Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Economia

Coronavirus e crisi capitalista

Pre­sen­tia­mo ai nostri let­to­ri un testo del­lo stu­dio­so mar­xi­sta Rolan­do Asta­ri­ta – i cui scrit­ti abbia­mo già avu­to il pia­ce­re di ospi­ta­re sul nostro sito – che ana­liz­za l’an­da­men­to del­l’e­co­no­mia mon­dia­le alla luce degli even­ti pro­dot­ti­si per effet­to e in con­se­guen­za del­la pan­de­mia. Ciò per­ché rite­nia­mo che una del­le con­di­zio­ni neces­sa­rie per un inter­ven­to indi­pen­den­te del­la clas­se ope­ra­ia nel­la cri­si sia pro­prio la com­pren­sio­ne del fun­zio­na­men­to del­l’e­co­no­mia capi­ta­li­sta: man­can­do la qua­le la stes­sa clas­se ope­ra­ia rinun­cia a una pro­pria auto­no­ma let­tu­ra dei feno­me­ni  strut­tu­ra­li che rego­la­no la socie­tà e si adat­ta a quel­la fun­zio­na­le agli inte­res­si del­la borghesia.
Buo­na lettura.
La redazione

Coronavirus e crisi capitalista


Rolan­do Asta­ri­ta[*]

 

Fino allo scop­pio del­la pan­de­mia, la cri­si del 2008‑2009 era sta­ta la più pro­fon­da e geo­gra­fi­ca­men­te più dif­fu­sa dal­la fine del­la Secon­da guer­ra. Nel 2009 il pro­dot­to mon­dia­le è sce­so del­lo 0,5% e quel­lo dei Pae­si avan­za­ti del 3,4%.

La cri­si del 2020 è sta­ta però più pro­fon­da: il pro­dot­to glo­ba­le è sce­so del 3,1% e quel­lo dei Pae­si avan­za­ti del 4,5%.

Diver­se sono sta­te anche le cau­se del­le cri­si. Quel­la del 2008‑2009 è sta­ta di sovrap­pro­du­zio­ne e sovrac­cu­mu­la­zio­ne, e il suo prin­ci­pa­le fat­to­re sca­te­nan­te furo­no gli Sta­ti Uni­ti. La sovrap­pro­du­zio­ne era incen­tra­ta sull’edilizia resi­den­zia­le e sul set­to­re immo­bi­lia­re, ed era ali­men­ta­ta da mas­se di dena­ro che non si sono river­sa­te negli inve­sti­men­ti pro­dut­ti­vi dopo la reces­sio­ne del 2001. Il cre­di­to sovrae­spo­sto è sta­to cru­cia­le per la dif­fu­sio­ne del­la cri­si nel resto dell’economia, pri­ma negli Sta­ti Uni­ti e poi a livel­lo mon­dia­le. Le cri­si di rea­liz­zo, come quel­la del 2008‑2009, riman­da­no alla con­trad­di­zio­ne tra una pro­du­zio­ne che ten­de a svi­lup­par­si oltre ogni limi­te e un mer­ca­to che non può assor­bi­re que­sto pro­dot­to. Quan­do si veri­fi­ca­no sovrap­pro­du­zio­ne e sovrac­cu­mu­la­zio­ne nel­le bran­che che era­no sta­te le più dina­mi­che duran­te la fase ascen­den­te del ciclo eco­no­mi­co, nel­la loro cadu­ta que­ste tra­sci­na­no, ine­vi­ta­bil­men­te, il resto dell’economia. Ana­liz­za­te dal pun­to di vista del cir­cui­to del capi­ta­le, le cri­si di sovrap­pro­du­zio­ne han­no la loro radi­ce nel­la con­trad­di­zio­ne tra il pro­ces­so pro­dut­ti­vo e la rea­liz­za­zio­ne del valo­re. Essen­do, nel cir­cui­to capi­ta­li­sta, D = dena­ro; M = mer­ce; MP = mez­zi di pro­du­zio­ne; FL = for­za lavo­ro; …P… = pro­ces­so pro­dut­ti­vo, la con­trad­di­zio­ne si sta­bi­li­sce tra quest’ultimo e M’-D’ (mer­ce valo­riz­za­ta e dena­ro mag­gio­ra­to di plusvalore).

Furo­no cri­si di sovrap­pro­du­zio­ne, tra le altre, anche quel­le del 1847‑1848; 1873; 1930; e 1974‑1975. Sono le più fre­quen­ti nel capi­ta­li­smo. Per que­sto Marx vi pre­stò mol­ta atten­zio­ne (per esem­pio, alla cri­si del 1847).
La cri­si del 2020, tut­ta­via, non è sta­ta una cri­si di rea­liz­za­zio­ne (seb­be­ne ci sia­no sta­ti pro­ble­mi di rea­liz­za­zio­ne). Lo scop­pio del­la pan­de­mia ha col­pi­to in pie­no il pro­ces­so pro­dut­ti­vo, tra­sci­nan­do le eco­no­mie di deci­ne di Pae­si in una pro­fon­da reces­sio­ne. Dal pun­to di vista del cir­cui­to capi­ta­li­sta, …P… si è inter­rot­to. Per que­sto a mar­zo 2020 segna­la­va­mo: «la dif­fu­sio­ne del virus sta col­pen­do diret­ta­men­te la for­za lavo­ro, for­za pro­dut­ti­va essen­zia­le – alme­no, visto l’attuale gra­do di svi­lup­po tec­no­lo­gi­co – per met­te­re in moto l’insieme del­le for­ze pro­dut­ti­ve. […] Se la for­za lavo­ro è costret­ta a rima­ne­re a casa a cau­sa del­la qua­ran­te­na o del­la malat­tia, non c’è pos­si­bi­li­tà di met­te­re in moto l’insieme del­le for­ze pro­dut­ti­ve. Né di far cir­co­la­re il pro­dot­to socia­le. Ma que­sta situa­zio­ne por­ta alla cadu­ta del pro­dot­to». Si è sca­te­na­ta allo­ra una cri­si a cau­sa di un calo sia dell’offerta che del­la doman­da. Quest’ultima è dimi­nui­ta per le restri­zio­ni impo­ste dal­la pan­de­mia stes­sa (ad esem­pio, crol­lo del turi­smo, del­lo spet­ta­co­lo, del­lo spet­ta­co­lo, dell’intrattenimento, ecc.) e per la cadu­ta dei redditi.
Evi­den­zia­va­mo anche la natu­ra glo­ba­le del­la cri­si: «Nel­la misu­ra in cui la pro­du­zio­ne è diven­ta­ta glo­ba­le, la spi­ra­le discen­den­te diven­ta glo­ba­le. Nes­sun Pae­se capi­ta­li­sta può sfug­gi­re a que­sta dina­mi­ca. Le cate­ne inter­na­zio­na­li del valo­re, in par­ti­co­la­re, fan­no sen­ti­re gli effet­ti nega­ti­vi del­la cadu­ta in uno qual­sia­si dei loro anel­li, col­pen­do il resto del­la cate­na». Quan­do par­lia­mo di inter­na­zio­na­liz­za­zio­ne del­la pro­du­zio­ne ci rife­ria­mo alla fase …P… del ciclo capi­ta­li­sti­co. È la carat­te­ri­sti­ca spe­ci­fi­ca del­la cosid­det­ta glo­ba­liz­za­zio­ne. Inter­na­zio­na­liz­za­zio­ne del­la pro­du­zio­ne che si riflet­te nel­le cate­ne glo­ba­li del valo­re. Di qui la rapi­di­tà con cui le con­vul­sio­ni eco­no­mi­che si dif­fon­do­no nel capi­ta­li­smo globalizzato.
L’interruzione del pro­ces­so pro­dut­ti­vo ha poi gene­ra­to dif­fi­col­tà glo­ba­li non solo per la rea­liz­za­zio­ne del valo­re (M’ ‑ D’), ma anche per il rin­no­va­men­to del ciclo del capi­ta­le. Ciò signi­fi­ca che ha inte­res­sa­to anche la pri­ma fase del cir­cui­to, D — M. Il che ren­de attua­le l’interesse per una secon­da cau­sa di cri­si che Marx ave­va imma­gi­na­to, ovve­ro l’impossibilità di rea­liz­za­re D — M. Nell’Ottocento l’esempio più rap­pre­sen­ta­ti­vo di que­sto tipo di cri­si fu dato da quel­la del coto­ne, dal 1861 al 1865, quan­do il rifor­ni­men­to di mate­ria pri­ma all’industria ingle­se si inter­rup­pe a cau­sa del­la Guer­ra di seces­sio­ne. Que­sto è un aspet­to del­le cri­si a cui si è pre­sta­ta poca atten­zio­ne, moti­vo per cui dedi­chia­mo il para­gra­fo seguen­te a pre­sen­tar­ne la trat­ta­zio­ne da par­te di Marx.

Cri­si per dif­fi­col­tà nel pro­ces­so di ricon­ver­sio­ne del dena­ro in mez­zi di produzione
Il tema è ana­liz­za­to da Marx nel capi­to­lo 6 del Libro ter­zo de Il Capi­ta­le. Egli sostie­ne che in tut­ti i rami l’elemento più impor­tan­te – a par­te il capi­ta­le varia­bi­le – è la mate­ria pri­ma (com­pre­se le mate­rie ausi­lia­ri) e che le dif­fi­col­tà di pro­du­zio­ne e di approv­vi­gio­na­men­to dan­no luo­go a vio­len­te flut­tua­zio­ni: «Se il prez­zo di essa [inten­de la mate­ria pri­ma: N.d.T.] sale, può dive­ni­re impos­si­bi­le rico­sti­tuir­la inte­gral­men­te, una vol­ta dedot­to il sala­rio, dal valo­re del­la mer­ce [si rife­ri­sce a M’]. For­ti flut­tua­zio­ni di prez­zo pro­vo­ca­no per­ciò inter­ru­zio­ni, gran­di urti e per­si­no cata­stro­fi nel pro­ces­so di ripro­du­zio­ne»[1] (gras­set­to aggiun­to). Marx affer­ma che le mate­rie pri­me di natu­ra orga­ni­ca sono sog­get­te a tali flut­tua­zio­ni di valo­re, in con­se­guen­za di varia­zio­ni del­le rese dei rac­col­ti, o di con­di­zio­ni natu­ra­li incon­trol­la­bi­li, o di altri fat­to­ri. Ad esem­pio, l’aumento dei prez­zi del­le mate­rie pri­me può por­ta­re a un aumen­to del­la pro­du­zio­ne (e dell’offerta da regio­ni più remo­te) e a una dimi­nu­zio­ne del­la doman­da, pro­ces­si che a loro vol­ta por­ta­no al crol­lo di que­sti prez­zi ele­va­ti[2].
L’analisi di Marx è sor­pren­den­te­men­te attua­le. Ad esem­pio, per quan­to riguar­da la pro­du­zio­ne di petro­lio, gas e altre fon­ti ener­ge­ti­che, oppu­re ali­men­ti. Per­tan­to, la len­tez­za nel rispon­de­re a un aumen­to del­la doman­da – gli inve­sti­men­ti in esplo­ra­zio­ne petro­li­fe­ra e atti­va­zio­ne di nuo­vi poz­zi può richie­de­re mol­to tem­po; qual­co­sa di simi­le acca­de con la col­ti­va­zio­ne di nuo­ve ter­re – può spie­ga­re le for­ti flut­tua­zio­ni dei prez­zi: aumen­ti pro­nun­cia­ti quan­do la doman­da supe­ra l’offerta e, dopo alcu­ni anni, disce­sa dei prez­zi quan­do la nuo­va pro­du­zio­ne rag­giun­ge il mer­ca­to, sod­di­sfa­cen­do pri­ma e supe­ran­do poi la doman­da. La cadu­ta dei prez­zi (e dei pro­fit­ti) por­ta allo­ra a mino­ri inve­sti­men­ti; fino a che rico­min­cia il nuo­vo ciclo, con una caren­za di offer­ta (ci dilun­ghe­re­mo più avan­ti su que­sta dina­mi­ca in rela­zio­ne al petro­lio). Marx scri­ve: «L’estensione del­la sfe­ra di pro­du­zio­ne del­le mate­rie pri­me avvie­ne … sol­tan­to a scos­se improv­vi­se, per esse­re poi di nuo­vo segui­ta da una n uova con­tra­zio­ne vio­len­ta»[3].
Anche in Teo­rie del plu­sva­lo­re Marx trat­ta il tema: «Una cri­si può risul­ta­re: 1. nel­la ricon­ver­sio­ne in capi­ta­le pro­dut­ti­vo; 2. da varia­zio­ni di valo­re negli ele­men­ti del capi­ta­le pro­dut­ti­vo, spe­cial­men­te del­la mate­ria pri­ma, per esem­pio se la mas­sa del rac­col­to di coto­ne [si] ridu­ce»[4]. Quan­do è neces­sa­rio inve­sti­re di più nel­le mate­rie pri­me, la ripro­du­zio­ne non può esse­re ripe­tu­ta sul­la stes­sa sca­la, una par­te del capi­ta­le fis­so vie­ne lascia­ta inat­ti­va, una par­te dei lavo­ra­to­ri vie­ne get­ta­ta nel­la disoc­cu­pa­zio­ne, il sag­gio del pro­fit­to si ridu­ce, men­tre gli inte­res­si e la ren­di­ta sta­bi­li­ti riman­go­no gli stes­si, e in par­te non pos­so­no esse­re paga­ti[5]. «È que­sta quin­di una per­tur­ba­zio­ne del pro­ces­so di ripro­du­zio­ne per ope­ra di un aumen­to di valo­re del­la par­te del capi­ta­le costan­te che va sosti­tui­ta col valo­re del pro­dot­to»[6]. Appa­re di nuo­vo la gestio­ne dina­mi­ca – e anar­chi­ca – dell’accumulazione capi­ta­li­sti­ca. Marx sostie­ne che le cri­si cau­sa­te dal­la ritra­sfor­ma­zio­ne del dena­ro in capi­ta­le pro­dut­ti­vo pos­so­no esse­re dovu­te a un cat­ti­vo rac­col­to ma anche a una sovrap­pro­du­zio­ne di capi­ta­le fis­so, e quin­di a una sot­to­pro­du­zio­ne di capi­ta­le cir­co­lan­te[7]. Poco più avan­ti, fa nota­re che la cir­co­la­zio­ne del capi­ta­le «inclu­de in sé pos­si­bi­li­tà di per­tur­ba­zio­ni» e fa rife­ri­men­to a due pos­si­bi­li­tà: se gli stru­men­ti di pro­du­zio­ne ven­go­no aumen­ta­ti in pro­por­zio­ne più rapi­da di quan­to pos­sa­no esse­re for­ni­ti come mate­rie pri­me, e, in secon­do luo­go, a cau­sa del­la natu­ra varia­bi­le del­le col­tu­re[8].
Seb­be­ne l’analisi di Marx si con­cen­tri sul­le mate­rie pri­me, pos­so­no veri­fi­car­si per­tur­ba­zio­ni anche nel­la for­ni­tu­ra di fat­to­ri di pro­du­zio­ne indu­stria­li, con for­ti riper­cus­sio­ni in altri rami. Un esem­pio sono le dif­fi­col­tà che esi­sto­no oggi per aumen­ta­re rapi­da­men­te la pro­du­zio­ne di semi­con­dut­to­ri (un fat­to­re di pro­du­zio­ne fon­da­men­ta­le, visto l’attuale svi­lup­po tec­no­lo­gi­co) e sod­di­sfa­re i nuo­vi livel­li di doman­da che la ripre­sa eco­no­mi­ca comporta.
Per con­clu­de­re que­sto pun­to, pre­ci­sia­mo che le cri­si di sovrap­pro­du­zio­ne pos­so­no esse­re aggra­va­te, o raf­for­za­te, da cri­si che col­pi­sco­no la ripro­du­zio­ne del capi­ta­le, com­pre­se le inci­den­ze di cata­stro­fi natu­ra­li, o con­flit­ti poli­ti­ci. Ad esem­pio, seb­be­ne Marx ed Engels con­si­de­ras­se­ro la cri­si del 1847 come una cri­si di sovrap­pro­du­zio­ne, non per que­sto igno­ra­ro­no l’aggravarsi del­la stes­sa a cau­sa dell’infestazione che col­pì le pata­te – in pri­mo luo­go in Irlan­da – dal 1845 (cau­sò una tra­ge­dia che è pas­sa­ta alla sto­ria come la “care­stia del­le pata­te”, ovve­ro la “care­stia irlan­de­se”). Un altro esem­pio è il rad­dop­pio del prez­zo del petro­lio nel 1973, quan­do l’OPEC impo­se un embar­go sul­le spe­di­zio­ni ver­so l’Occidente. Ben­ché la cau­sa prin­ci­pa­le del­la cri­si del 1974‑1975 sia sta­ta la sovrap­pro­du­zio­ne e l’eccesso di accu­mu­lo – e la cadu­ta del sag­gio di pro­fit­to nel lun­go perio­do – l’aumento dei prez­zi del petro­lio aggra­vò la cri­si di red­di­ti­vi­tà del capi­ta­le indu­stria­le e lo scop­pio del­la reces­sio­ne. Dal pun­to di vista del meto­do, l’analisi deve esse­re con­cre­ta, cioè deve con­si­de­ra­re le mol­te­pli­ci deter­mi­na­zio­ni che spie­ga­no una data situa­zio­ne (mi rife­ri­sco, anco­ra una vol­ta, alla nota sul­la spie­ga­zio­ne di Marx del­la cri­si del 1847).

 

 

La cri­si del 2020 in dati e fatti

Calo del­la for­za lavo­ro, dell’offerta e del­la domanda
Secon­do l’OIL, nel 2020 è sta­to per­so l’8,8% del tota­le del­le ore lavo­ra­te, un dato equi­va­len­te alle ore lavo­ra­te da 255 milio­ni di per­so­ne a tem­po pie­no. Cir­ca la metà è sta­ta dovu­ta alla ridu­zio­ne dell’orario di lavo­ro di colo­ro che sono rima­sti occu­pa­ti. L’altra metà è sta­ta cau­sa­ta dai licen­zia­men­ti. Rispet­to al 2019, l’occupazione è dimi­nui­ta di 114 milio­ni di lavo­ra­to­ri (81 milio­ni per pen­sio­na­men­to). C’è sta­ta quin­di un’interruzione del pro­ces­so pro­dut­ti­vo, diret­ta­men­te asso­cia­ta al for­te calo del­la for­za lavo­ro attiva.
Una con­se­guen­za imme­dia­ta è sta­ta il calo del red­di­to da lavo­ro glo­ba­le. Al net­to dei tra­sfe­ri­men­ti dai gover­ni, la dimi­nu­zio­ne è sta­ta di 3,7 tri­lio­ni di dol­la­ri; un calo dell’8,3%. Ciò ha influi­to nega­ti­va­men­te sul­la doman­da dei con­su­ma­to­ri. Si sono anche fer­ma­ti, o sono dimi­nui­ti, gli inve­sti­men­ti nel­le bran­che col­pi­te dal­le chiu­su­re di atti­vi­tà e dal calo dei con­su­mi. C’è sta­ta, quin­di, una cadu­ta del­la pro­du­zio­ne che ha col­pi­to sia l’offerta che la doman­da. Per con­clu­de­re que­sto pun­to, segna­lo che è assur­do nega­re l’importanza del­la pan­de­mia nel­la cri­si (alcu­ni mar­xi­sti sosten­go­no che anche se la pan­de­mia non si fos­se sca­te­na­ta, l’economia capi­ta­li­sta avreb­be subi­to un decli­no di enti­tà simi­le a quel­lo che si è verificato).

Aumen­to del­la fame
Secon­do il rap­por­to “Sta­to del­la sicu­rez­za ali­men­ta­re e del­la nutri­zio­ne nel mon­do” (redat­to con­giun­ta­men­te da FAO, IFAD, OMS, WFP e UNICEF) il nume­ro del­le per­so­ne denu­tri­te è aumen­ta­to, tra il 2019 e il 2020, di 118 milio­ni (il tota­le dei denu­tri­ti nel mon­do, nel 2020, è sta­to di 811 milio­ni). Qua­si 150 milio­ni di bam­bi­ni han­no sof­fer­to ritar­do nel­la cre­sci­ta nel 2020. Ed è aumen­ta­to il nume­ro di per­so­ne che non acce­do­no a una die­ta sana: nel 2019 era­no, nel mon­do, 3 miliardi.

 

Dina­mi­che del­la crisi
Nel­la pri­ma par­te del 2020 la cadu­ta è sta­ta ver­ti­gi­no­sa. Ad esem­pio, negli Sta­ti Uni­ti nei pri­mi quat­tro mesi del 2020 l’economia è dimi­nui­ta del 5,1%; e nel secon­do tri­me­stre del 31,2% (tas­si annua­liz­za­ti). In altri Pae­si, avan­za­ti o arre­tra­ti, si regi­stra­no cifre simi­li. La nota di mar­zo 2021, che ho cita­to, è scrit­ta con l’idea che lo sce­na­rio potreb­be esse­re di depres­sio­ne glo­ba­le per anni. Tut­ta­via, la situa­zio­ne è note­vol­men­te miglio­ra­ta nel secon­do seme­stre. Ad esem­pio, negli Sta­ti Uni­ti l’economia è cre­sciu­ta del 33,8% nel ter­zo tri­me­stre e del 4,5% nel quar­to. Que­sta dina­mi­ca si è ripe­tu­ta in altri Pae­si capi­ta­li­sti­ci. Allo stes­so modo, il volu­me del com­mer­cio mon­dia­le di mer­ci nel secon­do tri­me­stre del 2020 è dimi­nui­to del 15%. Ma nel­la secon­da metà dell’anno si è ripre­so, e per tut­to il 2020 il calo si è ridot­to al 5,3%. Il WTO pre­ve­de che nel 2021 il volu­me di com­mer­cio di mer­ci cre­sce­rà dell’8%.
D’altra par­te, la cri­si finan­zia­ria che mol­ti di noi con­si­de­ra­no pro­ba­bi­le non si è veri­fi­ca­ta. Nel 2020 non c’è sta­to un n uovo caso Leh­man. In alcu­ni Pae­si, i pac­chet­ti di aiu­ti fisca­li (tra­sfe­ri­men­ti alle fami­glie, sus­si­di di disoc­cu­pa­zio­ne) sono sta­ti supe­rio­ri al 10% del PIL: han­no com­pen­sa­to, alme­no in par­te, il calo del­le entra­te sala­ria­li. Mol­te ban­che cen­tra­li han­no abbas­sa­to i tas­si di inte­res­se e attua­to pro­gram­mi di acqui­sto di atti­vi finan­zia­ri. Le ban­che han­no attra­ver­sa­to la reces­sio­ne abba­stan­za age­vol­men­te, con bas­si tas­si di insol­ven­za. La mag­gior par­te era entra­ta nel­la pan­de­mia con bilan­ci miglio­ra­ti (dopo la cri­si finan­zia­ria del 2008‑2009, mol­te di esse ave­va­no aumen­ta­to la loro capitalizzazione).La ripre­sa eco­no­mi­ca è pro­gre­di­ta con l’avanzare del­la vac­ci­na­zio­ne. Nel ter­zo tri­me­stre, quan­do in mol­ti Pae­si le chiu­su­re sono sta­te allen­ta­te, la spe­sa del­le fami­glie ha recu­pe­ra­to una par­te signi­fi­ca­ti­va del ter­re­no per­du­to. La liqui­di­tà accu­mu­la­ta è sta­ta river­sa­ta nel­la doman­da di beni di con­su­mo, come appa­rec­chia­tu­re elet­tro­ni­che e auto­vei­co­li (gene­ran­do ora ten­sio­ni sul lato dell’offerta: si veda più avan­ti). Anche i viag­gi e il turi­smo inter­na­zio­na­li han­no ini­zia­to a cre­sce­re. Le con­di­zio­ni del cre­di­to nel set­to­re del­le impre­se sono miglio­ra­te e i bilan­ci si sono raf­for­za­ti. I rap­por­ti utili/azioni a set­tem­bre 2021, negli Sta­ti Uni­ti, nell’area dell’euro e in Giap­po­ne risul­ta­no più alti rispet­to a pri­ma del­la pan­de­mia. I prez­zi del­le azio­ni sono aumen­ta­ti e i tas­si di insol­ven­za nei mer­ca­ti obbli­ga­zio­na­ri spe­cu­la­ti­vi sono rima­sti con­te­nu­ti; gli spread cre­di­ti­zi sono dimi­nui­ti. In mol­ti Pae­si avan­za­ti le insol­ven­ze sui mutui ipo­te­ca­ri sono dimi­nui­te; e i prez­zi del­le case sono aumen­ta­ti. Di con­se­guen­za, il rap­por­to debito/patrimonio net­to del­le fami­glie è dimi­nui­to. I flus­si inter­na­zio­na­li di capi­ta­li si sono ripresi.
Per ter­mi­na­re que­sto pun­to, un argo­men­to da stu­dia­re riguar­da gli effet­ti a lun­go ter­mi­ne del­la pan­de­mia e i cam­bia­men­ti che que­sta ha deter­mi­na­to o acce­le­ra­to. Ad esem­pio, l’aumento del­le tran­sa­zio­ni com­mer­cia­li su Inter­net signi­fi­ca una ridu­zio­ne del­le spe­se impro­dut­ti­ve? Come influi­sce sul­la red­di­ti­vi­tà del capi­ta­le? Allo stes­so modo, con il lavo­ro a distan­za sono dimi­nui­te le spe­se impro­dut­ti­ve? È aumen­ta­ta la pres­sio­ne del capi­ta­le sul­la for­za lavo­ro (rit­mi pro­dut­ti­vi, ora­rio di lavo­ro, ecc.)? La pro­dut­ti­vi­tà è aumen­ta­ta nel­la pro­du­zio­ne di far­ma­ci? Si è amplia­to il cam­po del­la loro commercializzazione?

Vul­ne­ra­bi­li­tà che rimangono
La ripre­sa dell’economia mon­dia­le non deve nascon­de­re il fat­to che per­man­go­no vul­ne­ra­bi­li­tà signi­fi­ca­ti­ve. A livel­lo glo­ba­le, ci sono dub­bi sul­la for­za del­la ripre­sa. Da un lato, per­ché la pan­de­mia non è fini­ta. Cen­ti­na­ia di milio­ni di per­so­ne non han­no rice­vu­to il vac­ci­no e non vi è alcu­na garan­zia che a un cer­to pun­to il virus non mute­rà in un modo mol­to peri­co­lo­so per la vita uma­na. D’altra par­te, cre­sco­no i disa­stri natu­ra­li pro­dot­ti dal cam­bia­men­to climatico.
Inol­tre, il debi­to este­ro dei Pae­si arre­tra­ti è aumen­ta­to note­vol­men­te. Alla vigi­lia del­la pan­de­mia, gli stock di debi­to este­ro dei Pae­si in via di svi­lup­po ave­va­no rag­giun­to i 10,6 tri­lio­ni di dol­la­ri. Era più del dop­pio del livel­lo del 2009 (4,4 tri­lio­ni di dol­la­ri) e più di quat­tro vol­te il livel­lo del 2000 (2,3 tri­lio­ni di dol­la­ri). Data la debo­le cre­sci­ta dopo la cri­si finan­zia­ria del 2008‑2009, il debi­to este­ro è pas­sa­to dal rap­pre­sen­ta­re il 23% del PIL nel 2008 (il pun­to più bas­so in 20 anni) al 31% nel 2020. Ma se si esclu­de la Cina, la media debi­to estero/PIL è del 44% nel 2020.
Va segna­la­to, d’altro can­to, la com­pli­ca­ta situa­zio­ne del set­to­re finan­zia­rio (c’è un este­so sha­dow ban­king [siste­ma ban­ca­rio ombra], cioè fuo­ri bilan­cio) e del set­to­re ipo­te­ca­rio in Cina. E nei Pae­si avan­za­ti le poli­ti­che mone­ta­rie duran­te la pan­de­mia potreb­be­ro aver spin­to la soprav­va­lu­ta­zio­ne di azio­ni e altre atti­vi­tà finanziarie.

Dif­fi­col­tà dal lato dell’offerta, strozzature
A que­sti pro­ble­mi piut­to­sto strut­tu­ra­li, aggiun­gia­mo che a bre­ve ter­mi­ne esi­sto­no mol­te dif­fi­col­tà per la ripro­du­zio­ne del capi­ta­le pro­dut­ti­vo. Si mani­fe­sta­no nell’aumento dei prez­zi dei fat­to­ri di pro­du­zio­ne essen­zia­li, nel­le stroz­za­tu­re per l’offerta indu­stria­le e nei con­se­guen­ti cali di pro­du­zio­ne. Segna­lia­mo quel­li più significativi.

I prez­zi del petrolio
L’evoluzione dei prez­zi, del­la pro­du­zio­ne e del­la doman­da del petro­lio è esem­pli­fi­ca­ti­va del­le vio­len­te oscil­la­zio­ni cui è sog­get­ta l’economia capi­ta­li­sta, gover­na­ta dal­le for­ze cie­che del mer­ca­to e dal­la logi­ca del pro­fit­to (e illu­stra l’approccio teo­ri­co di Marx sopra deli­nea­to). Riper­cor­ria­mo bre­ve­men­te que­sta vicenda.

Dopo aver toc­ca­to, nell’aprile 2020, i 16 dol­la­ri al bari­le, i prez­zi si sono ripre­si e oggi sono sopra gli 80 dol­la­ri (il Brent a 82 dol­la­ri agli ini­zi di novem­bre). Gli osser­va­to­ri del mer­ca­to sti­ma­no che la doman­da supe­ri l’offerta di un milio­ne di bari­li al gior­no e che con­ti­nue­rà a veri­fi­car­si il pas­sag­gio dal gas al petro­lio per la pro­du­zio­ne di elet­tri­ci­tà. Per­tan­to, il defi­cit ten­de­reb­be a peg­gio­ra­re. Ciò signi­fi­ca che è neces­sa­rio aumen­ta­re gli inve­sti­men­ti. Va tenu­to pre­sen­te che l’industria petro­li­fe­ra ha biso­gno di un costan­te rein­ve­sti­men­to, poi­ché a livel­lo glo­ba­le è neces­sa­rio rim­piaz­za­re 3 milio­ni di bari­li al gior­no, equi­va­len­te a ciò che vie­ne per­so dai poz­zi che rag­giun­go­no la matu­ri­tà. Il che signi­fi­ca sosti­tui­re un Mare del Nord ogni anno. A ciò si aggiun­ge la neces­si­tà di far fron­te alla cre­sci­ta del­la doman­da. Ma negli anni che han­no pre­ce­du­to la pan­de­mia gli inve­sti­men­ti si sono man­te­nu­ti debo­li, pre­pa­ran­do così lo sce­na­rio attua­le (si veda­no i rap­por­ti annua­li dell’IEA, Inter­na­tio­nal Ener­gy Agen­cy, anche per quan­to si dirà appresso).
A que­sto pun­to, le flut­tua­zio­ni degli inve­sti­men­ti, del­la pro­du­zio­ne e del­la doman­da gio­ca­no un ruo­lo cru­cia­le. Così, nel 2014, quan­do il prez­zo del bari­le supe­ra­va i 100 dol­la­ri, gli inve­sti­men­ti glo­ba­li annui furo­no di cir­ca 750 miliar­di di dol­la­ri. Ma allo­ra ci fu una sovrap­pro­du­zio­ne e un calo dei prez­zi: nel 2016 il prez­zo del bari­le era di 43 dol­la­ri e nel 2017 era di 53. I pro­fit­ti sono dimi­nui­ti e gli inve­sti­men­ti sono sce­si del 25% nel 2015 e nel 2016. Nel 2017 sono rima­sti debo­li; nuo­ve sco­per­te di gia­ci­men­ti sono sce­se a un livel­lo sto­ri­ca­men­te mol­to bas­so. La capa­ci­tà inu­ti­liz­za­ta glo­ba­le si è quin­di ridot­ta. Nel 2018 i prez­zi sono tor­na­ti a 64 dol­la­ri al bari­le, prin­ci­pal­men­te a cau­sa dei tagli alla pro­du­zio­ne dell’OPEC e del calo del­la pro­du­zio­ne di Vene­zue­la e Iran. In com­pen­so, la pro­du­zio­ne di sci­sto degli Sta­ti Uni­ti è rima­sta ele­va­ta. Ma nel 2019 il prez­zo è sce­so a 57 dol­la­ri, prin­ci­pal­men­te a cau­sa dell’aumento del­la pro­du­zio­ne sta­tu­ni­ten­se. Tut­ta­via, la doman­da è rima­sta debo­le, in linea con la debo­le cre­sci­ta eco­no­mi­ca di mol­ti Pae­si euro­pei. Nel 2019 si è regi­stra­to un mode­sto aumen­to degli inve­sti­men­ti, che non han­no aumen­ta­to sostan­zial­men­te la pro­du­zio­ne. Nel 2020 la debo­lez­za dell’offerta non si è fat­ta sen­ti­re a cau­sa del calo del­la doman­da. «Ma una vol­ta che la doman­da ha ripre­so a cre­sce­re, era que­stio­ne di tem­po pri­ma che la caren­za comin­cias­se a far­si sen­ti­re» (The Eco­no­mi­st, 10/4/2021). E men­tre i prez­zi sono aumen­ta­ti, gli inve­sti­men­ti resta­no anco­ra debo­li. «Ben­ché i prez­zi sia­no in aumen­to, gli inve­sti­men­ti in petro­lio non accen­na­no a cre­sce­re» (Ibi­dem). Tra i fat­to­ri che sta­reb­be­ro inci­den­do c’è la pres­sio­ne per la decar­bo­niz­za­zio­ne; e l’inclinazione dei Pae­si dell’OPEC a miglio­ra­re i bilan­ci fisca­li pri­ma di espan­de­re la pro­du­zio­ne di petro­lio (ibi­dem).

Semi­con­dut­to­ri
Oggi c’è anche una caren­za glo­ba­le di semi­con­dut­to­ri; la pro­du­zio­ne non rie­sce a sod­di­sfa­re la doman­da. Oltre all’esplosione del­la doman­da lega­ta alla ria­per­tu­ra post‑Covid e all’aumento del lavo­ro a distan­za, con i pro­gres­si tec­no­lo­gi­ci aumen­ta il nume­ro di chip uti­liz­za­ti nel­le auto­mo­bi­li, tele­fo­ni cel­lu­la­ri, foto­ca­me­re, com­pu­ter e simi­li. Richie­do­no sem­pre più semi­con­dut­to­ri anche tec­no­lo­gie come l’intelligenza arti­fi­cia­le, il 5G e lo svi­lup­po del­la robo­ti­ca. Per­tan­to, mol­ti set­to­ri stan­no aven­do pro­ble­mi. Uno di quel­li più col­pi­ti è l’industria auto­mo­bi­li­sti­ca (le auto­mo­bi­li uti­liz­za­no più di 100 micro­pro­ces­so­ri). Mol­te impre­se sono sta­te costret­te a taglia­re la pro­du­zio­ne: Toyo­ta, ad esem­pio, ha annun­cia­to a set­tem­bre che taglie­rà la pro­du­zio­ne del 40%. La socie­tà di con­su­len­za Alix­Part­ners sti­ma che a livel­lo glo­ba­le que­sta cri­si coste­rà al set­to­re 210 miliar­di di dol­la­ri; il calo del­la pro­du­zio­ne, rispet­to a quan­to pre­ce­den­te­men­te sti­ma­to, sarà di 7,7 milio­ni di vei­co­li. Anche i pro­dut­to­ri di elet­tro­do­me­sti­ci e altri set­to­ri indu­stria­li stan­no sof­fren­do per la caren­za di chip. Ad esem­pio, Apple ha avu­to pro­ble­mi a sod­di­sfa­re la pro­du­zio­ne pre­vi­sta per iPho­ne 12, Mac e iPad. Dell e HP han­no anch’esse segna­la­to stroz­za­tu­re che stan­no influen­zan­do la loro pro­du­zio­ne. Lo stes­so vale per i pro­dut­to­ri di schermi.
Tut­to indi­ca che ade­gua­re l’offerta all’aumento del­la doman­da richie­de­rà tem­po e gran­di inve­sti­men­ti. Secon­do la socie­tà di con­su­len­za Bain & Com­pa­ny, aumen­ta­re del 10% la capa­ci­tà di pro­du­zio­ne di semi­con­dut­to­ri negli impian­ti esi­sten­ti coste­reb­be 40 miliar­di di dol­la­ri. La costru­zio­ne di un impian­to di pro­du­zio­ne di semi­con­dut­to­ri può costa­re tra 12 e 20 miliar­di di dol­la­ri. E ci voglio­no dai due ai quat­tro anni per met­te­re in pie­di una fab­bri­ca. Una mac­chi­na che uti­liz­za la tec­ni­ca del­la lito­gra­fia ultra­vio­let­ta estre­ma, che per­met­te di svi­lup­pa­re chip di dimen­sio­ni infe­rio­ri a 10 nano­me­tri, vale cir­ca 200 milio­ni di dollari.

Tra­spor­ti e logistica
Si stan­no pro­du­cen­do anche impor­tan­ti dislo­ca­zio­ni nel mer­ca­to dei con­tai­ner, nel­le rot­te di navi­ga­zio­ne, nei por­ti, mer­ci avio­tra­spor­ta­te, auto­tra­spor­ti, fer­ro­vie e magaz­zi­ni. Ci sono ritar­di nel­le con­se­gne e aumen­ti dei costi di tra­spor­to. Tut­to que­sto aggra­va­to dai pro­ces­si pro­dut­ti­vi “just in time”, che ope­ra­no con poche scor­te (un modo per ridur­re il capi­ta­le cir­co­lan­te costan­te e aumen­ta­re la red­di­ti­vi­tà). Le stroz­za­tu­re e le inter­ru­zio­ni del­le for­ni­tu­re han­no quin­di effet­ti imme­dia­ti sull’intera cate­na di produzione.
Sul­lo sfon­do vi sono anni di debo­li inve­sti­men­ti nei tra­spor­ti. Ad esem­pio, la can­tie­ri­sti­ca è rima­sta debo­le o sta­gnan­te per anni. Ora, con la ripre­sa degli scam­bi, sono neces­sa­rie più navi da cari­co (il 90% del com­mer­cio mon­dia­le di mer­ci si svol­ge via nave, in com­bi­na­zio­ne con fer­ro­vie e camion). Ci sono nuo­vi ordi­ni per la costru­zio­ne di navi, per un equi­va­len­te di qua­si il 20% del­la capa­ci­tà instal­la­ta, ma saran­no dispo­ni­bi­li solo nel 2023 e nel 2024. D’altra par­te, la ten­den­za ver­so navi sem­pre più gran­di crea sfi­de infra­strut­tu­ra­li non solo nei por­ti, ma nel­le aree ad essi col­le­ga­te. Ad esem­pio, è neces­sa­ria una mag­gio­re capa­ci­tà di camion, tre­ni e stoc­cag­gio per il cari­co e lo sca­ri­co. Quan­do tale capa­ci­tà non esi­ste, si pro­du­co­no ingor­ghi e stroz­za­tu­re. Per­ciò, si fa più len­to il tur­na­round dei con­tai­ner che, som­ma­to all’aumento dei volu­mi di cari­co, gene­ra un mag­gio­re diva­rio tra doman­da e offer­ta. Il prez­zo medio di un con­tai­ner cine­se stan­dard oggi costa più del dop­pio rispet­to al 2016. Le tarif­fe di tra­spor­to per alcu­ne rot­te sono aumen­ta­te notevolmente.
Nell’insieme, que­sti fat­to­ri pos­so­no comin­cia­re a col­pi­re sen­si­bil­men­te i pro­fit­ti del capi­ta­le e la pro­du­zio­ne. Infat­ti, nel­la sua ulti­ma revi­sio­ne (otto­bre 2021) il FMI ha abbas­sa­to le pre­vi­sio­ni di cre­sci­ta dell’economia glo­ba­le per il 2021. Ma per ora la revi­sio­ne è mar­gi­na­le. In ogni caso, si trat­ta di un pro­ces­so in cor­so, che dovrà esse­re segui­to con attenzione.


Note

[1] K. Marx, Il Capi­ta­le, Libro III, Edi­to­ri Riu­ni­ti, 1994, p. 155.
[2] Ivi, pp. 156 e s.
[3] Ivi, p. 158.
[4] K. Marx, Teo­rie sul plu­sva­lo­re, t. 2, p. 375.
[5] Ivi, p. 376.
[6] Ibi­dem.
[7] Ibi­dem.
[8] Ivi, p. 387.

 

[*] Rolan­do Asta­ri­ta è uno stu­dio­so mar­xi­sta di eco­no­mia. Inse­gna all’Università di Quil­mes e di Bue­nos Aires, in Argentina.

 

(Tra­du­zio­ne di Erne­sto Russo)