Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Storia del movimento operaio

Il “Leone” della rivoluzione venuto dalla steppa ucraina

Trotsky tiene una conferenza a Stoccolma (novembre 1932)

Ricor­re oggi l’81° anni­ver­sa­rio dell’assassinio di León Tro­tsky (Jano­v­ka, Ucrai­na, 1879 – Coyoa­cán, Mes­si­co, 1940) per mano di un sica­rio stalinista.
Inten­dia­mo com­me­mo­ra­re la ricor­ren­za pre­sen­tan­do, tra­dot­to in ita­lia­no, un arti­co­lo ori­gi­na­ria­men­te usci­to (28 novem­bre 2009) sul gior­na­le ucrai­no Sévod­nia e poi ripre­so dal­la pub­bli­ca­zio­ne fran­ce­se Cahiers du Mou­ve­ment ouvrier (n. 45, gennaio‑marzo 2010), che evi­den­zia come «il testo, pre­sen­tan­do Tro­tsky con sim­pa­tia, rive­sta un indub­bio inte­res­se, dato che nor­mal­men­te il com­bi­na­to dispo­sto fra lo sta­li­ni­smo, l’antisemitismo e l’aggressivo nazio­na­li­smo ucrai­no sfo­cia in una visio­ne osti­le e cari­ca­tu­ra­le di Tro­tsky».
Buo­na lettura.
La redazione

Il “Leone” della rivoluzione venuto dalla steppa ucraina


Ale­xan­dra Passiouta

 

Sono già tra­scor­si alcu­ni mesi da quan­do il Pae­se dell’eminente rivo­lu­zio­na­rio Lev (León) Tro­tsky è sta­to inte­res­sa­to da discus­sio­ni esclu­si­va­men­te incen­tra­te su que­sto com­pa­trio­ta. Dopo deci­ne di anni di oblio e di odio, la sto­ria del Pae­se ha cono­sciu­to un die­tro­front poli­ti­co e nel­la sua cit­tà nata­le è sta­to deci­so che quest’uomo meri­tas­se l’intitolazione di una stra­da, un museo e anche un monu­men­to. Si è comin­cia­to da quest’ultimo. Una deci­sio­ne del gene­re, in occa­sio­ne dei 130 anni dal­la nasci­ta di Lev Tro­tsky, è sta­ta pre­sa dal soviet del­la cit­tà di Bobry­nec’ (regio­ne di Kiro­voh­rad). «Il soviet lo ha deci­so all’unanimità – rac­con­ta il sin­da­co Leo­nid Kra­vt­chen­ko – ma non ci aspet­ta­va­mo una tale eco in Ucrai­na e in Rus­sia. I nazio­na­li­sti han­no comin­cia­to ad accu­sar­ci di voler immor­ta­la­re la memo­ria di un tiran­no e di un assas­si­no di milio­ni di uomi­ni, men­tre i comu­ni­sti han­no stre­pi­ta­to: “Come si può eri­ge­re una sta­tua a un nemi­co del popo­lo?”. Noi abbia­mo la nostra opi­nio­ne: quest’uomo è cono­sciu­to nel mon­do inte­ro come poli­ti­co e scrit­to­re di talen­to, attual­men­te ci sono milio­ni di suoi segua­ci nel mon­do, si stu­dia­no le sue ope­re nel­le uni­ver­si­tà. Ed è nostro com­pa­trio­ta».
A Bobry­nec’ si spe­ra anche che un’idea del gene­re pos­sa atti­ra­re in que­sta regio­ne turi­sti curio­si di visi­ta­re il luo­go in cui nac­que il rivo­lu­zio­na­rio. In real­tà, nel momen­to in cui ciò si veri­fi­ca­va, non c’era alcu­na ragio­ne di visi­ta­re il vil­lag­gio di Jano­v­ka (oggi Bere­sla­v­ka), dove appun­to Tro­tsky era nato.

Il rifiu­to del­la sinagoga
In que­sto vil­lag­gio in ago­nia di una cin­quan­ti­na di abi­tan­ti, di cui il più gio­va­ne ha 57 anni, il pas­sa­tem­po pre­fe­ri­to dai vec­chi con­si­ste nel lamen­tar­si, sot­to l’effetto di un bic­chie­ri­no di vod­ka gri­gia, del pote­re attua­le ricor­dan­do come si vive­va inve­ce sot­to il vec­chio pote­re. Oppu­re, in discus­sio­ni sul com­pa­trio­ta che era all’origine di que­sto vec­chio pote­re, quel­lo sovie­ti­co. «Noi non abbia­mo mai con­si­de­ra­to Tro­tsky come un nemi­co del popo­lo – ini­zia il noto poli­ti­co Ale­xan­dre Fedort­chouk, di 72 anni – Cer­to, nes­su­no osa­va espri­me­re le sue opi­nio­ni, si ave­va pau­ra. Ma ogni fami­glia con­ser­va­va un qual­che aned­do­to lega­to a Lei­ba, e in nes­su­na di esse c’erano cat­ti­vi ricor­di». Lei­ba nac­que nel­la fami­glia Bron­stein pro­prio l’anno in cui que­sta si tra­sfe­rì a Jano­v­ka. Quan­do il pic­co­lo com­pì i cin­que anni, suo padre era diven­ta­to uno dei più ric­chi pro­prie­ta­ri del­la regione.

Tro­tsky nel 1888

Nel­la sua fat­to­ria lavo­ra­va­no sta­bil­men­te 19 con­ta­di­ni del vil­lag­gio di Jano­v­ka. Tut­ti i con­ta­di­ni appor­ta­va­no il loro gra­no. David Bron­stein fon­dò la sua pic­co­la fab­bri­ca di mat­to­ni, lan­cian­do la sua pro­du­zio­ne con il mar­chio “B”. I con­ta­di­ni si ricor­da­no dei rac­con­ti degli anzia­ni: David Bron­stein, padre di Tro­tsky, era un uomo mol­to vio­len­to e rude. Il figlio era di tutt’altra pasta: un gior­no, venu­to in vacan­za dopo gli stu­di, si accor­se che i lavo­ra­to­ri di suo padre man­gia­va­no in un tro­go­lo. Appe­na il gior­no dopo, furo­no loro con­se­gna­te nuo­ve sto­vi­glie e posa­te. Per giun­ta, i piat­ti era­no di por­cel­la­na. In segui­to, dai Bron­stein non si man­giò più in un tro­go­lo. «Al bene le per­so­ne rispon­do­no col bene – rac­con­ta la sto­ri­ca loca­le Nelia Sam­bor­ska – Un gior­no, tor­na­to clan­de­sti­na­men­te dal­la fron­tie­ra dopo un abi­tua­le esi­lio, Lei­ba deci­se di siste­mar­si nel­la pro­prie­tà di suo padre, ma ven­ne denun­cia­to e un distac­ca­men­to di poli­ziot­ti si mos­se per arre­star­lo. Allo­ra gli abi­tan­ti del vil­lag­gio nasco­se­ro il gio­va­ne Tro­tsky sul fon­do di un car­ret­to rico­pren­do­lo di leta­me e così riu­sci­ro­no a por­tar­lo fuo­ri dal­la pro­prie­tà».
Sedu­ti su una pan­chi­na, gli anzia­ni si ricor­da­no una sto­ria dopo l’altra, e in par­ti­co­la­re a uno di loro la non­na ave­va rac­con­ta­to che Lei­ba, di appe­na cin­que anni, si rifiu­tò di fre­quen­ta­re la sina­go­ga e cor­se dai cri­stia­ni per impa­ra­re ad intrec­cia­re del­le scar­pe di paglia; e a un altro il non­no ave­va det­to che egli ave­va inse­gna­to a Tro­tsky a suo­na­re il “sopil­ka” (un flau­to del fol­klo­re ucrai­no: Ndt).

Sal­va­to­re dal­la carestia
Comun­que, quan­do tut­to il Pae­se, su ini­zia­ti­va del Com­mis­sa­rio del popo­lo, pas­sò dal “comu­ni­smo di guer­ra” alla Nep, nel suo vil­lag­gio nata­le, come in tut­ta l’Ucraina, comin­ciò la care­stia. Su sua dispo­si­zio­ne, i pro­dot­ti – sac­chi di gra­no e di fari­na d’avena – veni­va­no tra­spor­ta­ti da Kiro­voh­rad a Jano­v­ka. Così gli abi­tan­ti del vil­lag­gio furo­no sal­va­ti dal­la carestia.

Tro­tsky nel 1897

Oggi, all’indirizzo dove un tem­po c’era la ric­ca pro­prie­tà dei Bron­stein, c’è una step­pa sel­vag­gia bat­tu­ta dal­le tem­pe­ste e pia­nu­re nere. Solo un occhio acu­to imma­gi­ne­rà dove si tro­va­va la casa, la sina­go­ga e gli edi­fi­ci dell’economia. «Han­no appo­si­ta­men­te distrut­to tut­to per­ché nes­su­no potes­se nep­pu­re ricor­dar­si dei Bron­stein – si lamen­ta Fedort­chouk – Per diver­so tem­po la casa era sta­ta adi­bi­ta a scuo­la, poi si deci­se di demo­lir­la, era già parec­chio vec­chia». Gli abi­tan­ti del posto la demo­li­ro­no, oggi in ogni “kha­ta” (abi­ta­zio­ne) di Bere­sla­v­ka c’è un mat­to­ne con il mar­chio “B”. «Tut­to è sta­to distrut­to meti­co­lo­sa­men­te – sin­te­tiz­za Sam­bor­ska – e, se non ci fos­se­ro sta­ti i ricor­di degli anzia­ni, si sareb­be potu­to cre­de­re che a Jano­v­ka non era mai nato Lei­ba Bron­stein».

Le sue “Memo­rie” sono sta­te un best‑seller in Ame­ri­ca, ma nel suo pae­se nata­le sono sta­te cono­sciu­te solo recentemente
Alla fine degli anni 20 del seco­lo scor­so, Lev Tro­tsky ini­ziò a scri­ve­re le sue Memo­rie. Dedi­cò due capi­to­li del suo libro La mia vita a Jano­v­ka. Innan­zi­tut­to, descris­se det­ta­glia­ta­men­te la sua fami­glia e i luo­ghi del­la sua infan­zia, in cui ave­va comin­cia­to a cono­sce­re il mon­do. Dopo il suo assas­si­nio, il libro diven­ne un best‑seller negli Sta­ti Uni­ti e in Gran Bre­ta­gna. In un solo anno ci furo­no due ristam­pe e si ven­det­te­ro cir­ca tre milio­ni di copie. Cio­no­no­stan­te, in Urss – dove tut­to era acca­du­to – per far sì che il nome del rivo­lu­zio­na­rio fos­se dimen­ti­ca­to il libro appar­ve la pri­ma vol­ta solo negli anni 90. «È inte­res­san­te nota­re – segna­la la sto­ri­ca Nelia Sam­bor­ska – come Lev Davi­do­vič non abbia scrit­to nul­la su colo­ro che vive­va­no a quell’epoca a Jano­v­ka. Pro­ba­bil­men­te, teme­va che potes­se­ro esse­re per­se­gui­ta­ti. Non­di­me­no, sfor­tu­na­ta­men­te que­ste pre­cau­zio­ni non basta­ro­no. Nel 1935, né a Jano­v­ka, né a Bobry­nec’, resta­va una sola per­so­na che fos­se sta­ta vici­na alla fami­glia Bron­stein. Tut­ti era­no sta­ti sop­pres­si».

Una paren­te allon­ta­na­ta dal suo lavoro
Non cer­to per iro­nia del desti­no, ma per il com­pia­ci­men­to del capo (Sta­lin), il Kol­koz situa­to nel vil­lag­gio di Bere­sla­v­ka era sta­to a lui inti­to­la­to. Così, per­fi­no nei det­ta­gli, Sta­lin si era ven­di­ca­to del suo nemi­co giu­ra­to. Negli anni 30 egli liqui­dò in manie­ra pia­ni­fi­ca­ta i “tro­tski­sti” al Crem­li­no, a Mosca e in tut­to il Pae­se, non dimen­ti­can­do­si del minu­sco­lo vil­lag­gio di Bere­sla­v­ka. «Negli anni 30 – ricor­da il più anzia­no abi­tan­te del vil­lag­gio, non­no Ivan, di 93 anni – lavo­ra­va nel­la scuo­la l’insegnante Kate­ri­na Gou­ren­ko. Mi ricor­do di lei. I miei paren­ti dice­va­no a mez­za voce che lei era impa­ren­ta­ta con Tro­tsky e che avreb­be dovu­to lascia­re quel posto. Ma lei con­fi­da­va nel pote­re sovie­ti­co, pen­sa­va sin­ce­ra­men­te che il suo paren­te fos­se un nemi­co del popo­lo e si rifiu­ta­va di cre­de­re di esse­re in peri­co­lo. Un cer­to gior­no, giun­se­ro dal­la cit­tà diret­ta­men­te a scuo­la degli uomi­ni che la pre­se­ro nel bel mez­zo del­la lezio­ne». Quan­do comin­ciò la Secon­da Guer­ra mon­dia­le, nel Kol­koz inti­to­la­to a Sta­lin non resta­va nes­sun Bron­stein. Gli abi­tan­ti del vil­lag­gio ave­va­no pau­ra di pro­nun­ciar­ne il nome per­si­no in casa.

Tro­tsky par­la ai sol­da­ti del­l’Ar­ma­ta Ros­sa (1920)

È curio­so che a Jano­v­ka si sia appre­so dell’assassinio del com­pa­trio­ta in Mes­si­co sol­tan­to cin­que anni dopo. La noti­zia cir­co­lò nel vil­lag­gio dopo la guer­ra gra­zie ad alcu­ni sol­da­ti rien­tra­ti dal fronte.

Una leg­gen­da: per una tom­ba distrut­ta paga­ro­no con la vita
Ad appe­na un chi­lo­me­tro da Bere­sla­v­ka, in mez­zo a pia­nu­re nere, c’è un’isola di ter­ra bru­na, ver­gi­ne, coper­ta di rovi. «È il vec­chio cimi­te­ro ebrai­co, o meglio tut­to ciò che ne resta – spie­ga la nostra gui­da del vil­lag­gio – Da qual­che par­te qui intor­no biso­gne­reb­be cer­ca­re una tom­ba con un’enorme lapi­de di mar­mo con inci­so l’epitaffio Anna Bron­stein, la madre di Tro­tsky». E pro­prio a que­sta tom­ba nel vil­lag­gio è lega­ta una del­le leg­gen­de loca­li fra le più sini­stre. Gli abi­tan­ti rac­con­ta­no che negli anni 60 il cimi­te­ro era già sta­to demo­li­to e che solo la tom­ba di que­sta don­na, con la sua gran­de lapi­de di mar­mo, era sta­ta rispar­mia­ta. «Ma le voci secon­do cui il vec­chio Bron­stein ave­va lascia­to vici­no alla sal­ma del­la sua ama­ta moglie dei gio­iel­li d’oro e un ogget­to d’argento non ten­ne­ro cer­to lon­ta­ni diver­si avven­tu­rie­ri nel­la nostra cam­pa­gna – ricor­da non­no Ale­xan­dre Gri­go­rie­vič – Ed ecco che un gior­no due trat­to­ri­sti aggan­cia­ro­no la lapi­de al trat­to­re, la divel­se­ro e pene­tra­ro­no nel­la tom­ba. Dis­se­ro di aver tro­va­to l’oro. Ma la sco­per­ta non por­tò loro for­tu­na: pro­prio nel mede­si­mo mese, uno dei due finì sot­to le ruo­te del trat­to­re e morì duran­te il tra­spor­to in ospe­da­le; l’altro morì nel cor­so del­lo stes­so autun­no. La sua abi­ta­zio­ne, in cui c’erano la moglie e i figli, ave­va pre­so fuo­co. Lui si pre­ci­pi­tò per sal­var­li, ma non poté più usci­re dal­la casa in fiam­me e rima­se schiac­cia­to sot­to una tra­ve che gli era cadu­ta addos­so. Nel vil­lag­gio si dice che que­ste mor­ti sia­no lega­te al sac­cheg­gio del­la tom­ba dei Bron­stein». Dopo que­sti fat­ti, chi pas­sa a bor­do di un trat­to­re nel luo­go dove c’era il cimi­te­ro lo aggi­ra accu­ra­ta­men­te e nes­su­no si è più deci­so a toc­ca­re l’enorme lapi­de di mar­mo con il nome di Anna Bron­stein. In real­tà, tro­var­la non è sem­pli­ce. «Fra un paio d’anni – si lamen­ta­no gli abi­tan­ti di Bere­sla­v­ka – non si tro­ve­rà più nul­la. Poco tem­po fa era­no venu­ti qui con una jeep del­le per­so­ne a nome di un uomo mol­to ric­co. Han­no foto­gra­fa­to tut­to, han­no pro­mes­so che avreb­be­ro fat­to restau­ra­re la lapi­de a Kiev, ma fino ad ora non se ne è sapu­to più nien­te».


(Tra­du­zio­ne di Andrea Di Benedetto)