Il tratto davvero incontestabile della rivoluzione è l'irruzione violenta delle masse negli avvenimenti storici (L.D. Trotsky, Storia della rivoluzione russa)

Economia

La crisi globale accelera e si approfondisce

Il tema del­la cri­si eco­no­mi­ca ai tem­pi del coro­na­vi­rus non deve esse­re con­si­de­ra­to “da spe­cia­li­sti”. La ten­den­za a riser­va­re ad eco­no­mi­sti, acca­de­mi­ci, intel­let­tua­li, una que­stio­ne che, inve­ce, ha già da ora pro­fon­de rica­du­te sul­la clas­se lavo­ra­tri­ce – e ne avrà ancor di più in futu­ro, quan­do la bor­ghe­sia ci chie­de­rà il con­to dei man­ca­ti pro­fit­ti rea­liz­za­ti e del­le mag­gio­ri spe­se incon­tra­te per l’e­mer­gen­za sani­ta­ria – deve esse­re fer­ma­men­te com­bat­tu­ta. È neces­sa­rio, cioè, che a livel­lo di mas­sa si com­pren­da­no le ten­den­ze che mani­fe­sta l’e­co­no­mia glo­ba­le affin­ché la rispo­sta pos­sa esse­re ade­gua­ta rispet­to agli attac­chi di oggi e di doma­ni da par­te del capitale.
Ecco per­ché il nostro sito si sta inte­res­san­do in modo par­ti­co­la­re a quest’aspetto.
Pre­sen­tia­mo per­ciò l’a­na­li­si che l’e­co­no­mi­sta mar­xi­sta Rolan­do Asta­ri­ta, già mol­te vol­te ospi­te del­la nostra pagi­na, avan­za riguar­do al tema del­l’ap­pro­fon­dir­si del­la cri­si eco­no­mi­ca e del­le con­se­guen­ze per i lavoratori.
Buo­na lettura.
La redazione

La crisi globale accelera e si approfondisce

 

Rolan­do Asta­ri­ta [*]

In una nota pub­bli­ca­ta il 10 mar­zo (il 14 su que­sto sito) ho discus­so del­la pos­si­bi­li­tà che l’economia mon­dia­le stia spro­fon­dan­do ver­so una depres­sio­ne glo­ba­le. Fon­da­men­tal­men­te, ho soste­nu­to che l’irruzione del Covid‑19 ha sca­te­na­to una cri­si simul­ta­nea dell’offerta e del­la doman­da che ha un impat­to su di un’economia glo­ba­le dal­la debo­le cre­sci­ta, oltre­tut­to appe­san­ti­ta da un mare di debi­ti. Di qui, la pos­si­bi­li­tà, mol­to rea­le, che la cri­si si aggra­vi dal ver­san­te finanziario.
Di segui­to pre­sen­to alcu­ni dati per attua­liz­za­re il tema. Ben­ché diver­si di essi appa­ia­no “vec­chi”, ci dan­no un’idea del­la velo­ci­tà con cui si sta svi­lup­pan­do la cri­si. Mi baso su infor­ma­zio­ni for­ni­te da orga­ni­smi internazionali.
Secon­do l’Investment Trends Moni­tor di mar­zo dell’Unctad (Con­fe­ren­za del­le Nazio­ni Uni­te sul com­mer­cio e lo svi­lup­po), le pro­ie­zio­ni dell’impatto eco­no­mi­co del Covid‑19 si fan­no più fosche gior­no dopo gior­no. La pre­vi­sio­ne ini­zia­le era che la cri­si si sareb­be sen­ti­ta pri­ma, e in manie­ra più for­te, dal lato dell’offerta: arre­sto del­la pro­du­zio­ne, inter­ru­zio­ni nel­la cate­na dell’offerta nell’Asia dell’Est (Cina soprat­tut­to) e cadu­te del­le eco­no­mie for­te­men­te inte­gra­te nel­le cate­ne glo­ba­li di valo­re. Una cri­si impor­tan­te, ma limitata.
Ebbe­ne, que­sta pre­vi­sio­ne è già data­ta. Il fat­to è che oggi le qua­ran­te­ne e i bloc­chi del­la pro­du­zio­ne si fan­no sen­ti­re a pre­scin­de­re dal fat­to che le eco­no­mie sia­no inte­gra­te nel­le cate­ne glo­ba­li di pro­du­zio­ne, e col­pi­sco­no in pie­no la doman­da e la pro­du­zio­ne inte­ra. Ne deri­va che la pre­vi­sio­ne è di una cri­si ben più for­te rispet­to a quel­la del 2008‑2009. In pri­mo luo­go, per­ché il suo effet­to è più este­so. Poi, per­ché è più imme­dia­to, dal momen­to che lo shock del­la doman­da è accom­pa­gna­to da inter­ru­zio­ni for­za­te e rin­vio dei pro­get­ti di inve­sti­men­to. Infi­ne, per­ché, nel­la misu­ra in cui l’attività eco­no­mi­ca è col­pi­ta, può svi­lup­par­si una cri­si nel set­to­re finan­zia­rio quan­do mol­te impre­se non potran­no rispet­ta­re i pro­pri impe­gni finan­zia­ri: ciò che avrà un effet­to a casca­ta sui flus­si di inve­sti­men­to globale.
In tal modo, tut­to indi­che­reb­be che la dina­mi­ca è sem­pre più nega­ti­va. Secon­do l’Unctad, cir­ca l’80% del­le 5000 più gran­di mul­ti­na­zio­na­li moni­to­ra­te ha rivi­sto al ribas­so le pre­vi­sio­ni del­le entra­te. Agli ini­zi di mar­zo, la media di revi­sio­ne al ribas­so era del 9%. Ma nel­le ulti­me set­ti­ma­ne la mag­gio­ran­za di esse ha fat­to nuo­ve revi­sio­ni. In media, quel­le che ope­ra­no nei Pae­si avan­za­ti han­no ribas­sa­to le loro pre­vi­sio­ni del 35%.
Quan­to alla Cina, nel solo pri­mo bime­stre, le spe­se in con­to capi­ta­le sono dimi­nui­te del 25%. Le mul­ti­na­zio­na­li che ope­ra­no nel pae­se pre­ve­do­no cadu­te del­le entra­te, in media, del 21%. Gli inve­sti­men­ti di capi­ta­le fis­so si sono ridot­ti del 24,5%. Inol­tre, a cau­sa del fat­to che le misu­re che han­no pre­vi­sto chiu­su­re sono sta­te adot­ta­te a metà gen­na­io e nean­che in manie­ra omo­ge­nea, è pro­ba­bi­le che il pic­co dell’effetto sarà mag­gio­re. Secon­do l’Oil (Orga­niz­za­zio­ne inter­na­zio­na­le del lavo­ro), il valo­re aggre­ga­to tota­le del­le impre­se indu­stria­li cine­si è cadu­to del 13,5% nei pri­mi mesi del 2020.
Tor­nan­do ora sul pia­no glo­ba­le, una pre­vi­sio­ne rea­liz­za­ta dall’Oil, quan­do il nume­ro del­le per­so­ne infet­ta­te era di 170.000, sti­ma­va un aumen­to del nume­ro dei disoc­cu­pa­ti fra 5,5 milio­ni (sce­na­rio più favo­re­vo­le) e 24,7 milio­ni (sce­na­rio peg­gio­re). Lo sce­na­rio “inter­me­dio” pre­ve­de­va 13 milio­ni (7,4 milio­ni nei Pae­si avan­za­ti). Duran­te la cri­si del 2008‑2009 la disoc­cu­pa­zio­ne rag­giun­se i 22 milio­ni, sic­ché le cifre dell’Oil, ben­ché fosche, non sem­bra­va­no così allar­man­ti. Ma oggi i con­ta­gia­ti supe­ra­no il milio­ne e il fer­mo dell’attività eco­no­mi­ca si è este­so. Il pros­si­mo 7 di apri­le ci sarà un nuo­vo rap­por­to dell’Oil. Una sti­ma pre­li­mi­na­re del 10 mar­zo (di nuo­vo, un dato “vec­chio”) dice che sono già sta­ti per­si 30.000 mesi di lavo­ro. Le per­di­te glo­ba­li del­le retri­bu­zio­ni ven­go­no cal­co­la­te tra 860 miliar­di di dol­la­ri e 3400 miliar­di di dollari.

Rapi­do aumen­to del­la disoc­cu­pa­zio­ne negli Usa
I dati del­la disoc­cu­pa­zio­ne negli Sta­ti Uni­ti sono quel­li che pro­ba­bil­men­te offro­no una visio­ne più rea­li­sti­ca del modo in cui si sta svi­lup­pan­do la crisi.

Disoc­cu­pa­ti in cer­ca di lavo­ro duran­te la cri­si del 1929

Ciò che col­pi­sce di più è che solo nell’ultima set­ti­ma­na di mar­zo (fino al 28) 6,65 milio­ni di per­so­ne han­no fat­to richie­sta di cas­sa inte­gra­zio­ne, e cioè ben il dop­pio del­le richie­ste fat­te nel­la set­ti­ma­na pre­ce­den­te (fino al 21 mar­zo), che era­no sta­te 3,3 milio­ni. Inol­tre, nel­la set­ti­ma­na ter­mi­na­ta il 21 mar­zo la mag­gio­ran­za dei richie­den­ti era com­po­sta da lavo­ra­to­ri degli alber­ghi, risto­ran­ti e altri ser­vi­zi. In quel­la suc­ces­si­va, mol­ti dei richie­den­ti era­no dipen­den­ti del­le indu­strie e dei tra­spor­ti. Il fat­to è che nel set­to­re petro­li­fe­ro, dell’energia e auto­mo­bi­li­sti­co, fra gli altri, il ral­len­ta­men­to è sta­to mol­to accen­tua­to. Le impre­se for­ni­tri­ci di que­ste indu­strie sen­to­no anch’esse la cri­si. La Boeing ha fer­ma­to la sua pro­du­zio­ne già da diver­se set­ti­ma­ne, con pesan­ti con­se­guen­ze non solo per i suoi dipen­den­ti ma anche per quel­li del­le sue 17.000 impre­se for­ni­tri­ci. Anche mol­te accia­ie­rie han­no fer­ma­to gli alti­for­ni, dato che non han­no avu­to com­mes­se dal­le impre­se auto­mo­bi­li­sti­che o petro­li­fe­re. Mol­te fab­bri­che han­no licen­zia­to gli ope­rai e mol­te altre han­no ridot­to i sala­ri; secon­do Bloom­berg, 623.000 lavo­ra­to­ri del­le indu­strie auto­mo­bi­li­sti­che e del­la com­po­nen­ti­sti­ca sono in con­ge­do. Come dato più gene­ra­le, segna­lo che ana­li­sti di JP Mor­gan riten­go­no che il Pil degli Sta­ti Uni­ti potreb­be dimi­nui­re fino al 14% nel secon­do tri­me­stre (ben­ché, in real­tà, nes­su­no sa di quan­to pos­sa cadere).
Le ore lavo­ra­te sono dimi­nui­te fino a una media set­ti­ma­na­le di 34,2 ore, il più bas­so dal 2011, e tut­to fa pen­sa­re che con­ti­nue­ran­no a ridur­si. D’altro can­to, quan­tun­que il gover­no rac­co­man­di ai lavo­ra­to­ri di resta­re a casa se avver­to­no sin­to­mi, parec­chi temo­no di esse­re licen­zia­ti se lo fan­no, con l’aggravante che mol­ti nep­pu­re ven­go­no retri­bui­ti se si ammalano.
A cau­sa del­la rapi­di­tà con cui il dato dell’occupazione è peg­gio­ra­to, il tas­so uffi­cia­le dei disoc­cu­pa­ti del 4,4% a mar­zo non appa­re rea­li­sti­co. Voglio pre­ci­sa­re che il Bureau of Labor Sta­ti­stics con­si­de­ra disoc­cu­pa­ti colo­ro che han­no cer­ca­to lavo­ro nel­le ulti­me quat­tro set­ti­ma­ne, men­tre non tie­ne con­to di colo­ro che non lo cer­ca­no più o lo fan­no solo occa­sio­nal­men­te. Se si aggiun­go­no que­ste per­so­ne, il tas­so di disoc­cu­pa­zio­ne – deno­mi­na­to U6 – sareb­be dell’8,7%: non­di­me­no, per quan­to ho appe­na det­to, nep­pu­re que­sto nume­ro riflet­te­reb­be ciò che sta acca­den­do. Il fat­to è che, oltre al ritar­do degli stu­di, mol­ti lavo­ra­to­ri han­no incon­tra­to dif­fi­col­tà buro­cra­ti­che nel ricor­re­re alla cas­sa inte­gra­zio­ne. E poi, mol­ti altri sono auto­no­mi e ad essi non si appli­ca la disci­pli­na del­la cas­sa integrazione.
Ecco per­ché potreb­be­ro esser­ci, secon­do Justin Wol­fers (sul New York Times), cir­ca 11 milio­ni di disoc­cu­pa­ti: il che por­te­reb­be il tas­so di disoc­cu­pa­zio­ne dal 3,5% di feb­bra­io al 10% di mar­zo. Tut­ta­via, da allo­ra si sono per­du­ti ancor più posti di lavo­ro, sic­ché il nume­ro dei disoc­cu­pa­ti potreb­be rag­giun­ge­re i 15 milio­ni, cioè il 12,3% del­la for­za lavo­ro (si veda “The Unem­ploy­ment Rate is Pro­ba­bly Around 13 Per­cent”, New York Times, 3/4/2020). L’autore scri­ve: «Il mer­ca­to del lavo­ro sta cam­bian­do così rapi­da­men­te che le nostre sta­ti­sti­che uffi­cia­li – con­ce­pi­te per misu­ra­re cam­bia­men­ti lun­go mesi e anni, piut­to­sto che lun­go gior­ni o set­ti­ma­ne – non pos­so­no star loro die­tro».
Gold­man Sachs, dal can­to suo, pre­ve­de un tas­so di disoc­cu­pa­zio­ne del 15% ver­so metà dell’anno. La Casa Bian­ca dice che potreb­be arri­va­re al 20%. Da ulti­mo, Miguel Faria‑e‑Castro, eco­no­mi­sta del­la Fede­ral Reser­ve di St. Louis – in “Back-of-the-Enve­lo­pe Esti­ma­tes of Next Quarter’s Unem­ploy­ment Rate” del 24 mar­zo” – fa una pre­vi­sio­ne anco­ra peg­gio­re: sti­ma che si per­de­ran­no 47 milio­ni di posti di lavo­ro, il che por­te­reb­be la disoc­cu­pa­zio­ne a 52,8 milio­ni di per­so­ne. Sareb­be il 32% di disoc­cu­pa­zio­ne. Nel decen­nio del 1930 la disoc­cu­pa­zio­ne in Usa rag­giun­se il record sto­ri­co del 25%.
Ma al di là del­le pro­ie­zio­ni, in qual­sia­si caso è indub­bio che si trat­ti di una cre­sci­ta esplo­si­va, rapi­da come non si era mai visto nel­le pre­ce­den­ti cri­si. E la situa­zio­ne in altri Pae­si avan­za­ti (Ita­lia e Spa­gna, tra gli altri) non pare così diver­sa quan­to alla gra­vi­tà del crollo.
Il qua­dro è estre­ma­men­te gra­ve per la clas­se lavo­ra­tri­ce. Per­ciò, ripe­to anco­ra una vol­ta: non ha sen­so con­ti­nua­re a dire che tut­to ciò è un’invenzione, o un’esagerazione del­la stam­pa, o che l’irruzione del virus non ha cam­bia­to nul­la per­ché “l’economia capi­ta­li­sta era già in calo” (come se la situa­zio­ne eco­no­mi­ca odier­na fos­se simi­le a quel­la del 2018 o 2019). La spie­ga­zio­ne del per­ché come mar­xi­sti pro­po­nia­mo un pro­gram­ma socia­li­sta – in par­ti­co­la­re, libe­ra­re le mas­se lavo­ra­tri­ci dal­la tiran­nia impo­ste loro dal­la tiran­nia del pro­fit­to e del capi­ta­le; per­met­te­re il rior­di­na­men­to del­le risor­se pro­dot­te dal lavo­ro a van­tag­gio di tut­ti – deve par­ti­re da una dia­gno­si obiet­ti­va, e cioè basa­ta sull’evi­den­za empi­ri­ca, di quel che acca­de. È ciò che giu­sti­fi­ca e spie­ga la neces­si­tà di misu­re pro­fon­de, e glo­ba­li, di fron­te a que­sto disastro.


(Tra­du­zio­ne di Andrea Di Benedetto)


[*] Rolan­do Asta­ri­ta è uno stu­dio­so mar­xi­sta di eco­no­mia. Inse­gna all’Università di Quil­mes e di Bue­nos Aires, in Argentina.