Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Teoria

Rosa Luxemburg e la critica del feticismo giuridico

Rosa Luxemburg

L’attuale livel­lo del­la coscien­za di clas­se del pro­le­ta­ria­to è, nel­la sua stra­gran­de mag­gio­ran­za, pres­so­ché pros­si­mo allo zero. Le idee domi­nan­ti del­la clas­se domi­nan­te appa­io­no, in que­sta fase, inar­re­sta­bi­li e si sono fat­te stra­da fra i lavo­ra­to­ri, che nutro­no pas­si­va­men­te una fidu­cia qua­si illi­mi­ta­ta nel­lo Sta­to bor­ghe­se, nel­le sue isti­tu­zio­ni e nel­le sue leg­gi. Per­si­no un’avanguardia di clas­se, come il Col­let­ti­vo dei lavo­ra­to­ri GKN, pur nel qua­dro del­la meri­te­vo­le e radi­ca­le lot­ta che sta con­du­cen­do – senz’altro il più avan­za­to esem­pio di ver­ten­za ope­ra­ia in Ita­lia – con­ce­de un pic­co­lo spa­zio a que­sta fidu­cia attra­ver­so la pre­sen­ta­zio­ne di un pro­get­to di leg­ge con­tro le delo­ca­liz­za­zio­ni (affron­te­re­mo spe­ci­fi­ca­men­te que­sto tema in un pros­si­mo articolo).
Ci pia­ce per­ciò intro­dur­re la que­stio­ne del “feti­ci­smo giu­ri­di­co” con que­sto sin­te­ti­co ma effi­ca­ce testo di Ariel Mayo, che affron­ta il pro­ble­ma attra­ver­so la let­tu­ra che ne die­de Rosa Luxem­burg in quel­la che fu pro­ba­bil­men­te la sua più impor­tan­te ope­ra, “Rifor­ma socia­le o rivoluzione?”.
Buo­na lettura.
La redazione

Rosa Luxemburg e la critica del feticismo giuridico


Ariel Mayo[*]

 

«Come si può abo­li­re la schia­vi­tù del sala­rio “per via legale”,
… quan­do si è visto che di essa le leg­gi non fan­no cenno?»
(Rosa Luxemburg)

La rivo­lu­zio­ne è pas­sa­ta di moda. Seb­be­ne il capi­ta­li­smo si mani­fe­sti quo­ti­dia­na­men­te come un regi­me socia­le basa­to sul­lo sfrut­ta­men­to dei lavo­ra­to­ri e del­la natu­ra da par­te di una mino­ran­za di pro­prie­ta­ri, il suo domi­nio non è oggi seria­men­te mes­so in discus­sio­ne. Non è que­sta la sede per esa­mi­na­re le ragio­ni di que­sta situa­zio­ne. Basti dire che le scon­fit­te del­la clas­se ope­ra­ia nel perio­do ricom­pre­so fra gli anni 70 e 90 sono le prin­ci­pa­li respon­sa­bi­li di que­sto cli­ma epocale.
L’egemonia capi­ta­li­sti­ca si espri­me nel­le dif­fi­col­tà che i suoi avver­sa­ri incon­tra­no quan­do pro­pon­go­no for­me alter­na­ti­ve di orga­niz­za­zio­ne socia­le. Natu­ral­men­te, mol­ti par­ti­ti e orga­niz­za­zio­ni dei lavo­ra­to­ri con­ti­nua­no a pro­por­re il socia­li­smo come alter­na­ti­va al capi­ta­li­smo. Ma i loro sfor­zi sono inef­fi­ca­ci. Pur sapen­do che quel­lo capi­ta­li­sta è un siste­ma socia­le che gene­ra pover­tà e sfrut­ta­men­to, la stra­gran­de mag­gio­ran­za dei lavo­ra­to­ri sem­pli­ce­men­te non con­ce­pi­sce la pos­si­bi­li­tà di un’altra for­ma di società.
Le orga­niz­za­zio­ni socia­li­ste sbat­to­no con­tro un muro, rap­pre­sen­ta­to appun­to dal con­sen­so pas­si­vo favo­re­vo­le al capi­ta­li­smo. Ovvia­men­te, la situa­zio­ne pro­vo­ca demo­ra­liz­za­zio­ne. Mol­te di esse han­no rinun­cia­to alla lot­ta per il socia­li­smo e sono giun­te a rico­no­sce­re il capi­ta­li­smo come l’orizzonte di ogni approc­cio alter­na­ti­vo. Per que­sti grup­pi il com­pi­to prin­ci­pa­le è rifor­ma­re il capi­ta­li­smo, eli­mi­nan­do in ogni caso le for­me di sfrut­ta­men­to più aberranti.
L’accettazione del capi­ta­li­smo come oriz­zon­te poli­ti­co va, gene­ral­men­te, di pari pas­so con modi­fi­che signi­fi­ca­ti­ve nei modi di fare poli­ti­ca. L’azione diret­ta del­le mas­se è sosti­tui­ta dal­la fidu­cia nel per­cor­so legi­sla­ti­vo come stru­men­to per modi­fi­ca­re le con­di­zio­ni socia­li. Il luo­go di lavo­ro e le piaz­ze per­do­no rile­van­za rispet­to al Par­la­men­to. La lot­ta di clas­se è sosti­tui­ta dal feti­ci­smo giuridico.
In un pre­ce­den­te arti­co­lo ho fat­to rife­ri­men­to alla fidu­cia illi­mi­ta­ta nel­la capa­ci­tà del­le leg­gi di tra­sfor­ma­re la socie­tà. Non è una con­ce­zio­ne nuo­va. Il feti­ci­smo giu­ri­di­co si ripro­po­ne con­ti­nua­men­te nei momen­ti di scon­fit­ta dei lavo­ra­to­ri. Quan­do si chiu­de la pos­si­bi­li­tà di scon­fig­ge­re lo Sta­to capi­ta­li­sta, fio­ri­sce la con­vin­zio­ne che sia pos­si­bi­le tra­sfor­mar­lo dall’interno attra­ver­so l’emanazione di leg­gi “bene­vo­li”.
Il feti­ci­smo giu­ri­di­co è anti­co quan­to la lot­ta del­la clas­se ope­ra­ia con­tro il capi­ta­li­smo. Ecco per­ché è pos­si­bi­le rivol­ger­si ai clas­si­ci per criticarlo.
Rosa Luxem­burg (1871‑1919) ha for­mu­la­to una con­fu­ta­zio­ne del feti­ci­smo giu­ri­di­co nel suo testo Rifor­ma o rivo­lu­zio­ne (1899)[1]. Il lavo­ro è diret­to con­tro le tesi dife­se da Eduard Bern­stein (1850‑1932) in I pre­sup­po­sti del socia­li­smo (1899)[2]. Bern­stein, uno dei teo­ri­ci più influen­ti del­la social­de­mo­cra­zia tede­sca, ave­va pro­po­sto in que­sto lavo­ro una revi­sio­ne gene­ra­le del­la teo­ria mar­xi­sta (da cui l’uso spe­ci­fi­co del ter­mi­ne “revi­sio­ni­smo”, appli­ca­to alla cor­ren­te da lui gui­da­ta): l’obiettivo del revi­sio­ni­smo era gui­da­re il par­ti­to ver­so la lot­ta per rifor­ma­re il capi­ta­li­smo, met­ten­do da par­te la lot­ta rivoluzionaria.
Rosa Luxem­burg affron­ta il pro­ble­ma del­la distin­zio­ne tra rifor­ma e rivo­lu­zio­ne nel capi­to­lo inti­to­la­to “La con­qui­sta del pote­re poli­ti­co” del­la sua ope­ra. Non è neces­sa­rio rias­su­me­re qui l’intera argo­men­ta­zio­ne di Rosa Luxem­burg con­tro Bern­stein. Basti dire che quest’ultimo soste­ne­va che era neces­sa­rio sop­pe­sa­re gli aspet­ti posi­ti­vi e nega­ti­vi sia del­la rivo­lu­zio­ne che del­la rifor­ma legi­sla­ti­va, pri­ma di lan­cia­re cri­ti­che con­tro l’una o l’altra. Luxem­burg rispon­de con un’osservazione meto­do­lo­gi­ca: la rifor­ma o la rivo­lu­zio­ne non sono stru­men­ti dispo­ni­bi­li in una cas­set­ta degli attrez­zi iso­la­ta dal­la con­giun­tu­ra politica.

«Rifor­ma legi­sla­ti­va e rivo­lu­zio­ne non sono dun­que meto­di diver­si del pro­gres­so sto­ri­co, che si pos­so­no sce­glie­re al buf­fet del­la sto­ria, come sal­sic­ce cal­de o fred­de, ma sono momen­ti diver­si nel­lo svi­lup­po del­la socie­tà clas­si­sta, che si con­di­zio­na­no e com­ple­ta­no a vicen­da ma nel mede­si­mo tem­po si esclu­do­no a vicen­da, come il polo nord e il polo sud, la bor­ghe­sia e il pro­le­ta­ria­to» (p. 217).

Di fron­te al pro­ble­ma dei modi per tra­sfor­ma­re la socie­tà capi­ta­li­sta, Bern­stein sce­glie di sepa­ra­re la rifor­ma dal­la rivo­lu­zio­ne, fer­man­do­si alla pri­ma. In que­sto modo, impe­di­sce la com­pren­sio­ne del modo in cui le rifor­me saran­no efficaci.

«E in veri­tà in ogni tem­po la costi­tu­zio­ne giu­ri­di­ca è sem­pli­ce­men­te un pro­dot­to del­la rivo­lu­zio­ne. Men­tre la rivo­lu­zio­ne è l’atto poli­ti­co crea­ti­vo del­la sto­ria del­le clas­si la legi­sla­zio­ne rap­pre­sen­ta la con­ti­nui­tà del­la vege­ta­zio­ne poli­ti­ca del­la socie­tà. Giac­ché il lavo­ro di rifor­ma socia­le non ha in sé una pro­pria for­za di pro­pul­sio­ne, indi­pen­den­te dal­la rivo­lu­zio­ne, ben­sì, in ogni perio­do del­la sto­ria, si muo­ve solo nel­la dire­zio­ne e per il tem­po cor­ri­spon­den­ti alla spin­ta che gli è sta­ta impres­sa dall’ultima rivo­lu­zio­ne, o, per par­la­re con­cre­ta­men­te, solo nel qua­dro di quell’assetto del­la socie­tà che è sta­to posto in esse­re dal­la più recen­te rivo­lu­zio­ne. Pro­prio que­sto è il noc­cio­lo del­la que­stio­ne» (pp. 217 e s).

Per spie­ga­re la natu­ra del rifor­mi­smo non basta com­pren­de­re il fasci­no che esso eser­ci­ta sui mili­tan­ti anti­ca­pi­ta­li­sti. Defi­ni­re “tra­di­to­ri” i rifor­mi­sti oscu­ra l’approccio alla que­stio­ne, poi­ché un com­por­ta­men­to (il tra­di­men­to) che si ripe­te più e più vol­te non può esse­re com­pre­so facen­do appel­lo esclu­si­va­men­te alle qua­li­tà mora­li di chi “tra­di­sce”. La ripe­ti­zio­ne del “tra­di­men­to” (e la sua con­se­guen­te effi­ca­cia) impli­ca l’esistenza di con­di­zio­ni strut­tu­ra­li che lo ren­da­no pos­si­bi­le. Il feti­ci­smo giu­ri­di­co è una di quel­le con­di­zio­ni che ren­do­no pos­si­bi­le il rifor­mi­smo. Die­tro il rifor­mi­smo c’è la con­vin­zio­ne che le leg­gi sia­no il modo per tra­sfor­ma­re la socie­tà. La for­za di que­sta con­vin­zio­ne si basa sul fat­to che le leg­gi sono sta­te lo stru­men­to scel­to dal­la bor­ghe­sia per sman­tel­la­re l’impalcatura del feu­da­le­si­mo (una vol­ta che, natu­ral­men­te, la bor­ghe­sia ebbe rag­giun­to il pote­re politico).
Luxem­burg disar­ma l’argomentazione del rifor­mi­smo giu­ri­di­co. Per otte­ne­re que­sto risul­ta­to mostra il rap­por­to spe­ci­fi­co tra le leg­gi e lo sfrut­ta­men­to capi­ta­li­sti­co. Nel­le socie­tà pre­ca­pi­ta­li­sti­che, in cui la clas­se domi­nan­te era ester­na al pro­ces­so di pro­du­zio­ne e si appro­pria­va del sur­plus con mez­zi extra-eco­no­mi­ci, il con­trol­lo del­lo Sta­to era essen­zia­le per il suo domi­nio. Così, la legi­sla­zio­ne man­te­ne­va le dif­fe­ren­ze tra i grup­pi socia­li, impo­nen­do rigi­de nor­me di dipen­den­za per­so­na­le. Clas­se domi­nan­te, Sta­to e legi­sla­zio­ne era­no la stes­sa cosa. Ecco per­ché l’offensiva del­la bor­ghe­sia con­tro la legi­sla­zio­ne feu­da­le ebbe un con­te­nu­to rivoluzionario.
Nel capi­ta­li­smo, la bor­ghe­sia eser­ci­ta il con­trol­lo del pro­ces­so di pro­du­zio­ne. Seb­be­ne richie­da leg­gi che tute­li­no la pro­prie­tà pri­va­ta, la sua posi­zio­ne domi­nan­te è orien­ta­ta ver­so il pro­ces­so eco­no­mi­co (che risul­ta da quel­la pro­prie­tà pri­va­ta). Per­tan­to, il ruo­lo del­la leg­ge cam­bia. Gli impren­di­to­ri han­no biso­gno di lavo­ra­to­ri libe­ri, cioè non sog­get­ti ad alcun rap­por­to di dipen­den­za per­so­na­le (ad esem­pio, la schiavitù).

«Che cosa distin­gue la socie­tà bor­ghe­se dal­le pre­ce­den­ti clas­si­ste – anti­che e medie­va­li? Pro­prio la cir­co­stan­za che il pre­do­mi­nio di una clas­se pog­gia non su “dirit­ti acqui­si­ti” ma su effet­ti­vi rap­por­ti eco­no­mi­ci, che il sala­ria­to non è un rap­por­to giu­ri­di­co, ma un rap­por­to pura­men­te eco­no­mi­co. Non potrà tro­var­si in tut­to il nostro siste­ma giu­ri­di­co una for­mu­la di leg­ge che defi­ni­sca l’attuale pre­do­mi­nio di clas­se» (p. 219).

In altre parole:

«Nes­su­na leg­ge obbli­ga il pro­le­ta­ria­to a sog­gia­ce­re al gio­go del capi­ta­le, ben­sì ve lo obbli­ga il biso­gno, la man­can­za di mez­zi di pro­du­zio­ne. Ma nes­su­na leg­ge al mon­do può decre­tar­gli que­sti nel qua­dro del­la socie­tà bor­ghe­se, poi­ché egli non ne è sta­to pri­va­to da una leg­ge, ma dal­lo svi­lup­po eco­no­mi­co. Inol­tre lo sfrut­ta­men­to all’interno del siste­ma del lavo­ro sala­ria­to non si basa su leg­ge alcu­na […]. E il fat­to stes­so del­lo sfrut­ta­men­to capi­ta­li­sti­co non si basa su una dispo­si­zio­ne di leg­ge ma su un fat­to pura­men­te eco­no­mi­co, per il qua­le la for­za di lavo­ro risul­ta esse­re una mer­ce, che ha, fra l’altro, que­sta pre­ge­vo­le carat­te­ri­sti­ca di pro­dur­re valo­re, e pre­ci­sa­men­te valo­re in misu­ra mag­gio­re di quan­to essa stes­sa con­su­mi nei mez­zi di sus­si­sten­za dell’operaio. In una paro­la, tut­te le con­di­zio­ni fon­da­men­ta­li del domi­nio di clas­se capi­ta­li­sti­co non si lascia­no tra­sfor­ma­re da rifor­me legi­sla­ti­ve su basi bor­ghe­si, giac­ché esse né sono sta­te intro­dot­te da leg­gi bor­ghe­si, né da simi­li leg­gi han­no rice­vu­to la loro for­ma» (p. 220)[3].

Se si accet­ta l’analisi di Rosa Luxem­burg, il capi­ta­li­smo non può esse­re abo­li­to per leg­ge. Le leg­gi pos­so­no esse­re mol­te cose, ma cer­ta­men­te non un per­cor­so di libe­ra­zio­ne nel­le con­di­zio­ni del capi­ta­li­smo. La per­si­sten­za del­lo sfrut­ta­men­to capi­ta­li­sti­co con­su­ma i bene­fi­ci che la legi­sla­zio­ne può portare.

Vil­la del Par­que, 13 otto­bre 2015


Note

[1] Tut­te le cita­zio­ni che seguo­no sono trat­te dal­la seguen­te edi­zio­ne: R. Luxem­burg, Refor­ma o revo­lu­ción, Arte Grá­fi­co Edi­to­rial Argen­ti­no, Bue­nos Aires (2012). [N.d.T.: Per la tra­du­zio­ne in ita­lia­no del testo, abbia­mo fat­to ricor­so a R. Luxem­burg, “Rifor­ma socia­le o rivo­lu­zio­ne?”, in Scrit­ti poli­ti­ci, vol. 1, Edi­to­ri Inter­na­zio­na­li Riu­ni­ti (2012). I nume­ri di pagi­na del­le cita­zio­ni si rife­ri­sco­no, ovvia­men­te, a quest’edizione].
[2] Per la descri­zio­ne del­le idee di Bern­stein si può con­sul­ta­re il vec­chio clas­si­co G.D.H. Cole, Histo­ria del pen­sa­mien­to socia­li­sta: III. La Segun­da Inter­na­cio­nal, 1889‑1914, (Capí­tu­lo V, Ale­ma­nia: La con­tro­ver­sia revi­sio­ni­sta), Fon­do de Cul­tu­ra Eco­nó­mi­ca, Bar­ce­lo­na (1986). [N.d.T.: Per la cor­ri­spon­den­te tra­du­zio­ne in ita­lia­no di quest’opera, G.D.H. Cole, Sto­ria del pen­sie­ro socia­li­sta. La Secon­da Inter­na­zio­na­le (1889‑1914), vol. III, 1, cap. V, La Ger­ma­nia: la pole­mi­ca sul revi­sio­ni­smo, Edi­to­ri Later­za (1968), pp. 299 e ss.].
[3] Le sot­to­li­nea­tu­re sono mie.

 

[*] Ariel Mayo, stu­dio­so mar­xi­sta argen­ti­no, inse­gna all’Università Nazio­na­le di San Mar­tín (Unsam) e all’Istituto Supe­rio­re di For­ma­zio­ne Docen­te “Dr. Joa­quín V. González”.

 

(Tra­du­zio­ne di Andrea Di Benedetto)