Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Lotta di classe, Storia del movimento operaio

Quando il futuro era ora

Il 25 apri­le 1974 una sol­le­va­zio­ne mili­ta­re in Por­to­gal­lo rove­sciò la dit­ta­tu­ra sala­za­ri­sta, apren­do la stra­da a un pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio che vide una pro­fon­da dina­mi­ca di pro­ta­go­ni­smo del­le clas­si lavo­ra­tri­ci che cam­biò radi­cal­men­te le basi eco­no­mi­che del­la socie­tà portoghese.
Quel pro­ces­so – che fu l’ul­ti­mo sus­sul­to rivo­lu­zio­na­rio vis­su­to dal con­ti­nen­te euro­peo – ven­ne tra­di­to dal­la com­bi­na­ta azio­ne del­la social­de­mo­cra­zia, che incar­na­va gli inte­res­si degli impe­ria­li­smo sta­tu­ni­ten­se e dei Pae­si euro­pei, e del­lo sta­li­ni­smo, che, sot­to l’e­gi­da di Mosca, ope­rò coscien­te­men­te per­ché la rivo­lu­zio­ne anti­ca­pi­ta­li­sta non si appro­fon­dis­se e il Por­to­gal­lo, ripor­ta­to entro i limi­ti di uno Sta­to bor­ghe­se libe­ra­le, non uscis­se dal­l’or­bi­ta del­la spar­ti­zio­ne inau­gu­ra­ta nel dopo­guer­ra a Yal­ta. Ma non secon­da­ria, in que­sto con­te­sto, fu la mar­gi­na­li­tà del­le pic­co­le orga­niz­za­zio­ni rivo­lu­zio­na­rie, che non riu­sci­ro­no a gua­da­gna­re l’in­fluen­za neces­sa­ria per diri­ge­re le mas­se ver­so l’as­sal­to fina­le al potere.
Ci rac­con­ta tut­to quel perio­do Valé­rio Arca­ry nel lun­go, ma inte­res­san­tis­si­mo ed estre­ma­men­te docu­men­ta­to, sag­gio che, pub­bli­ca­to ori­gi­na­ria­men­te sul­la rivi­sta Outu­bro (n. 2, 2004) in occa­sio­ne del tren­ten­na­le del­la Rivo­lu­zio­ne dei garo­fa­ni, pre­sen­tia­mo tra­dot­to in ita­lia­no. La sua testi­mo­nian­za è par­ti­co­lar­men­te rile­van­te, per­ché l’Au­to­re era all’e­po­ca stu­den­te uni­ver­si­ta­rio a Lisbo­na e par­te­ci­pò agli even­ti che ci fa rivivere.
Buo­na lettura.
La redazione

Quando il futuro era ora


25 aprile 1974: l’incontro della Rivoluzione con la Storia

 

Valé­rio Arca­ry[*]

 

«À som­bra de uma azinheira,
que já não sabia a idade,
jurei ter por companheira,
Grân­do­la, tua von­ta­de»[1]
(Zeca Afon­so, can­to­re popo­la­re portoghese)

 

Nel mag­gio del 1926, un col­po di sta­to pro­to­fa­sci­sta rove­sciò la pri­ma repub­bli­ca por­to­ghe­se e i mili­ta­ri invi­ta­ro­no Anto­nio de Oli­vei­ra Sala­zar, un pro­fes­so­re di Coim­bra, ad assu­me­re l’incarico di mini­stro del­le Finan­ze. Diven­ne pri­mo mini­stro nel 1932. Cono­sciu­to anche come “Sta­to Nuo­vo”, il regi­me non appa­ri­va un’eccezione negli anni Tren­ta, quan­do il capi­ta­li­smo euro­peo sof­fia­va sull’esaltazione del nazio­na­li­smo e ricor­re­va su lar­ga sca­la, anche nei Pae­si più svi­lup­pa­ti, ai meto­di del­la controrivoluzione.
La dit­ta­tu­ra sala­za­ri­sta soprav­vis­se tut­ta­via alla cadu­ta di Hitler e Mus­so­li­ni, ma la bor­ghe­sia di que­sto pic­co­lo Pae­se, ere­de di un immen­so impe­ro d’oltremare, resi­sté anche all’ondata di deco­lo­niz­za­zio­ne del dopo­guer­ra e affron­tò una guer­ra di guer­ri­glia in Afri­ca a par­ti­re dal 1960. Il fasci­smo “difen­si­vo” di que­sto impe­ro spro­por­zio­na­to e semi‑autarchico soprav­vis­se a Sala­zar e restò incre­di­bil­men­te al pote­re per qua­ran­tot­to anni. Le rifor­me, da tan­to atte­se, non giun­se­ro; e furo­no le mas­se popo­la­ri, attra­ver­so la rivo­lu­zio­ne, a lan­ciar­si alla con­qui­sta di ciò che le clas­si pos­si­den­ti evi­ta­ro­no di fare attra­ver­so del­le rifor­me. È sta­to det­to che le rivo­lu­zio­ni rin­via­te sono le più radi­ca­li. E quel fasci­smo obso­le­to e deca­den­te finì per apri­re il più pro­fon­do pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio in Euro­pa dopo la guer­ra civi­le spagnola.

Dal­la guer­ra inter­mi­na­bi­le al Mfa
Nel 1972, quarant’anni dopo l’ascesa di Sala­zar, il gene­ra­le Antô­nio Spí­no­la pub­bli­cò il libro Il Por­to­gal­lo e il futu­ro. Fu una pie­tra milia­re, per­ché per la pri­ma vol­ta una voce del più alto coman­do del­le for­ze arma­te – un ex coman­dan­te in capo dell’esercito in Guinea‑Bissau – sfi­da­va il prin­ci­pa­le tabù del­la dit­ta­tu­ra, ammet­ten­do pub­bli­ca­men­te che era impos­si­bi­le una solu­zio­ne mili­ta­re per la guer­ra. Spí­no­la soste­ne­va che il regi­me doves­se pren­de­re l’iniziativa poli­ti­ca per un pro­get­to di deco­lo­niz­za­zio­ne ispi­ra­to sul model­lo ingle­se del dopo­guer­ra. Nel­la sor­pre­sa gene­ra­le, il gover­no di Mar­ce­lo Cae­ta­no auto­riz­zò la pub­bli­ca­zio­ne del libro, la qual cosa evi­den­zia­va che le divi­sio­ni all’interno del bloc­co che soste­ne­va il regi­me era­no mol­to più ampie di quan­to non appa­ris­se­ro. Il pare­re favo­re­vo­le alla pub­bli­ca­zio­ne del libro ven­ne addi­rit­tu­ra dal gene­ra­le Costa Gomes, che sareb­be suc­ce­du­to allo stes­so Spí­no­la all’incarico di pre­si­den­te dopo il fal­li­men­to dell’autogolpe del 28 set­tem­bre 1974:

«L’autore sostie­ne con logi­ca fer­rea una solu­zio­ne equi­li­bra­ta, che pos­sia­mo inqua­dra­re a metà stra­da fra due solu­zio­ni estre­me: l’indipendenza pura e sem­pli­ce, imme­dia­ta, di tut­ti i ter­ri­to­ri d’oltremare, patro­ci­na­ta dai comu­ni­sti e dai socia­li­sti, e l’integrazione in un tut­to omo­ge­neo di tut­te quel­le regio­ni, pro­po­sta dal­la destra […] que­ste solu­zio­ni deb­bo­no esse­re accan­to­na­te, la pri­ma per­ché lesi­va degli inte­res­si nazio­na­li e la secon­da per­ché irrea­liz­za­bi­le»[2].

Ciò che allo­ra non si sape­va era che il libro di Spí­no­la era sol­tan­to la pun­ta di un ice­berg e che clan­de­sti­na­men­te, nei set­to­ri degli uffi­cia­li di medio ran­go, già era in via di for­ma­zio­ne il Movi­men­to del­le For­ze Arma­te (Mfa). La debo­lez­za del gover­no di Mar­ce­lo Cae­ta­no era così gran­de da por­tar­lo poi a cade­re in poche ore, come una mela mar­cia. Attra­ver­so la por­ta del­la rivo­lu­zio­ne antim­pe­ria­li­sta nel­le colo­nie sareb­be entra­ta la rivo­lu­zio­ne poli­ti­ca e socia­le nel­la metropoli.
La guer­ra in Ango­la, Mozam­bi­co e Guinea‑Bissau ave­va spro­fon­da­to il Por­to­gal­lo in una cri­si cro­ni­ca. Un Pae­se di die­ci milio­ni di abi­tan­ti, anco­ra semi‑urbanizzato e note­vol­men­te in ritar­do rispet­to alla pro­spe­ri­tà euro­pea degli anni Ses­san­ta, dis­san­gua­to dall’emigrazione del­le mas­se gio­va­ni­li che fug­gi­va­no dal ser­vi­zio mili­ta­re e dal­la mise­ria, non pote­va con­ti­nua­re a man­te­ne­re all’infinito un eser­ci­to di deci­ne di miglia­ia di uomi­ni impe­gna­to in una guer­ra in Africa.
Il ser­vi­zio mili­ta­re obbli­ga­to­rio dura­va la bel­lez­za di quat­tro anni, alme­no due dei qua­li dove­va­no esse­re svol­ti nei ter­ri­to­ri d’oltremare. Ci furo­no miglia­ia di mor­ti, sen­za con­ta­re i feri­ti e i muti­la­ti. E fu dall’interno di quest’esercito di reclu­te, che non era­no sol­da­ti pro­fes­sio­na­li, che sor­se uno dei sog­get­ti poli­ti­ci deci­si­vi del pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio: il Mfa. Rispon­den­do alla radi­ca­liz­za­zio­ne del­le clas­si medie del­la metro­po­li, que­sti set­to­ri di uffi­cia­li di medio ran­go era­no stan­chi di una guer­ra sen­za solu­zio­ne mili­ta­re; e, esau­ri­ti dall’ottusità del­la dit­ta­tu­ra, ansio­si di liber­tà, anda­va­no rom­pen­do con il regime.

«Una ricer­ca rive­lò che i mem­bri del movi­men­to dei Capi­ta­ni era­no, dal pun­to di vista socio­lo­gi­co, figli del­la pic­co­la bor­ghe­sia e del­le clas­si medie (alcu­ni di clas­se ope­ra­ia), nati negli anni Qua­ran­ta (e dun­que, gio­va­ni intor­no ai trent’anni). Una mag­gio­ran­za rela­ti­va (39,4%) pro­ve­ni­va da fami­glie di impie­ga­ti pub­bli­ci […] Nel 1974 c’erano 4165 uffi­cia­li in ser­vi­zio per­ma­nen­te nell’esercito: di que­sti, 703 par­te­ci­pa­ro­no al col­po di sta­to (16,9%) … e l’80,8% era com­po­sto da capi­ta­ni e mag­gio­ri»[3].

Que­ste pres­sio­ni socia­li spie­ga­no anche i limi­ti poli­ti­ci del Mfa e aiu­ta­no a com­pren­de­re per­ché, dopo aver rove­scia­to Cae­ta­no, i suoi mem­bri con­se­gna­ro­no il pote­re a Spínola.

Ote­lo de Car­va­lho in visi­ta a Cuba con Castro (luglio 1975)

Lo stes­so Ote­lo de Car­va­lho[4], che a par­ti­re dal 11 mar­zo sosten­ne il pro­get­to di tra­sfor­ma­re il Mfa in un movi­men­to di libe­ra­zio­ne nazio­na­le – la ten­ta­zio­ne di sosti­tu­zio­ni­smo del­le mas­se – a gui­sa dei movi­men­ti mili­ta­ri nei Pae­si peri­fe­ri­ci come il Perù, fece un bilan­cio dal­la scon­cer­tan­te franchezza:

«Que­sto sen­ti­men­to radi­ca­to di subor­di­na­zio­ne alla gerar­chia, del­la neces­si­tà di un capo che, al di sopra di noi, ci orien­tas­se sul­la “buo­na stra­da”, ci avreb­be per­se­gui­ta­to fino alla fine, con le fune­ste con­se­guen­ze già note. Que­sto osta­co­lo sareb­be risor­to più tar­di, mostran­do­si di dif­fi­ci­le solu­zio­ne […] Alcu­ni uffi­cia­li, pur eccel­len­ti, si sen­ti­va­no non­di­me­no indi­fe­si fuo­ri del­la loro limi­ta­ta sfe­ra pro­fes­sio­na­le e pre­ten­de­va­no di ricor­re­re alla figu­ra pater­na­li­sta di chi aves­se avu­to più deco­ra­zio­ni, uomi­ni d’esperienza che s’intendessero sul serio di poli­ti­ca»[5].

Così come mol­ti capi­ta­ni era­no incli­ni a ripor­re fidu­cia nei gene­ra­li, una par­te dell’estrema sini­stra con­se­gna­va ai capi­ta­ni la dire­zio­ne del pro­ces­so. Spí­no­la era pom­po­so, con pose da gene­ra­le ger­ma­no­fi­lo e il suo eccen­tri­co mono­co­lo. Dal Mfa sor­se­ro le dire­zio­ni di Sal­guei­ro Maia e Dinis de Almei­da (due Antonov‑Ovseenko, ma sen­za istru­zio­ne mar­xi­sta[6]); di Ote­lo Sarai­va de Car­va­lho […]; di Vasco Gonçal­ves […]. E fu dal­la trup­pa, natu­ral­men­te, che emer­se il Bona­par­te, il sini­stro Rama­lho Eanes, l’uomo del­la rico­stru­zio­ne dell’ordine.

I garo­fa­ni ros­si di aprile
L’economia por­to­ghe­se, poco inter­na­zio­na­liz­za­ta ma già ragio­ne­vol­men­te indu­stria­liz­za­ta, si strut­tu­ra­va nel­la divi­sio­ne inter­na­zio­na­le del lavo­ro in due “nic­chie”, i due pila­stri impren­di­to­ria­li del regi­me, lo sfrut­ta­men­to del­le colo­nie e l’esportazione. Set­te gran­di grup­pi con­trol­la­va­no qua­si tut­to. Era­no rami­fi­ca­ti in tre­cen­to impre­se che ave­va­no l’80% dei ser­vi­zi ban­ca­ri, il 50% del­le assi­cu­ra­zio­ni, otto del­le die­ci più gran­di indu­strie, cin­que del­le set­te mag­gio­ri espor­ta­tri­ci. I mono­po­li domi­na­va­no, ma non c’era dina­mi­ca di cre­sci­ta. Il Pae­se ver­sa­va, com­ples­si­va­men­te, in una fase di sta­gna­zio­ne, men­tre l’economia euro­pea vive­va il boom del dopo­guer­ra. Il siste­ma sala­za­ri­sta si sosten­ne, anche dopo la mor­te del dit­ta­to­re, gra­zie a un impla­ca­bi­le brac­cio arma­to – la Polí­cia Inter­na­cio­nal e de Defe­sa do Esta­do (Pide)[7] – com­po­sto da 20.000 infor­ma­to­ri e 80.000 mem­bri del­la Legio­ne portoghese.
I gior­ni di Cae­ta­no era­no agli sgoc­cio­li. Cer­ta­men­te, non c’è un sismo­gra­fo per le situa­zio­ni rivo­lu­zio­na­rie. È mol­to dif­fi­ci­le pre­ve­de­re come e per­ché le gran­di mol­ti­tu­di­ni popo­la­ri, urba­ne o rura­li, che per decen­ni han­no accet­ta­to con ras­se­gna­zio­ne del­le tiran­ni­di, poi si met­to­no in movi­men­to risve­glian­do­si furio­se nell’arena poli­ti­ca in cer­ca di una solu­zio­ne col­let­ti­va per le loro riven­di­ca­zio­ni. Sta di fat­to che la mat­ti­na del 25 apri­le, nell’ascoltare per radio la comu­ni­ca­zio­ne del­la sol­le­va­zio­ne mili­ta­re del Mfa, miglia­ia di per­so­ne sce­se­ro nel­le stra­de e si dires­se­ro ver­so il quar­tie­re Bai­xa di Lisbo­na accer­chian­do la caser­ma del­la Guar­dia Nazio­na­le Repub­bli­ca­na (Gnr) in Lar­go do Car­mo, dove Mar­ce­lo Cae­ta­no si era rifu­gia­to, esi­gen­do la pre­sen­za di Spí­no­la. Alcu­ne cen­ti­na­ia di mem­bri del­la Pide che era­no lì asser­ra­glia­ti spa­ra­ro­no sul­la fol­la facen­do quat­tro mor­ti. Que­sto fu l’unico atto di resi­sten­za del­la dittatura.
Ogni rivo­lu­zio­ne ha il suo lato pit­to­re­sco. Nel­le pri­me ore del­la mat­ti­na, quan­do una colon­na di mili­ta­ri per­cor­re­va la Ave­ni­da da Liber­da­de ver­so il Ter­rei­ro do Paço, le fio­ra­ie di Par­que Mayer doman­da­ro­no loro cosa stes­se acca­den­do. Alla rispo­sta dei sol­da­ti, che sta­va­no andan­do a rove­scia­re la dit­ta­tu­ra, spin­te da una feli­ci­tà irre­fre­na­bi­le, esse offri­ro­no loro dei garo­fa­ni ros­si. E così, incon­sa­pe­vol­men­te, bat­tez­za­ro­no la rivo­lu­zio­ne col nome di un fiore.

Ricor­dia­mo che una rivo­lu­zio­ne non deve esse­re con­fu­sa con il trion­fo di una sol­le­va­zio­ne mili­ta­re, anche quan­do si trat­ta di un’insurrezione con appog­gio popo­la­re. L’insurrezione è uno dei tem­pi del­la rivo­lu­zio­ne. Ciò che è sta­to straor­di­na­rio nel­la Rivo­lu­zio­ne dei garo­fa­ni non è sta­to il col­las­so del­la dit­ta­tu­ra nel­le pri­me ore del 25 apri­le – ben­ché esso sia comun­que sta­to spet­ta­co­la­re – ma l’entrata in sce­na di milio­ni di per­so­ne, in mag­gio­ran­za lavo­ra­to­ri e gio­va­ni, come sog­get­ti del pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio. La Sto­ria è pie­na di esem­pi di sol­le­va­zio­ni mili­ta­ri e gol­pe di palaz­zo vit­to­rio­si sul­lo sfon­do dell’indifferenza e dell’apatia popo­la­re; così come, al con­tra­rio, di auten­ti­che rivo­lu­zio­ni popo­la­ri che sono sta­te scon­fit­te pri­ma di ave­re con­cen­tra­to le for­ze per l’insurrezione.
Ma, pur trat­tan­do­si di esem­pi dif­fe­ren­ti, ven­go­no a vol­te asso­cia­ti. Non è raro che gol­pe mili­ta­ri o ribel­lio­ni di sol­da­ti fun­zio­ni­no, sto­ri­ca­men­te, come un segna­le che una tor­men­ta mol­to più gran­de stia per arri­va­re. Le ope­ra­zio­ni di palaz­zo pos­so­no “apri­re una brec­cia” ver­so dove, in segui­to, entre­rà il ven­to del­la rivo­lu­zio­ne che fino ad allo­ra era compresso.
In Por­to­gal­lo, il pro­ces­so di rivo­lu­zio­ne poli­ti­ca rup­pe gli argi­ni per­ché, come nel­la Rus­sia del 1917, l’esercito era sta­to scon­fit­to in guer­ra e la lot­ta di clas­se pene­trò nel­le sue file.

Una rivo­lu­zio­ne poli­ti­ca che tra­scre­sce in una rivo­lu­zio­ne sociale
For­se sor­pren­de­rà la carat­te­riz­za­zio­ne di rivo­lu­zio­ne socia­le. Il 25 apri­le, in sé, fu un’operazione mili­ta­re tra­scre­sciu­ta in rivo­lu­zio­ne poli­ti­ca che, a sua vol­ta, aprì un pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio. Il con­te­nu­to socia­le obiet­ti­vo del pro­ces­so fu deter­mi­na­to dai com­pi­ti pen­den­ti – fine del­la guer­ra colo­nia­le, indi­pen­den­za del­le colo­nie, rifor­ma agra­ria, lavo­ro per tut­ti, aumen­to dei sala­ri, abi­ta­zio­ne, acces­so all’insegnamento pub­bli­co – che non si rias­su­me­va­no nel rove­scia­men­to del­la dittatura.
Una rivo­lu­zio­ne, soprat­tut­to se scon­fit­ta, non può esse­re ana­liz­za­ta sol­tan­to attra­ver­so i suoi risul­ta­ti. Spes­so que­sti ulti­mi ci par­la­no più del­la con­tro­ri­vo­lu­zio­ne che non del­la rivo­lu­zio­ne stes­sa. C’erano altre pos­si­bi­li­tà plau­si­bi­li, altri svi­lup­pi. Biso­gna con­si­de­ra­re qua­li era­no i sog­get­ti socia­li e poli­ti­ci, non­ché la dina­mi­ca sto­ri­ca del­la situa­zio­ne nazio­na­le e inter­na­zio­na­le. Tro­tsky stu­diò que­sto movi­men­to nel­la sto­ria del­le rivoluzioni:

«Le diver­se fasi del pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio, con­cre­tiz­za­te dall’affermarsi di par­ti­ti sem­pre più estre­mi­sti, tra­du­co­no una spin­ta del­le mas­se ver­so sini­stra che con­ti­nua­men­te si raf­for­za, sin­ché que­sto slan­cio non si infran­ga con­tro osta­co­li ogget­ti­vi. Allo­ra comin­cia la rea­zio­ne: disil­lu­sio­ne in cer­ti ambien­ti del­la clas­se rivo­lu­zio­na­ria, accen­tuar­si dell’indifferenza»[8].

La cadu­ta del regi­me fu l’atto inau­gu­ra­le di una fase poli­ti­ca di radi­ca­liz­za­zio­ne popo­la­re incom­pa­ra­bil­men­te più pro­fon­da – una situa­zio­ne rivo­lu­zio­na­ria – in cui ven­ne­ro costrui­te le espe­rien­ze di auto‑organizzazione, la ten­den­za sto­ri­ca di ricer­ca di orga­ni­smi di demo­cra­zia diret­ta per la lot­ta, o pote­re popo­la­re, che costi­tui­va­no embrio­ni di dop­pio pote­re. Pos­sia­mo sud­di­vi­de­re il pro­ces­so in quat­tro con­giun­tu­re sem­pre più radi­ca­liz­za­te ver­so sinistra:

  1. dall’aprile 1974 fino al 28 set­tem­bre, una situa­zio­ne rivo­lu­zio­na­ria tipi­ca del­le rivo­lu­zio­ni poli­ti­che o demo­cra­ti­che – para­go­na­bi­li al Feb­bra­io rus­so[9] – in cui ven­ne­ro garan­ti­te le liber­tà demo­cra­ti­che, ven­ne assi­cu­ra­ta la ces­sa­zio­ne del­le osti­li­tà in Afri­ca e scon­fit­to il pro­get­to spi­no­li­sta di con­so­li­da­men­to di un regi­me presidenzialista;
  2. tra il 28 set­tem­bre 1974 e l’11 mar­zo 1975, quan­do comin­cia­ro­no le occu­pa­zio­ni del­le ter­re nell’Alentejo e si accen­tuò il carat­te­re socia­le degli scon­tri, una dif­fe­ren­zia­zio­ne più niti­da degli anta­go­ni­smi di clas­se, per­ché l’auto‑organizzazione acqui­sì la for­za poli­ti­ca di un dua­li­smo di pote­ri, che però per­ma­ne­va atomizzato;
  3. tra l’11 mar­zo e il luglio del 1975, con il rico­no­sci­men­to del­le indi­pen­den­ze, ad ecce­zio­ne dell’Angola, la gene­ra­liz­za­zio­ne dell’auto‑organizzazione del­le mas­se, la for­ma­zio­ne di com­mis­sio­ni di lavo­ra­to­ri in cen­ti­na­ia di impre­se e di uni­tà col­let­ti­ve di pro­du­zio­ne nei lati­fon­di espro­pria­ti, quan­do si pre­ci­pi­tò in una situa­zio­ne rivo­lu­zio­na­ria, ma sui gene­ris, per­ché il dop­pio pote­re non era uni­fi­ca­to, né anda­va ver­so la cen­tra­liz­za­zio­ne, e i rivo­lu­zio­na­ri non ave­va­no con­qui­sta­to influen­za poli­ti­ca di massa;
  4. infi­ne, la cri­si rivo­lu­zio­na­ria, fra luglio e dicem­bre 1975, con la scis­sio­ne del Mfa, l’indipendenza dell’Angola, la radi­ca­liz­za­zio­ne anti­ca­pi­ta­li­sta, l’allontanamento di basi di mas­sa dall’influenza del Par­ti­to socia­li­sta (Ps) e del Par­ti­to comu­ni­sta (Pcp), la for­ma­zio­ne dei Suv (auto‑organizzazione di sol­da­ti e mari­nai)[10] e mani­fe­sta­zio­ni arma­te, un’anticamera di una rivo­lu­zio­ne socia­le – un “pre‑ottobre” [rus­so] – in cui diven­ta­va­no ine­vi­ta­bi­li o un cam­bia­men­to radi­ca­le del­lo Sta­to o un gol­pe controrivoluzionario.

La bor­ghe­sia pre­pa­ra il golpe
Sei gover­ni prov­vi­so­ri si suc­ce­det­te­ro fino al 25 novem­bre 1975, segnan­do il per­cor­so ver­so sini­stra del pro­ces­so fino alla “esta­te cal­da” del 1975. Il pri­mo durò fino al 13 luglio 1974, con Pal­ma Car­los – uomo di fidu­cia di Spí­no­la – come pri­mo mini­stro, quan­do l’assemblea del Mfa lo sosti­tuì con Vasco Gonçal­ves, che restò al pote­re fino alla cadu­ta del quin­to gover­no. La rap­pre­sen­ta­zio­ne del­le for­ze espres­sio­ne diret­ta del capi­ta­le si ridus­se pro­gres­si­va­men­te fino a che rima­se sol­tan­to l’ombra del­la bor­ghe­sia. Il ter­zo gover­no fu for­ma­to il 28 set­tem­bre, quan­do fal­lì il pri­mo ten­ta­ti­vo di gol­pe: un appel­lo pub­bli­co di Spí­no­la alla “mag­gio­ran­za silen­zio­sa”, la qua­le, o non era mag­gio­ran­za, oppu­re, oltre ad esse­re silen­zio­sa, era anche sor­da, dato che se ne restò a casa men­tre Spí­no­la si vide obbli­ga­to a rinun­cia­re alla pre­si­den­za ceden­do­la al gene­ra­le Costa Gomes. Cen­to­cin­quan­ta cospi­ra­to­ri furo­no arrestati.

Antó­nio de Spínola

Ma le for­ze che sta­va­no alla base del pro­get­to del neo­co­lo­nia­li­smo “all’inglese” non si era­no anco­ra esau­ri­te. Ten­ta­ro­no di nuo­vo un putsch kor­ni­lo­via­no l’11 mar­zo, più orga­niz­za­to, con un ten­ta­ti­vo di bom­bar­da­men­to di Lisbo­na. Anco­ra una vol­ta, le bar­ri­ca­te por­ta­ro­no mol­ti sol­da­ti nel­le stra­de. Fu l’ultimo e dispe­ra­to ten­ta­ti­vo del­la fra­zio­ne bor­ghe­se che si oppo­ne­va all’immediata indi­pen­den­za del­le colo­nie e con­tò sul­la par­te­ci­pa­zio­ne del­la Guar­dia Nazio­na­le Repub­bli­ca­na. Il Reg­gi­men­to di arti­glie­ria leg­ge­ra di Lisbo­na fu bom­bar­da­to e accer­chia­to da uni­tà di para­ca­du­ti­sti. Un sol­da­to morì, ma il gol­pe fu sba­ra­glia­to. Spí­no­la e altri uffi­cia­li com­pli­ci ripa­ra­ro­no in Spa­gna, dove furo­no pro­tet­ti da Fran­co. Mol­ti di essi fug­gi­ro­no poi in Brasile.
Il gior­no suc­ces­si­vo, i lavo­ra­to­ri del­le ban­che pro­cla­ma­ro­no lo scio­pe­ro poli­ti­co assu­men­do il con­trol­lo del siste­ma finan­zia­rio. Il Mfa decre­tò la nazio­na­liz­za­zio­ne dei set­te più impor­tan­ti grup­pi ban­ca­ri por­to­ghe­si; segui­te da quel­le nel cam­po del­le assi­cu­ra­zio­ni, del­la side­rur­gia, del cemen­to, ecc. Mol­te impre­se furo­no occu­pa­te dai lavo­ra­to­ri. Lar­ga par­te del­la bor­ghe­sia, in pre­da al pani­co e di fron­te all’imponderabile, lasciò il Paese.
Il quar­to gover­no prov­vi­so­rio si inse­diò il 26 mar­zo. Scon­fit­to Spí­no­la col suo pro­get­to neo­co­lo­nia­le – soste­nu­to dal­le stes­se fami­glie e grup­pi che ave­va­no pre­ser­va­to Cae­ta­no fino alla sua cadu­ta – il Pae­se era irri­me­dia­bil­men­te divi­so e nes­su­no pote­va sape­re in che dire­zio­ne avreb­be gira­to la ruo­ta del­la Storia.
L’Africa era per­du­ta e la bor­ghe­sia comin­ciò a teme­re il peg­gio anche nel­la metro­po­li. Si rio­rien­tò ver­so il pro­get­to euro­peo. La rico­stru­zio­ne del­lo Sta­to, a comin­cia­re dal­le for­ze arma­te, era anco­ra la prio­ri­tà. Ma la cosa più com­pli­ca­ta resta­va anco­ra irri­sol­ta: biso­gna­va improv­vi­sa­re una rap­pre­sen­ta­zio­ne poli­ti­ca e ten­ta­re di gua­da­gna­re la mag­gio­ran­za del­le clas­si medie neu­tra­liz­zan­do i lavoratori.
Non aven­do più Spí­no­la come asso nel­la mani­ca – ed essen­do inde­bo­li­ti il Par­ti­to Popo­la­re Demo­cra­ti­co (Ppd) e il Par­ti­to del Cen­tro Demo­cra­ti­co Socia­le (Cds) a cau­sa del loro lega­me con Spí­no­la – la bor­ghe­sia non ave­va stru­men­ti diret­ti, se non par­te del­la stam­pa e il peso sull’alta gerar­chia del­le for­ze arma­te, e dove­va far ricor­so alla pres­sio­ne del­la bor­ghe­sia euro­pea e degli Sta­ti Uni­ti sul­la social­de­mo­cra­zia e sull’Unione Sovie­ti­ca affin­ché disci­pli­nas­se­ro il Par­ti­to socia­li­sta e, soprat­tut­to, il Par­ti­to comunista.

L’ora del­le vertigini
Dopo l’11 mar­zo, ven­ne la secon­da pri­ma­ve­ra del­le uto­pie e del­le spe­ran­ze. Lisbo­na era una del­le capi­ta­li più libe­re del mon­do. I lavo­ra­to­ri esi­ge­va­no che le loro riven­di­ca­zio­ni – indi­pen­den­za del­le colo­nie, liber­tà, sala­ri degni, lavo­ro, ter­ra, istru­zio­ne, sani­tà e pre­vi­den­za – venis­se­ro sod­di­sfat­te, e impa­ra­va­no nel vivo del­la lot­ta che sen­za espro­pria­zio­ni non avreb­be­ro potu­to con­qui­star­le. Fu attra­ver­so la mobi­li­ta­zio­ne che sor­se­ro gli orga­ni­smi che sfi­da­va­no il pote­re dei gover­ni prov­vi­so­ri. Comin­ciò la fase di quel­lo che fu defi­ni­to “assem­blea­ri­smo”.


Nac­que­ro, a onda­te con­se­cu­ti­ve di lot­ta, com­mis­sio­ni di lavo­ra­to­ri in tut­te le gran­di e medie azien­de, mol­te del­le qua­li in segui­to ven­ne­ro nazio­na­liz­za­te come la Cuf (Com­pa­n­hia União Fabril) – che, da sola, rag­grup­pa­va 186 fab­bri­che – con­cen­tra­ta in mag­gio­ran­za in Bar­rei­ro, cit­tà indu­stria­le vici­no a Lisbo­na, dall’altro lato del fiu­me Tago. Cham­pa­li­maud, uno dei diri­gen­ti più influen­ti del­la bor­ghe­sia, rea­gì dichia­ran­do: «Gli ope­rai sono oggi trop­po libe­ri»[11].
I dipin­ti mura­li poli­ti­ci – pan­nel­li alla mes­si­ca­na, graf­fi­ti all’americana, “daze­bao” alla cine­se, oltre a sem­pli­ci dise­gni – face­va­no del­le vie di Lisbo­na un’espressione estetico‑culturale di que­sto “uni­ver­so diver­so” del­la rivo­lu­zio­ne. Ce n’erano di tut­ti i tipi, dai più solen­ni ai più irri­ve­ren­ti. All’ingresso del cimi­te­ro, impa­ga­bi­le, cam­peg­gia­va “Abbas­so i mor­ti, la ter­ra a chi la lavo­ra”. Nei gran­di via­li, quel­lo dram­ma­ti­co, “Non un solo sol­da­to per le colo­nie”. Nel­la regio­ne del­le stra­de nuo­ve – quar­tie­ri dei pri­vi­le­gia­ti – ce n’era uno che dice­va “La cri­si la paghi­no i ric­chi”, fir­ma­to dall’Unione Demo­cra­ti­ca Popo­la­re (Udp), e, subi­to a fian­co, un altro che repli­ca­va “La cri­si la paghi la Udp”, fir­ma­to: “I ricchi”.
La Chie­sa non sfug­gì alla furia del pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio. A Lisbo­na, le chie­se furo­no diser­ta­te dai gio­va­ni. Asso­cia­ta per decen­ni al sala­za­ri­smo – quan­do il car­di­na­le Cere­jei­ra fu il brac­cio destro del regi­me – la Chie­sa era pale­se­men­te scon­fes­sa­ta, soprat­tut­to nel Sud del pae­se, da ampi set­to­ri socia­li. Le occu­pa­zio­ni si este­se­ro ai mez­zi di comu­ni­ca­zio­ne. Il 27 mag­gio, i lavo­ra­to­ri di Radio Rena­sce­nça occu­pa­ro­no gli stu­di e il cen­tro di tra­smis­sio­ne. Fu rimos­sa la deno­mi­na­zio­ne di “emit­ten­te cat­to­li­ca” e si comin­ciò a tra­smet­te­re una pro­gram­ma­zio­ne di soste­gno alle lot­te dei lavoratori.
Gli ope­rai del­la Lisna­ve (Can­tie­ri nava­li di Lisbo­na) die­de­ro sin dall’inizio l’esempio – furo­no la “Puti­lov” del­la rivo­lu­zio­ne por­to­ghe­se[12] – orga­niz­zan­do pic­chet­ti per occu­pa­re il loro sin­da­ca­to e impo­nen­do nego­zia­zio­ni con l’amministrazione. Nel­la cit­tà di Ama­do­ra, una del­le vaste con­cen­tra­zio­ni ope­ra­ie – para­go­na­bi­le ai distret­ti indu­stria­li di Vyborg o dell’ABC[13] – la Sore­fa­me, una del­le più gran­di indu­strie metal­lur­gi­che del Pae­se, entrò in scio­pe­ro, così come la Toyo­ta, la Fire­sto­ne, la Renault, la Car­ris (impre­sa dei tra­spor­ti urba­ni), la TAP (linea aeree) e la CP (Com­bo­ios de Por­tu­gal, le fer­ro­vie). L’agitazione si este­se anche ver­so l’interno, come tra gli ope­rai tes­si­li di Covi­lhã, o i mina­to­ri di Pana­squei­ra. L’ondata di auto‑organizzazionee – for­ma­zio­ne di com­mis­sio­ni di lavo­ra­to­ri – che appro­fon­di­va la dina­mi­ca rivo­lu­zio­na­ria del­la situa­zio­ne, pro­dus­se reazioni:

«I sin­da­ca­li­sti del Par­ti­to comu­ni­sta, avvi­li­ti, si lamen­ta­va­no: “Gli scio­pe­ran­ti fan­no tabu­la rasa del­le for­me tra­di­zio­na­li di lot­ta, nep­pu­re ten­ta­no di nego­zia­re, e a vol­te deci­do­no di fer­ma­re il lavo­ro sen­za nean­che aver pre­pa­ra­to una lista di riven­di­ca­zio­ni. In mol­ti casi, i lavo­ra­to­ri non si limi­ta­no a chie­de­re aumen­ti, pas­sa­no all’azione diret­ta, cer­ca­no di pren­de­re il pote­re deci­sio­na­le e di isti­tui­re la coge­stio­ne sen­za esser­vi pre­pa­ra­ti” (così, Fran­ci­sco Canais Rocha al Diá­rio de Lisboa, 24/6/1974). Per recu­pe­ra­re le “for­me tra­di­zio­na­li di lot­ta”, il Pcp lan­ciò il 19 luglio la paro­la d’ordine del­la sosti­tu­zio­ne del­le com­mis­sio­ni di lavo­ra­to­ri con dele­ga­ti sin­da­ca­li»[14].

Anche quan­do il Pcp uti­liz­za­va tut­ta la sua immen­sa auto­ri­tà per fre­na­re – o sabo­ta­re – gli scio­pe­ri, le occu­pa­zio­ni di ter­re nei lati­fon­di dell’Alentejo si anda­va­no gene­ra­liz­zan­do, men­tre si dif­fon­de­va­no le occu­pa­zio­ni di case sfit­te a Lisbo­na e a Por­to; le “boni­fi­che” – un eufe­mi­smo uti­liz­za­to per defi­ni­re le espul­sio­ni dei fasci­sti – pro­du­ce­va­no epu­ra­zio­ni nel­la mag­gior par­te del­le impre­se, a comin­cia­re dal ser­vi­zio pub­bli­co, e la pres­sio­ne stu­den­te­sca nel­le Uni­ver­si­tà impo­ne­va assem­blee deliberative.

Spez­zo­ne dei lavo­ra­to­ri dei Can­tie­ri Lisnave

Tut­to l’antico ordi­ne sem­bra­va crol­la­re e i cam­bia­men­ti pre­ci­pi­ta­va­no ver­ti­gi­no­sa­men­te. La lot­ta cam­bia­va la vita:

«La crea­zio­ne del sala­rio mini­mo nazio­na­le riguar­da­va più del 50% dei sala­ria­ti fra i lavo­ra­to­ri agri­co­li. Era­no i lavo­ra­to­ri meno qua­li­fi­ca­ti, le don­ne, i più oppres­si, a costi­tui­re l’avanguardia del­la con­qui­sta del pote­re d’acquisto e dei dirit­ti socia­li. Il pote­re d’acquisto dei sala­ria­ti aumen­tò del 25,4% nel 1974 e nel 1975; i sala­ri che, nel 1974, rap­pre­sen­ta­va­no il 48% del red­di­to nazio­na­le, rag­giun­se­ro il 56,9% nel 1975. La strut­tu­ra del­la pro­prie­tà si modi­fi­cò: 117 impre­se furo­no nazio­na­liz­za­te, altre 219 ave­va­no più del 50% di par­te­ci­pa­zio­ne sta­ta­le, in 206 vi fu inter­ven­to pub­bli­co riguar­dan­do 55.000 ope­rai; 700 impre­se entra­ro­no in auto­ge­stio­ne, con 30.000 ope­rai»[15].

Ogni rivo­lu­zio­ne ha il suo voca­bo­la­rio. Come il pen­do­lo del­la poli­ti­ca oscil­la­va ver­so l’estrema sini­stra, i discor­si del­la destra svol­ta­va­no ver­so il cen­tro, e dal cen­tro ver­so sini­stra. Il tra­ve­sti­ti­smo poli­ti­co – la man­can­za di cor­ri­spon­den­za tra paro­le e atti – ren­de­va irri­co­no­sci­bi­li le pro­po­ste dei par­ti­ti elet­to­ra­li. Ma in Por­to­gal­lo le for­ze bor­ghe­si anda­ro­no oltre l’immaginabile. Tut­te le for­ma­zio­ni poli­ti­che, per­fi­no il Par­ti­to Popo­la­re Monar­chi­co, riven­di­ca­va­no una qual­che for­ma di socia­li­smo: il che spie­ga la reto­ri­ca del­la sor­pren­den­te Costi­tu­zio­ne anco­ra oggi in vigore.

Le ele­zio­ni per la Costituente
La situa­zio­ne aper­ta­si con la cadu­ta di Spí­no­la por­ta­va nuo­ve sfi­de. La bor­ghe­sia esi­ge­va ordi­ne e, soprat­tut­to, rispet­to per la pro­prie­tà pri­va­ta. Di fron­te alle riven­di­ca­zio­ni bor­ghe­si, il Ps e il Pcp, le for­ze poli­ti­che di gran lun­ga mag­gio­ri­ta­rie e le uni­che con auto­ri­tà mora­le nel­la dire­zio­ne dei gover­ni prov­vi­so­ri – oltre al Mfa – si divi­se­ro pro­vo­can­do una scis­sio­ne fra i lavo­ra­to­ri e i loro alleati.
Il 25 apri­le 1975, le ele­zio­ni per l’Assemblea costi­tuen­te furo­no sor­pren­den­ti. Il Ps fu il gran­de vin­ci­to­re con lo spet­ta­co­la­re dato del 37,87%. Il Pcp delu­se con solo il 12,53% mostran­do un abis­so fra la sua for­za di mobi­li­ta­zio­ne socia­le ed elet­to­ra­le. Il Ppd di Sá Car­nei­ro, un diri­gen­te libe­ra­le inse­ri­to nel­le strut­tu­re del regi­me sala­za­ri­sta, giun­se secon­do con il 26,38%. Il Cds di estre­ma destra e altre for­ze di sini­stra pure otten­ne­ro rap­pre­sen­tan­za parlamentare.
Tre pro­get­ti e tre legit­ti­mi­tà entra­ro­no in con­flit­to. E que­sta divi­sio­ne attra­ver­sò anche il Mfa. Sor­se­ro tre cam­pi: quel­lo del gover­no di Vasco Gonçal­ves, con il Pcp, che si appog­gia­va sul­la mag­gio­ran­za del Mfa; quel­lo di Soa­res[16], che riven­di­ca­va l’autorità del risul­ta­to nel­le urne; e quel­lo sog­get­ti­va­men­te più fra­gi­le – eppu­re il più temu­to, per­ché anti­ca­pi­ta­li­sta – quel­lo cioè che nasce­va dagli embrio­ni di pote­re popolare.

Un pro­get­to nazio­na­le autarchico
Il Pcp fu uno dei pri­mi par­ti­ti comu­ni­sti a par­te­ci­pa­re ad un gover­no in Euro­pa occi­den­ta­le dopo la guer­ra. Pri­ma di esso, ce ne fu uno a gover­na­re in coa­li­zio­ne in Islan­da, ma non sem­brò aver pre­oc­cu­pa­to più di tan­to Washing­ton. Il par­ti­to di Álva­ro Cun­hal[17] fu l’unica orga­niz­za­zio­ne che attra­ver­sò tut­ta la resi­sten­za alla dit­ta­tu­ra di Sala­zar. Gli anni del­le con­dan­ne in car­ce­re dei mem­bri del suo Comi­ta­to cen­tra­le ammon­ta­va­no a più di due seco­li, e que­sto dà un’idea del rispet­to che riscuo­te­va fra le mas­se che odia­va­no il fascismo.
Ma era anche uno dei par­ti­ti più orga­ni­ca­men­te inte­gra­ti con Mosca e con una dire­zio­ne mol­to più omo­ge­nea rispet­to all’omologo par­ti­to di San­tia­go Car­ril­lo nel­lo Sta­to spa­gno­lo. La mag­gior par­te dei suoi qua­dri ave­va avu­to lun­ghe per­ma­nen­ze nell’Urss o nei Pae­si dell’Est. Cun­hal non sareb­be sta­to un Tito, e nep­pu­re un Mao. Non sareb­be anda­to oltre i limi­ti nego­zia­ti da Breznev.
Il Pcp ave­va resi­sti­to, intat­to, alle rot­tu­re filo­ci­ne­si e alle pres­sio­ni castri­ste. Dopo il 25 apri­le fu mag­gio­ri­ta­rio nel­le gran­di con­cen­tra­zio­ni del­la clas­se ope­ra­ia, fra i lavo­ra­to­ri rura­li dell’Alentejo e i con­ta­di­ni pove­ri dell’interno, così come pure fra la popo­la­zio­ne ple­bea del Sud del Pae­se. Tut­ta­via, con­cen­tra­va la sua influen­za nel­la Gran­de Lisbona.
Giun­se ad ave­re un’importante peso all’interno del Mfa che si espri­me­va, soprat­tut­to, attra­ver­so la Quin­ta Divi­sio­ne. Alla testa di una strut­tu­ra orga­niz­za­ta di cir­ca 100.000 mili­tan­ti, era una mac­chi­na poli­ti­ca dall’incredibile effi­cien­za, capa­ce di orga­niz­za­re, let­te­ral­men­te in poche ore, mani­fe­sta­zio­ni di piaz­za di deci­ne di miglia­ia di par­te­ci­pan­ti. Par­te­ci­pò ai gover­ni prov­vi­so­ri sin dall’inizio. Duran­te il quin­to gover­no prov­vi­so­rio – dopo la rot­tu­ra del Ps, quan­do già non c’erano più rap­pre­sen­tan­ti diret­ti del­la bor­ghe­sia – dife­se Vasco Gonçal­ves fino all’ultimo giorno.
Ben­ché l’Urss fos­se inte­res­sa­ta ad una rivo­lu­zio­ne anti­ca­pi­ta­li­sta – inac­cet­ta­bi­le per gli Usa – in un pic­co­lo Pae­se dell’Europa occi­den­ta­le, Mosca ave­va inte­res­si in Afri­ca. Sen­za la pro­spet­ti­va del­le rela­zio­ni con l’Angola, la Gui­nea e il Mozam­bi­co, sareb­be impos­si­bi­le ana­liz­za­re la stra­te­gia del par­ti­to di Cun­hal. La que­stio­ne afri­ca­na era al cen­tro del­le pre­oc­cu­pa­zio­ni diplo­ma­ti­che dell’Unione Sovie­ti­ca nel siste­ma mon­dia­le di Stati:

«Il Pcp si lan­cia in una cor­sa con­tro il tem­po che gli per­met­ta di crea­re le con­di­zio­ni per una rapi­da deco­lo­niz­za­zio­ne che pos­sa met­te­re da par­te qual­sia­si vel­lei­tà di inter­ven­to di altre poten­ze e favo­ri­re la tra­smis­sio­ne del pote­re nel­le colo­nie nel­le mani dei movi­men­ti che dall’inizio sono, di fat­to, nel­la miglio­re situa­zio­ne: il Fre­li­mo, il PAIGC e l’MPLA»[18].

La Guinea‑Bissau diven­ne indi­pen­den­te il 26 ago­sto 1974; l’indipendenza del Mozam­bi­co fu rico­no­sciu­ta il 25 giu­gno 1975, e quel­la di Capo Ver­de il 5 luglio. L’indipendenza dell’Angola, dichia­ra­ta uni­la­te­ral­men­te dall’MPLA, ven­ne regi­stra­ta l’11 novem­bre, quan­do era già in cari­ca dal 19 set­tem­bre il sesto gover­no prov­vi­so­rio a gui­da Pin­hei­ro de Aze­ve­do che però era mes­so in discus­sio­ne da for­ti mobi­li­ta­zio­ni, come lo scio­pe­ro degli edi­li che asse­dia­ro­no l’Assemblea del­la Repubblica.
Il Pcp pra­ti­ca­va una poli­ti­ca stu­pe­fa­cen­te, cer­can­do di con­vin­ce­re le mas­se in lot­ta che il pote­re poli­ti­co era già sta­to con­qui­sta­to. Man­ca­va solo il pote­re eco­no­mi­co, ma la “demo­cra­zia nazio­na­le” – il regi­me di tute­la del Mfa sui gover­ni prov­vi­so­ri in allean­za con le “for­ze pro­gres­si­ste” – avreb­be per­mes­so di “avan­za­re ver­so la vit­to­ria”. La situa­zio­ne, inve­ce, era pra­ti­ca­men­te l’opposto: gran par­te del capi­ta­le era già sta­ta espro­pria­ta, ma la bor­ghe­sia – poli­ti­ca­men­te – era anco­ra al pote­re per­ché con­ser­va­va posi­zio­ni chia­ve den­tro le for­ze arma­te. Il Pcp soste­ne­va che il socia­li­smo non era all’ordine del gior­no. In sin­te­si, una for­mu­la tap­pi­sta (che giu­sti­fi­ca­va la rinun­cia all’antagonismo fra capi­ta­le e lavo­ro come il fat­to­re deci­si­vo) e al con­tem­po illu­sio­ni­sta. Una for­mu­la, insom­ma, che dif­fon­de­va illu­sio­ni rispet­to alla cosa più impor­tan­te: la lot­ta per il pote­re. Si distin­se nel­la cam­pa­gna per la “bat­ta­glia per la pro­du­zio­ne” con­tro quel­lo che con­si­de­ra­va l’avventurismo e l’estremismo degli scio­pe­ri ad oltran­za: «In una fase ini­zia­le del pro­ces­so, gra­zie alla sua lun­ga esi­sten­za, alla sua orga­niz­za­zio­ne, alla sua disci­pli­na ed espe­rien­za – pun­ti di for­za che gli garan­ti­sco­no dall’inizio una capa­ci­tà di mano­vra di attac­co e rispo­sta, di avan­za­men­to e riti­ra­ta, infi­ni­ta­men­te supe­rio­ri a quel­li di qual­sia­si altro par­ti­to – è il Pcp ad esse­re alla testa. Ed è pro­prio per esse­re alla testa, per sen­tir­si in qual­che misu­ra con­fu­so con il pote­re – pote­re di fat­to – che il Pcp diven­ta il prin­ci­pa­le avver­sa­rio del movi­men­to degli scio­pe­ri»[19].

Cun­hal e Breznev

Secon­do Cun­hal, una rivo­lu­zio­ne socia­le non era pos­si­bi­le e si trat­ta­va inve­ce di recu­pe­ra­re un’economia deca­den­te: ciò che esi­ge­va alcu­ne nazio­na­liz­za­zio­ni e qual­che acco­mo­da­men­to del­le riven­di­ca­zio­ni popo­la­ri. Il Pcp si lan­ciò in una poli­ti­ca di “guer­ra di posi­zio­ne”, ma non fra le clas­si, ben­sì fra i par­ti­ti: dispu­ta dell’influenza sul Mfa, occu­pa­zio­ne di inca­ri­chi e con­trol­lo mono­li­ti­co degli spa­zi den­tro e fuo­ri lo Sta­to. Nel suo affan­no buro­cra­ti­co, ali­men­ta­va una siste­ma­ti­ca poli­ti­ca d’apparato che semi­na­va divi­sio­ni, e dun­que sfi­du­cia, fra i lavoratori.
Appog­gia­va la cor­ren­te d’opinione mag­gio­ri­ta­ria fra gli uffi­cia­li che com­po­ne­va­no il Con­si­glio del­la Rivo­lu­zio­ne, l’organismo al ver­ti­ce del Mfa che di fat­to eser­ci­ta­va dall’11 mar­zo una tute­la sul gover­no, smi­nuen­do il ruo­lo del­le rela­zio­ni poli­ti­che tra par­ti­ti nel­la Costi­tuen­te. Il Pcp era coe­ren­te con la stra­te­gia del­la “allean­za del popo­lo con le for­ze arma­te” e pro­pu­gna­va il rispet­to del­la gerar­chia nel­la cate­na di coman­do alla base del­la disci­pli­na nel Mfa: «Nel­le for­ze arma­te non sarà con­sen­ti­to nes­sun tipo di orga­niz­za­zio­ne dal carat­te­re politico‑militare, di par­ti­to o meno, estra­nea al Mfa: tut­ti i mili­ta­ri dovran­no esse­re pro­gres­si­va­men­te inte­gra­ti nel loro pro­prio movi­men­to»[20].
Soste­ne­va inol­tre la neces­si­tà di un pro­get­to nazio­na­li­sta semi‑autarchico, la “demo­cra­zia nazio­na­le”, per­ché pre­ten­de­va rico­no­sce­re l’indipendenza del­le colo­nie, ma sal­va­guar­dan­do gli inte­res­si por­to­ghe­si, che non era­no pochi, e pre­ser­van­do la con­di­zio­ne di sub­me­tro­po­li inter­me­dia­tri­ce tra Afri­ca ed Euro­pa. Il mito sul­la pos­si­bi­li­tà di un “gol­pe comu­ni­sta” – un’invenzione che ser­vi­va per la mobi­li­ta­zio­ne con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ria – era il caval­lo di bat­ta­glia di Soa­res e di tut­ta la stam­pa di destra, men­tre i tam­bu­ri dell’estrema destra rul­la­va­no. E inve­ce: «Tut­ta la fin­zio­ne sui ten­ta­ti­vi del Pcp di con­qui­sta­re il pote­re, l’analisi sull’imminenza di un “gol­pe di Pra­ga”, che ebbe­ro una gran­de impor­tan­za in quel pri­mo anno del­la Rivo­lu­zio­ne por­to­ghe­se, altro non era­no che ele­men­ti di un’offensiva ideo­lo­gi­ca con l’obiettivo di sti­mo­la­re la divi­sio­ne nel movi­men­to ope­ra­io. Non c’era un bri­cio­lo di veri­tà. Ciò che inve­ce i rivo­lu­zio­na­ri devo­no denun­cia­re in un bilan­cio rigo­ro­so è pro­prio l’adattamento del Pcp al pote­re costi­tui­to con cui cer­ca­va di pre­ser­va­re i rap­por­ti di pro­du­zio­ne in un con­te­sto in cui il par­ti­to ten­ta­va di gua­da­gna­re mar­gi­ni di mano­vra, posti di con­trol­lo, stru­men­ti di influen­za […]. Una testi­mo­nian­za deci­si­va è quel­la di Costa Gomes che rac­con­ta come Brez­nev gli aves­se con­fi­da­to le sue pre­oc­cu­pa­zio­ni sull’evoluzione del­la situa­zio­ne por­to­ghe­se e sul­la neces­si­tà per il Pae­se di resta­re all’interno del­la Nato»[21].
L’influenza del Pcp nel quar­to e nel quin­to gover­no spie­ga il flirt con il movi­men­to dei Pae­si non alli­nea­ti, una via inter­me­dia fra un alli­nea­men­to incon­di­zio­na­to all’Europa che vole­va quan­to­me­no rin­via­re e una rot­tu­ra che desi­de­ra­va impe­di­re. I comu­ni­sti si appog­gia­va­no sul­le impo­nen­ti mobi­li­ta­zio­ni di mas­sa per deviar­le entro i limi­ti del regi­me. Fre­na­va­no appe­na pos­si­bi­le l’auto‑organizzazione, spe­cial­men­te nel­le caser­me. C’era imba­raz­zo nel gover­no, nel Mfa e nel Pcp rispet­to all’azione diret­ta che met­te­va in discus­sio­ne la pro­prie­tà pri­va­ta dei gran­di mono­po­li, del­le ban­che e dei lati­fon­di dell’Alentejo, ma il pro­ces­so ave­va una dina­mi­ca anti­ca­pi­ta­li­sta indi­pen­den­te che nes­su­no riu­sci­va a con­trol­la­re fino in fon­do. Insom­ma, come difen­de­re la pro­prie­tà dei com­pli­ci gol­pi­sti di Spínola?

La rea­zio­ne “demo­cra­ti­ca”
L’imperialismo ame­ri­ca­no, più atti­vo di quel­lo euro­peo duran­te la Rivo­lu­zio­ne por­to­ghe­se, era con­sa­pe­vo­le del fat­to che anche la que­stio­ne afri­ca­na si dispu­tas­se a Lisbo­na. Non stu­pi­sce che la flot­ta del­la Nato sia sta­ta di stan­za nel Tago nel 1975. Fece innan­zi­tut­to pres­sio­ne per­ché la rivo­lu­zio­ne fos­se con­trol­la­ta dal Mfa, quan­tun­que fos­se allea­to con il Pcp, e poi, quan­do fu chia­ro che il gover­no di Vasco Gonçal­ves era inca­pa­ce di con­te­ne­re le basi socia­li sul­le qua­li si soste­ne­va, si appog­giò all’opposizione di destra.
Spet­tò al Par­ti­to socia­li­sta, gui­da­to da Mário Soa­res – uomo di fidu­cia dell’Europa – il ruo­lo chia­ve nel­la dispu­ta poli­ti­ca per la sta­bi­liz­za­zio­ne, a fron­te del­la fra­gi­li­tà strut­tu­ra­le dei par­ti­ti bor­ghe­si. Il suo pia­no era di far cade­re il quin­to gover­no gra­zie alla divi­sio­ne nel Mfa e, subi­to dopo, affo­ga­re la rivo­lu­zio­ne nel­le urne.
Il Ps fu il par­ti­to dei lavo­ra­to­ri dei ser­vi­zi e degli ope­rai più mode­ra­ti, ma anche del­la mag­gio­ran­za del­le clas­si medie, soprat­tut­to al cen­tro e al Nord del pae­se, e gua­da­gnò il soste­gno del­la bor­ghe­sia, del­la Chie­sa, e degli uffi­cia­li rea­zio­na­ri del­le for­ze arma­te. Vole­va con­so­li­da­re un regi­me demo­cra­ti­co libe­ra­le sta­bi­le e sep­pel­li­re il più rapi­da­men­te pos­si­bi­le l’esperienza di dua­li­smo di pote­re che si esten­de­va. Il Ps fu pre­sen­te in tut­ti i gover­ni prov­vi­so­ri fino al luglio del 1975, quan­do rup­pe con Vasco Gonçal­ves. Da quel momen­to, Soa­res si lan­ciò in una duris­si­ma cam­pa­gna con­tro il quin­to gover­no, pra­ti­can­do una divi­sio­ne nel Mfa – con l’appoggio al Grup­po dei Nove diret­to da Melo Antu­nes e Vasco Lou­re­nço – e costruen­do una mobi­li­ta­zio­ne che por­tò cen­ti­na­ia di miglia­ia di per­so­ne all’Alameda da Fon­te Lumi­no­sa, a Lisbo­na. Una cam­pa­gna di que­ste dimen­sio­ni, tut­ta­via, non sareb­be sta­ta pos­si­bi­le solo con l’appoggio del­la con­tro­ri­vo­lu­zio­ne. Mol­te miglia­ia di lavo­ra­to­ri che ripu­dia­va­no le limi­ta­zio­ni già spe­ri­men­ta­te alle liber­tà demo­cra­ti­che rispo­se­ro all’appello del Ps. La divi­sio­ne in seno alle for­ze popo­la­ri era consumata.
Soa­res usò come ban­die­ra la dife­sa del­le liber­tà demo­cra­ti­che e, come esem­pio, l’episodio del quo­ti­dia­no Repú­bli­ca. L’occupazione da par­te degli ope­rai del­la gra­fi­ca del gior­na­le di Raul Rego, mem­bro dell’esecutivo del Ps – un’azione che divi­se i lavo­ra­to­ri e le clas­si medie per­ché, seb­be­ne si appog­gias­se sul­la legit­ti­mi­tà del­la riven­di­ca­zio­ne di dirit­ti, seque­stra­va il quo­ti­dia­no del­la social­de­mo­cra­zia – fu il pre­te­sto per ini­zia­re una cam­pa­gna di mobi­li­ta­zio­ne per far cade­re il quin­to gover­no. Come dis­se lo stes­so Mário Soa­res: «La nostra rivo­lu­zio­ne è in peri­co­lo nel­la misu­ra in cui si met­to­no in discus­sio­ne le isti­tu­zio­ni demo­cra­ti­che che sono il suo pri­mo fon­da­men­to e giu­sti­fi­ca­zio­ne […]. C’è una cri­si gene­ra­le di auto­ri­tà del­lo Sta­to, cor­rot­to dal­la dema­go­gia, dall’irresponsabilità e dall’anarco‑populismo»[22].
I socia­li­sti teme­va­no che la dina­mi­ca anti­ca­pi­ta­li­sta si dif­fon­des­se nel­la Spa­gna – anco­ra sot­to la dit­ta­tu­ra fran­chi­sta ma in una situa­zio­ne mol­to insta­bi­le che avreb­be potu­to rapi­da­men­te evol­ve­re in sen­so rivo­lu­zio­na­rio – e radi­ca­liz­zas­se le mas­se gio­va­ni­li e dei lavo­ra­to­ri in tut­ta l’area sud del Medi­ter­ra­neo pochi anni dopo l’ondata del ’68. La let­te­ra di inte­gra­zio­ne nel­la Comu­ni­tà euro­pea e la pro­mes­sa di esten­de­re ai por­to­ghe­si un teno­re di vita simi­le a quel­lo degli euro­pei, che una signi­fi­ca­ti­va par­te del­la popo­la­zio­ne cono­sce­va attra­ver­so gli appor­ti eco­no­mi­ci alla fra­gi­le eco­no­mia del Pae­se da par­te di chi era emi­gra­to, era il suo più impor­tan­te asso nel­la manica.

Mário Soa­res

Il 18 e 19 luglio, pri­ma a Por­to e poi a Lisbo­na, il Ps sce­se in piaz­za per misu­ra­re le for­ze e mostrò chia­ra­men­te la sua capa­ci­tà di sfi­da­re il Pcp sul ter­re­no che fino ad allo­ra era sta­to asso­lu­ta­men­te appan­nag­gio di que­sto. Riu­nì cen­ti­na­ia di miglia­ia di per­so­ne nei comi­zi più par­te­ci­pa­ti dopo il 1° mag­gio 1974. Soa­res minac­cia­va di fer­ma­re il Pae­se e sem­bra­va capa­ce di far­lo. Il 20 luglio comin­cia­ro­no gli assal­ti, al nord e al cen­tro del Pae­se, con­tro le sedi del Pcp, del Mes, del Mdp/Cde. Per quin­di­ci gior­ni[23] si regi­stra­ro­no sac­cheg­gi e incen­di – a vol­te con la par­te­ci­pa­zio­ne di pre­ti alla testa, come se si trat­tas­se di pro­ces­sio­ni – anche con­tro le sedi dei sindacati.
La Chie­sa cat­to­li­ca si aggiun­se a que­sto fron­te che ave­va la sua voce in Soa­res; le sue gam­be e i musco­li nel­la for­za d’apparato del Ppd (par­ti­to bor­ghe­se che rag­grup­pa­va in mag­gio­ran­za i qua­dri del sala­za­ri­smo rici­cla­to) e nel Cds (l’estrema destra ideo­lo­gi­ca­men­te più dura); e la sua auto­ri­tà mora­le nei car­di­na­li e vesco­vi. Né man­cò il dena­ro. Furo­no mol­ti i milio­ni di dol­la­ri uti­liz­za­ti dall’ambasciata – allo­ra diret­ta dal tri­ste­men­te noto Frank Car­luc­ci, non a caso poi uomo di Rea­gan in Nica­ra­gua e oggi gran­de inve­sti­to­re immo­bi­lia­re in Por­to­gal­lo – per lan­cia­re gior­na­li, mani­po­la­re le radio e con­vo­ca­re mani­fe­sta­zio­ni di piaz­za com­po­ste dai set­to­ri di clas­se media più arre­tra­ti e dispo­sti a pro­teg­ge­re il Pae­se dal peri­co­lo del “comu­ni­ta­ri­smo totalitario”.

«Die­tro il discor­so lega­li­ta­rio c’era la sor­di­da real­tà del­la divi­sio­ne ope­ra­ia, del­lo scon­tro aper­to, stru­men­ti del­la poli­ti­ca sia del Ps che del Pcp. Un gior­na­li­sta vici­no a Soa­res e Mit­ter­rand, Jean Daniel, del Nou­vel Obser­va­teur, giun­ge­va a que­sto pun­to per giu­sti­fi­ca­re la poli­ti­ca di Soa­res: “Se il Pcp per­se­ve­ra dia­bo­li­ca­men­te in una logi­ca che impli­ca l’eliminazione degli altri par­ti­ti ope­rai, qua­le altra stra­da resta se non com­bat­ter­lo allean­do­si orga­ni­ca­men­te con i rea­zio­na­ri, i cle­ri­ca­li, i fasci­sti che fino a ieri regna­va­no in Por­to­gal­lo?”. La rispo­sta fu quel­la sot­to gli occhi di tut­ti: mani­fe­sta­zio­ni di devo­ti che distrug­ge­va­no sedi, atten­ta­ti dina­mi­tar­di di diver­si tipi e, die­tro la cor­ti­na di fumo del­le ideo­lo­gie, la pre­pa­ra­zio­ne del bloc­co poli­ti­co che orga­niz­zò dal pun­to di vista civi­le e mili­ta­re il 25 novem­bre»[24].

Dopo la cadu­ta del quin­to gover­no, il pia­no si rive­lò total­men­te deva­stan­te. Con­ge­da­re som­ma­ria­men­te sol­da­ti e mari­nai gua­da­gna­ti con la rivo­lu­zio­ne e reclu­tar­ne di nuo­vi; isti­tu­zio­na­liz­za­re il Mfa e rista­bi­li­re la gerar­chia nel­le for­ze arma­te; distrug­ge­re il dop­pio pote­re; por­re fine all’assemblearismo e al dirit­to dei lavo­ra­to­ri di riu­nir­si nei luo­ghi di lavo­ro e di mani­fe­sta­re; “libe­ra­re” l’Assemblea Costi­tuen­te dal­la tute­la del Mfa; rea­liz­za­re il più rapi­da­men­te pos­si­bi­le ele­zio­ni pre­si­den­zia­li; ricat­ta­re le mas­se soste­nen­do che i fon­di euro­pei e sta­tu­ni­ten­si sareb­be­ro arri­va­ti solo dopo la scon­fit­ta degli estremisti.

La lot­ta per il pote­re popolare
Il ter­zo cam­po – cioè, le for­ze che si col­lo­ca­va­no alla sini­stra del quin­to gover­no – era l’unico che, in teo­ria, difen­de­va la neces­si­tà del­la rivo­lu­zio­ne socia­li­sta. Il mini­mo che si può dire per descri­ver­lo è che era ace­fa­lo. Non riu­scì ad affer­mar­si come oppo­si­zio­ne a Vasco Gonçalves.
Eppu­re, l’impatto del­le sue ini­zia­ti­ve poli­ti­che fu signi­fi­ca­ti­vo. Ave­va influen­za, ben­ché mino­ri­ta­ria, tra i gio­va­ni ope­rai e gli stu­den­ti. Non ave­va una dire­zio­ne omo­ge­nea, ma face­va affi­da­men­to sul­la sim­pa­tia di un rile­van­te set­to­re del­le basi socia­li­ste e comu­ni­ste che, sen­za rom­pe­re con le pro­prie dire­zio­ni, era comun­que spin­ta dall’entusiasmo del­la par­te­ci­pa­zio­ne negli orga­ni­smi del­la demo­cra­zia diret­ta. Il 17 luglio, per esem­pio, con­vo­ca­ta dal Par­ti­to Rivo­lu­zio­na­rio del Proletariato/Brigate Rivo­lu­zio­na­rie – che influen­za­va il Con­si­glio Rivo­lu­zio­na­rio dei Lavo­ra­to­ri, Sol­da­ti e Mari­nai – ven­ne rea­liz­za­ta a Lisbo­na una mani­fe­sta­zio­ne arma­ta che otten­ne l’adesione del Ralis, prin­ci­pa­le caser­ma del­la cit­tà, i cui mili­ta­ri por­ta­ro­no in stra­da i blindati.
Il 25 set­tem­bre, ci fu la mani­fe­sta­zio­ne del SUV a Lisbo­na, con miglia­ia di sol­da­ti a vol­to coper­to e arma­ti, che, con l’appoggio popo­la­re, devia­ro­no deci­ne di auto­bus ver­so la caser­ma Tra­fa­ria, dall’altro lato del Tago, riu­scen­do a libe­ra­re due sol­da­ti atti­vi­sti che era­no lì detenuti.

Il capi­ta­no Fer­nan­des assal­tò una caser­ma il 30 set­tem­bre e si appro­priò di un con­si­de­re­vo­le nume­ro di armi, distri­buen­do­le clan­de­sti­na­men­te e affer­man­do che esse sareb­be­ro sta­te usa­te per difen­de­re le lot­te popo­la­ri. Ote­lo Sarai­va de Car­va­lho, coman­dan­te del­la for­za d’intervento Cop­con, con­te­sta­to dal­la stam­pa dichia­rò: «Se le armi sono in mano al popo­lo, allo­ra sono in buo­ne mani».
L’iniziativa di que­sta mili­tan­za “a sini­stra del­la sini­stra” fu all’origine di una par­te signi­fi­ca­ti­va di epi­so­di eroi­ci del­la rivo­lu­zio­ne. Il bilan­cio poli­ti­co più gene­ra­le fu, tut­ta­via, deso­lan­te. L’estrema sini­stra cede­va alle pres­sio­ni dei due appa­ra­ti più poten­ti, il Ps e il Pcp, e non sem­bra ingiu­sto dire che restò pri­gio­nie­ra del­la for­za di gra­vi­tà, o del­lo sta­li­ni­smo o del­la social­de­mo­cra­zia. Essa si divi­se, gros­so modo, in tre posizioni.

  • La pri­ma, e più influen­te, soprat­tut­to nel Mfa e fra gli intel­let­tua­li, era com­po­sta da for­ze (Mes, Luar, Prp e Udp) che rag­grup­pa­va­no set­to­ri di sini­stra cat­to­li­ca, castri­sti e comu­ni­sti filoal­ba­ne­si. La sua poli­ti­ca con­si­ste­va nel non valo­riz­za­re la neces­si­tà di costrui­re orga­ni­smi uni­ta­ri di base che avreb­be­ro potu­to favo­ri­re la rot­tu­ra del­le mas­se socia­li­ste e comu­ni­ste con le loro dire­zio­ni; al con­tra­rio, ricer­ca­va allean­ze sovra­strut­tu­ra­li con set­to­ri degli uffi­cia­li. Inol­tre, ave­va una let­tu­ra impres­sio­ni­sti­ca del­la situa­zio­ne, rite­nen­do immi­nen­te un gol­pe fasci­sta: secon­do que­sta sem­pli­ci­sti­ca – e inge­nua – ana­li­si, la bor­ghe­sia avreb­be potu­to scon­fig­ge­re la rivo­lu­zio­ne solo con un col­po di sta­to arma­to e non attra­ver­so la rico­stru­zio­ne del­le isti­tu­zio­ni democratico‑borghesi, con­si­de­ra­ta impos­si­bi­le. Su que­sta visio­ne influì mol­to il gol­pe di Pino­chet in Cile.
  • La secon­da posi­zio­ne rag­grup­pa­va le for­ze che guar­da­va­no al maoi­smo e ne adot­ta­va­no la biz­zar­ra teo­ria dei “cam­pi”, secon­do la qua­le nel pri­mo cam­po avreb­be­ro mili­ta­to l’imperialismo degli Usa e il social‑imperialismo dell’Urss che lot­ta­va­no fra loro, con i loro allea­ti, per la supre­ma­zia mon­dia­le; nel secon­do, ci sareb­be­ro sta­ti i Pae­si socia­li­sti; nel ter­zo, la mag­gio­ran­za del­le nazio­ni peri­fe­ri­che. La stra­va­gan­te con­clu­sio­ne era che, dopo la rot­tu­ra di Soa­res con il quin­to gover­no, il mag­gior peri­co­lo veni­va dal social‑imperialismo rus­so, a cau­sa del peso del Pcp, che veni­va accu­sa­to di esse­re social‑fascista.
  • La ter­za posi­zio­ne era com­po­sta da dire­zio­ni sen­za espe­rien­za e poli­ti­ca­men­te qua­si imber­bi. Le tre orga­niz­za­zio­ni che la com­po­ne­va­no, e che si richia­ma­va­no alla Quar­ta Inter­na­zio­na­le, era­no mol­to pic­co­le. Due di esse – la Lci (Liga Comu­ni­sta Inter­na­cio­na­li­sta) e il Prt (Par­ti­do Revo­lu­cio­na­rio dos Tra­ba­lha­do­res) – ave­va­no un inter­ven­to indi­pen­den­te. L’altra, lega­ta alla Oci fran­ce­se, mili­ta­va come cor­ren­te all’interno del Par­ti­to socia­li­sta. Ave­va­no linee poli­ti­che dif­fe­ren­zia­te, tan­to da non riu­sci­re a pro­por­re una par­te­ci­pa­zio­ne con­giun­ta alle ele­zio­ni del 1975 e 1976. Non­di­me­no, la Lci ebbe un ruo­lo deci­si­vo nel­la for­ma­zio­ne dei SUV e una cer­ta influen­za in alcu­ne gran­di impre­se; il Prt, pur mar­gi­na­le, co‑diresse il movi­men­to degli stu­den­ti licea­li e rea­liz­zò un impor­tan­te inter­ven­to fra i metal­mec­ca­ni­ci di Avei­ro; la ter­za com­po­nen­te, in quan­to ten­den­za all’interno del Ps, riu­scì ad eleg­ge­re due depu­ta­ti alla Costi­tuen­te del 1975.

La rivo­lu­zio­ne impossibile
Il 25 novem­bre 1975 ci fu la pri­ma scon­fit­ta seria. Comin­ciò con una pro­vo­ca­zio­ne. Un ordi­ne del­lo Sta­to mag­gio­re smo­bi­li­ta­va alcu­ni reg­gi­men­ti e con­ge­da­va alcu­ni reg­gi­men­ti. In rispo­sta, una sol­le­va­zio­ne mili­ta­re dei para­ca­du­ti­sti, influen­za­ti da set­to­ri dell’estrema sini­stra, ini­ziò alle pri­me ore del­la mat­ti­na. I ribel­li riu­sci­ro­no anche a pren­de­re il con­trol­lo di un’emittente tele­vi­si­va, da cui ini­zia­ro­no a tra­smet­te­re. Intan­to, un’ala degli uffi­cia­li lan­ciò un ful­mi­neo contro‑golpe e assun­se il pote­re all’interno del­le for­ze arma­te, distrug­gen­do la demo­cra­zia diret­ta nel­le caserme.

Mano­vre del Reg­gi­men­to arti­glie­ria (25 novem­bre 1975)

Il Mfa cedet­te, così come il Pcp che si giu­sti­fi­cò soste­nen­do che il Pae­se non avreb­be potu­to sop­por­ta­re una guer­ra civi­le. Le liber­tà demo­cra­ti­che non furo­no distrut­te, ma tut­te le con­qui­ste socia­li furo­no com­pro­mes­se. Costa Gomes decre­tò lo sta­to d’assedio par­zia­le nel­la regio­ne di Lisbo­na. Le trup­pe ribel­li che occu­pa­va­no Mon­san­to si arre­se­ro. Duran­te l’occupazione del­la caser­ma del Reg­gi­men­to del­la Poli­zia mili­ta­re mori­ro­no due coman­dan­ti e un agen­te. I gior­ni seguen­ti vide­ro l’arresto di deci­ne di uffi­cia­li, l’emissione di diver­si man­da­ti di cat­tu­ra, la chiu­su­ra di mol­ti gior­na­li, lo scio­gli­men­to del Cop­con e la sosti­tu­zio­ne di alte cari­che dell’esercito. Nei sei mesi suc­ces­si­vi, una signi­fi­ca­ti­va quo­ta del­le trup­pe fu smobilitata.
La for­za del­la resi­sten­za ope­ra­ia, nono­stan­te le divi­sio­ni, resta­va anco­ra viva, ma l’alleanza con i sol­da­ti, i mari­nai e gli uffi­cia­li più radi­ca­liz­za­ti si era spez­za­ta con il ripri­sti­no del­la disci­pli­na inter­na dell’esercito. Una dichia­ra­zio­ne di scio­pe­ro, un mese dopo il 25 novem­bre, è indicativa:

«Si è deci­so di for­ma­re pic­chet­ti all’ingresso del­la fab­bri­ca per moni­to­ra­re ingres­si e usci­te. Gli ope­rai di Cam­bour­nac con­ti­nua­no la loro lot­ta occu­pan­do la fab­bri­ca nel fine set­ti­ma­na. Gli 800 lavo­ra­to­ri non andran­no sul lastri­co, ci sia o meno il fal­li­men­to. Sia­mo dispo­sti a lot­ta­re per la pro­prie­tà di ciò che da sem­pre ci è sta­to ruba­to e non reste­re­mo pas­si­vi in atte­sa del gover­no, poi­ché solo la clas­se ope­ra­ia potrà libe­ra­re se stes­sa»[25].

In segui­to, man­ca­va la cosa più dif­fi­ci­le: scon­fig­ge­re i lavo­ra­to­ri. Poi­ché non si pote­va rischia­re uno scon­tro diret­to come nel­le caser­me, la solu­zio­ne imme­dia­ta fu quel­la poli­ti­ca. Rama­lho Eanes, il gene­ra­le che ave­va sof­fo­ca­to l’insurrezione del 25 novem­bre, fu elet­to pre­si­den­te del­la repub­bli­ca nel­le pre­si­den­zia­li del 1976. Il Ps e il Pcp lo sosten­ne­ro. Ebbe anche l’appoggio deli­ran­te del par­ti­to di estre­ma sini­stra Mrpp.

Il gene­ra­le Rama­lho Eanes

Mário Soa­res ebbe il suo pre­mio. Fu elet­to pri­mo mini­stro dopo le par­la­men­ta­ri del 1977 e il Mfa ven­ne sciol­to. A par­ti­re da allo­ra, nono­stan­te la resi­sten­za nei set­to­ri più orga­niz­za­ti, la rivo­lu­zio­ne entrò in agonia.

* * *

Chi scri­ve vis­se i sei mesi più inten­si ed emo­zio­nan­ti del­la sua vita. Era­va­mo così gio­va­ni da cre­de­re che la vita ci avreb­be offer­to una secon­da chan­ce al pros­si­mo incro­cio peri­co­lo­so del­la Sto­ria. Ci sba­glia­va­mo. Le scon­fit­te sto­ri­che richie­do­no alme­no l’intervallo di una gene­ra­zio­ne per­ché i suoi esi­ti pos­sa­no esse­re supe­ra­ti. Ogni pro­ces­so rivo­lu­zio­na­rio è la smen­ti­ta tra­gi­ca del­le tesi gra­dua­li­ste che smi­nui­sco­no l’importanza del­la rot­tu­ra – e, dun­que, dell’insurrezione – nel­la stra­te­gia di lot­ta anti­ca­pi­ta­li­sta. Boa­ven­tu­ra de Sou­sa San­tos fu uno dei soste­ni­to­ri del bilan­cio del­la rivo­lu­zio­ne come un pro­ces­so evo­lu­zio­ni­sta: «La rivo­lu­zio­ne socia­li­sta è il pro­ces­so più o meno lun­go di tra­sfor­ma­zio­ne glo­ba­le del­le dif­fe­ren­ti strut­tu­re di pote­re del­la socie­tà capi­ta­li­sta nel sen­so del­la demo­cra­tiz­za­zio­ne glo­ba­le del­la vita col­let­ti­va e indi­vi­dua­le. È la tota­li­tà sto­ri­ca in cui cul­mi­na l’insieme del­le rifor­me socia­li disper­se nel tem­po e nel­le diver­se pra­ti­che poli­ti­che»[26].
La pro­spet­ti­va di un lun­go pro­ces­so di esten­sio­ne del­la demo­cra­zia, di accu­mu­la­zio­ne di for­ze e dirit­ti, di con­vin­ci­men­to o neu­tra­liz­za­zio­ne disar­ma­ta dei nemi­ci socia­li sen­za l’intensità mas­si­ma dell’assalto al pote­re, non ha tro­va­to un soli­do fon­da­men­to sto­ri­co. Dopo il novem­bre 1975, con la distru­zio­ne del dop­pio pote­re nel­le for­ze arma­te, in lar­ga misu­ra sen­za che potes­se esse­re per­ce­pi­ta la ter­ri­bi­le por­ta­ta del­la scon­fit­ta, il pro­ces­so assun­se una len­ta e comun­que irre­ver­si­bi­le dina­mi­ca di sta­bi­liz­za­zio­ne in un regi­me demo­cra­ti­co libe­ra­le. L’opportunità era sta­ta persa.
La scon­fit­ta del­la Rivo­lu­zio­ne por­to­ghe­se non ha richie­sto spar­gi­men­to di san­gue, ma ha con­su­ma­to mol­ti miliar­di di mar­chi tede­schi e fran­chi fran­ce­si. La con­tro­ri­vo­lu­zio­ne ha avu­to biso­gno di diciot­to anni per sman­tel­la­re ciò che la rivo­lu­zio­ne ave­va rea­liz­za­to in diciot­to mesi. La suc­ces­si­va inte­gra­zio­ne nel­la Comu­ni­tà eco­no­mi­ca euro­pea con l’accesso ai fon­di strut­tu­ra­li – gigan­te­schi tra­sfe­ri­men­ti di capi­ta­li per moder­niz­za­re l’infrastruttura e costrui­re un pat­to socia­le capa­ce di assor­bi­re le ten­sio­ni socia­li post‑salazariste – per­mi­se la sta­bi­liz­za­zio­ne del regi­me negli anni Ottan­ta e Novanta.

(Tra­du­zio­ne di Vale­rio Torre)


Note

[1] «All’ombra di un lec­cio che non sape­va più la sua età, ho giu­ra­to di ave­re per com­pa­gna, Grân­do­la, la tua volon­tà». La can­zo­ne “Grân­do­la vila more­na” era sta­ta cen­su­ra­ta dal regi­me e ne era vie­ta­ta la tra­smis­sio­ne. Fu inve­ce mes­sa in onda alle pri­me ore del 25 apri­le 1974, come segna­le con­ve­nu­to per l’i­ni­zio del­l’in­sur­re­zio­ne mili­ta­re che fu l’at­to ini­zia­le del­la Rivo­lu­zio­ne dei garo­fa­ni [Ndt].
[2] M. Cae­ta­no, Depoi­men­to, Record, 1974, p. 194.
[3] A. Afon­so, B. Costa, cit. in L. Sec­co, A Revo­lução dos Cra­vos, Ala­me­da, 2004, p. 157.
[4] Ote­lo Sarai­va de Car­va­lho era un mili­ta­re por­to­ghe­se che fu tra i pro­ta­go­ni­sti del­la Rivo­lu­zio­ne dei garo­fa­ni [Ndt].
[5] O. Sarai­va de Car­va­lho, Memó­rias de abril. Los pre­pa­ra­ti­vos y el estal­li­do de la revo­lu­ción por­tu­gue­sa vistos por su prin­ci­pal pro­ta­go­ni­sta, El Vie­jo­To­po, s.d., p. 163.
[6] Vla­di­mir Alek­san­dro­vič Anto­nov-Ovseen­ko, lea­der bol­sce­vi­co a capo del Comi­ta­to mili­ta­re rivo­lu­zio­na­rio, fu lui a gui­da­re la pre­sa del Palaz­zo d’Inverno e ad arre­sta­re i mini­stri del gover­no prov­vi­so­rio il 25 otto­bre (7 novem­bre) 1917 [Ndt].
[7] Era il cor­po di poli­zia poli­ti­ca del regi­me sala­za­ri­sta [Ndt].
[8] L. Tro­tsky, Histo­ria de la Revo­lu­ción Rusa, Plu­ma, 1982, vol. I, p. 8.
[9] Per la que­stio­ne cir­ca i tem­pi del­la rivo­lu­zio­ne e i cri­te­ri per la valu­ta­zio­ne dei rap­por­ti socia­li di for­za si può fare rife­ri­men­to al mio libro As esqui­nas peri­go­sas da Histó­ria. Situações revo­lu­cio­ná­rias em per­spec­ti­va mar­xi­sta, Xamã, 2004.
[10] La sigla Suv sta­va per “Sol­da­dos Uni­dos Ven­ce­rão” (Sol­da­ti uni­ti vin­ce­ran­no) e rap­pre­sen­ta­va un’esperienza orga­niz­za­ti­va di mili­ta­ri che pro­pu­gna­va­no l’auto‑organizzazione nel­le caser­me e la lot­ta con­tro i supe­rio­ri rea­zio­na­ri e gli uffi­cia­li bor­ghe­si. Nata il 6 set­tem­bre 1975, si defi­nì anti­ca­pi­ta­li­sta e antim­pe­ria­li­sta. Nel suo pro­gram­ma c’era la paro­la d’ordine del­la “distru­zio­ne dell’esercito bor­ghe­se e la crea­zio­ne del brac­cio arma­to del pote­re dei lavo­ra­to­ri: l’Esercito Popo­la­re Rivo­lu­zio­na­rio”. Era vici­na ai par­ti­ti dell’estrema sini­stra por­to­ghe­se, il Par­ti­to Rivo­lu­zio­na­rio del Proletariato/Brigate Rivo­lu­zio­na­rie (Prp/Br) e la Lega Comu­ni­sta Inter­na­zio­na­li­sta (Lci) [Ndt].
[11] Così Cham­pa­li­maud in una dichia­ra­zio­ne al gior­na­le Diá­rio de Notí­cias, Lisbo­na, 25 giu­gno 1974, cit. in F. Louçã, 25 de abril, dez anos de lições. Ensa­io para uma revo­lução, Cader­nos Mar­xi­stas, 1984, p. 36.
[12] Le Offi­ci­ne Puti­lov costi­tui­va­no un enor­me com­ples­so metal­mec­ca­ni­co a Pie­tro­gra­do e i suoi lavo­ra­to­ri svol­se­ro un impor­tan­te ruo­lo insur­re­zio­na­le nel­la Rivo­lu­zio­ne rus­sa del 1917 [Ndt].
[13] Vyborg era un distret­to indu­stria­le di Pie­tro­gra­do all’epoca del­la Rivo­lu­zio­ne rus­sa. L’ABC è un distret­to indu­stria­le del­la regio­ne metro­po­li­ta­na di San Pao­lo del Bra­si­le, cen­tro di gran­di lot­te ope­ra­ie [Ndt].
[14] Dichia­ra­zio­ne di Fran­ci­sco Canais Rocha (segre­ta­rio gene­ra­le del­la cen­tra­le sin­da­ca­le Cgtp) al Diá­rio de Lisboa, il 24 giu­gno 1974, cit. in F. Louçã, op. cit., p. 36.
[15] F. Louçã, op. cit., p. 35.
[16] Mário Soa­res, diri­gen­te del Par­ti­to socia­li­sta por­to­ghe­se. Su di lui, in occa­sio­ne del­la sua mor­te, è sta­to pub­bli­ca­to su que­sto sito un arti­co­lo del­la sto­ri­ca Raquel Vare­la [Ndt].
[17] Segre­ta­rio del Pcp dal 1961 al 1992 [Ndt].
[18] J.A. Sarai­va e V.J. Sil­va, O 25 de Abril visto da Histó­ria, Ber­trand, 1976, p. 172.
[19] Ivi, p. 169.
[20] Dal “Pia­no di azio­ne poli­ti­ca del Mfa” che lo iden­ti­fi­ca come Movi­men­to di Libe­ra­zio­ne Nazio­na­le: cit. in F. Louçã, op. cit., p. 43.
[21] Ivi, p. 30.
[22] Dal­la let­te­ra di dimis­sio­ni di Mário Soa­res al pre­si­den­te Costa Gomes del 10 luglio 1975, cit. in F. Louçã, op. cit., p. 49.
[23] Fu, que­sta, quel­la che ven­ne defi­ni­ta “l’Estate cal­da” del­la rivo­lu­zio­ne por­to­ghe­se [Ndt].
[24] Op. ult. cit., p. 49.
[25] Comu­ni­ca­to dei lavo­ra­to­ri di Cam­bour­bac, dicem­bre 1975, cit. in F. Mar­tins Rodri­gues, O futu­ro era ago­ra, Dinos­sau­ro, 1994. Il tito­lo di quest’articolo ripren­de, pre­via l’autorizzazione dell’Autore, quel­lo di que­sto straor­di­na­rio libro.
[26] B. de Sou­sa San­tos, “A que­stão do socia­li­smo”, Revi­sta Crí­ti­ca de Ciên­cias Sociais, n. 6, mag­gio 1981, p. 170.


[*] Valé­rio Arca­ry è docen­te pres­so l’Instituto Fede­ral de São Pau­lo (Ifsp). Mili­tan­te mar­xi­sta, è auto­re di nume­ro­si libri, tra cui O mar­te­lo da Histó­riaUm refor­mi­smo qua­se sem refor­masO encon­tro da revo­lução com a Histó­ria As esqui­nas peri­go­sas da Histó­ria.