Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Donne, Lotta di classe, Storia del movimento operaio, Teoria

La polemica di Clara Zetkin con le femministe: “Separazione netta” (1894)

Clara Zetkin (1857-1933)

Ha sen­so oggi, nel XXI seco­lo, ripren­de­re la pole­mi­ca che, sul fini­re dell’Ottocento, vide impe­gna­ta la rivo­lu­zio­na­ria Cla­ra Zet­kin con­tro il movi­men­to fem­mi­ni­sta bor­ghe­se? È anco­ra attua­le quel­la polemica?
A nostro avvi­so, sì: è attua­lis­si­ma. Per­ché assi­stia­mo, soprat­tut­to in quest’ultimo perio­do, a un mar­ca­to ipe­rat­ti­vi­smo di set­to­ri del fem­mi­ni­smo bor­ghe­se, ma soprat­tut­to piccolo‑borghese, che ten­ta­no di pren­de­re la testa del movi­men­to del­le don­ne attra­ver­so “bat­ta­glie” che sem­bra­no (o ven­go­no spac­cia­te per) essen­zia­li per un’effettiva pari­tà di gene­re, men­tre sono in real­tà dei diver­si­vi rispet­to alla lot­ta per un’autentica libe­ra­zio­ne del­la don­na. Solo per fare un esem­pio, pen­sia­mo alla que­stio­ne del lin­guag­gio e del­la scrit­tu­ra “inclu­si­vi”, su cui pro­prio in que­ste set­ti­ma­ne nel nostro Pae­se si è svi­lup­pa­ta una pole­mi­ca a par­ti­re dal­la dichia­ra­zio­ne di una diret­tri­ce d’orchestra che ha chie­sto di esse­re chia­ma­ta inve­ce “diret­to­re”: una dichia­ra­zio­ne che ha scan­da­liz­za­to espo­nen­ti, appun­to, di quei set­to­ri del fem­mi­ni­smo piccolo‑borghese, che l’hanno rite­nu­ta “un osta­co­lo” sul per­cor­so ver­so la pari­tà di genere.
E inve­ce, rite­nia­mo noi, la bat­ta­glia per la libe­ra­zio­ne del­la don­na deve svi­lup­par­si pro­prio par­ten­do da una fer­ma e net­ta demar­ca­zio­ne del fem­mi­ni­smo pro­le­ta­rio rispet­to alle cor­ren­ti bor­ghe­si e piccolo‑borghesi del movi­men­to di libe­ra­zio­ne del­la don­na; una con­di­zio­ne essen­zia­le per­ché le don­ne lot­ti­no fian­co a fian­co con gli uomi­ni con­tro il capi­ta­li­smo che oppri­me entram­bi, per la con­qui­sta del pote­re poli­ti­co che entram­bi libe­re­rà: esat­ta­men­te nei ter­mi­ni postu­la­ti da Cla­ra Zet­kin nel testo che pre­sen­tia­mo qui di seguito.
Si trat­ta di un estrat­to dal bel libro di Cin­tia Fren­cia e Daniel Gai­do, “El mar­xi­smo y la libe­ra­ción de las muje­res tra­ba­ja­do­ras: de la Inter­na­cio­nal de Muje­res Socia­li­stas a la Revo­lu­ción Rusa”, Ariad­na Edi­cio­nes, 2016, di cui rac­co­man­dia­mo viva­men­te la lettura.
La redazione

La polemica di Clara Zetkin con le femministe: “Separazione netta” (1894)

 

Cin­tia Fren­cia e Daniel Gaido

 

«La lot­ta per la libe­ra­zio­ne del­la don­na proletaria
non può esse­re una lot­ta simi­le a quella
svi­lup­pa­ta dal­la don­na bor­ghe­se con­tro l’uomo del­la sua classe;
al con­tra­rio, la sua è una lotta
con l’uomo del­la sua clas­se con­tro la clas­se capitalista»
(C. Zet­kin)

La paro­la “fem­mi­ni­smo” è di ori­gi­ne fran­ce­se e risa­le agli ini­zi degli anni Novan­ta del 1800; il pri­mo grup­po ad uti­liz­zar­la fu la Fede­ra­zio­ne fran­ce­se del­le socie­tà fem­mi­ni­ste (1891), che con­vo­cò un “Con­gres­so gene­ra­le del­le socie­tà fem­mi­ni­ste” a Pari­gi nel 1892. In Ger­ma­nia, pri­ma del­la Pri­ma guer­ra mon­dia­le, si uti­liz­za­va l’espressione Frauen­re­ch­tle­rin­nen, cioè “difen­di­tri­ci dei dirit­ti del­le don­ne”, equi­va­len­te alla deno­mi­na­zio­ne – Women’s Righters – uti­liz­za­ta allo­ra in inglese.
Frauen­re­ch­tle­rin­nen è un ter­mi­ne più chia­ro rispet­to a “fem­mi­ni­ste”, per­ché espri­me espli­ci­ta­men­te il pro­gram­ma del fem­mi­ni­smo, l’estensione cioè alle don­ne dei dirit­ti uma­ni pro­cla­ma­ti dal­le rivo­lu­zio­ni bor­ghe­si, un pro­gram­ma deri­va­to dal­la teo­ria del dirit­to natu­ra­le[1]. Cla­ra Zet­kin uti­liz­za­va spes­so in sen­so dispre­gia­ti­vo i ter­mi­ni Frauen­re­ch­te­lei e Frauen­re­ch­tle­rei, soli­ta­men­te tra­dot­ti come “fem­mi­ni­smo” o “movi­men­to fem­mi­ni­sta”, ma a cui attri­bui­va il rea­le signi­fi­ca­to di “pre­di­ca (o chiac­chie­ric­cio) intor­no all’uguaglianza dei dirit­ti per le don­ne”[2].
Il carat­te­re di clas­se del movi­men­to bor­ghe­se del­le don­ne si mostrò in tut­ta la sua evi­den­za duran­te l’epoca del­le Leg­gi anti­so­cia­li­ste in Ger­ma­nia, dal 1878 al 1890, quan­do il Par­ti­to social­de­mo­cra­ti­co fu pro­scrit­to e i suoi diri­gen­ti, com­pre­sa Zet­kin, vive­va­no in esi­lio. Il fem­mi­ni­smo bor­ghe­se fu com­pli­ce di que­sta repres­sio­ne. E l’ostilità con­ti­nuò anche dopo l’abolizione di quel­le leg­gi nel 1890: il Bund Deu­tscher Frauen­ve­rei­ne, ad esem­pio, fon­da­to nel mar­zo 1894 come orga­niz­za­zio­ne coor­di­na­tri­ce del movi­men­to fem­mi­ni­sta bor­ghe­se (ispi­ra­ta all’Inter­na­tio­nal Coun­cil of Women, crea­to nel 1893 in occa­sio­ne dell’Esposizione mon­dia­le di Chi­ca­go), proi­bì alle sue ade­ren­ti di par­te­ci­pa­re alle asso­cia­zio­ni fem­mi­ni­li social­de­mo­cra­ti­che. Non deve sor­pren­de­re, dun­que, che, sia per moti­vi ideo­lo­gi­ci come per la sua ama­ra espe­rien­za, Zet­kin esi­ges­se una sepa­ra­zio­ne net­ta (“Rein­li­che Schei­dung”, pub­bli­ca­to in Die Gleich­heit, 18 apri­le 1894) del movi­men­to del­le don­ne socia­li­ste dal fem­mi­ni­smo borghese.

[…]

La pole­mi­ca di Cla­ra Zet­kin con il Vor­wärts sul fem­mi­ni­smo bor­ghe­se (1895)
Il rifiu­to di Cla­ra Zet­kin ad appog­gia­re le ini­zia­ti­ve del fem­mi­ni­smo come movi­men­to bor­ghe­se la por­ta­ro­no a scon­trar­si pub­bli­ca­men­te con la reda­zio­ne dell’organo cen­tra­le del­la Spd, il Vor­wärts, il 24 gen­na­io 1895. Il perio­di­co ave­va pub­bli­ca­to, in data 9 gen­na­io, una peti­zio­ne redat­ta dal­le fem­mi­ni­ste Min­na Cauer e Lili Braun, insie­me a una mili­tan­te del­la Spd, Ade­le Geh­rard, scrit­ta in nome del­le «don­ne tede­sche di tut­te le clas­si e di tut­ti i par­ti­ti».
Il docu­men­to face­va appel­lo a por­re fine alle leg­gi sul­le riu­nio­ni e asso­cia­zio­ni che limi­ta­va­no l’attività poli­ti­ca del­le don­ne nel­la gran par­te degli Sta­ti tede­schi. Il Vor­wärts pub­bli­cò la peti­zio­ne insie­me a una dichia­ra­zio­ne di soste­gno, rac­co­man­dan­do che i mem­bri del par­ti­to la fir­mas­se­ro. Anche Zet­kin ristam­pò la peti­zio­ne in Die Gleich­heit, accom­pa­gnan­do­la però con quest’avvertenza: «Rac­co­man­dia­mo fer­ma­men­te a tut­ti i mem­bri con coscien­za di clas­se del pro­le­ta­ria­to di non appog­gia­re que­sta peti­zio­ne in alcun modo». Secon­do Zet­kin, «la peti­zio­ne è nata in cir­co­li bor­ghe­si e tra­su­da let­te­ral­men­te uno spi­ri­to bor­ghe­se, in alcu­ni pas­sag­gi per­fi­no uno spi­ri­to bor­ghe­se limi­ta­to». Tra le altre cose, Zet­kin segna­la­va che il fat­to che le don­ne bor­ghe­si non aves­se­ro cer­ca­to di giun­ge­re pre­ven­ti­va­men­te a un’intesa comu­ne con le ope­ra­ie rive­la­va il loro disprez­zo per il pro­gram­ma del­le don­ne appar­te­nen­ti alla clas­se lavo­ra­tri­ce, e cri­ti­ca­va sia il con­te­nu­to che la tat­ti­ca del­la petizione.
Zet­kin evi­den­zia­va che «la peti­zio­ne non con­tie­ne nean­che una paro­la sull’interesse vita­le del­le lavo­ra­tri­ci ad ave­re il dirit­to di for­ma­re asso­cia­zio­ni e cele­bra­re riu­nio­ni, [un dirit­to] che è per loro diven­ta­to un’incontestabile neces­si­tà. Né spie­ga la ragio­ne per cui il pro­le­ta­ria­to appog­gia que­sta riven­di­ca­zio­ne». Poco impor­ta­va dun­que ciò che le sue autri­ci pen­sa­va­no nel pub­bli­car­la, ben­sì le riven­di­ca­zio­ni che real­men­te si agi­ta­va­no. Allo stes­so tem­po, coglie­va il fat­to che pre­sen­ta­re una “sup­pli­ca” al Reich impli­ca­va un arre­tra­men­to in rela­zio­ne alla lot­ta per­ma­nen­te del­la social­de­mo­cra­zia e del­le don­ne lavo­ra­tri­ci per otte­ne­re il dirit­to alla liber­tà di asso­cia­zio­ne con­tro il pote­re impe­ria­le: la «social­de­mo­cra­zia ha sem­pre lot­ta­to con­tro il dua­li­smo dei pote­ri legi­sla­ti­vi, un pote­re che esi­ste in Ger­ma­nia per­ché la nostra bor­ghe­sia non ha rot­to con il pote­re dell’assolutismo che inve­ce, al con­tra­rio, sta vigliac­ca­men­te coo­pe­ran­do con esso».
Riven­di­ca­va inol­tre la posi­zio­ne del par­ti­to in base alla qua­le «la que­stio­ne del­la don­na può esse­re com­pre­sa e risol­ta solo in rela­zio­ne alla que­stio­ne socia­le gene­ra­le». Il par­ti­to rap­pre­sen­ta­va gli inte­res­si dei lavo­ra­to­ri di ambo i ses­si e lot­ta­va per la con­qui­sta del­le liber­tà demo­cra­ti­che mol­to più seria­men­te del­le fem­mi­ni­ste […]. E fu solo con enor­me dif­fi­col­tà che Zet­kin riu­scì a far pub­bli­ca­re sul Vor­wärts la nota di pro­te­sta. Zet­kin scris­se una let­te­ra di quin­di­ci pagi­ne ad Engels spie­gan­do det­ta­glia­ta­men­te le ragio­ni del suo infles­si­bi­le atteg­gia­men­to nei con­fron­ti del­la peti­zio­ne femminista.

Cla­ra Zet­kin sedu­ta alla destra di Engels (al cen­tro nel­la foto)

In que­sta let­te­ra, Zet­kin affer­ma­va la pro­pria con­vin­zio­ne che, fin­tan­to­ché le fem­mi­ni­ste del­le clas­si sfrut­ta­tri­ci come Lili Braun si fos­se­ro mos­se all’interno del pro­prio cir­co­lo, non v’era ragio­ne per cri­ti­car­le. Ma dove­va­no inve­ce esse­re cri­ti­ca­te nel  momen­to in cui aves­se­ro por­ta­to le loro idee fem­mi­ni­ste alle don­ne del­la clas­se lavo­ra­tri­ce. Que­sta vigi­lan­za era tan­to più neces­sa­ria per­ché «la ten­den­za ver­so l’opportunismo e il rifor­mi­smo è già abba­stan­za for­te e cre­sce con l’espansione del par­ti­to». Engels com­men­tò in una let­te­ra a Vic­tor Adler data­ta 28 gen­na­io 1895: «Loui­se è par­ti­co­lar­men­te con­ten­ta del fer­mo rifiu­to del­la peti­zio­ne del­la Lega del­le Don­ne. Dai un’occhiata all’articolo di Cla­ra Zet­kin nel sup­ple­men­to del Vor­wärts di gio­ve­dì. Cla­ra ha ragio­ne e ha dovu­to lot­ta­re mol­to per­ché il suo arti­co­lo fos­se pub­bli­ca­to. Bra­va Cla­ra!».

L’intervento di Cla­ra Zet­kin al con­gres­so fem­mi­ni­sta di Ber­li­no (1896)
Nel set­tem­bre del 1896, si ten­ne un con­gres­so fem­mi­ni­sta a Ber­li­no a cui Cla­ra Zet­kin par­te­ci­pò. Ne ripro­du­cia­mo l’intervento inte­gra­le, poi­ché è sin­to­ma­ti­co di tut­to l’atteggiamento del movi­men­to del­le don­ne pro­le­ta­rie nei con­fron­ti del femminismo.

«Signo­re e signo­ri! Deb­bo spe­ci­fi­ca­re che sono qui non come una par­te­ci­pan­te al Con­gres­so, ben­sì come ascol­ta­tri­ce, come un’oppositrice (Gegne­rin), con una pre­ci­sa­zio­ne. La Sig.ra Sch­we­rin dice che una diri­gen­te del movi­men­to del­le don­ne social­de­mo­cra­ti­che ha recen­te­men­te dichia­ra­to all’indirizzo del­le don­ne bor­ghe­si: “Pote­te osta­co­lar­ci, ma non impor­vi su di noi!”. Deb­bo pre­sen­tar­mi come la cosid­det­ta diri­gen­te che ha pro­nun­cia­to que­ste paro­le, come una di quel­le don­ne che si tro­va­no incon­di­zio­na­ta­men­te nel cam­po del­la social­de­mo­cra­zia e dedi­ca­no tut­te le loro ener­gie esclu­si­va­men­te al movi­men­to del­le lavo­ra­tri­ci socia­li­ste. Non ho uti­liz­za­to que­ste paro­le con­tro il movi­men­to del­le don­ne bor­ghe­si per­ché – non voglio esse­re offen­si­va, ben­sì limi­tar­mi a segna­la­re un fat­to – fino­ra non ho giu­di­ca­to il movi­men­to del­le don­ne bor­ghe­si un pote­re socia­le così for­te da giu­sti­fi­ca­re l’uso di quel­le espres­sio­ni con­tro di voi.
Gen­ti­le pub­bli­co! Le ho uti­liz­za­te inve­ce con­tro gli spor­chi stra­ta­gem­mi che lo Sta­to capi­ta­li­sta impie­ga per sop­pri­me­re il movi­men­to del­le don­ne lavo­ra­tri­ci che si basa riso­lu­ta­men­te sul­la con­ce­zio­ne socia­li­sta del­la lot­ta di clas­se. L’oratrice ha ragio­ne, tra il movi­men­to fem­mi­ni­sta bor­ghe­se e quel­lo del­le don­ne pro­le­ta­rie esi­sto­no pun­ti di con­tat­to. Tut­te quel­le riven­di­ca­zio­ni di rifor­ma avan­za­te per por­re fine alla schia­vi­tù del ses­so fem­mi­ni­le sono riven­di­ca­zio­ni che anche noi soste­nia­mo e per le qua­li abbia­mo lot­ta­to per anni con una luci­di­tà e una deter­mi­na­zio­ne che fino­ra il movi­men­to fem­mi­ni­sta bor­ghe­se non ha mostra­to. Abbia­mo lot­ta­to per anni per l’uguaglianza poli­ti­ca del ses­so fem­mi­ni­le, per il dirit­to di asso­cia­zio­ne e di voto. Qua­le con­gres­so fem­mi­ni­sta bor­ghe­se ha osa­to avan­za­re uffi­cial­men­te que­sta riven­di­ca­zio­ne in qual­che occa­sio­ne? Anco­ra una vol­ta qui è sta­ta pro­nun­cia­ta giu­sta­men­te la paro­la d’ordine: mar­cia­re sepa­ra­te, col­pi­re insie­me. Non pos­sia­mo pro­ce­de­re di pari pas­so con le don­ne bor­ghe­si, per­ché la nostra lot­ta è pri­ma di tut­to una lot­ta di clas­se con­tro la bor­ghe­sia e con­tro la socie­tà capi­ta­li­sta. Anche in rela­zio­ne alla tat­ti­ca non pos­sia­mo segui­re le orme del movi­men­to fem­mi­ni­sta bor­ghe­se. Voi pre­sen­ta­te peti­zio­ni di rifor­ma non solo alle auto­ri­tà legi­sla­ti­ve, ma anche a Sua Mae­stà Impe­ria­le e al gover­no. Chi può pre­ten­de­re da noi, che sia­mo repub­bli­ca­ne, che ci abbas­sia­mo a sup­pli­ca­re un monar­ca? Chi può chie­de­re a noi social­de­mo­cra­ti­ci che ci abbas­sia­mo ad avan­za­re una peti­zio­ne a un gover­no che con­tro di noi ha pro­mul­ga­to una leg­ge d’emergenza sot­to l’imperio del­la qua­le sia­mo sta­ti schia­viz­za­ti e per­se­gui­ti per dodi­ci anni come solo gli oppo­si­to­ri poli­ti­ci pos­so­no esse­re schia­viz­za­ti e per­se­gui­ta­ti? Come potrem­mo chie­de­re a un gover­no che ha mes­so in atto con­tro le orga­niz­za­zio­ni del­le lavo­ra­tri­ci il giu­di­zio dei tri­bu­na­li, rispet­to al qua­le quel­lo di Salo­mo­ne appa­re addi­rit­tu­ra giusto?
E quan­do – gen­ti­le pub­bli­co – la pre­ce­den­te ora­tri­ce ha insi­sti­to sul fat­to che con­si­de­ra la que­stio­ne fem­mi­ni­le come par­te di un com­pi­to cul­tu­ra­le intor­no a cui i cir­co­li di volen­te­ro­si e tut­ti i par­ti­ti pos­so­no con­ver­ge­re, dob­bia­mo rispon­de­re: non è que­stio­ne di for­mu­la­re mera­vi­glio­si desi­de­ri e uti­li riven­di­ca­zio­ni, ma di met­te­re in pie­di un pote­re socia­le in gra­do di attua­re con­cre­ta­men­te quel­le riven­di­ca­zio­ni. Qual è il pote­re del­le per­so­ne di buo­na volon­tà con­tro una for­za bru­ta­le che è deci­si­va in ter­mi­ni socio‑politici? L’intera socie­tà bor­ghe­se oggi­gior­no si sfor­za di man­te­ne­re oppres­sa la clas­se ope­ra­ia; resi­ste a qual­sia­si seria rifor­ma socia­le. Il cir­co­lo di volen­te­ro­si non ha il pote­re per met­te­re in pra­ti­ca le rifor­me neces­sa­rie con­tro il pote­re orga­niz­za­to del­lo Sta­to del­le clas­si dominanti.
Per decen­ni la dege­ne­ra­zio­ne spi­ri­tua­le e mora­le del­le clas­si lavo­ra­tri­ci ha gri­da­to ven­det­ta, e ben­ché i social­de­mo­cra­ti­ci riten­ga­no che solo una rivo­lu­zio­ne socia­le può met­te­re fine a que­sta mise­ria, tut­ta­via rico­no­scia­mo la neces­si­tà di rifor­me. Non le rifiu­tia­mo. Al con­tra­rio, dicia­mo “avan­ti con le rifor­me! sem­pre più rifor­me!”. Ma la clas­se ope­ra­ia non vi rin­gra­zia per que­ste rifor­me, per­ché ciò che la socie­tà bor­ghe­se è capa­ce di pro­dur­re in ter­mi­ni di tali rifor­me è una quan­ti­tà insi­gni­fi­can­te rispet­to al debi­to che ha ver­so il pro­le­ta­ria­to. Di più: rite­nia­mo che tut­to que­sto sia il nostro dirit­to di nasci­ta, il dirit­to di una clas­se rivo­lu­zio­na­ria. Signo­re e signo­ri, non abbia­te pau­ra del­la paro­la “clas­se rivo­lu­zio­na­ria”, ha un signi­fi­ca­to sto­ri­co e non la usia­mo nel sen­so dei capi­ta­li­sti o nel ger­go del­la questura.
La Sig.ra Sch­we­rin ha det­to, tra le altre cose, che le don­ne bor­ghe­si e quel­le pro­le­ta­rie potreb­be­ro col­la­bo­ra­re nel cam­po dell’educazione pri­ma­ria. Ma, doman­do io, come potreb­be­ro le pro­le­ta­rie tro­va­re il tem­po per istruir­si sod­di­sfa­cen­te­men­te per poter par­te­ci­pa­re a que­sto com­pi­to? La don­na che pas­sa tut­to il gior­no al lavo­ro non ha tem­po per cor­re­re a con­fe­ren­ze e par­te­ci­pa­re a com­mis­sio­ni. Può usa­re il suo tem­po in modo mol­to più uti­le pren­den­do par­te alle lot­te del­la socialdemocrazia.
Se il movi­men­to fem­mi­ni­sta bor­ghe­se vuol fare qual­co­sa che favo­ri­sca anche le cosid­det­te sorel­le più pove­re, allo­ra deve pro­nun­ciar­si innan­zi­tut­to in favo­re dell’uguaglianza poli­ti­ca pie­na dei ses­si, per­ché in tal modo la lavo­ra­tri­ce avrà dirit­to a lot­ta­re eco­no­mi­ca­men­te e poli­ti­ca­men­te insie­me a suo mari­to con­tro la bor­ghe­sia. Il movi­men­to fem­mi­ni­sta bor­ghe­se dovreb­be pro­nun­ciar­si anche per una rifor­ma del siste­ma tri­bu­ta­rio, per­ché si ridu­ca l’imposizione sui pove­ri, per l’abolizione del­le leg­gi sul­la ser­vi­tù (Gesin­deord­nun­gen) e per la gior­na­ta di otto ore sen­za distin­zio­ne di ses­so. La buo­na dispo­si­zio­ne del­le don­ne bor­ghe­si nel pro­muo­ve­re le orga­niz­za­zio­ni di lavo­ra­tri­ci può avvan­tag­gia­re le pro­le­ta­rie se que­ste orga­niz­za­zio­ni sono strut­tu­ra­te come orga­niz­za­zio­ni di lot­ta con­tro il capi­ta­le, e non come chiac­chie­ra­te da salot­to sull’armonia. Se il movi­men­to fem­mi­ni­sta bor­ghe­se difen­de que­ste rifor­me cam­mi­ne­rà al nostro fian­co. Sapre­mo apprez­za­re se otter­re­te in que­sto cam­po qual­co­sa che sia uti­le alle lavo­ra­tri­ci. Ma se un’azione paral­le­la è pos­si­bi­le, ciò non vuol dire che si trat­ta di un’azione comu­ne. Anche se abbia­mo pun­ti di con­tat­to, ci tro­via­mo in cam­pi dif­fe­ren­ti. Per noi, in pri­mo luo­go, ven­go­no le que­stio­ni di prin­ci­pio: la don­na pro­le­ta­ria por­ta avan­ti una lot­ta di clas­se insie­me ai suoi com­pa­gni maschi, e non una lot­ta con­tro i pri­vi­le­gi del ses­so maschi­le, men­tre il movi­men­to fem­mi­ni­sta bor­ghe­se, con­for­me­men­te a tut­to il suo svi­lup­po, con­si­de­ra pro­prio quest’ultima come il suo com­pi­to sto­ri­co».

[…]

Il discor­so pro­gram­ma­ti­co di Cla­ra Zet­kin al con­gres­so di Gotha del­la Spd (1896)
Cla­ra Zet­kin for­mu­lò le basi teo­ri­che per l’orientazione del movi­men­to del­le don­ne socia­li­ste in un discor­so pro­gram­ma­ti­co pro­nun­cia­to al con­gres­so del­la Spd che fu cele­bra­to a Gotha nel 1896. Zet­kin rite­ne­va che la con­trad­di­zio­ne in seno alla fami­glia tra l’uomo come pro­prie­ta­rio e la don­na come non pro­prie­ta­ria era sta­ta la base del­la dipen­den­za eco­no­mi­ca e del­la man­can­za di dirit­ti socia­li del ses­so fem­mi­ni­le. le mac­chi­ne, il modo moder­no di pro­du­zio­ne, comin­cia­ro­no gra­dual­men­te a mina­re la pro­du­zio­ne auto­no­ma del­la fami­glia, ponen­do a milio­ni di don­ne il pro­ble­ma di tro­va­re una nuo­va fon­te di sosten­ta­men­to, un obiet­ti­vo serio nel­la vita, un’attività che al con­tem­po fos­se anche emo­ti­va­men­te gratificante.
Milio­ni di don­ne si vide­ro obbli­ga­te a cer­ca­re il loro sosten­ta­men­to e il con­te­nu­to del­la loro vita fuo­ri di casa, nel­la socie­tà. Allo­ra comin­cia­ro­no a pren­de­re coscien­za che la man­can­za di dirit­ti ren­de­va mol­to dif­fi­ci­le la sal­va­guar­dia dei pro­pri inte­res­si, e a par­ti­re da quel momen­to sor­se la que­stio­ne fem­mi­ni­le moderna.
La que­stio­ne fem­mi­ni­le, come pro­ble­ma poli­ti­co, esi­ste­va solo in seno a quel­le clas­si del­la socie­tà che era­no il pro­dot­to del modo di pro­du­zio­ne capi­ta­li­sti­co. Non esi­ste­va una que­stio­ne fem­mi­ni­le nel­la clas­se con­ta­di­na, quan­tun­que la sua eco­no­mia natu­ra­le fos­se già mol­to limi­ta­ta e pie­na di cre­pe. Per­tan­to, la que­stio­ne fem­mi­ni­le si pone­va per le don­ne del pro­le­ta­ria­to, del­la pic­co­la bor­ghe­sia, degli stra­ti intel­let­tua­li e del­la gran­de bor­ghe­sia, e pre­sen­ta­va distin­te carat­te­ri­sti­che a secon­da del­la situa­zio­ne di clas­se di que­sti gruppi.
Dopo aver postu­la­to l’esistenza di una “que­stio­ne fem­mi­ni­le” diver­sa per ogni clas­se del­la socie­tà, Zet­kin pas­sò ad ana­liz­zar­le. Le don­ne del­la gran­de bor­ghe­sia, gra­zie al loro patri­mo­nio, pote­va­no svi­lup­pa­re libe­ra­men­te la pro­pria indi­vi­dua­li­tà, segui­re le pro­prie incli­na­zio­ni, tra­sfe­ren­do sul per­so­na­le di ser­vi­zio sala­ria­to i pesi dei loro ruo­li come spo­se e madri. Que­ste don­ne, innan­zi­tut­to, si pre­oc­cu­pa­va­no di acqui­si­re la liber­tà di ammi­ni­stra­re le loro pro­prie­tà. Le loro riven­di­ca­zio­ni era­no «l’ultima tap­pa dell’emancipazione dal­la pro­prie­tà pri­va­ta».
Le carat­te­ri­sti­che del­la que­stio­ne fem­mi­ni­le nei cir­co­li del­la pic­co­la e media bor­ghe­sia e nel seno del­le intel­let­tua­li bor­ghe­si era­no dif­fe­ren­ti. Nel­la misu­ra in cui il capi­ta­li­smo avan­za­va, la pro­du­zio­ne del­la pic­co­la e media bor­ghe­sia pro­ce­de­va ver­so la sua distru­zio­ne. Le don­ne del­le clas­si medie dove­va­no con­qui­sta­re pri­ma di tut­to l’uguaglianza eco­no­mi­ca con l’uomo, e pote­va­no otte­ner­la median­te due riven­di­ca­zio­ni, l’uguaglianza dei dirit­ti nel­la for­ma­zio­ne pro­fes­sio­na­le e nel­la pra­ti­ca pro­fes­sio­na­le, cioè la libe­ra con­cor­ren­za tra l’uomo e la don­na. «La con­cor­ren­za del­le don­ne nel­le pro­fes­sio­ni libe­ra­li è la for­za motri­ce del­la resi­sten­za degli uomi­ni con­tro le riven­di­ca­zio­ni del­le fem­mi­ni­ste bor­ghe­si (bür­ger­li­chen Frauen­re­ch­tle­rin­nen)».
E a que­sto pun­to Zet­kin intro­dus­se un ele­men­to inat­te­so – un rife­ri­men­to a Nora, la pro­ta­go­ni­sta del dram­ma di Hen­rik Ibsen, Casa di bam­bo­la – che mostra la deli­ca­tez­za del­la sua ana­li­si e dimo­stra la fal­la­cia dell’accusa di Richard Evans, uno sto­ri­co osti­le alla posi­zio­ne mar­xi­sta, che ha qua­li­fi­ca­to il rifiu­to di Cla­ra Zet­kin ver­so il “fem­mi­ni­smo bor­ghe­se” come “sel­vag­gio”[3]:

«Fino­ra ho abboz­za­to sol­tan­to il fat­to­re ori­gi­na­le, pura­men­te eco­no­mi­co. Tut­ta­via, sarem­mo ingiu­sti con il movi­men­to fem­mi­ni­sta bor­ghe­se se voles­si­mo solo ridur­lo a moti­vi eco­no­mi­ci. No, inclu­de anche un aspet­to mora­le e spi­ri­tua­le mol­to più pro­fon­do. La don­na bor­ghe­se non solo vuo­le gua­da­gnar­si la pro­pria pagnot­ta, ma anche ave­re una vita spi­ri­tua­le e svi­lup­pa­re la sua per­so­na­li­tà. È pro­prio in que­sti stra­ti che tro­via­mo quel­le figu­re tra­gi­che come Nora, così inte­res­san­ti dal pun­to di vista psi­co­lo­gi­co, don­ne stan­che di vive­re come bam­bo­le in una casa di bam­bo­le, che voglio­no par­te­ci­pa­re allo svi­lup­po del­la cul­tu­ra moder­na; e sia nell’aspetto eco­no­mi­co che dal pun­to di vista morale‑spirituale, le aspi­ra­zio­ni del­le fem­mi­ni­ste bor­ghe­si (bür­ger­li­chen Frauen­re­ch­tle­rin­nen) sono pie­na­men­te giu­sti­fi­ca­te».

La don­na pro­le­ta­ria ave­va con­qui­sta­to la sua indi­pen­den­za eco­no­mi­ca, ma né come esse­re uma­no, né come don­na, né come moglie ave­va l’opportunità di svi­lup­pa­re pie­na­men­te la pro­pria indi­vi­dua­li­tà. Per i suoi com­pi­ti di spo­sa e madre le resta­va­no solo le poche ore lascia­te libe­re dal­la pro­du­zio­ne capitalistica.

Cla­ra Zet­kin con i figli Kost­ja e Maxim (1895)

Zet­kin con­si­glia­va di sepa­ra­re net­ta­men­te le lavo­ra­tri­ci dal­le fem­mi­ni­ste bor­ghe­si, sia sul pia­no orga­niz­za­ti­vo che dal pun­to di vista politico‑programmatico:

«Per­ciò la lot­ta per la libe­ra­zio­ne del­la don­na pro­le­ta­ria non può esse­re una lot­ta simi­le a quel­la svi­lup­pa­ta dal­la don­na bor­ghe­se con­tro l’uomo del­la sua clas­se; al con­tra­rio, la sua è una lot­ta con l’uomo del­la sua clas­se con­tro la clas­se capi­ta­li­sta. La pro­le­ta­ria non ha biso­gno di lot­ta­re con­tro l’uomo del­la sua clas­se per abbat­te­re le bar­rie­re che que­sti ha eret­to con­tro la libe­ra con­cor­ren­za. Le neces­si­tà del­lo sfrut­ta­men­to capi­ta­li­sti­co e lo svi­lup­po del modo di pro­du­zio­ne moder­no l’hanno col­lo­ca­ta in una posi­zio­ne asso­lu­ta­men­te sfa­vo­re­vo­le in que­sta lot­ta. Al con­tra­rio, devo­no eri­ger­si nuo­ve bar­rie­re con­tro lo sfrut­ta­men­to del­la don­na pro­le­ta­ria; è neces­sa­rio restau­rar­le e assi­cu­ra­re a lei i suoi dirit­ti come spo­sa e come madre. L’obiettivo fina­le del­la sua lot­ta non è la libe­ra con­cor­ren­za con l’uomo, ma la con­qui­sta del pote­re poli­ti­co da par­te del pro­le­ta­ria­to. La don­na pro­le­ta­ria com­bat­te fian­co a fian­co con l’uomo del­la sua clas­se con­tro la socie­tà capi­ta­li­sta. natu­ral­men­te, appog­gia anche le riven­di­ca­zio­ni del movi­men­to fem­mi­ni­sta bor­ghe­se. Ma la sod­di­sfa­zio­ne di que­ste riven­di­ca­zio­ni rap­pre­sen­ta per lei solo un mez­zo per un fine, affin­ché pos­sa entra­re nel­la lot­ta al fian­co del pro­le­ta­rio equi­pag­gia­ta con le stes­se armi».

Fon­da­men­tal­men­te, la socie­tà bor­ghe­se non si oppo­ne­va alle riven­di­ca­zio­ni del movi­men­to fem­mi­ni­sta bor­ghe­se, come dimo­stra­va­no le rifor­me in favo­re del­le don­ne che era­no già sta­te intro­dot­te nell’area del dirit­to pub­bli­co e pri­va­to in vari Sta­ti. La bor­ghe­sia tede­sca teme­va solo che la rea­liz­za­zio­ne di que­ste rifor­me avreb­be por­ta­to van­tag­gi alla socialdemocrazia:

«Cer­ta­men­te, il timo­re del­la demo­cra­zia bor­ghe­se è mol­to mio­pe. Anche se le don­ne otte­nes­se­ro l’uguaglianza di dirit­ti poli­ti­ci, nul­la cam­bie­reb­be nei rap­por­ti di for­za rea­li. La don­na pro­le­ta­ria si col­lo­ca nel cam­po del pro­le­ta­ria­to e la bor­ghe­se in quel­lo del­la bor­ghe­sia. Non dob­bia­mo far­ci ingan­na­re dal­le ten­den­ze socia­li­ste in seno al movi­men­to fem­mi­ni­sta bor­ghe­se, che si mani­fe­sta­no solo fin­ché le don­ne bor­ghe­si si sen­to­no oppres­se».

Quan­to più la demo­cra­zia bor­ghe­se tra­di­va la sua mis­sio­ne, tan­to più spet­ta­va alla social­de­mo­cra­zia soste­ne­re la cau­sa dell’uguaglianza poli­ti­ca del­le don­ne. Zet­kin pas­sa­va allo­ra a svi­lup­pa­re le con­clu­sio­ni pra­ti­che per l’agitazione socia­li­sta tra le donne:

«Il principio‑guida deve esse­re il seguen­te: non dob­bia­mo por­ta­re avan­ti nes­su­na agi­ta­zio­ne spe­ci­fi­ca­men­te fem­mi­ni­le, ben­sì l’agitazione socia­li­sta tra le don­ne. Non dob­bia­mo met­te­re in pri­mo pia­no i meschi­ni inte­res­si momen­ta­nei del mon­do del­la don­na: il nostro com­pi­to deve esse­re la con­qui­sta del­la don­na pro­le­ta­ria moder­na alla lot­ta di clas­se. Non abbia­mo com­pi­ti spe­cia­li per l’agitazione tra le don­ne. Le rifor­me che devo­no esse­re otte­nu­te per le don­ne nel qua­dro del siste­ma socia­le esi­sten­te sono già inclu­se nel pro­gram­ma mini­mo del nostro par­ti­to. […] L’agitazione tra le don­ne deve esse­re uni­ta ai pro­ble­mi che rive­sto­no un’importanza prio­ri­ta­ria per tut­to il movi­men­to pro­le­ta­rio. Il com­pi­to prin­ci­pa­le con­si­ste nel risve­glia­re la coscien­za di clas­se fra le don­ne lavo­ra­tri­ci e fare in modo che par­te­ci­pi­no alla lot­ta di clas­se. La sin­da­ca­liz­za­zio­ne del­le lavo­ra­tri­ci è estre­ma­men­te dif­fi­ci­le, in par­ti­co­lar modo per quel­le che sono impie­ga­te nel lavo­ro dome­sti­co. Poi dob­bia­mo anche com­bat­te­re con la per­ce­zio­ne gene­ra­liz­za­ta del­le ragaz­ze gio­va­ni che l’attività nell’industria è per esse qual­co­sa di tem­po­ra­neo, che ter­mi­na col matri­mo­nio. Per mol­te don­ne, il risul­ta­to fina­le è un dop­pio peso, poi­ché deb­bo­no lavo­ra­re in fab­bri­ca e in fami­glia. Tan­to più neces­sa­ria è la fis­sa­zio­ne di una gior­na­ta di lavo­ro lega­le per le lavo­ra­tri­ci».

[…]

Zet­kin pro­po­ne­va la pub­bli­ca­zio­ne di una serie di opu­sco­li dedi­ca­ti alle don­ne pro­le­ta­rie che trat­tas­se­ro spe­ci­fi­ca­men­te i loro pro­ble­mi, e con­clu­se affermando:

«Per­ché, così come i pro­le­ta­ri pos­so­no rag­giun­ge­re la loro libe­ra­zio­ne sol­tan­to se lot­ta­no uni­ti, sen­za distin­zio­ne di nazio­na­li­tà o pro­fes­sio­ne, così pos­so­no rag­giun­ge­re la loro libe­ra­zio­ne se lot­ta­no insie­me sen­za distin­zio­ne di ses­so. L’inclusione del­la gran­de mas­sa del­le don­ne pro­le­ta­rie nel­la lot­ta di libe­ra­zio­ne del pro­le­ta­ria­to è una del­le con­di­zio­ni pre­li­mi­na­ri per la vit­to­ria dell’idea socia­li­sta, per lo svi­lup­po del­la socie­tà socia­li­sta. Solo la socie­tà socia­li­sta potrà risol­ve­re il con­flit­to pro­vo­ca­to ai gior­ni nostri dall’impiego del­la don­na. Quan­do la fami­glia come uni­tà eco­no­mi­ca scom­pa­ri­rà, e al suo posto sor­ge­rà la fami­glia come uni­tà mora­le, la don­na sarà capa­ce di pro­muo­ve­re la sua indi­vi­dua­li­tà qua­le com­pa­gna al fian­co dell’uomo, con ugua­li dirit­ti giu­ri­di­ci, con le stes­se aspi­ra­zio­ni e capa­ci­tà crea­ti­ve, e al con­tem­po potrà svol­ge­re pie­na­men­te il suo ruo­lo di spo­sa e madre».

Nel­le sue con­clu­sio­ni, Zet­kin rispo­se alle obie­zio­ni che le era­no sta­te mos­se, evi­den­zian­do anco­ra una vol­ta l’abisso che sepa­ra­va le don­ne pro­le­ta­rie dal­le fem­mi­ni­ste borghesi:

«Sono sta­ta accu­sa­ta di esse­re oltre­mo­do teo­ri­ca. Il dibat­ti­to ha dimo­stra­to quan­to neces­sa­rio sia adot­ta­re una posi­zio­ne di prin­ci­pio nei con­fron­ti del fem­mi­ni­smo bor­ghe­se (bür­ger­li­chen Frauen­re­ch­tle­rei). La com­pa­gna Löwe­n­herz ha det­to che abbia­mo tut­ti i moti­vi per mar­cia­re a fian­co del­le fem­mi­ni­ste bor­ghe­si (bür­ger­li­chen Frauen­re­ch­tle­rin­nen) per­ché esse difen­do­no mol­te del­le riven­di­ca­zio­ni che anche noi difen­dia­mo. Non sono d’accordo. Que­sto pun­to di vista cor­ri­spon­de all’idea che esi­ste un “movi­men­to del­le don­ne” in quan­to tale, in se stes­so. Cre­dia­mo che esi­sta solo un movi­men­to di don­ne in con­nes­sio­ne con lo svi­lup­po sto­ri­co, e che per­ciò esi­sta un movi­men­to fem­mi­ni­sta bor­ghe­se e un movi­men­to fem­mi­ni­sta pro­le­ta­rio che non han­no in comu­ne più che la social­de­mo­cra­zia e la socie­tà bor­ghe­se. Ci oppo­nia­mo alle fem­mi­ni­ste bor­ghe­si, non per­ché non appog­gia­mo il poco che esse rap­pre­sen­ta­no, ma per­ché esse con­te­sta­no il mol­to che noi rap­pre­sen­tia­mo, ciò che costi­tui­sce il con­te­nu­to essen­zia­le del­le nostre riven­di­ca­zio­ni, non solo rispet­to al futu­ro, ma anche rispet­to alle riven­di­ca­zio­ni mini­me che avan­zia­mo oggi nel qua­dro del­la socie­tà bor­ghe­se. I pro­get­ti edu­ca­ti­vi, ad esem­pio, sono illu­so­ri se i bam­bi­ni pro­le­ta­ri deb­bo­no al tem­po stes­so lavo­ra­re per gua­da­gnar­si da vive­re. Esi­gia­mo non solo ali­men­to spi­ri­tua­le, ma anche mate­ria­le. E sareb­be assur­do se noi, che abbia­mo die­tro di noi il pote­re socia­le com­pat­to del­la social­de­mo­cra­zia, voles­si­mo unir­ci alle don­ne bor­ghe­si che non han­no die­tro di sé alcu­na poten­za. E un’altra cosa ci sepa­ra: la tat­ti­ca. Deb­bo­no for­se le pro­le­ta­rie con coscien­za di clas­se pre­sen­tar­si con sup­pli­che al tro­no dell’imperatore e ai gover­ni? La com­pa­gna Löwe­n­herz dice che dob­bia­mo lascia­re che le fem­mi­ni­ste bor­ghe­si agi­ti­no per con­to nostro per­ché non abbia­mo agi­ta­tri­ci esper­te […] Non è solo que­stio­ne di ciò che si doman­da, ma con che inten­zio­ne lo si fa. Quan­do le don­ne bor­ghe­si avan­za­no riven­di­ca­zio­ni, non lo fan­no col fine di for­ni­re armi in più al pro­le­ta­ria­to nel­la lot­ta per la sua libe­ra­zio­ne, ma, sot­to la spin­ta del­la cat­ti­va coscien­za del­la bor­ghe­sia, con lo sco­po di chiu­de­re la boc­ca del pro­le­ta­ria­to pro­prio con quel­le riven­di­ca­zio­ni. Ma voglia­mo che, nell’ora del col­las­so del­la socie­tà bor­ghe­se, alla fine del­lo svi­lup­po capi­ta­li­sta, il pro­le­ta­ria­to non si tro­vi come lo schia­vo che ha appe­na spez­za­to le sue cate­ne, ma come una per­so­na­li­tà com­ple­ta­men­te svi­lup­pa­ta fisi­ca­men­te, men­tal­men­te e moral­men­te. E da que­sto pun­to di vista non è pos­si­bi­le tra la socie­tà bor­ghe­se e quel­la pro­le­ta­ria alcu­na comu­ni­tà».

Il Con­gres­so del Par­ti­to Social­de­mo­cra­ti­co tede­sco, cele­bra­to nel­la cit­tà di Gotha nel 1896, adot­tò una riso­lu­zio­ne pro­gram­ma­ti­ca basa­ta sul­la mozio­ne e l’intervento di Cla­ra Zetkin.


Note

[1] Teo­ria che ser­vì da base, ad esem­pio alla “Dichia­ra­zio­ne di Indi­pen­den­za” sta­tu­ni­ten­se del 4 luglio 1776 e alla “Dichia­ra­zio­ne dei Dirit­ti” del­la Vir­gi­nia del 12 giu­gno 1776, ma soprat­tut­to alla “Dichia­ra­zio­ne dei Dirit­ti dell’Uomo e del Cit­ta­di­no” pro­cla­ma­ta il 26 ago­sto 1789 dall’Assemblea nazio­na­le duran­te la Rivo­lu­zio­ne fran­ce­se. A que­sta dichia­ra­zio­ne bor­ghe­se dei “dirit­ti uma­ni” (cioè, alla pro­cla­ma­zio­ne dell’uguaglianza giu­ri­di­ca e poli­ti­ca e del­la disu­gua­glian­za economico‑sociale, e quin­di del­lo sfrut­ta­men­to) Lenin con­trap­po­se la “Dichia­ra­zio­ne dei Dirit­ti del Popo­lo Lavo­ra­to­re e Sfrut­ta­to”, adot­ta­ta dal Ter­zo Con­gres­so dei Soviet di tut­ta la Rus­sia (23‑31 gen­na­io 1918), inclu­sa come pre­am­bo­lo alla Costi­tu­zio­ne appro­va­ta dal Quin­to Con­gres­so dei Soviet di tut­ta la Rus­sia (4‑10 luglio 1918).
[2] Zet­kin uti­liz­zò quest’espressione nel suo famo­so Ricor­di di Lenin, scrit­to nel gen­na­io 1925: «Le linee gui­da dovran­no espri­me­re niti­da­men­te che la vera eman­ci­pa­zio­ne del­la don­na è pos­si­bi­le solo con il comu­ni­smo. Biso­gna evi­den­zia­re con for­za la rela­zio­ne indis­so­lu­bi­le che esi­ste tra la posi­zio­ne socia­le e uma­na del­la don­na e la pro­prie­tà pri­va­ta dei mez­zi di pro­du­zio­ne. Così trac­ce­re­mo la linea divi­so­ria fer­ma e inde­le­bi­le con il movi­men­to fem­mi­ni­sta (die feste, unver­wi­sch­ba­re Tren­nung­sli­nie gegen die Frauen­re­ch­tle­rei)». Nel suo Sto­ria del movi­men­to fem­mi­ni­sta pro­le­ta­rio in Ger­ma­nia (1928), Zet­kin uti­liz­zò entram­be le espres­sio­ni deplo­ran­do la «ten­den­za fem­mi­ni­sta (femi­ni­sti­sche Ten­denz) di illu­stre diri­gen­ti del movi­men­to di Ber­li­no» che era­no sta­te influen­za­te da «idee fem­mi­ni­ste (frauen­re­ch­tle­ri­schen Gedan­ken­gän­gen)».
[3] Evans ha enfa­tiz­za­to nel suo sag­gio “The Con­cept of Femi­ni­sm: Notes for Prac­ti­cing Histo­rians” «la pro­fon­di­tà del­la divi­sio­ne» tra il movi­men­to del­le don­ne socia­li­ste e il fem­mi­ni­smo, e non­di­me­no ha inti­to­la­to il suo libro Le fem­mi­ni­ste.

(Tra­du­zio­ne di Erne­sto Rus­so e Arian­na Bove)