tings of Leon Tro­tsky 1937‑38, New York, 1976, pp. 24‑25; “L’India di fron­te alla guer­ra impe­ria­li­sta”, 25 luglio 1939, Wri­tings of Leon Tro­tsky 1939‑40, New York 1973, p.29.
[6] R. Rosdol­sky, “Engels and the ‘Non‑historic’ Peo­ples: The Natio­nal Que­stion in the Revo­lu­tion of 1848”, Cri­ti­que, nn. 18‑19, Gla­sgow, 1986.
[7] K. Marx, “Let­te­ra a Engels”, 20 luglio 1870; F. Engels, “Let­te­ra a Marx”, 15 ago­sto 1870, K. Marx e F. Engels, Cor­ri­spon­den­za 1846‑1895, Lon­dra, 1934, pp.2 92, 295‑6; K. Marx, “The Civil War in Fran­ce”, 13 giu­gno 1871, in Hal Dra­per (a cura di), Karl Marx e Frie­drich Engels: Wri­tings on the Paris Com­mu­ne, New York, 1971, pp. 104‑105, ecc.
[8] V.I. Lenin, “Il signi­fi­ca­to inter­na­zio­na­le del­la guer­ra con­tro la Polo­nia”, 22 set­tem­bre 1920, in Al Richard­son (a cura di), In Defen­ce of the Rus­sian Revo­lu­tion. A Selec­tion of Bol­she­vik Wri­tings 1917–1923, Por­cu­pi­ne Press, Lon­don 1995, pp. 134‑158.
[9] V.I. Lenin, “Sul dirit­to di auto­de­ci­sio­ne del­le nazio­ni”, aprile‑giugno 1914, Col­lec­ted Works, Vol. 20, Mosca 1964, p. 410.
[10] L. Tro­tsky, “On the Natio­nal Que­stion”, 1° mag­gio 1923, In Defen­se of the Rus­sian Revo­lu­tion, p. 179.
[11] [È quel­lo che abbia­mo soste­nu­to nel nostro scrit­to “La guer­ra in Ucrai­na e il social‑sciovinismo dei gior­ni nostri” per con­te­sta­re l’affer­ma­zio­ne asso­lu­ta­men­te fal­sa secon­do cui quan­do la Ser­bia fu attac­ca­ta dall’Austria, i bol­sce­vi­chi avreb­be­ro dife­so con­tro l’imperialismo austria­co i dirit­ti nazio­na­li del­la Ser­bia nono­stan­te i suoi for­ti lega­mi con la Rus­sia zari­sta: una scioc­chez­za sesqui­pe­da­le (N.d.t.)].
[12] Per fare un esem­pio attua­le, è discu­ti­bi­le se l’autodeterminazione nazio­na­le sareb­be nell’interesse del pro­le­ta­ria­to cur­do, la mag­gior par­te del qua­le vive a mol­te miglia di distan­za dal Kur­di­stan. Potreb­be anche indur­re rea­zio­ni raz­zi­ste, discri­mi­na­zio­ni e pogrom, e il suo desti­no ci è più caro di quel­lo di qual­sia­si agglo­me­ra­to tri­ba­le. Anche se si doves­se for­ma­re un Kur­di­stan sepa­ra­to, esso potreb­be diven­ta­re una trap­po­la mor­ta­le, poi­ché man­che­reb­be di una fascia costie­ra e sareb­be cir­con­da­to da Sta­ti con la volon­tà e il pote­re di stran­go­lar­lo economicamente.
[13] L. Tro­tsky, Le guer­re bal­ca­ni­che, New York, 1980, pp. 4‑5, 30, 40‑41, ecc.

(Tra­du­zio­ne di Vale­rio Torre)