Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Storia del movimento operaio

Il Biennio rosso ungherese 1918–1919

Poster per l’Armata rossa ungherese dell’artista Béla Uitz, che recita: «Avanti soldati rossi!»

È appe­na sta­to pub­bli­ca­to, per i tipi del­la Alter­graf edi­zio­ni, l’im­por­tan­te stu­dio di Cor­ra­do Basi­le (un cui testo sul­la scis­sio­ne di Livor­no del 1921 abbia­mo avu­to l’o­no­re di pre­sen­ta­re) sul Bien­nio ros­so unghe­re­se degli anni 1918–1919.
Si trat­ta di un testo impre­scin­di­bi­le per com­pren­de­re ciò che in Euro­pa avven­ne dopo l’Ot­to­bre sovie­ti­co, quan­do uno spi­ri­to rivo­lu­zio­na­rio pre­se ad aleg­gia­re sul Vec­chio Continente.
Il libro può esse­re ordi­na­to diret­ta­men­te pres­so l’e­di­to­re, scri­ven­do all’in­di­riz­zo mail info@altergraf.it.
La redazione

Il Biennio rosso ungherese 1918‑1919


Cor­ra­do Basile

 

Dal­la fine di mar­zo ai pri­mi di ago­sto del 1919 in Unghe­ria ope­rò una dit­ta­tu­ra pro­le­ta­ria che avreb­be potu­to esten­de­re all’Occidente la rivo­lu­zio­ne che ave­va por­ta­to al pote­re i bol­sce­vi­chi nell’ex impe­ro zari­sta. I due feno­me­ni era­no stret­ta­men­te col­le­ga­ti. L’andamento del­la Pri­ma guer­ra mon­dia­le e quel­lo del­la Rivo­lu­zio­ne rus­sa fece­ro sì che la rea­zio­ne del­le mas­se alla scon­fit­ta dell’impero asbur­gi­co e all’incapacità del­le clas­si domi­nan­ti unghe­re­si di gesti­re le riper­cus­sio­ni del­la débâ­cle for­nis­se con­cre­tez­za alle pos­si­bi­li­tà di soprav­vi­ven­za del­la nazio­ne e sot­traes­se a una pro­spet­ti­va gene­ri­ca lo spi­ri­to inter­na­zio­na­li­sta dei pro­le­ta­ri. Ciò men­tre i vec­chi “pote­ri for­ti” si ritrae­va­no impau­ri­ti di fron­te alle pre­te­se del­le poten­ze vin­ci­tri­ci del­la guer­ra, soprat­tut­to del­la Fran­cia, che vole­va smem­bra­re il Pae­se per impor­re il suo con­trol­lo sull’area danu­bia­na e raf­for­za­re il cor­do­ne sani­ta­rio con­tro il bol­sce­vi­smo. Que­sti “pote­ri for­ti” lascia­ro­no sole le for­ma­zio­ni poli­ti­che che ave­va­no dato vita nell’ottobre 1918 all’esperimento repub­bli­ca­no noto come “rivo­lu­zio­ne dei cri­san­te­mi” e con­ce­pi­to appo­si­ta­men­te per sal­var­li, men­tre la pro­te­sta socia­le cre­sce­va e si raf­for­za­va ogni gior­no di più. I social­de­mo­cra­ti­ci, già pun­tel­lo essen­zia­le dell’esperienza lega­ta al nome del con­te Káro­lyi, svol­ta­ro­no allo­ra “a sini­stra” e si rivol­se­ro ai rivo­lu­zio­na­ri gui­da­ti da Béla Kun, da poco rac­col­ti in un’organizzazione indi­pen­den­te. Incau­ta­men­te il par­ti­to comu­ni­sta accet­tò l’offerta dei social­de­mo­cra­ti­ci negli ulti­mi gior­ni del mar­zo 1919 e rea­liz­zò un’unificazione dei due par­ti­ti ope­rai, nell’illusione che di pun­to in bian­co i rifor­mi­sti aves­se­ro abban­do­na­to il loro ruo­lo con­tra­rio agli inte­res­si dei lavo­ra­to­ri. Fu pro­cla­ma­ta così la dit­ta­tu­ra del pro­le­ta­ria­to e ven­ne costi­tui­to un Con­si­glio rivo­lu­zio­na­rio di governo.

La coper­ti­na del libro

Ma le dif­fe­ren­ze tra la poli­ti­ca del­la dit­ta­tu­ra unghe­re­se e quel­la di Mosca fece­ro sì che le spe­ran­ze del pro­le­ta­ria­to, e di tut­ti i Pae­si, andas­se­ro delu­se. La Comu­ne di Buda­pe­st finì in una tra­ge­dia e non tan­to a cau­sa dell’intervento mili­ta­re mas­sic­cio degli Sta­ti dell’Intesa, quan­to a cau­sa del tra­di­men­to del­la social­de­mo­cra­zia. A par­te alcu­ni sin­go­li ele­men­ti, il par­ti­to social­de­mo­cra­ti­co in real­tà ave­va accet­ta­to sol­tan­to stru­men­tal­men­te il pro­gram­ma comu­ni­sta e appog­gia­to il Con­si­glio rivo­lu­zio­na­rio di gover­no pren­den­do­vi par­te, in atte­sa di poter­si accor­da­re con gli impe­ria­li­sti vin­ci­to­ri del­la guer­ra mon­dia­le e con i con­tro­ri­vo­lu­zio­na­ri magiari.
Dal­la vicen­da del­la dit­ta­tu­ra pro­le­ta­ria in Unghe­ria nel 1919 il movi­men­to ope­ra­io avreb­be dovu­to pren­de­re spun­to per raf­for­za­re nei suoi ran­ghi la con­vin­zio­ne che la poli­ti­ca rivo­lu­zio­na­ria non si pote­va basa­re su sug­ge­stio­ni che por­ta­va­no a scam­bia­re luc­cio­le per lan­ter­ne, con le ine­vi­ta­bi­li oscil­la­zio­ni a destra e a sini­stra che le accom­pa­gna­va­no. Que­sta con­vin­zio­ne non si raf­for­zò, pur­trop­po anche per l’avvento, nel giro di pochi anni, del­la con­tro­ri­vo­lu­zio­ne sta­li­nia­na. La sto­ria dei comu­ni­sti unghe­re­si nel 1919 fu quel­la di una serie di com­pro­mis­sio­ni suc­ces­si­ve – esse furo­no mol­te­pli­ci e l’abbaglio sul­la natu­ra del­la social­de­mo­cra­zia fu solo il pri­mo tra gli erro­ri com­mes­si, lega­ti all’impressionismo di Béla Kun – che lascia­ro­no un segno sem­pre più mar­ca­to nei rap­por­ti di clas­se, inde­bo­len­do il pro­le­ta­ria­to, fino a che il Pae­se fu inve­sti­to dal “ter­ro­re bianco”.